POLVERE
Il
campo è brullo.
L’intero orizzonte è secco e polveroso, non si troverebbe terra umida a
scavare
un metro. In mezzo a sterpaglie ed erba giallastre, i biancospini sono
macchie
bianco-argentate. Non c’è verde.
I
canali della risaia
sono asciutti.
“Niente
da fare,” dice il
Marco, accanto a lui. “Non basta l’acqua per irrigare.”
“La
Regione stanzia 20
milioni di euro per favorire l’accumulo di acqua piovane e non piove da
mesi,”
dice lui, come se bestemmiasse. “E se per sbaglio piove cinque minuti,
poi si
alza il vento e asciuga tutto.”
Dio,
sta in piedi in
mezzo a una risaia e non c’è una goccia d’acqua. C’è solo polvere. Ha
un bel
mettere tuta e maschera, ogni lavoro sul trattore lo lascia coperto di
sabbia:
si infila sotto i vestiti, gli si appiccica alla fronte, nelle righe
attorno
agli occhi.
Dovrebbero
essere
impegnati a dissodare per seminare il riso, lui e il Marco, a fine
mese. Non
succederà niente del genere.
Lì
dovrebbe esserci
acqua, dio maledetto. Gli sembra quasi di vederle, le camere che
riflettono il
cielo, bordate di verde brillante, un airone ogni tanto. Gli aironi ci
sono lo
stesso, in realtà, o forse sono garzette bianche, o persino ibis: anche
quelli
sono comuni, ormai. Ce ne sono cinque o sei dietro al trattore. Hanno
l’aria
lugubre sul terreno asciutto, in attesa.
Fa
strano non vederli con
le zampe a bagno nell’acqua, i lunghi becchi che frugano in cerca di
rane o
topi o pesci.
‘Non
c’è niente per voi,’
pensa lui. Sputa in terra.
Il
Marco li ha visti
anche lui. “Seguono lo stesso le macchine. Aspettano che qualcuno
semini.
L’Enrica mi ha detto che loro sono pieni di cornacchie.” Resta in
silenzio un
minuto, poi scuote la testa. “Vado, va’. Ho metà frutteto da potare.”
“Perché
fare fatica. Non
verrà frutta, senz’acqua.”
Se
ne va anche lui. Gli
aironi li guardano.
…
Continua
a non piovere.
Se
non c’è il riso, c’è
da star dietro agli altri lavori. Torna a casa sempre coperto di
polvere.
Si
parla dell’emergenza
idrica, di limitare il consumo d’acqua per scopi irrigui. Va a dormire
dopo
aver imprecato e bestemmiato davanti alla tv. Ma lo svegliano le
cornacchie
dell’Enrica, o delle altre: sono dappertutto, seguono tutte le macchine
agricole, ovunque. Ora fanno un baccano d’inferno nel suo cortile.
“Madonna
bastarda, ma io
vi sparo a tutte,” sbraita dalla finestra.
I
cani attorno cominciano
ad abbaiare. Le cornacchie sembrano fargli il verso.
…
Qualche
giorno dopo, il cielo
si fa scuro. Cade qualche goccia qua e là, si mette a piovigginare. Il
vento
disperde le nuvole prima che la ghiaia del cortile sia bagnata.
…
Tira
fuori il trattore
per aggiungere l’olio all’attacco della trincia, non si sa mai. Le
cornacchie
si affollano attorno per seguirlo.
“Boia
bastard!” Tira un
cacciavite a quella a terra, un mezzo ciocco di legno sui rami del
ciliegio
appena fiorito. “Non c’è niente per voi!”
Le
risaie sono ancora
asciutte. Qualcuno sta piantando il mais, invece del riso, davanti al
suo
campo. Le garzette se ne stanno piantate lì vicino, come bandierine
bianche e
sottili.
