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Autore: ElenoraBumBum    15/05/2023    0 recensioni
Completamente esasperato da tutto, sospiro: «Prima o poi me ne andrò da qui». Ne sono certo, mi lascerò questa vita assurda alle spalle e troverò qualcosa di meglio. Una casa migliore, un lavoro migliore, magari pure qualcuno con cui condividere la mia nuova vita. Qualcuno che scelga di stare con me, non che venga obbligato. Qualcuno che io possa veramente considerare famiglia.
«E perché?»
«Ma come perché? Dammi un solo buon motivo per restare». E ce l’avrei pure, ce l’ho davanti e occupa tutto il mio campo visivo visto che è gigante quanto il massiccio del Monte Bianco, ma ogni giorno che passa diventa sempre più difficile gestirlo e a volte la spina va staccata. Anche se non sembra, ce l’ho ancora un po’ di amor proprio.
Neanche mi avesse letto nel pensiero, sorride e sussurra: «Dalle altre parti non ci sono io».
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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8 – Tisanina (pt.2)

«Chi è?» chiede la voce robotizzata di Jaco, dal citofono.
«Sono Gian…» brontolo. Appena il cancello si apre, faccio maniacalmente attenzione a non scivolare con lo scooter e lo parcheggio sotto la mini-tettoia del garage, poi lo spengo e mi avvicino alla porta, totalmente incurante della pioggia battente sul casco e sui vestiti. Tanto sono già fradicio, non ha senso scervellarcisi su. 
«Hey, pure le visite a sorpresa!» esclama, con un sorriso raggiante, che scompare appena entro nella sua visuale. Sì, beh, immagino di non essere un bello spettacolo in questo momento. Bagnato dalla testa ai piedi, un’espressione al limite del moribondo e un linguaggio del corpo che esprime tanto altro rispetto alla gioia. 
«Non sapevo dove andare…» mormoro, fermandomi proprio davanti a lui, ancora sotto la pioggia. Faccio un passo avanti, ma mi blocco, osservando i suoi vestiti asciutti e la casa immacolata, lui sbatte le palpebre un paio di volte, poi sgrana leggermente gli occhi, mi prende per un braccio e mi tira dentro casa senza spiccicare parola.
«Hai fatto bene a venire qui» mi dice, accennando a un sorriso e chiudendo la porta dietro di me. Un brivido mi percorre la schiena a sentire il tepore del salotto e deglutisco, immobile, mentre mi viene davanti e mi osserva. «Aspetta… vediamo se ce la faccio» sussurra, concentratissimo, con le mani che si allungano sotto il mio mento. Mi slaccia il casco e me lo toglie, appoggiandolo poi di fianco la porta. «Ecco qua… spogliati, ti prendo della roba pulita…» continua, per poi voltarsi e sparire in camera sua. Io sospiro, prendo i lembi della maglia e me la sfilo, poi mi tolgo le scarpe e mi slaccio i pantaloni, notando Jaco tornare nella mia visuale con dei vestiti asciutti.
«Grazie»
«Figurati» mi risponde con un accenno di sorriso, poi mi passa un asciugamano. Lo prendo distrattamente e cerco di salvare il salvabile, non con particolare successo. Gli restituisco l’asciugamano e sento il suo sguardo addosso mentre mi infilo una felpa verde decisamente troppo grande per me. Indosso anche questi enormi pantaloni della tuta e cerco di guardare il mio look da rapper del Bronx, poi mi levo i calzini zuppi e li lancio vicino alle scarpe. «Siediti, dai…» rantola, spingendomi verso il salotto. «Almeno il casco ti ha tenuto i capelli asciutti…»
«Già…» sospiro, lasciandomi cadere sul divano. 
Rimane in piedi di fronte a me e mi squadra, interrogativo. «Vuoi qualcosa di caldo?» prova a chiedere.
«No, grazie…», poi ridacchio. «Adesso sei tu a propormi la tisanina…». Annuisce ridendo, poi si siede a fianco a me.
«Perché… se non sapevi dove andare, perché non sei andato a casa?»
