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Autore: Milly_Sunshine    17/05/2023    2 recensioni
Dopo molti anni, Enrico torna nella sua città natale, dove ha accettato un lavoro nello stesso albergo nel quale lavorava suo padre. Qui rivede Carolina, sua vecchia amica che lavora alla reception, per la quale prova un'attrazione in apparenza non corrisposta ed è ignara delle vere ragioni che abbiano convinto Enrico a tornare a casa. Alle loro vicende si incrociano quelle di Vincenzo, figlio del vecchio titolare che ha di recente ereditato l'attività di famiglia. Ciascuno di loro ha i propri segreti, ma un segreto ben più grande, che risale all'epoca della loro infanzia, sta per sconvolgere le vite di tutti e tre. Il contesto è "generale/ vago" perché "persone adulte che vivono nei primi anni '90" non è contemplato.
Genere: Drammatico, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ALFREDO VITALE

Olimpia si rese conto di avere scoperchiato un enorme vaso di Pandora, così smisurato da non sapere come gestire quella scomoda situazione. Quella di Carolina era una palese ammissione ed Enrico non sembrava nemmeno troppo sconvolto. Olimpia avrebbe voluto chiedergli come facesse a non essere terrorizzato dall'idea che la donna con cui avevano a che fare avesse ucciso un uomo ad appena otto anni.
Toccava a lei, decise. O quantomeno cercò di decidersi: trovare le parole non era per niente facile. Fu costretta ad appigliarsi alla propria capacità di dire sempre qualcosa, giusto o sbagliato che fosse, e si rivolse direttamente a Carolina.
«Come hai fatto a vivere portandoti questo segreto per tutti questi anni? Come fai a guardarti allo specchio sapendo di avere tolto la vita a una persona?»
Carolina la fissò a bocca spalancata per un istante, senza proferire parola. A sorpresa, fu Enrico a intervenire al posto suo: «Olimpia, bada ai fatti tuoi, che non sai un cazzo!»
«Se non sapere un cazzo significa non essermi mai sporcata le mani con il sangue di qualcuno, comportandomi come se nulla fosse, allora sono ben felice di non sapere un cazzo» replicò Olimpia. «Tu lo sapevi? L'hai sempre saputo? Eppure in un primo momento mi davi della pazza.»
Finalmente Carolina parlò.
«Non sono stata io a uccidere Alfredo Vitale.»
«Mio suocero ha fatto il tuo nome» puntualizzò Olimpia, «E io gli credo. Anche Enrico crede alle sue parole, lo dimostra quello che ha detto. Tu stessa hai ammesso che...»
Carolina la interruppe: «Non sono stata io. Ti ho detto la verità: la persona che ha ucciso Alfredo Vitale è morta. Solo, a quei tempi non sapevo si chiamasse Alfredo Vitale. Nemmeno quando hanno trovato il cadavere, ho pensato a lui. Non sapevo che l'avesse ammazzato. L'avevo visto cadere a terra, ma non avevo mai sentito dire che fosse stato ucciso qualcuno. Avevo otto anni, ero solo una bambina innocente. Li ho sentiti urlare, li ho sentiti scambiarsi delle accuse che ai tempi non capivo... e niente, adesso posso capire tutto.»
«Puoi capire cosa?» insisté Olimpia. «Cos'è successo? Chi ha ucciso Vitale e perché?»
«Già» intervenne Enrico. «Perché l'ha fatto? Perché l'ha ucciso? Era venuto a cercare tua madre e l'ha fatto per difenderla? O si è trattato di una vendetta?»
Carolina abbassò lo sguardo.
«Non lo so, non so perché l'abbia fatto. Non so se...»
Si interruppe.
«Perché non vuoi che tua madre lo sappia?» le chiese Enrico. «Quello che tua nonna ha fatto è stato fondamentalmente sbagliato, ma l'ha fatto per lei.»
Olimpia si lasciò andare a una risata isterica. La Carolina Riva di cui aveva parlato Maurizio non era l'amica d'infanzia di Enrico, era sua nonna. Enrico, da bambino, frequentava casa loro. Doveva averlo capito subito.
Le venne da pensare di essersi resa ridicola, ma né Enrico né Carolina sembravano interessati a lei e alla sua improbabile interpretazione dei fatti. Anzi, fu ancora Carolina a catalizzare l'attenzione, quando dichiarò, senza mezzi termini: «Non l'ha fatto per lei, l'ha fatto per se stessa. Non è stato Vitale a tentare di uccidere mia madre... e mia nonna lo sapeva fin troppo bene.»
Enrico parve seriamente smarrito.
«Cosa sai di quella storia?»
«Ho messo insieme frammenti di verità, ho cercato di ricordare... nella speranza di sbagliarmi. Però so per certo cos'ho sentito quella notte.»
Olimpia, desiderosa di arrivarci in fondo, le domandò: «Potresti cortesemente raccontarci tutto dall'inizio? Sai, sono rimasta coinvolta anch'io, quando qualcuno ha tentato di spaccarmi la testa. Vorrei capire chi è stato ad aggredirmi e cos'ha a che fare con tua nonna nonché tua omonima..»
«Non so cos'abbia a che fare con mia nonna» replicò Carolina. «È morta parecchi anni fa. Si è portata nella tomba il proprio segreto. Non saprei come aiutarti, non ho idea di chi possa averti aggredita.»
«Tu inizia a raccontare la tua storia dall'inizio» insisté Olimpia, «E vediamo se davvero non puoi aiutarmi.»
