Serie TV > The Punisher
Segui la storia  |       
Autore: ClostridiumDiff2020    06/05/2023    0 recensioni
Secondo la leggenda due giovani si tolsero la vita sotto le fronde di un albero di more di gelso.
Il terreno impregnato del loro sangue macchiò I candidi frutti di quell'albero che divennero scuri.
All'ombra di quell'albero William cerca di rimettere assieme le fila della sua vita a pezzi, inseguendo sogni misteriosi e incomprensibili del passato di un'anima smarrita... Forse di una sua vita precedente...
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Billy Russo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 


Prologo



 

 
 
 
All'ombra di quell'albero poteva percepire la lieve brezza che gli portava il salmastro odore del mare, il sole scivolava lentamente oltre l’albero assonnato.
 
Aveva fatto nuovamente quei sogni, il teschio, il vetro in frantumi e infine nel sangue aveva intravisto lei.
Lo aveva osservato con grandi occhi di smeraldo ricolmi di lacrime poi si era chinata per baciarlo e lo aveva pugnalato al cuore con una lama sottile.
 
Poteva sentire ancora il profumo delle more di gelso come i suoi capelli scuri che gli solleticavano il volto avvolgendolo in un abbraccio di dolore donandogli un risveglio avvolto dalla perdita.
 
Ormai solamente quello gli rimaneva, il Nulla avvolto dalle sue grida.
Il teschio rosso, vetri infranti e un pugnale nella notte.
Dall’incidente in avanti ogni volta che chiudeva gli occhi solo quello emergeva dalle profondità della sua coscienza.
 
Quando scappava dalla sua stanza neanche tentava di lasciare l’edificio.
In fondo che senso aveva andarsene?
Così si ritrovava sotto a quell’albero, era così simile al suo sogno, lo stesso dove quella ragazza dagli occhi splendenti poneva fine alla sua esistenza.
Un bacio dal fruttato sapore metallico.
Osservava la distesa azzurra all’orizzonte chiedendosi dove diavolo stesse andando a finire la sua esistenza.
Ogni notte sognava di morire tra le braccia di un’estranea e ad ogni alba si risvegliava da solo in un letto di ospedale ridotto a un contenitore vuoto.
 
 
«Ti dispiace se mi siedo accanto te?»
 
Sollevò lo sguardo e un ragazzo con una camicia rosa gli sorrise.
 
Lo aveva altre volte girellare come lui in quel parco, soprattutto all’alba e al tramonto, quando entrambi avrebbero dovuto trovarsi chiusi nella propria stanza.
Forse era proprio grazie a lui che doveva le sue piccole fughe?
 
Lo osservò di sottecchi mentre rideva divertito.
Capelli arriffati, grandi limpidi occhi color giada e una risata nasale e acuta.
Magrolino e minuto, non aveva l’aspetto di un ladro provetto.
Eppure era piuttosto sicuro che se fosse quel folletto pelle e ossa la causa dell’apertura della sua camera cella.
 
Una brezza li raggiunse e il ragazzo si strinse nella maglia cercando di nascondere alla vista le bende che aveva ad entrambi i polsi, si abbracciò tremante e rimase in attesa finché non gli venne fatto cenno di sedersi.
 
Gli afferrò la mano con energia.
«Mi chiamo John…» esclamò il ragazzo sedendoglisi accanto.
 
L’altro lo scrutò torvo osservano la propria mano stretta tra le piccole mani di quel bizzarro folletto.
 
«Mi chiamano William!»
Non era troppo convinto della sua risposta, quel nome gli suonava starano, sbagliato.
«O almeno questo è il nome che sta scritto qua…» concluse mostrandogli il braccialetto che riportava scritto il suo nome e la data di nascita.
 
WILLIAM RUSSO, 19 novembre
 
«Io non ricordo di aver mai avuto questo nome…»
 
Le piccole mani del folletto giocherellarono con quello che William sentiva come il suo guinzaglio. Quel bracciale sembrava impossibile da rimuovere.
Aveva trafugato anche un coltello per tentare ma era stato del tutto inutile.
 
«Non ho memoria di quasi niente in effetti…»
Borbottò cercando di ignorare il fastidio che gli dava il movimento delle dita del ragazzo.
 
Si voltò ad osservare quel sorridente volto gentile. Aveva grandi occhi da bambino.
«Credo che ti si addica, William...Ma potrei chiamarti Bill, che ne pensi? Potrebbe essere più adatto a te?»
 
Bill
 
Billy, quel nome alle sue orecchie aveva retrogusto amaro ma familiare.
Aspro, come un frutto acerbo dal menzognero incantevole profumo.
William scosse la testa lasciando scivolare via la mano dalla presa dell'altro.
 
«No William va benissimo…»
Deglutì infastidito.
Non era certo di quella scelta ma non desiderava nemmeno darsi un nome a caso o peggio un numero
 
19111977, poteva essere un buon nome?
 
