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Autore: GinChocoStoreAndCandy    04/05/2023    0 recensioni
Leggere questa storia causa follia!
Specialmente se sei un fan accanito di Star Wars!
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: Nonsense | Avvertimenti: Furry, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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Tanto tempo fa,
in una galassia lontana lontana...




 

«Non c’è Forza nel vuoto, solo la morte;
Non c’era Forza nel vuoto, solo la morte;
Non c’è Forza nel vuoto, solo le aberrazioni»

Gospel del Mostro di Dtio



«Qui è Obi-Wan Kenobi,
le forze della Repubblica si sono rivoltate contro i Jedi,
state lontani da Coruscant,
non fatevi riconoscere,
siate forti,
che la Forza sia con voi»


19, BBY

*


*


*
 

Il Prezzo del Tempo

 

1

Il radiofaro cominciò a lampeggiare.
Ad intermittenza, la luce rossa si accendeva e spegneva mettendo in risalto lo strato sottile di polvere che ne ricopriva la forma arrotondata, mettendo a sua volta in risalto sé stessa tra la marea di bottoni, interruttori e leve sulla plancia della piccola astronave. Dai vetri della cabina di pilotaggio si vedeva il cielo nero con poche stelle, il grigio chiaro degli esterni assumeva un colore spettrale sotto i raggi delle lune piene che si alternavano assieme alle ore della notte. Fuori, il parcheggio era vuoto e silenzioso, così come il resto della città diroccata, intercalata da un manto scuro, fervido tra i cunicoli, tra le ombre, negli scatafossi e negli scoli delle fogne; ecco perché, quando il radiofaro cominciò a lampeggiare, la luce rossa rischiarò non solo l’interno della cabina di pilotaggio, ma si proiettò anche sul pavimento del parcheggio e sulla superficie dell’astronave, disegnando i contorni dello scafo appiattito e colorando di un diverso tono il porpora delle bande decorative.
Occorsero alcuni minuti prima che il pilota si accorgesse dello strano riverbero che proveniva dalla plancia della sua astronave e che insistentemente cercava di attirare l’attenzione.
Infastidito, si sbrigò a salire su per la rampa: la lasciavano sempre aperta, nessuno avrebbe osato rubare quell’astronave, erano in un purgatorio vivente, tuttavia i dannati che ci vivevano tenevano ancora alla vita per gettarla via per un pezzo di metallo come quello.
Giunto al corridoio, camminò rapido nel buio interrotto solamente dalle poche luci di direzione che si riflettevano sul lucido della maschera che indossava; accostandosi, la luce intermittente irradiava il colore rosso a tutta la cabina fino al limitare con il corridoio. Una volta dentro, gli occhi andarono immediatamente al solito interruttore che i clienti usavano per contattare il pilota e i suoi compagni per i lavori di pulizia, ma scoprendolo spento si allarmò. Sulla maschera, il rosso brillava espandendosi sulla curva della visiera, somigliando ad un battito di ciglia, lasciando intravedere, ad ogni impulso, la forma convessa dello specchio di cui era fatto l’oggetto: serviva a mostrare ai propri nemici la loro stessa faccia negli ultimi istanti di vita; anche al termine di quella notte avrebbe mostrato una fine, diversa, ma sempre una fine sarebbe stata.
Il pilota fece un paio di passi dal suono impercettibile, premette l’interruttore per la ricezione, lo schermo rettangolare si accese, l’aurebesh scorse rapido parola per parola, lettera per lettera, finché l’intero messaggio non fu completamente scritto.
La luce intermittente si rifletté nuovamente sulla maschera, l’attimo dopo illuminava di rosso sangue i tratti dell’uomo che leggeva e rileggeva il testo. Spinse in sequenza i vari pulsanti, le dita tremanti salvano la comunicazione nella memoria del computer dell’astronave.
Spense il radiofaro; il buio tornò ad imporsi placido all’interno della cabina della corvetta e la luce delle lune del piccolo pianeta dell’orlo esterno illuminò il largo sorriso euforico del jedi.