«Perché casa è il primo posto in cui non volevo stare…» mormoro, scrollando le spalle. «Ero in giro, ha iniziato a piovere come non mai e… sai com’è, acqua e mezzi a due ruote non vanno d’accordissimo…»
«Non so, ma immagino» risponde, stiracchiando le gambe. «E perché non volevi stare in casa?»
«Oh… beh, il classico. Ho litigato coi miei ed è proprio la base, insomma la quotidianità.» inizio. «Poi mi sono incazzato e anche questo succede abbastanza spesso, quindi… sai che sono un po’ drammatico, no?» domando, retorico. Annuisce, ancora dubbioso. «Beh, sì, insomma… nella mia drammaticità, sono andato a farmi un giro, cosa che faccio sempre quando sono incazzato… ed è successa una cosa strana… a parte la pioggia che vabbè, non posso ancora controllarla, è successa una cosa che non mi succede praticamente mai…»
«Ovvero?»
«Mi son sentito in colpa…» mormoro. 
«Per aver litigato coi tuoi…?»
«Oh, no, nel senso… per tutto» continuo, abbassando lo sguardo e giochicchiando con il cordoncino dei pantaloni, prima di sentire il suo braccio cingermi le spalle e tirarmi brutalmente contro il suo petto. Ok, ma che cazzo. Deve smetterla di fare così. Stupido linguaggio dell’amore, o come si chiama.
«Non… qualsiasi sia il “tutto” a cui ti riferisci… non devi» bisbiglia e sento la sua guancia appoggiarsi sulla mia testa. Vabbè, può continuare a essere appiccicoso. E sto provando a convincermi che è solo perché non riuscirei a fermarlo e non perché mi piaccia.
«Non devo cosa?»
«Sentirti in colpa»
«Lo so…». L’indice della sua mano destra, casualmente appoggiata sul mio fianco, inizia a muoversi, facendo delle specie di carezze che non sono in grado di interpretare. Sento solo un enorme peso sul petto che mi mozza il respiro per un momento e mi fa chiudere gli occhi. Oggi è proprio una giornata no. La pioggia è solo la ciliegina su questa gran torta di merda. 
«Hey…» mormora, poi. Alzo leggermente lo sguardo verso di lui, che accenna a un sorriso e stringe un po’ la presa sulla mia spalla. «Ogni volta che litighi coi tuoi… vieni da me, così… non ti ci crogioli sopra troppo». Distolgo lo sguardo e abbandono la testa contro la sua clavicola, poi mi mordicchio la guancia cercando di trovare una risposta sensata alla sua proposta.
«Ok…» riesco a sospirare, non riuscendo a partorire niente di meglio. All’indice si aggiungono anche tutte le altre dita, rendendo quel mezzo movimento spastico una carezza vera e propria. Strizzo ancora di più le palpebre e gli cingo la vita con le braccia, rannicchiandomi su di lui, mentre sento tutti questi anni di silenzi, di emozioni mai esternate, di amari bocconi ingoiati salirmi per la gola. «A volte…» inizio. «A volte sento proprio di non farcela… so che poi ce la faccio, me la cavo, ma ci sono momenti in cui non… in cui sono pietrificato, da tutto. E… non ho mai nessuno che… con cui sfogarmi, che possa ascoltarmi e pensare “oh, sta cosa è successa anche a me”. Io… ovunque vada, ho gente che mi bisbiglia alle spalle, i miei amici si sforzano di comprendermi, ma non ce la fanno proprio, la mia famiglia neanche a dirlo, non ci hanno mai provato e mai lo faranno e ci sono io… sta mezza sega che prova ad andare contro corrente e finisce nella tempesta con un motorino con le ruote minuscole, che basta mezzo millimetro di acqua per terra a farmi finire col culo per aria. E anche tu probabilmente… cioè, già in partenza forse non te ne frega nulla, ma… anche se te ne fregasse, tu… tu sicuramente hai incontrato nel tuo percorso… qualcuno un po’ come te e quindi tutto sto discorso non ti farà né caldo, né freddo. Penserai pure che sia un bambino piagnucolone, che non sa tirare fuori le palle o bla, bla, bla… non so nemmeno perché sto ancora parlando, fai un po’ tu…». Non risponde e penso come al solito di aver esagerato, ma poi mi tira una piccola pacca sulla spalla e ridacchia. 
