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Autore: Helen_Rose    29/04/2023    0 recensioni
Esattamente un anno fa, arrivava il primo dei due endgame SanColombo: perché per me, quello della 7x60 conta.
Quindi, ho pensato di festeggiarlo a modo mio.
Questa rivisitazione prevede Marco e Stefania in crisi, ma senza terzi o quarti incomodi di sorta: spoiler, è possibile.
Nel loro confronto, troverete alcune ricostruzioni mie personali, unite però ad elementi del canon: una ship funziona quando, insieme ad elementi di fantasia, si riescono a citare fatti realmente accaduti e battute realmente pronunciate.
L'intesa e i ricordi, laddove siano inesistenti, non possono essere costruiti a tavolino.
Naturalmente, ogni elemento ad abbagli e fulmini a ciel sereno vari è puramente NON casuale.
Perciò, se la memoria del cosiddetto 'canon' risulta difettosa, spero continueremo a dimostrare che quella degli spettatori non lo è affatto, e men che meno la lucidità.
Guida alla lettura:
°I GlorEzio stanno insieme e, come nella versione on screen, sono soci in affari.
° Dopo essere stata scagionata, Gloria non ha più ripreso le vesti da capocommessa, lasciando l'incarico a Irene.
° Ricalcando le fanfiction della capoship suprema IroccoperSempre: gli Irocco sono sposati; Diego è nato un annetto fa.
° Non mi sono interrogata sul destino delle Zanatta; spero sinceramente che siano sparite nel multiverso.
Buona lettura!
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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È arrivata davanti alla porta della redazione.
È indecisa se bussare normalmente, oppure… Come hanno sempre fatto nell’ultimo anno.
L’istinto prevale. Toc -toc-toc - toc-toc
Naturalmente, lui sta già sorridendo istintivamente prima ancora di sentirne la voce: “Marco? Posso?”
“Certo; entra pure, Stefania.”
Negli ultimi mesi, sono cambiate parecchie cose. La convivenza a Washington non si è rivelata come se l’erano immaginata: presi dalla routine, dai giganteschi e rivoluzionari cambiamenti attraversati, da imparare ad affrontare e gestire nel giro di pochi giorni, sia lei sia lui hanno finito col perdersi un po’. O per meglio dire: lei si è ritrovata assorbita dall’immersione totale in una lingua completamente straniera, dal curare la traduzione del romanzo con una competentissima quanto pignola traduttrice, finendo per dimenticarsi di mangiare, di dormire, e soprattutto, di curare la propria vita di coppia; conseguentemente lui, privato della sua ancora, si è ritrovato a sbattere contro un iceberg colossale.
Non solo ha rimesso in discussione il loro rapporto, ma anche il proprio lavoro, al punto da tornare in Italia e comprovare che, effettivamente, la promessa di Tancredi era ancora valida: è diventato editore del Paradiso Market e sta cercando di ricrearsi una nuova dimensione a Milano… Senza di lei. Sono giunti alla conclusione di non essere né i primi, né gli ultimi ad affrontare una crisi di coppia; peraltro, non essendoci terzi incomodi di mezzo, con tutta probabilità mettere una distanza si sarebbe rivelata la soluzione per ritrovarsi… O eventualmente, per capire di non essere fatti l’uno per l’altra. Hanno stabilito di comune accordo di prendersi una pausa: Stefania aveva diversi incarichi in sospeso a Washington, e Gloria aveva deciso di raggiungerla, dato che Ezio si stava occupando egregiamente della fabbrica, e qualche settimana di distanza di certo non avrebbe inciso negativamente sul rapporto.
Inutile specificare che Stefania sia mancata a Marco ogni minuto di ogni giorno. Una parte di lui avrebbe voluto prendere il primo aereo disponibile e colmare la distanza che li separava, ogni minuto di ogni giorno… Raggiungendo il compromesso con la parte ‘non opprimente’ di telefonarle di tanto in tanto; un po’ si vergogna persino ad ammetterlo, ma gli è capitato di alzare la cornetta di prima mattina, quando a Washington è notte fonda: va da sé che i siparietti scaturiti in quelle circostanze fossero a dir poco tragicomici, soprattutto perché nulla confonde Stefania più dell’essere svegliata improvvisamente nella sua fase di sonno profondo… E la parte più perversa di Marco lo sa bene.