«Se preferisci puoi chiamarmi Johnny! Lo fanno tutti! All'inizio mi infastidiva ma, ormai è come un paio di scarpe strette. A furia di indossarle si sformano e diventano perfette per i propri piedi…»
 
Restano comunque alquanto dolorose…
 
«Preferisco usare John»
Tagliò corto.
Non avrebbe preso parte a quella tortura, se quello stupido nomignolo gli stava stretto come un cappio non lo avrebbe stretto ancora.
 
Il ragazzo scoppiò a ridere e alle orecchie di William ricordò un tenue scampanellio.
«Non apprezzi molto i soprannomi vero?»
 
William scosse la testa.
Non ricordava molto e quel poco gli appariva così sciocco e inutile.
Come ogni discorso che cercavano di intrattenere con lui, vuoti rituali svuotati di ogni senso o significato.
 
Sapeva di non volere lo zucchero nel tè.
Di amare le lame e odiare le costrizioni, quando lo stringevano a morte nei momenti di troppa agitazione si sentiva morire.
Di adorare camminare a piedi scalzi nell'erba e restare ore a fissare il mare da sotto quell'albero… Le poche cose che quel puzzle che si ritrovava per mente gli concedeva trattenere a sé.
 
Così come era certo di non amare i diminutivi o i vezzeggiativi.
Forse perché gli risuonavano in modo doloroso alle orecchie.
 
Billy, Bill…
Queste erano le sole cose che sapeva di se stesso dopo l'incidente.
 
Niente documenti certi, solo una foto consunta con un nome e una data.
Non una valigia, solo una giacca nera sporca di sangue, dei pantaloni strappati e un volto inciso da profonde cicatrici, recanti una storia che nessuno riusciva a decifrare.
 
Si osservava di rado allo specchio. Quei segni gli ricordavano ciò che non riusciva a recuperare facendolo solamente arrabbiare.
Aveva preso a pugni la parete della sua stanza fino a farsi sanguinare le nocche, finché non lo avevano bloccato.
 
Era ben conscio di dove lo avrebbero portato i suoi scoppi di ira, le sue reazioni ardenti! Lo aveva visto fare ad altri Ospiti di quell’adorabile luogo di cura.
Lo avrebbero dichiarato pericoloso per se stesso e per gli altri prima, lo avrebbero trattato con docce gelate e scariche elettriche.
Legato per giorni, settimane e infine, una volta constatato l’inefficacia dei trattamenti sarebbero arrivati all’estrema cura.
 
Se gli attacchi di rabbia non si fossero comunque placati, nonostante le docce gelate, i farmaci e le interminabili ore passate legato ad un letto a lacerarsi la pelle ruggendo alla notte, allora lo avrebbero cancellato dall'esistenza.
 
La chiamavano lobotomia transorbitale.
Ne aveva già visto gli effetti su un altro paziente.
Gli avrebbero piantato un punteruolo nell'occhio destro, spaccandogli il cranio, lacerandogli la mente trasformandolo in una bambola mansueta facile da gestire.
Completamente vuota…
 
Per calmarlo, per aiutarlo a essere più sereno dicevano ma di fatto cancellando quelle poche cose che lo rendevano ancora certo di esistere.
Non si sarebbe ricordato di adorare il tè, e non avrebbe avuto più alcuna importanza in che modo lo avessero chiamato.
 
Forse avrebbe ancora apprezzato quel profumo di fiori ma di certo non avrebbe ricordato di aver mai sognato una ragazza dagli occhi di smeraldo e a nessuno sarebbe importato.
Sarebbe esistito sempre di meno fino a svanire del tutto.
 
Forse avrebbe vagato ancora in quel bel parco come un fantasma.
L’ombra di un vivente che raccoglieva sassi alla ricerca di qualcosa che non avrebbe mai più potuto raggiungere, la propria anima.
 
Una mano gli sfiorò il volto facendolo sussultare.


«Scusa…» gli disse John ritraendola rapido «Solo che non volevo che andasse perduta…»
Una goccia salata gli scivolò tra le labbra, inumidendo il suo amaro sorriso.
Perché crucciarsi, nessuno lo avrebbe ricordato… Ben presto avrebbe scordato anche quel momento ridotto al Nulla.
 
Non voleva smettere di esistere perché anche solo quella tenue scintilla di memoria era preziosa e non desiderava di disperdesse in un asettico mare di indifferenza.
John giocherellò di nuovo con il braccialetto al polso di William premette in un punto e glielo sfilò via sorridendo e beandosi dei suoi grandi occhi scuri sgranati e illuminati da una gioia inattesa.





(Revisionato il 06 maggio 2023)

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Punisher / Vai alla pagina dell'autore: ClostridiumDiff2020