«Tu ce l’hai proprio con sta storia di “quelli come te”. Gian, non c’è nessuno come te, non ci sarà mai… e non ci sarà mai neanche uno come me. È ovvio che io e te non siamo uguali, non possiamo esserlo. Abbiamo avuto vite totalmente diverse, esperienze diverse, insegnamenti diversi. Ma questo non mi impedisce di ascoltarti e… boh, darti il mio punto di vista. Che cosa credi? Che Lorenzo e Francesco solo perché sono… entrambi eterosessuali abbiano una vita intercambiabile? O che si capiscano sempre e comunque? Se non ti capiscono, il problema non è tuo che non sei come loro. E forse, ti capiscono pure, semplicemente le loro non sono le risposte giuste alle tue domande.» mi dice. «E, poi, lascia decidere a me cosa voglio fare, ok? Non inventarti che non mi interessi, o tutte quelle altre cazzate che hai sparato. Piuttosto, se proprio un giorno ti senti di essere un gatto attaccato ai coglioni, mi chiami e mi chiedi se ho voglia di ascoltarti per un’ora. Non ti immaginare cose che non esistono» mi sgrida, poi mi mette l’indice sotto il mento, mi tira su la testa e mi dà un bacio sulla fronte. 
Probabilmente divento viola in faccia, ritraggo il collo stile tartaruga ed esalo: «Non baciarmi»
«E non piagnucolare sempre»
«Ti odio…» brontolo, lui ridacchia e mi dà una piccola pacca sulla testa.
«Ti voglio bene anch’io»
«Sarà meglio, sono l’unico che ti caga in questa landa dimenticata da Dio»
«Oh, Gian… guarda che ce li ho degli amici, eh. Se passo del tempo con te non è di sicuro perché mi sento solo e abbandonato.»
«Non vedo altri motivi per cui dovresti…»
«Boh, che dici? Forse perché mi stai simpatico? E con te mi diverto e mi piace passare del tempo insieme a te?»
«Allora hai dei gusti molto dubbi»
«Sarà» ribatte, scrollando le spalle. «O magari sei tu che semplicemente sei una bella persona e le belle persone piacciono alla gente»
«Non è che se sono giù mi devi leccare il culo per farmi stare meglio». Scrolla di nuovo le spalle. Forse sta pure dicendo la verità. Insomma, che senso avrebbe dirmi una cazzata? Cosa ci guadagna? Niente, solo che mi accollo ancora di più.
«Li fai crescere ancora i capelli?» chiede, passandoci le dita in mezzo.
«No, mi sa che più diventano lunghi, più diventano incontrollabili. Li lascio così, che stanno abbastanza bene e non richiedono troppo sbatti» rispondo. «Tu li vorresti più lunghi?»
«No, son belli. E anche morbidi»
«Eh, grazie, il balsamo mica si mette da solo…». Ridacchia e continua a pettinarli con le dita. Non dico niente, per una volta il silenzio non pesa come una montagna. Non lo capisco proprio, Jacopo. Ha così poco senso che mi stordisce sempre. Perché è così gentile e disponibile? Nessuno lo è, tutti si fanno sempre i cazzi propri. Lui no, si stava godendo il pomeriggio da solo e sono arrivato io e non ha fatto una piega, non ha fiatato, si è messo qui e ha ascoltato i miei piagnistei.
«Che balsamo usi?» chiede.
«Bah, il più economico del supermercato…»
«Che delusione, pensavo avessi qualche segreto…»
«Non li vengo a dire a te i miei segreti, scusa.» borbotto. 
«Quindi ne hai! Dai, dimmi che balsamo usi…»
«Ma che ti frega…?». Scuote le spalle e ride. Bah. «E tu?»
«Io non lo uso, ma se lo usassi mica me lo terrei per me. Che segreto stupido»
«Uso quello con l’olio di argan, sei contento?» brontolo. 
«Molto, grazie.»
«Rompipalle»
«Vuoi mangiare qualcosa?»
«No, penso che vomiterei qualsiasi cosa, ora come ora…»
«Ok… Griffin o Simpson?»