Ora che è tornata a Milano in visita, se possibile, starle lontano gli risulta ancora più complicato. Spesso, lo assale il dejà-vu, risalente esattamente a un anno prima, quando gli chiese di allontanarsi. Ragion per cui si barrica in redazione… Naturalmente, non è una fortezza a prova di scalatori esperti. Infatti, sono bastate poche ore perché lo raggiungesse. E cacciarla sarebbe una prova di resistenza troppo ardua persino per chi, ogni minuto di ogni giorno, ripete a sé stesso di lasciarle i propri spazi. Dopotutto, non è forse venuta motu proprio ? Sarà perché le manca, almeno quanto lei manca a lui? È la domanda che gli è costato di più reprimere in quelle settimane, e non ci è sempre riuscito. Diciamo che, se non altro nell’immediato, ha la possibilità di svelare parte dell’arcano.
Solleva lo sguardo dalla macchina da scrivere, preparandosi a incontrare gli occhi neri profondissimi che, più di qualsiasi altro aspetto di lei e, ça va sans dire,  più di qualsiasi altra persona o cosa, sono in grado di gettarlo nella confusione più totale, o di farlo riemergere da essa, a seconda delle circostanze.
Ma non era assolutamente preparato a ciò a cui sta assistendo, tanto da farsi scappare un misto tra un sogghigno e un sospiro di stupore.
Stefania solleva l’angolo sinistro della bocca, intuendo solo in parte le ragioni di tale atteggiamento.  Dato che i loro rapporti si sono un po’ raffreddati, le possibilità sono due: o è particolarmente felice di vederla poiché lo sta sollevando da un’incombenza sgradita; oppure si sta prendendo gioco di lei. Propende per la seconda, ma è sempre meglio verificare le ipotesi, proprio come Marco insegna: “Che c’è? Mi sta stretta, forse?” lo provoca, facendo una giravolta su sé stessa.
Marco scoppia a ridere. “No, per carità…” Curioso che (se) lo domandi, dal momento che è una di quelle rare persone che, quando per l’appunto si ricorda di mangiare, è in grado di ingurgitare quantità industriali di cibo senza che il suo aspetto esteriore, apparentemente, muti in alcun modo. Inutile specificare quanto e come ciò attiri le invidie di innumerevoli amiche, Elvira in testa a tutte. “Mi stavo semplicemente domandando cosa ti abbia portata a essere retrocessa a venere, ecco tutto.”
Lo segue a ruota nella risata. “Sai com’è… La Capocommessa Irene Cipriani, perennemente in lotta con Vittorio per l’essere sotto organico, ha sentenziato: ‘Se devi star qui tutto il giorno a ciondolare e intralciarci, tanto vale che ti renda utile’…” svela, imitandone alla perfezione sia il tono sia le movenze.
Marco abbozza un sorriso divertito. “Tipico della signora Cipriani, effettivamente…”
Stefania assume un’espressione stupita, rendendosi conto del fatto che si sia riferito a lei proprio come preferisce. Sbuffa: “Una pensa di venire a trovare una cara amica, e invece viene sfruttata…”
Lui annuisce, in segno di solidarietà. “Strano che non ti abbia chiesto di controllare il piccolo Diego; prima o poi, arriva il turno di tutte…” osserva, riepilogando mentalmente quando pochi giorni prima, in extremis, ha cercato di farlo anche con lui; per fortuna, è stato salvato in corner da Rocco *1, con tanto di sguardo fulminante e un rimprovero in dialetto siculo che non è riuscito a cogliere del tutto. Gli sarà parso sconveniente, chiedere proprio all’ex fidanzato della migliore amica della moglie.
Stefania alza le mani, in segno di estraneità a quell’incombenza. “Certo che no! Sta nelle ottime mani della signora Agnese. Irene sa perfettamente che rischierei di farle più un torto, che un favore...”
‘Eppure, saresti una madre meravigliosa…’ Ma perché mai si è ritrovato a formulare questo pensiero? Si affretta a scacciarlo. Abbassa leggermente lo sguardo; schiarendosi la voce: “Come posso aiutarti?”
“Ah, sì…” Stefania tarda un attimo nel rispondere; chissà se si sarà distratta sullo stesso pensiero… L’unica certezza, per come la conosce, è che sia divertita dalla formulazione solenne della domanda. “Roberto mi ha chiesto di portarti queste bozze; sta andando in tipografia a risolvere un problema.”
Marco annuisce, in segno di gratitudine. “Grazie; lasciale pure qui, sulla scrivania.” Dopodiché, torna a posare lo sguardo sulla macchina da scrivere, con un’espressione piuttosto preoccupata.
Espressione che, naturalmente, non sfugge a Stefania. Incerta, indaga: “Tutto bene?”
Risolleva il capo di scatto, pienamente colto nel vivo. “Perché me lo chiedi?”
