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Autore: Orso Scrive    28/04/2023    1 recensioni
Alberto Manfredi e Aurora Bresciani ricevono l’incarico di gestire la sicurezza di una mostra dedicata alla storia della frontiera americana. Fare la guardia a vecchi cimeli privi di valore non sembrerebbe essere un incarico molto gratificante, per i due carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale. Ma dovranno presto ricredersi, quando la mostra verrà sconvolta da uno strano furto, che sembra collegato a un’antica maledizione degli indiani d’America e alla scoperta, ai tempi della frontiera, di una miniera misteriosa…
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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6.

 

Roma, Italia, marzo 2022

 

 

Le mani intrecciate dietro la schiena, Alberto stava osservando un vaso di terracotta su cui erano dipinti alcuni glifi color ocra. A giudicare dalla fattura e dalle condizioni del reperto, sembrava molto antico. L’unico pezzo forse di un qualche reale valore dell’intera mostra.

Una conclusione che aveva raggiunto vedendo quanto poco il professor Shelton sembrasse esservi interessato.

«Questo recipiente fu realizzato dai miei avi, tenente», risuonò una voce alla sue spalle.

Sorpreso, Manfredi sobbalzò leggermente, mentre si girava a guardare chi fosse stato a parlare. Si ritrovò a fissare negli occhi neri e profondi di Paul Ward, l’assistente di Shelton. Gli zigomi alti e pronunciati, le labbra carnose e i lunghi capelli bianchi ne rimarcavano senza ombra di dubbio le origini.

«Per suoi avi intende i nativi americani, signor Ward?» domandò Alberto, curioso. Suo malgrado, provò un moto d’emozione interiore: era cresciuto leggendo i fumetti di Tex Willer e guardando i film con Clint Eastwood, e trovarsi a tu per tu con un vero indiano d’America non era certo cosa da tutti i giorni.

Mi pare di essere Marty McFly tornato indietro al 1885, si scoprì a pensare.

L’uomo mantenne il suo sguardo imperturbabile.

«Mi chiami Black Eagle, la prego, tenente», replicò. «È quello il nome che mi è stato attribuito dal capo della mia tribù.» Spostò lo sguardo sul vaso e aggrottò un poco le folte sopracciglia. «Questo recipiente, fu realizzato in tempi remotissimi da un mio lontano antenato. Il suo nome era Kosumi, ed era uno sciamano. In questo recipiente, egli raccolse l’essenza malvagia di Skudakumooch, la strega.»

Alberto guardò a sua volta il vaso.

«La strega…?» ripeté.

«È una vecchia leggenda indiana, Manfredino», disse Aurora, all’improvviso.

Per la seconda volta in pochi istanti, il tenente si trovò a sobbalzare. Non l’aveva sentita avvicinarsi. Quando voleva, quella donna alta e robusta sapeva essere silenziosa come un felino. Adesso percepì l’odore di tabacco bruciato misto al suo profumo alla vaniglia, che l’accompagnava ovunque andasse. A giudicare dal fatto che non sembrasse più emanare ondate di vibrazioni negative, doveva aver assunto una più che discreta dose di nicotina durante la sua assenza.

«E tu, ovviamente, la conosci», borbottò.

«Ovvio», trillò lei, con un sorriso. «Sono al corrente di tutte le storie in cui donne cannibali si cibano di uomini. Mi serve per prendere spunto e ispirazione per quando qualcuno mi rende nervosa e, di conseguenza, dispettosa.»

Disgustoso, pensò Alberto. Ma da lei posso aspettarmi anche di peggio.

«Questo vaso», andò avanti a parlare Black Eagle, «fu rinvenuto oltre un secolo e mezzo fa nelle Montagne della Superstizione, da Jakob Waltz, un cercatore d’oro che fu soprannominato l’Olandese. Quell’uomo era alla ricerca del tesoro perduto del capitano Kidd, che si narrava fosse celato all’interno di una miniera perduta, la cui ubicazione era mantenuta celata dagli indiani Apache, i miei antenati. Questo perché essi sapevano che, oltre all’oro, c’era qualcosa di ben peggiore, in quelle gallerie sotterranee.»

Alberto deglutì e guardò rapidamente il vaso.

Ma è solo una storia…

«Potrebbe sembrare solo una storia…» intervenne Aurora.

Come al solito, era come se gli avesse letto nel pensiero.

«…ma non è così. Gli archeologi, compiendo ricerche nel deserto americano, hanno rinvenuto tracce di atti di cannibalismo e di altre violenze accadute tutte nello stesso periodo, il medesimo che vide accadere sconvolgimenti di vario genere. Un periodo compatibile con la datazione a cui si è soliti far risalire questo recipiente.»

Alberto la fissò.

Cosa stai cercando di dirmi…?

Black Eagle fece un vago cenno con la testa e riprese la parola.

«Ovviamente, per la maggior parte degli uomini si tratta soltanto di una leggenda. Ma noi Apache sappiamo che è tutto vero. In epoche lontanissime, Skudakumooch perseguitò il mio popolo, fino a quando Kosumi combatté contro di lei e la sconfisse. Sapeva, però, che il vaso in cui l’aveva racchiusa sarebbe stata una prigione troppo poco sicura e che chiunque avrebbe potuto aprirlo, liberandola: così, lo celò nelle profondità della terra.»

Alberto passò lo sguardo da lui ad Aurora per poi riportarlo sull’indiano.

«Fatemi indovinare: Jakob Waltz trovò questo vaso?»

Black Eagle annuì una volta sola.

«Già. Noi avevamo sempre fatto buona guardia, e avevamo più volte impedito che gli stranieri si avvicinassero al nascondiglio del vaso. Sapevamo che, se qualcuno lo avesse trovato, anche soltanto per caso, avrebbe potuto scatenare un grande pericoloso. Molte volte, anche se ciò ci costò parecchi sacrifici, riuscimmo in maniera egregia nel nostro intento. Come quando, alla metà del sedicesimo secolo, arrivarono gli spagnoli…»

 

 
   
 
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