«Simpson…? Perché?». Non risponde, accende la tv e mette i Simpson, poi striscia un po’ più in basso sul divano trascinandomi con sé e incrocia le gambe.
«E vedi di stare attento alla televisione, che ho finito i modi per distrarti…» mi ammonisce, con qualche pacca sulla testa.
«Allora non te ne fregava niente del mio balsamo…» piagnucolo.
«Se ti ho pure detto che non lo uso…»
«Tua madre non ti ha insegnato qualche trucco da psicanalista?»
«Direi di no, gli psicanalisti ti spingono ad affrontare i problemi, non a nasconderli sotto il tappeto come stiamo facendo noi.»
«Beh, nasconderli è più semplice» osservo. Mi tira una schicchera. L’audacia, proprio.
«Se sapessi affrontarli, te li farei affrontare, altrimenti non si risolvono mai…»
«Sì, vabbè, ora mi chiedi pure settanta euro di seduta?» brontolo.
«Potrei»
«Non hai fatto niente, Jaco, l’unico diritto di richiedere soldi sarebbe se mi mettessi a posto il computer»
«Vuoi che ti metto a posto il computer?» propone, arzillo.
«Sei una sanguisuga» ribatto, poi mi cade l’occhio su Homer. «Alla fine, nessuno dei due sta guardando la tv»
«Beh, fa da sottofondo, dai»
«Tu hai sempre una soluzione a tutto? Non ti lamenti mai?». Scrolla le spalle. «Ma che ti davano da mangiare in Germania?» insisto.
«Un sacco di Halve Hahn» risponde, fiero. Che strano sentirlo parlare in tedesco. 
«Chissà che sbobba sarà…»
«È un panino col formaggio»
«Vabbè, è uguale…» lo liquido. 
«Se vuoi, ci possiamo andare a Colonia e ti faccio mangiare l’Halve Hahn»
«Sia mai che mi faccia venire un po’ di positività» commento. Scoppia a ridere e mi fa tremare la testa, poi smette e si allunga a prendere il telefono. 
«Tu puoi prendere ferie?» chiede, aprendo il browser.
«Sì, ma non è…»
«Eh, dai, quando vuoi andare?» continua, mostrandomi la pagina di RyanAir col calendario. «Se andiamo in primavera costa un pelino meno… ma il tuo compleanno non è tipo ad aprile?»
«Jaco…»
«Non vuoi venire?» mugola. Stupido cane mogio. Ma che ne so ora se voglio o non voglio andare a Colonia con lui. Levarmi da questo cimitero con un municipio? Ovvio che sì. Salire su un autobus con le ali? Decisamente no. 
«Non ho mai preso un aereo. Ma poi ste cose non si devono organizzare meglio? E ti ricordo le mie problematiche con la carne e perdonami, ma i tedeschi non mi sembrano le persone più vegetariane della Terra…»
«Ti giuro, le verdure esistono anche in Germania…» mi risponde. «Poi l’aereo è un mezzo di trasporto infinitamente più sicuro di quel trabiccolo di scooter su cui mi hai portato»
«Guarda, ne dubito fortemente, almeno si sta coi piedi per terra»
«E quindi? Guarda che le moto e le auto causano molti più morti degli aerei…»
«E che portasfiga, Madonna» brontolo. «Ci vengo.» ammetto, sottovoce. Lo sento già scodinzolare e devo smorzare l’entusiasmo prima che mi lecchi la faccia. «Solo se mi dai il tempo di chiedere se ho ferie.» aggiungo, con un dito alzato. Sicuro ne ho, non vado mai da nessuna parte. Ma almeno questo gigante si placa un attimo e ho tempo di pensare alla prossima mossa. «E comunque ci potresti portare l’orda di amici che millanti di avere»
«Voglio portare te, se no manco te lo avrei chiesto»
«Quando saliamo in aereo giurami di tirarmi una botta in testa abbastanza forte da farmi svenire…»
«Non lo farei mai…» mi dice sottovoce, poi mi accarezza il capo. «…Già la tua testolina funziona male così, figurati se infierisco…» continua e sento il suo sorriso nelle parole.
«Tu… veramente… ma guarda!» sbotto. «Basta! Non ti voglio più bene!» esclamo e mi tiro seduto per alzarmi.
