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Autore: KeyLimner    29/04/2023    0 recensioni
«Ecco, sediamoci là».
Selene aveva passato in rassegna i presenti con i suoi nervosi occhi grigi, e aveva infine indicato il tavolino da due in fondo al bar, proprio sotto la grande finestra. Senza voltarsi a controllare il proprio accompagnatore, vi si diresse con l’impeto di chi fugge da un inseguitore. Un paio di teste si voltarono al sordo toc toc dei tacchi sulle piastrelle di ceramica seguendo il volteggiare del lungo impermeabile grigio, ma se ne disinteressarono presto. Tommaso si chinò sotto l’insegna di legno all’ingresso per andarle dietro.
Quando sedette, Selene si era già accesa una sigaretta.
«Non mi aspettavo la tua telefonata».
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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30 ottobre, 2022

«Ecco, sediamoci là».

Selene aveva passato in rassegna i presenti con i suoi nervosi occhi grigi, e aveva infine indicato il tavolino da due in fondo al bar, proprio sotto la grande finestra. Senza voltarsi a controllare il proprio accompagnatore, vi si diresse con l’impeto di chi fugge da un inseguitore. Un paio di teste si voltarono al sordo toc toc dei tacchi sulle piastrelle di ceramica seguendo il volteggiare del lungo impermeabile grigio, ma se ne disinteressarono presto. Tommaso si chinò sotto l’insegna di legno all’ingresso per andarle dietro.

Quando sedette, Selene si era già accesa una sigaretta.

«Non mi aspettavo la tua telefonata».

Lei non lo guardava in viso. Fissava il vetro appannato alle spalle di lui come se il suo interlocutore si trovasse da qualche parte giù in strada, nascosto dalla pioggia. Gli occhi di Tommaso non cercarono quelli di lei, ma scivolarono inavvertitamente sulle labbra scarlatte arricciate a cuore, da cui fuoriusciva uno sbuffo di fumo.

«Ho avuto da fare. Sai... la sessione».

Tommaso annuì come se sapesse. Non aveva idea che la sessione fosse finita da un pezzo, anzi, era già finita il giorno del loro ultimo incontro. Si guardò intorno un po’ spaesato, soffermandosi sulle evidenti chiazze d’olio dietro il bancone e sul listino prezzi sbiadito. Rammentando l’appartamento a Piazza di Spagna della madre di Selene, all’invito della ragazza aveva ficcato nel portafoglio tutte le banconote che era riuscito a recuperare in giro per casa. Non sembrava gli sarebbero servite.

«Conoscevi già questo posto?».

«In realtà no. L’ho trovato su Google».

«Ah. È parecchio lontano sia da casa mia che da casa tua».

«Sì, è vero… Dimenticavo che non hai la macchina. Ci hai messo molto a venire qui?».

«L’autobus è passato subito».

Una palese menzogna. Ma la domanda era di circostanza, e la risposta non parve interessare in modo particolare chi l’aveva posta. Selene chiamò un cameriere per chiedere un posacenere. «Due tazze di caffè, per favore», aggiunse Tommaso.

Attesero imbarazzati che il cameriere tornasse con caffè e posacenere, e solo quando se ne fu andato, Selene sospirò: «Senti, è inutile che ci giriamo intorno. Ti ho fatto venire fin qui perché ho qualcosa da dirti, e non mi pareva il caso per telefono».

«Ti ascolto».

Malgrado la premessa, Selene tergiversò ancora un po’, come rimasticando fra sé un sasso dalla forma spigolosa alla ricerca dell’angolazione giusta. Infine si limitò a sputarlo fuori.

«Insomma, sono incinta».

Cadde il silenzio.

Beh, non proprio silenzio. Continuavano il brusio, e il basso e periodico ronzio della macchina per caffè a pressione, e il rumore dei piattini sul bancone, delle tazzine sui piattini.

Tommaso premette la schiena sulla finestra per sorreggersi e aggrottò la fronte. Davanti ai suoi occhi passarono in rapida successione immagini della festa, della ragazza annoiata con la gonna corta e le calze nere ricamate appollaiata sul davanzale… Sei nuovo di qui, eh? Si vede… Sì, Roma è enorme, ci devi un po’ prendere la mano… Ah, un elettricista… Ma come sei alto! Te l’hanno mai detto che sembri un vichingo?… Questa festa è una palla. Perché non vieni da me? Casa mia sta proprio dietro l’angolo.