 

2

 

L’ultimo suono che uscì dal trasmettitore fu lo sparo di un blaster. La comunicazione si chiuse e il comlik venne riposto diligentemente in una delle tasche del cinturone bianco; lo stormtrooper riprese ad imbracciare il fucile con due mani. Sull’attenti assieme al suo commilitone, erano in difesa della porta di accesso ad un tempio, simile nella forma, a quello principale su Coruscant. Non che i due soldati avessero mai avuto occasione di vederlo dal vivo; solo di recente, tramite gli ologrammi tattici, ne avevano esplorato le forme e gli interni dei punti nevralgici, per individuarne le entrate principali, gli accessi remoti, le vie di fuga secondarie, tutto studiato dettagliatamente per il giorno dell’assalto finale.
Ormai era questione di tempo, forse di qualche ora che il grosso delle forze nemiche sarebbe stato abbattuto, dopo sarebbero cominciati gli anni di caccia serrata, in giro per la Galassia a ripristinare l’ordine definitivo imposto dall’Imperatore. L’altro commilitone sospirò stizzito attraverso il casco e sul microfono l’aria del respiro prese un suono metallico distaccato; erano su quel pianeta da circa due ore, atterrati sulla base del rilievo su cui sorgeva il tempio jedi, erano saliti passando per i sentieri di meditazione, divisi in squadroni avevano attaccato su più fronti, occupando e facendo saltare le uscite d’emergenza, i canali di scolo e distruggendo i ripetitori di comunicazione prima e le astronavi da battaglia dei cavalieri poi, palesandosi all’ingresso principale, dopo aver invaso quelli secondari, intrappolando i traditori nella loro stessa casa. I due erano stati parte della retroguardia, spediti da quel lato del tempio che, secondo le mappe, fungeva da ingresso e uscita; mentre il resto della truppa entrava, i due cloni avevano ricevuto l’ordine di presidiare l’area.
Uno dei due alzò lo sguardo al cielo, lassù, assieme alla planetoide che fungeva da luna, orbitava l’astronave madre, lo star destroyer classe Imperator; ma non uno qualsiasi.
«Quanto ci mettono a stanare quella feccia?» la voce meccanica del collega proveniente dal casco era irritata; l’altro smise di fissare il cielo e si voltò dietro annoiato, notando in quel momento di attesa, l’ingresso alto del tempio. Sotto il casco, aggrottò le sopracciglia: stando alle mappe, rispetto a Coruscant, l’edificio di quel pianeta sembrava fosse stato costruito di fretta e con una struttura su diversi livelli. Quello dove presidiavano i due stormtroopers era il secondo, nonostante fosse posizionato più in alto rispetto al primo, che era più basso e sul versate opposto dell’altura; il tetto dell’edificio arrivava alle spalle delle imponenti statue che stavano di guardia al portone principale, mentre in quello secondario, salvo un’apertura spropositata, tanto alta quanto era stretta, non c’era nulla a decoro, nemmeno illuminazione sufficiente affinché si potesse vedere a due passi dallo stipite e nemmeno un accenno di meccanismo automatizzato di chiusura delle ante. La folta vegetazione circondava incolta il tempio creando archi di rami intricati, foglie dalla forma a stella e rampicanti secchi, che tutti assieme pendevano sfiorando il tetto piatto della struttura; a contrastare ciò, vi era lo spiazzo perfettamente pulito e ordinato dove i cloni presidiavano e un ampio spazio a cui si accedeva da una scalinata, per l’atterraggio di astronavi di media grandezza, simile in tutto per tutto a quello posizionato all’ingresso principale.
Tuttavia, spogliato delle vestigia che gli abitanti rappresentavano, era un banale edificio dallo sciatto color conchiglia. Come la città che si estendeva a nord di lì.
«Perché hanno portato un super star destroyer per un tempio appena fuori l’orlo esterno?» il collega proseguì la lamentela.
L’altro invece, continuò a scrutare l’ingresso; il casco bianco con le forme stilizzate di occhi e bocca disegnata come due righe a capanna, rimase fisso sull’ingresso.
«Forse dovrem...» il clone alzò la mano per far tacere il collega. Interrogativo, anche l’altro voltò la testa nella stessa direzione.
La massa oscura dalla forma rettangolare spropositata pareva densa; inoltre, la statua del maestro jedi della fattezze di una creatura dal cranio cilindrico e dal collo corazzato che si intravedeva di spalle dall’altra parte del tempio, diede al primo clone un’insana sensazione di raccapriccio.
Attesero in silenzio per qualche istante e fu proprio quell’assenza di rumori ad insospettire il primo stormtrooper.
«C’è troppa calma» commentò ansioso.
«Li avranno già ammazzati tutti» l’altro cercò una soluzione sbrigativa, ma la voce gli tremò verso la fine della frase.
Qualcosa non tornava.
Al tempio di Coruscant, così come in tutti gli altri pianeti con cui si erano collegati, di sottofondo agli assalti si udivano sempre colpi di blaster o il sibilo di qualche swipe di spada laser, grida o rumori di battaglia; lì, nulla.
Nemmeno il frusciare delle foglie, il verso di qualche animale o il rullare di un motore che restava in sosta.
C’era solo il nulla.
Come nel vuoto.
Come se gli avesse letto nel pensiero, dal buio denso, strisciò un gorgoglio, ringhiante attraversò lo stretto portale per poi estinguersi nell’aria della notte.
Il tempo giusto, per far sì che i cloni lo riconoscessero.
Il primo clone portò immediatamente la mano alla cintura e prese il comlink, il suo collega allarmato alzò il fucile, puntando verso il vuot del portone, pestando i piedi a terra nervoso.
«Ammiraglia, qui squadrone beta, ci occorrono rinforzi...» si interruppe: la comunicazione uscì pesantemente disturbata. Riprovò.
«Ammiraglia, qui squadrone di difesa…» il chiasso delle interferenze si fece più intenso, da dar fastidio alle orecchie a causa dei fischi acuti.
«Ammiraglia...» gridò.
«...smi...» fu tutto quello che uscì dalla bocca della trasmittente.