Lei accenna un sorrisetto compiaciuto: non s’è neppure disturbato a negare. “Forse perché i solchi sulla tua fronte fanno invidia a una strada abbandonata di montagna? E stai tamburellando le dita da così tanto tempo, che mi domando come non ci siano quattro perforazioni nella scrivania che rechino le tue impronte digitali? Potremmo sempre chiedere a Italo di far portare qui il pianoforte, eh…” Smorza la tensione con uno dei suoi sorrisetti da bimba, che svierebbero chiunque, persino lui.
Marco scuote la testa, trattenendo… Qualsiasi espressione stia comparendo sul suo viso, dal momento che non potrebbe neppure lontanamente passare come una di disappunto, meno ancora di offesa. “Roberto mi ha proposto di scrivere il pezzo introduttivo del numero… E sono in alto mare.”
Stefania inarca un sopracciglio. “E come mai? Se posso…” si affretta ad aggiungere, alzando le mani.
Celare la soddisfazione per il suo interessamento si rivela infinitamente più complesso. Col tono più neutro di cui è capace, che inevitabilmente risulta sarcastico visto il contenuto della risposta, ammette: “Probabilmente, non sono la persona più indicata per parlare dei diritti dei lavoratori, non credi?”
Non riesce a trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo. “Perché saresti un privilegiato?”
Per tutta risposta, ottiene un’espressione che sta per: ‘Tu che dici?’
Stefania sbuffa; dopodiché, mitiga con uno dei suoi proverbiali sorrisetti furbi e teneri al contempo: “Beh, ne è passata, di acqua sotto i ponti, da quando ti ritenevo un arrogante, prepotente, figlio di papà… Se è questo che hai bisogno di sentirti dire. Anzi, ricordo distintamente di essermene scusata.”
Totalmente preso in contropiede, gli sfugge una risatina. “Mi pare di rammentare che non avessi fatto menzioni sulla prepotenza, però… Mi avevi forse indorato la pillola, signorina Colombo?” la provoca.
Con un sorriso caldo, replica: “Sciorinarti l’intero repertorio non mi sembrava la miglior maniera di dimostrare gratitudine; penso concorderai…” lo stuzzica, con una punta di sarcasmo, per l’appunto.
Touché…” conferma, sorridendole di rimando.
“Comunque, dovresti seriamente abbandonare l’assurda convinzione per cui non risulti credibile nel dar voce alle classi meno abbienti; non mi risulta che tu abbia frequentato solo ambienti di lusso…” Solo dopo aver concluso l’affermazione, si rende conto di quanto possa risultare inopportuna. Si  morde il labbro, istintivamente. Ovviamente, Marco ne coglie l’imbarazzo, ma glissa generosamente.
Anzi, inaspettatamente, la invita a trattenersi: “Ti andrebbe di… Sì, insomma, di darmi un parere?”
Colta alla sprovvista, Stefania tentenna; quasi le scappa da ridere, per la paradossalità della situazione.
Dapprima, lui fraintende la sua reazione e si affretta a precisare: “Se non ti va, non importa…”
Per fugare ogni dubbio, lei prende subito posto dall’altra parte della scrivania. “No, figurati... È che…” Si risolve a vuotare il sacco: “In realtà, quella di Roberto era una scusa: sono stata io a offrirmi di portarti le bozze; avevo bisogno di chiederti un consiglio per un pezzo che mi è stato affidato…”
Marco s’illumina in volto. Gli sembra quasi di essere tornato ai primi tempi dell’innamoramento: ogni minima apertura da parte di lei lo faceva sentire come se fosse riuscito a raggiungere la luna a piedi. Appena riesce a realizzare, domanda inevitabilmente, perplesso: “E da quando hai bisogno di scuse?” Il completamento della frase è scontato: ‘troverei tempo per te anche se materialmente non l’avessi’.
Non è di certo la prima, né sarà l’ultima, delle volte in cui dovrà mettersi a nudo davanti a lui… No? “Diciamo che ho preferito farmi scudo, nel caso in cui fossi stato impegnato… Oppure…”
Con un cenno, Marco la incoraggia a proseguire.
“Sì, insomma, non ero sicura del fatto che fosse giusto, da parte mia… Non volevo che pensassi…”
Lui la interrompe con un gesto netto. Come se fosse vagamente contemplato, ritenerla un’opportunista!
Lei si affretta a riprendere in mano le redini della situazione: “Comunque, l’hai chiesto prima tu.”
Marco le porge l’articolo, senza aggiungere altro, evitando di condizionarla. A dispetto dell’estrema confidenza tra loro, il momento in cui un pezzo viene esaminato davanti al suo autore è snervante pressoché per chiunque. Stefania, essendone pienamente consapevole anche perché lo sperimenta sempre in prima persona, tenta di portare a termine l’operazione nel più breve tempo possibile.