Poi flash dell’appartamento. Non aveva visto molto dell’appartamento, a dire il vero. Ricordava soprattutto le risatine di lei mentre lo trascinava per l’immenso soggiorno, verso la camera da letto. Gli rimase impresso l’enorme specchio a parete con una cornice d’ottone intarsiata, dall’aria antica, poi fu tutta una confusione di calze e di gambe, e di quei folti capelli castani. Ce l’hai un preservativo?… Dai, ma quanto ci metti… Fa niente, via…

Due giorni dopo le aveva telefonato al numero che lei gli aveva lasciato. Ah, sì, Tommaso… Guarda, ora proprio non posso, ma ti richiamo, eh? Cia’… cia’… Non l’aveva richiamato.

“Com’è possibile?”, e “Sei sicura?”, erano le due domande che lampeggiavano sul volto inebetito di Tommaso in quel momento, ma sarebbero state domande alquanto idiote. Eppure qualcosa doveva pur dire. Si guardò intorno annaspando, finché il suo sguardo approdò sulla Camel abbandonata fra l’indice e il medio di lei.

«Forse non dovresti fumare».

Selene si strinse nelle spalle, con un misto di imbarazzo e fastidio.

«No, ma guarda che non ho intenzione di tenerlo, eh. Solo… mi pareva corretto avvisarti, ecco».

«Ah».

Un’evidente ondata di sollievo distese la fronte di Tommaso, ma presto il senso di colpa risalì dal mento, la mascella si serrò pensosa e il sopracciglio tornò ad aggrottarsi.

«Sei sicura? Guarda che se vuoi ripensarci c’è tempo. So che non ci conosciamo un granché… ma qualsiasi cosa tu decida, puoi contare su di me».

«Ma che sei matto! Mi mancano ancora un sacco di esami, poi io e Susi dopo la laurea ci trasferiamo insieme a Parigi. Faremo le cameriere per un po’, tipo… poi chissà. Magari pubblicano qualcuna di quelle mie storie».

«Capisco».

Tommaso si agitò sulla sedia. Non sapeva bene quale fosse la prassi in questi casi.

«Bisogna chiamare la clinica, allora? Serve che ti accompagni?».

«No, no, non preoccuparti. Domani chiamo, e Susi ha già detto che mi accompagna lei».

La ragazza gettò un’occhiata all’orologio da polso e si alzò, facendo cenno al cameriere. “Il conto, per favore”, mimò con le labbra.

«Senti, io devo proprio scappare, però ci teniamo in contatto, eh? No… lascia… faccio io. Il resto lascialo pure di mancia. Cia’… cia’…».

 

17 novembre, 2022

«Grazie… grazie mille di essere venuto».

Selene fece per iniziare a caricare gli scatoloni nel portabagli, ma Tommaso la fermò con un gesto e si mise a caricare al posto suo.

«E di che, tanto oggi avevo il giorno libero».

«Guarda, non ti avrei chiamato se non fosse stata un’emergenza. Mio padre è fuori città, e se non me ne andavo di casa oggi stesso sbroccavo di brutto con mamma, ti giuro. Solo che casa nuova è praticamente vuota, i vecchi inquilini hanno portato via quasi tutto». Selene si rilassò lungo la portiera chiusa della sua Jeep e si accese una sigaretta.

«Mi dicevi che si è liberato quel vostro appartamento a Trastevere».

«Sì… era affittato fino alla settimana scorsa, ma gli inquilini se ne sono andati di punto in bianco. Credo che il marito abbia trovato lavoro a Milano o qualcosa del genere. La casa è un buco di culo, però ne approfitto almeno finché non l’affittano di nuovo. È vero che mamma non c’è mai, però quando c’è, chi la sopporta».

Caricato l’ultimo scatolone, Tommaso si asciugò il sudore dalla fronte e andò ad aprirle la portiera dal lato del conducente.

«Oh… ti dispiace se guidi tu? Oggi ho una nausea pazzesca. Ce l’hai la patente, vero? Dimenticavo che non hai la macchina».

«Nessun problema».

Partirono. Tommaso tossicchiò leggermente quando fu investito da una nube di fumo, al che Selene alzò gli occhi al cielo in modo impercettibile e tirò giù il finestrino. Per gran parte del tragitto, si limitò a osservare pigramente il paesaggio urbano che scorreva all’esterno.

«Dunque», esordì il ragazzo dopo un po’. «Non mi hai più fatto sapere».