 

3

 

L’ombra sgusciò di fretta.
Furtiva e lenta aveva la stessa forma della luna nel cielo: gibbosa.
Arrancò rapida giù per il pendio, correndo di lato a piccoli saltelli, le braccia ciondoloni ondeggiavano con il muoversi del corpo. Il volto coperto dal cappuccio lasciava intravedere un barba rada e un sorriso maligno.
Gliel’ho fatta, gliel’ho fatta! Canticchiò nella sua testa, ruzzolando giù, verso il fondo della collina E ho lasciato una bella sorpresa, sì, una bella sorpresa!
I denti acuminati si allargarono con il sorriso mentre la strana creatura continuava a balzare giù dal pendio.

 

4
 

I due stormtroopers fissavano attoniti il cielo notturno. Al posto della loro astronave in orbita, era apparso uno sfavillio tremulo, di una inquietante luce rossa, come le stelle che stanno per morire.
Era accaduto dopo la fine della trasmissione. Contrariamente a quanto intuivano, continuavano a sperare che fosse un problema di interferenze la mancata risposta dell’ammiraglia. Sotto le armature però, i due soldati sudavano freddo, uno apriva e chiudeva nervosamente le dita attorno al grilletto del blaster, l’altro deglutì a vuoto, stringendo ancora il comlink cambiò canale e cercò quello del proprio superiore.
«Qui entrata nord, mi ricevete?» parlò atono, il tentativo era una sorta di effetto placebo, lo avrebbe convinto che le cose erano a posto.
Il canale era lievemente e nuovamente disturbato. Le interferenze dai suoni elettronici si dispersero tra la vegetazione tramite l’eco che distorto, fece assumere al suono grattante la cantilena di una risata di scherno. Durò per alcuni secondi, che i due soldati passarono circondati dai penetranti suoni deformati.
«Forte e chiaro, passo» la voce del superiore fece sobbalzare il soldato sul posto.
Aprì e chiuse la bocca sotto il casco, quasi incapace di emettere parole, credendo che ne sarebbe uscita la strana risata dell’eco. Gli occorse un attimo per rispondere:
«Non riesco a mettermi in contatto con la nave madre, chiedo il permesso di usare l’holo di uno dei nostri trasporti».
Dalla porta d’entrata il gorgoglio risuonò di nuovo; i due stormtrooper si voltarono di scatto.
«Soldato, resta al tuo posto qua abbiamo quasi finito» la voce metallica e gracchiante di rimprovero non scalfì la mente del clone. Era scosso e nervoso da quel suono anomalo che proveniva dal posto che per antonomasia, doveva essere il più innocuo della galassia.
«Capitano, c’è qualcosa qui all’ingresso nord!» parlò rapido, imbracciando il fucile e puntando alla cieca dentro quella massa oscura che gli si imponeva di fronte; l’altro soldato teneva sotto tiro il buio, scalpitando tra il dover ubbidire e il voler scappare.
«Non c’è niente, soldato» decretò il caposquadra attraverso il trasmettitore; la voce metallica assunse il tono dell’eco distorto: la risata divenne il sottofondo delle parole del superiore.
«Restate al vostro posto» continuò il duetto:
«Non c’è niente».
Ma qualcosa c’era.
Una luce di fuoco la illuminò per un momento.
Lo stormtrooper l’ebbe come ultima immagine negli occhi.
Un istante dopo, le sue viscere, mescolate al plastoide dell’armatura e al ferrame del super star destroyer, erano sparpagliate all’interno del tempio.