Tuttavia, contrariamente al solito, non si riesce ad evincere dalla sua espressione quale impressione si stia formando; ragion per cui, Marco tira un primo sospiro di sollievo quando gli restituisce il foglio.
“La tua preoccupazione di cui sopra si riflette eccome nel pezzo… Ma non nel modo che credi tu.” sentenzia lei, assumendo un’aria neutra apposta per inquietarlo e confonderlo.
Interdetto, lui resta in attesa che la correttrice di bozze abbia la bontà di espandere il commento a dir poco sibillino. Fortunatamente, non è tanto crudele da tenerlo sulle spine per un tempo indefinito: “Marco, è ridondante. Come se compiessi vari tentativi di esprimerti. Fallo e basta! Quante volte…”
Tirando un sospiro di sollievo, la interrompe: “Lo so; mi ripeti…” non senza una punta di sofferenza, si affretta a precisare: “Mi hai ripetuto infinite volte di affidarmi maggiormente all’istinto; ma non tutti ci chiamiamo Stefania Colombo.” la stuzzica, con una punta di orgoglio: in fondo, può essere ritenuto parzialmente merito della sua guida attenta e costante, se è diventata la giornalista e scrittrice che è.
Paradossalmente, è terminata da un pezzo la fase in cui si sentiva lusingata da commenti del genere; attualmente, la esasperano e basta, soprattutto perché non esiste nulla che possa dire per persuaderlo. “Ancora con questa storia! Marco, se oserai ribadire di non essere portato, uscirò da quella porta!”
La minaccia, poiché perfettamente credibile, sortisce parzialmente l’effetto sperato. Innanzitutto, gli provoca un sorriso a 32 denti. “Mi sento più a mio agio nelle vesti di editore… Va meglio, così?”
Per tutta risposta, Stefania inarca un sopracciglio. Questa sì che è una novità.
“Ma sì; non sono più costretto a scervellarmi per esprimere ciò che intendo dire!”
“E così, ti perdi buona parte del divertimento.” insiste lei, mirando a centrare il punto.
“Cosa c’è di più divertente di dare direttive a destra e a manca? Sarò diventato come mio fratello…”
La provocazione non attecchisce, benché sia stata lanciata col sorriso sulle labbra. “Marco…”
“Dimmi, Stefania.”
Rifiutandosi di lasciarsi scoraggiare da quell’atteggiamento apparentemente distaccato, prosegue nell’arringa: “Le persone possono cambiare; ma le vesti di despota proprio non ti si addicono.”
Preso in contropiede per l’ennesima volta, abbozza un sorriso e si fa scudo dietro il suo proverbiale sarcasmo: “Prometto di non riferirgli quest’opinione così lusinghiera che hai di lui, stai tranquilla.”
Peccato che sia completamente inutile. “Marco…”
Tra lo scocciato e il divertito, ribatte: “Sì?”, allungando lievemente la vocale finale.
“Tu sei nato in mezzo alla carta stampata perché è il tuo posto, ma in quanto persona che fa stampare la carta con le proprie parole sopra. Ma come al solito, il problema è che ti arrendi al primo ostacolo, e preferisci aggirarlo. Sarà per questo che hai smesso con l’equitazione!” Si accascia sulla sedia, sfinita.
Invece di irritarsi, Marco è sempre più divertito dai tentativi di Stefania di fargli cambiare idea, anche ora che non stanno più insieme. Soprattutto, lo incuriosiscono le frecciatine: “Non sarà stato perché è semplicemente ‘la tappa obbligata dei giovani di buona famiglia’?” insinua, citandola testualmente.
Le strappa un sorriso. “Sono seria, signor Sant’Erasmo. Non è la brevità con cui si conclude un pezzo a determinare la bravura di uno scrittore. E di certo non me lo sto inventando: me l’hai insegnato tu.”
Ed è proprio quell'allusione a tradimento su ciò che hanno condiviso, e nella fattispecie su ciò che ha imparato grazie a lui, a insinuare in Marco una sorta di amarezza, che tuttavia non è ancora pronto ad esternare; preferisce farsi scudo ancora una volta dietro la provocazione: “Ti ho mai detto che la carriera di avvocato ti si addice maggiormente?”
Ma si è inequivocabilmente adombrato. E se vogliono perlomeno tentare di salvare il loro rapporto, o quel che ne rimane, occorre giocare a carte scoperte, per quanto possa rivelarsi spiacevole e doloroso. “Non serve che mi lusinghi o la butti sul sarcasmo, Marco… Dimmi chiaramente ciò che pensi.”