«Ah… hai ragione. In realtà non ho ancora chiamato, ho avuto un po’ di casini che non ti sto a spiegare. Ma in questi giorni telefono sicuramente».

Tommaso strabuzzò gli occhi, e per un attimo distolse gli occhi dalla strada per scrutare Selene, che continuava a guardare fuori dal finestrino senza badargli troppo.

«Ma non c’è un limite di tempo?».

«Sì… sì… Stai tranquillo, che sono ancora perfettamente nei termini». E nel vedere lo sguardo di lui che guizzava ancora verso la sua Camel alzò di nuovo gli occhi al cielo, stavolta più apertamente. «Ti ho detto che chiamo. Non farmi la paternale adesso».

«Non ho detto nulla».

«Ecco, appunto, meglio così. Guarda… siamo arrivati. È quello il cancello. Parcheggia davanti al portone, così scarichiamo… Sì, lo so che ci sono le strisce, ma facciamo subito, via. Poi spostiamo la macchina così sali per un caffè. La moka dovrebbe stare in una di queste scatole».

 

13 dicembre, 2022

Tommaso inspirò a pieni polmoni, sprofondando la testa nelle lenzuola di seta. Alla sua destra, Selene si stava già rivestendo. Per il momento aveva addosso solo le calze, le stesse calze nere ricamate della prima volta, e si incantò a guardar dondolare quei seni di perla leggermente oblunghi, coi minuscoli capezzoli inturgiditi dal freddo, mentre cercava sul pavimento la camicetta. Sentendo probabilmente il suo sguardo su di sé, la ragazza si voltò verso di lui e lo guardò con un sorrisetto.

«Invece di star lì imbambolato, vedi di vestirti anche tu. Ti ho detto che mia madre torna fra poco».

Tommaso si osservò per un attimo allo specchio verticale. Sotto la luce del sole che irrompeva prepotente dalla finestra, la sua pelle appariva di un pallore spettrale. Faceva strano, in effetti. Dopo tanto tempo passato in campagna, si era abituato a vederla sempre cotta dal sole. Aveva ripreso dal padre, purtroppo, gli bastava poco per bruciarsi. Forse era il modo della natura per ammonirli che non erano adatti al lavoro nei campi. A differenza del padre, lui si era infine arreso a quella evidenza.

«Ma perché non siamo andati da te?».

«Beh, vuoi mettere. Il letto da me è minuscolo, ci saresti entrato a malapena con quelle gambe chilometriche. Però ora sbrigati».

Mentre anche Tommaso si rivestiva, Selene si sedette ai piedi del letto a gambe incrociate e accese una sigaretta. Si guardò intorno alla ricerca di un posacenere. Non trovandolo, scrollò le spalle e ciccò per terra oltre la sponda.

«Non dovresti fumare», disse Tommaso distrattamente, in quello che era ormai divenuto fra loro una specie di rituale.

«Oh, ma vedi che sei proprio un rompicoglioni. Ne fumo una al massimo, due se proprio sto scapocciando».

«Non hai ancora chiamato».

«Lo so che non ho chiamato, non serve che me lo ricordi ogni cinque minuti. Se ti ho detto che chiamo, vuol dire che chiamo».

«Posso sempre chiamare io».

«Non c’è bisogno, sono una donna adulta e vaccinata».

All’improvviso, Selene sbarrò gli occhi e il suo volto si contorse in una smorfia. Mollò la sigaretta per terra e corse nel bagno adiacente. Tommaso scosse la testa mentre il rumore dei conati riecheggiava oltre la porta socchiusa.

«Guarda che se vuoi tenerlo per me va bene, te l’ho detto mille volte. Un modo lo troviamo».

«Ma perché insisti con questa storia», rimbombò la voce di Selene dal bagno. Seguì il suono dello scarico, lo scorrere dell’acqua dal lavandino, poi la ragazza ricomparve dalla porta. Il suo incarnato appariva di una lieve tinta verdognola, e una gocciolina di sudore scivolava lungo la scollatura. L’asciugò con un gesto stizzito.

«Domani telefono, così sei contento».

«Se è quello che vuoi».

«Certo che è quello che voglio. Non fare lo stupido. Sei vestito? Senti, andiamocene a pranzo nel posto dell’altra volta, ti va? Quelle piadine non erano male».

 

20 gennaio, 2023

«La vuoi finire di tenermi il broncio?».