 

5

 

La piccola astronave atterrò con noncuranza nel terrazzamento che introduceva alla scalinata per il tempio jedi del pianeta Ostrich; nemmeno attese di aver poggiato perfettamente i carrelli che la passerella stava già calando per far scendere uno dei passeggeri.
La jedi camminò rapidamente lungo il piano mobile inclinato, pochi passi e toccò terra assieme all’astronave; il vento provocato dai continui scoppi mosse la cappa scura, facendo riverberare alla luce rossa delle fiamme il decoro sulla schiena. Alzò lo sguardo verso la cima delle scale: il super star destroyer, di classe Imperator, precipitando aveva tagliato e distrutto la parte destra del tempio, infilzandola prima con la prua, proseguendo con il resto del corpo a punta di freccia, fino ad arrivare dalla parte opposta, demolendo una delle statue, i cui pezzi erano rotolati fino in fondo alla collina frantumandosi, mentre l’astronave era rimasta incastrata, con la coda inclinata verso l’alto. Il fianco emergeva svettando sulle forme del tempio, illuminato di quando in quando da esplosioni secondarie; aguzzando lo sguardo verso l’area una volta c’era la torretta di comando, si intravedeva il foro di uscita per quale erano passati.
Sbuffò e diede un calcio ad uno dei bracci che faceva alzare e abbassare la passerella; l’astronave aveva sempre avuto dei problemi con i freni, ma quella notte, dopo essere partiti in tutta fretta, aveva chiesto agli altri se avessero rimesso il liquido di frenatura per sistemare il problema; i due che se ne dovevano occupare si erano guardati tra loro, avevano fatto spallucce e poi la loro astronave aveva attraversato a tutta velocità la torretta della nave imperiale, frenando solo poco prima di atterrare.
«Avevano pure gli scudi deflettori abbassati, gli imperiali» mormorò a denti stretti; la jedi aveva una voce rasoiata e bassa:
«Che tempi!» e una particolare predisposizione a lamentarsi.
Erano finiti nella zona posteriore del complesso, poco illuminata e dalla vegetazione incolta, fu guardandosi attorno che notò le colonne corte, alte e strette con sulla sommità una specie di piccolo schermo montato su una casetta. Si avvicinò a grandi passi, una nuova forte esplosione proiettò l’ombra della jedi sul pavimento, il fuoco e il fumo nero salirono nella notte in una letale nube arancione, il vento di spostamento d’aria le mosse il capelli scuri legati dietro la testa, mosse i tabard ai fianchi e il colletto della giacca: non indossava la classica divisa da jedi, somigliava più al vestiario di una comune cittadina di frontiera.
Rilevando la presenza, lo schermo in cima alla colonna più vicina si accese, la donna vide che ce ne erano disposte ad intervalli regolari su tutto il perimetro che correva attorno al basamento del tempio.
Gli occhi dalle iridi verdi scorsero pigri sulle scritte in basic dello schermo.

 

6

 

Dalla passerella, silenziose sagome scivolarono verso l’esterno.
Accanto a loro, un droide octuptarra avvisò della ricezione dell’immagine al destinatario prima di essere congedato.
La maschera lucida rifletté la devastazione, così come fecero quelle dei compagni.
«Quanto tempo abbiamo?» con voce profonda, il capo del gruppo parve rivolgersi a nessuno; il silenzio tra i tre, rotto solo delle continue esplosioni che dardeggiavano nella notte, sembrava potesse inghiottire anche quei rumori assordanti.
«Un’ora» dopo poco, la voce della jedi rispose, porgendo un disco d’argento su cui era incominciato un inesorabile conto alla rovescia.
«Ecco lo scotto di essere stati in esilio per tutti questi anni» sentenziò cupo uno dei tre.
«Il prezzo del tempo» puntualizzò quello che era il loro capo, il quale cominciò a salire le scale.
Le tre ombre si incamminarono sui gradini, svanivano e apparivano grazie alla luce delle esplosioni che laceravano lo star destroyer.
La jedi rimasta indietro, si avviò dentro l’astronave per depositare il disco che già aveva consumato un minuto.
«Tre crediti e mezzo per un’ora di sosta» la voce era scocciata tanto quanto la proprietaria:
«È questo adesso il prezzo del tempo?».

 

   
 
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