Il
livello del fiume è
sempre più basso. E pensare che accanto all’argine hanno scavato per
ricreare
delle zone umide per i rospi. Quelli del Parco vorrebbero la coltura in
immersione, ‘per favorire la biodiversità’, la Regione quella in
asciutta. Ma
l’acqua va pagata in ogni caso, e costa più di 500 euro all’ettaro.
Il
pensiero lo colpisce e
non lo lascia più: quelli del Parco sprecano acqua per i rospi. Ci
pensa tutta
la sera, mentre si rigira nel letto. Hanno scavato delle pozze
artificiali, col
fondo impermeabile, da riempire.
Si
alza alle quattro,
attacca la cisterna e la pompa al trattore. Quasi non fa caso alle
cornacchie.
La bula è deserta e silenziosa, a parte il rumore del trattore:
i rospi
non sono ancora stati reintrodotti, i pesci che avrebbero potuto
mangiare le
loro ovature lontani, nel fiume basso che non si collega più a queste
zone.
Gli
uccelli ci sono,
però. Una poiana lo fissa mentre attacca la pompa e prende l’acqua. Non
si
alzano in volo, non scappano via.
‘Nelle
risaie ci va il
riso, non il mais,’ si ripete all’infinito. Ha quel piccolo terreno
lontano
dalla strada, non lo noterà nessuno. Porta la cisterna a casa, al
sicuro, e
monta le lame per dissodare. È in ritardo di due settimane, ormai, ma
andrà
bene lo stesso.
Appena
entra nel campo
sollevando nubi di polvere, li vede. Le garzette, o ibis, o quello che
sono.
Sembra che lo aspettino, seguono il trattore d’appresso, più vicini di
quanto
abbiano mai osato. Gli aironi e gli altri uccelli vogliono l’acqua, e i
pesci,
le rane, le salamandre e i tritoni. Lui si becca le zanzare, gli
insetti, le
fatture da pagare.
“Via!”
Agita le braccia.
“Sciò!” Quelli lo fissano, uno scrolla appena le ali.
Lui
si rigira in avanti:
tra la luce ancora incerte e la polvere non vede un granché. Tornerà
con il
fucile, dopo, non può permettere a quelle bestie di—
Una
cornacchia gli vola
in faccia, lo colpisce alla fronte con le ali, gli graffia il mento.
“Cristo!”
Si copre il
viso, troppo tardi, si gira sul seggiolino per cercare la cornacchia.
Le
lame trovano una
roccia, il trattore trascina un po’, si libera con un sobbalzo. ‘Ci
manca solo
di spaccare una lama.’
La
cornacchia vola di
nuovo verso di lui, ma stavolta la vede per tempo. “Che cazzo fai!”
strilla.
Afferra la vanga che tiene incastrata accanto al seggiolino, la agita
in aria.
“Adesso ti ammazzo,” promette.
La
cornacchia torna
all’attacco, adesso sono due, forse di più. Lui si alza in piedi per
menar fendenti.
Un becco affilato trova la sua guancia. Lui molla la vanga per
afferrare le
piume nere che lo accecano. Le lame si incastrano di nuovo e il
contraccolpo
gli fa perdere l’equilibrio: cade oltre il passaruota.
Il
trattore si ferma ma
non si spegne. Lui si rialza in fretta, per togliersi da vicino alle
ruote.
Tossendo per l’odore di gasolio barcolla dietro il trattore.
Il
frullio di ali
arrabbiate ritorna.
“Basta!”
Si copre il viso,
si rannicchia. Ma la testa gli gira, inciampa. Non c’è niente a cui
tenersi.
Le
lame gli si fanno
incontro nella luce grigia. La chiazza di sangue si ricopre subito di
uno
strato di sabbia polverosa. Anche lui tossisce polvere rossa.
‘Tutta
questa polvere,’
pensa ancora una volta.
Gli
ibis sacri, gravi,
sottili e silenziosi, si avvicinano. Le loro zampe eleganti affondano
nel
terreno umido.