A questo punto, assume la classica espressione di quando l’interlocutore finge, o sembra fingere, di ignorare le ovvietà. Replica nel modo più diplomatico e al contempo onesto che riesca a formulare: “Notare che non hai perso l’abitudine di bacchettarmi, mi fa ripensare alla ‘temibile Colombo’ intenta a smontare ogni mia parola e azione così da celare l’interesse nei miei confronti, inconsciamente…”
È decisamente l’avverbio più calzante per quella Stefania ancora inesperta in materia sentimentale. Non che ora sia in grado di redigere manuali in merito; ma ha indubbiamente maturato esperienza.
Nel frattempo, Marco si è alzato e sta percorrendo nervosamente l’ufficio da una parte all’altra. “E da un lato mi fa sorridere, poiché volente o nolente, nel 90% dei casi fai immediatamente centro…” Perché se c’è qualcosa che Marco di Sant’Erasmo detesta è l’essere smascherato, specie a tradimento; ragion per cui Stefania fu positivamente scioccata dall’inequivocabile quesito: ‘Che cosa legge in me?’
Pertanto, la prosecuzione del suo flusso di coscienza è tanto prevedibile quanto dolorosa da sentire: “Dall’altro, mi domando come mai stiamo avendo questa conversazione, dato che hai reso molto chiare le tue intenzioni di concentrarti su te stessa, sulla tua carriera, su questa fase di cambiamenti… E di volerlo fare senza di me, che ti confondevo, ti mettevo pressione, ti stavo troppo appiccicato. Quindi, non capisco cosa tu abbia da ridire sul modo in cui ho scelto di provare ad andare avanti.” * S’impone di fare una pausa e di respirare profondamente, perché è rimasto praticamente senza fiato.
In compenso, lei ha assorbito ogni argomentazione in religioso silenzio; meritate, benché scomode. Tenta di esporre il proprio punto di vista senza peggiorare ulteriormente le cose, per quanto possibile: “Non ti mai ho chiesto di andartene, tantomeno da Washington… Questo lo sai…”
Marco si volta di scatto. “Certo, hai ragione: magari, avresti lasciato a me l’appartamento, per farmelo consumare in lungo e in largo, con la vista e con le suole, rivivendo ogni singolo ricordo costruito insieme in questi mesi. Grandioso, Stefania. Un sistema geniale e collaudato per non arenarsi.”
Lei abbassa lo sguardo; non c’è proprio nulla che possa dire o fare per rettificare la propria posizione.
Marco sembra una tigre in gabbia. Si risiede. “Ma se…” Proseguire equivale a farsi trafiggere il petto da infinite pallottole, eppure lo fa: “Se persino stare qui in redazione, a volte, mi toglie il respiro…”
Esistono circostanze in cui le parole risultano superflue, se con un bacio si riesce ad alleviare il dolore e a coprire la distanza sia fisica che spirituale - che è stata imposta - tra due anime che non potrebbero essere più simili, che ci hanno impiegato una vita a riconoscersi e che sarebbe uno spreco disumano allontanare. Nella fattispecie, Stefania si solleva dalla sedia su cui era accasciata, quasi sconfitta, e si protrae sulla scrivania, nello stesso momento in cui Marco, intuendo le sue intenzioni, fa altrettanto. Indubbiamente, la comodità non è ai massimi termini, ragion per cui lui fa il giro, miracolosamente senza staccare le labbra da quelle di lei, e la fa sedere sulle proprie ginocchia.
Tuttavia, a un certo punto, un bagno di realtà è doveroso. Marco mormora: “Quindi significa che…”
Stefania si scosta leggermente, anche per riprendere fiato. “Che mi sei mancato da impazzire; che non ricordo neppure come abbia acconsentito a questa follia. Torno a Milano! Il tempo di organizzarmi. Non vorrei avere dibattiti perlopiù futili su virgole ed efficacia delle argomentazioni con nessun altro; tantomeno, su chi dei due meriti l’ultima goccia di caffè. Ragion per cui ti sposerò quanto prima.”
Incredulo, anzi, vagamente dubbioso di star vivendo in un sogno, Marco si affretta ad avanzare un dubbio che, se riceverà la risposta sperata, acclarerà la sua sanità mentale intatta: “Stefania?”
“Dimmi, amore.”
“Ma come hai fatto a tirar giù la divisa, dalla parete in salotto?”
-
Note:
*Rifacimento alla versione di IRoccoPerSempre.
* 'Non devo scusarmi per come decido di riparare ciò che tu hai rotto' - Meredith Grey
   
 
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