Selene finse di non sentirlo, e continuò a frugare nel portagioie della madre alla ricerca degli orecchini. Finalmente li trovò, e si chinò verso lo specchio per infilarseli – non dovette chinarsi molto. Girò il volto da una parte e dall’altra per ammirarsi. In quel gesto, i grossi pendenti le sbatacchiarono sulle guance, producendo un tintinnio attutito. Tommaso sbirciò attraverso lo specchio il ventre di lei, rimasto leggermente scoperto, sul quale iniziava ad intuirsi un accenno di curvatura. A uno sguardo meno attento sarebbe sfuggito, ma Tommaso lo studiava ormai da tempo come una carta geografica.

«Non fare la finta sorda».

«Ti ho sentito. E non sto tenendo il broncio».

«Sono tre quarti d’ora che non spiccichi parola».

«Forse non ho niente da dire».

«O forse stai tenendo il broncio».

Selene finì con calma di stendere il rossetto rosso sulle labbra. Tommaso rimase a guardarla. Fu colpito ancora una volta da quella sua bellezza irritante, che non avrebbe saputo spiegare ad un altro. “Me l’aspettavo diversa”, aveva detto un suo amico del paese quando gli aveva mostrato la foto, quasi deluso.

«Beh, forse ogni tanto tenere la bocca chiusa non è una cattiva idea».

Tommaso si picchiò le mani sulle ginocchia in un gesto di esasperazione.

«Lo sapevo. Ce l’hai ancora per quella cosa! Ti ho detto che ho parlato con loro, e ho chiarito che non sei la mia ragazza».

«Vorrei vedere. Se lo fossi, spero bene che sarei la prima a saperlo».

«Su questo ho i miei dubbi», borbottò il ragazzo fra sé e sé.

Finalmente Selene si girò verso di lui con le mani sui fianchi, la mascella leggermente contratta.

«Parla ad alta voce, se devi parlare».

«Niente, lascia stare. Comunque non capisco questa tua paura di dare nomi alle cose».

«Nessuna paura. Do alle cose i nomi che voglio, e non sono la tua ragazza».

«Va bene, va bene…» Tommaso fu sul punto di lasciar cadere la questione per quieto vivere. Ma fu colto da un improvviso fermento. «Però insomma… io non sto frequentando nessun altro, e nemmeno tu. Come si chiama questo?».

Selene non raccolse la provocazione.

«Beh, se volessi, potrei».

«Ma non vuoi».

«Chi ti ha detto che non voglio? Comunque non è questo il punto».

«Quindi anche io posso frequentare chi voglio?».

«E da quando vuoi frequentare qualcun altro?».

«Hai detto che non è questo il punto».

«Infatti non lo è!».

La mascella di Selene era sempre più contratta, e adesso iniziava anche a tremare leggermente. Lo guardò con occhi colmi d’ira e parve sul punto di dire qualcosa, ma si trattenne. Si voltò di nuovo verso lo specchio e prese a sistemarsi i capelli.

«Fai un po’ come ti pare. Non m’importa un fico secco. Passami la borsetta».

Gliela passò.

A voce bassa, con cautela, sapendo di sondare acque inquiete, Tommaso disse: «Ti ricordo che avremo un figlio insieme».

«Ti ho detto che…».

Selene si arrestò di botto. Scosse il capo come per scacciare un insetto, e finalmente tacque. Finì di acconciarsi in silenzio, poi squadrò velocemente l’abbigliamento di lui con la solita punta di disapprovazione.

«Sei pronto? Andiamo?».

«Sono pronto».

Uscirono dall’edificio senza parlare. Lui la precedette e aprì la portiera dell’auto di lei dal lato del passeggero, su cui lei sedette impettita. Poi fece il giro per salire in macchina a sua volta.

Guidarono in silenzio per un po’.

«Potremmo trasferirci da te», disse Tommaso dopo qualche minuto.

«Lo sai che non è casa mia, ci sto solo finché i miei non l’affittano di nuovo».

«Sono due mesi che è sfitta, e tua madre non mi sembra che stia cercando».

«Beh, prima o poi cercheranno».

«Allora potresti venire a stare da me».

«Perché mai dovrei venire a stare da te?».

Tommaso rinunciò. La guardò con la coda dell’occhio, e notò con disappunto che aveva il gomito poggiato sul finestrino, e una Camel fra le dita.

«Vuoi buttare quella sigaretta?!».

«Giuro che è l’ultima. Poi basta».

  
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