«No, no, Gian, dai!» strilla, ridendo. Mi prende per i polsi e mi spinge coricato sul divano, mettendosi sopra di me ed essenzialmente immobilizzandomi. Gli va bene che sono un peso piuma e anche volendo non potrei muovermi di un millimetro. 
«Giuro, la devi smettere» lo minaccio, blandamente. Appoggia la testa sulla mia spalla e sorride.
«Perché mai? È divertente» ribatte. 
«Solo per te»
«Almeno per uno dei due, no?» continua. Gli tiro una pacca sulla testa, ma non vacilla, anzi infila le braccia sotto la mia schiena e mi stringe ancora di più. 
«Prima o poi mi strangoli, Jaco!»
«E non fare storie, su!»
«Le faccio eccome, le storie» rispondo, tirandogli un orecchio. Scuote la testa, ancora ridacchiando, ma non controbatte. Onestamente non so cosa aggiungere, come molte volte in cui sono con lui, quindi me ne sto zitto. Non mi dà nemmeno più fastidio il suo peso addosso, è diventato solamente una coperta gigante. E col dono della parola. Lo usa a sproposito, ma almeno ce l’ha. Chissà quale essere ultraterreno ha deciso di spedirmi questo coso enorme da Milano. Non l’avevo ordinato, non credevo nemmeno fosse disponibile, eppure eccolo qua. E non mi fa neanche schifo. Mi ha pure fatto scordare il mio disastroso litigio coi miei. 
«Vuoi cenare qui?» domanda.
«Non sono neanche le sei, non puoi già pensare alla cena!»
«Ho comprato le lasagne col pesto!»
«E va bene…» sospiro. «Ma prima delle otto non ti muovi da qui, ci siamo intesi?»
«Allora vedi che non ti dà fastidio il contatto fisico!» 
«È esattamente quello che non ho detto, non travisare le mie parole» preciso e, giusto per fargli un dispetto, provo a dimenarmi svogliatamente. 
«Sei cattivo con me!» piagnucola, aumentando la stretta. Mi scappa una risatina e smetto di muovermi, salvo spostare un braccio prima che mi si blocchi completamente la circolazione.
«Brutto testone appiccicoso, ma non ce l’hai una tipa da stressare?» mi lamento.
«No» risponde, secco. «A me le ragazze non piacciono»
«Adesso non mi diventare un redpillato di merda solo perché con una ti è andata male, eh»
«Ma che redpillato… semplicemente non mi piacciono le donne, sono gay» ribatte, serio, guardandomi dritto in faccia. 
D’istinto, faccio un risolino di scherno e roteo gli occhi… non al cielo perché sono orizzontale. «Sì, certo, vabbè, e io sono Rocco Siffredi…» ironizzo. Ma quando mai? Poi non si è mollato con la sua ex tipo due mesi fa? Non che ne abbiamo più parlato. L’avevo pure mezzo stalkerato nei meandri dell’internet, ma non avevo trovato un bel niente. Instagram lo usa solo per i video dei gattini e della gente che prepara da mangiare. Nemmeno mia madre.
«Beh, non ci credi?» mi chiede, continuando a guardarmi. 
«Mostrami un asino che vola e forse potrei crederci». Ride e scuote la testa, poi chiude gli occhi e mugugna un “fa’ come vuoi”. «Certo che faccio come voglio»
«Saprò stupirti»
«Guarda che perdere la verginità anale per prendermi per il culo non mi sembra per niente una buona idea…» brontolo. «Innuendo non voluto!» aggiungo, di botto, mentre lui se la sghignazza come un ragazzino delle medie. «Sei veramente un bambino» commento.
«Vabbè, ma anche tu però…» 
«Manco nei cinepanettoni fanno battute del genere»
«E non sgridarmi sempre…»
«Ti comporti male» lo rimbrotto.
«Gian…»
«Eh…»
«Quindi, quando ci vuoi andare in Germania?» chiede, sfoderando i suoi occhioni azzurri.
«Jacopo, io te lo giuro…!» sbotto. E ignoriamo per bene il suo sguardo prima che il mio cuore si metta a fare il ginnasta e a farmi i salti carpiati nel petto. 
   
 
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