Carolina sospirò. Per un attimo Olimpia ebbe paura che protestasse, che le ricordasse che quello era il suo orario di lavoro e che un'estranea come lei non avrebbe dovuto stare alla reception, ma non accadde. Anzi, fu piuttosto collaborativa, iniziando a raccontare: «Mia madre si trasferì qui dopo che qualcuno aveva tentato di ucciderla, sempre nello stesso modo. Era terrorizzata dall'idea che il colpevole potesse riprovarci, aveva deciso di nascondersi, con l'aiuto di un conoscente - Maurizio Melegari, tuo suocero - e prendendo il cognome di mia nonna per non essere rintracciata. Qualche tempo dopo, mia nonna decise di trasferirsi qui e venne a vivere con lei. Questo succedeva prima della mia nascita. Quando ero bambina, abitavamo ancora insieme a mia nonna e stavo con lei quando mia madre era al lavoro, oppure quando era fuori. Quella sera, ma l'avrei saputo soltanto molto tempo dopo, era con Giuseppe, il padre di Enrico. Era la serata finale di una fiera o di una sagra, non ricordo con esattezza. Ero già andata a dormire, ma mi svegliai di soprassalto sentendo un rumore imprecisato. Credevo fossero i fuochi d'artificio, anche se non sono sicura che li stessero già facendo. Faceva caldo, avevo la finestra aperta, quindi mi avvicinai per vedere se si intravedesse qualcosa. Non si vedeva niente. Però, al di là del cortile, illuminata dalla luce dell'unico lampione presente, c'era mia nonna che discuteva con un uomo. Teneva in mano qualcosa, forse un ombrello chiuso, anche se era sereno. All'epoca non capii perché l'avesse portato con sé, ma non vi diedi peso. Anzi, cercavo di capire cosa stesse succedendo. Nessuno veniva mai da noi, a parte Enrico e suo padre, oppure i clienti per cui mia nonna faceva lavori di sartoria. Però non venivano a quell'ora, doveva essere quasi mezzanotte.»
Enrico azzardò: «Tua nonna aveva portato l'ombrello come arma per difendersi?»
«Forse» rispose Carolina, «Ma non mi stupirebbe se l'avesse fatto perché aveva intenzione di attaccare.»
«Continua» la esortò Olimpia. «Io ed Enrico vogliamo sapere.»
Lanciò un'occhiata all'amico, sperando che non la smentisse, ma Enrico non sembrava nemmeno avere fatto caso alle sue parole. Carolina le aveva recepite, per fortuna, quindi iniziò a narrare gli aspetti della vicenda a lei conosciuti. Olimpia la ascoltò con interesse. 

Alfredo bussò alla porta. Gli parve di notare qualcuno che si affacciava alla finestra. Poco dopo, Carolina Riva venne ad aprire. Portava con sé un grande ombrello chiuso, un po' come se pensasse di spaventarlo con quell'arma impropria.
«Cosa vuoi?» sibilò. «Chi ti ha detto di venire da me?»
«Nessuno me l'ha detto» rispose Alfredo. «Sono un libero cittadino - quantomeno lo sono adesso - e mi è consentito spostarmi a mio piacimento.»
«Questa è casa mia.»
«Infatti sei stata tu ad aprire la porta. Ti bastava non farlo, per stare lontana da me.»
«A che gioco stai giocando?»
Alfredo fece un mezzo sorriso.
«Non sto giocando, Carolina. Non ho mai giocato, dovresti saperlo bene. Un tempo facevamo affari insieme.»
Il tono di voce di Carolina si alzò.
«Io e te non abbiamo mai fatto affari insieme.»
«Ah, no?» replicò Alfredo. Non si preoccupò nemmeno di parlare piano. Carolina doveva essere sola, non si vedevano finestre illuminate. «A me sembra che abbiamo lavorato bene, a suo tempo.»
«Ho cambiato vita e dovresti cambiarla anche tu. Gli anni passati dietro le sbarre non ti hanno fatto capire che stavi sbagliando?»
«Mi hanno solo fatto capire che qualcuno ha voluto incastrarmi. Ho pagato per un crimine che non ho mai commesso... e tu lo sai bene.»
Carolina replicò: «Sei stato visto.»
«Sono stato visto uscire da casa di Giovanna» convenne Alfredo. «Non sono stato visto mentre le facevo del male.»
«Sei stato comunque visto e questo è bastato per farti finire in galera. Non capisco perché tu sia venuto qui. Ci tieni così tanto a cacciarti di nuovo nei guai?»
Alfredo ammise con se stesso di non avere scelto una strada molto promettente: in fondo accettare la proposta di Damiano Rossini, che l'aveva ingaggiato per derubare i clienti dell'albergo che stava cercando di comprare, non era una grande occasione di riscatto. Non ne aveva comunque delle migliori, per il momento, e tutto ciò che gli bastava era non fare del male alle persone, fintanto che si trattava di impossessarsi di denaro e oggetti di valore non era così schizzinoso.
L'aveva fatto anche in passato, i furti su commissione erano la sua specialità, come ben sapeva Carolina Riva. Quell'anziana sarta di periferia nascondeva torbidi segreti ed era stata ben disposta a spingersi all'impensabile per continuare a rimanere celata dietro la sua immagine di donna perbene. Alfredo non avrebbe fatto ammissioni con lei, mai.
«E tu?» le chiese. «Tu ci tieni così tanto a fare la parte della madre premurosa? Giovanna crede davvero che tu l'abbia seguita qua per aiutarla a proteggersi da me?»
«Giovanna ha avuto paura di te, questo sì. Adesso, però, sei solo un ricordo sfumato, per lei, un passato che per fortuna non c'è più. Non ti rimpiange, non ha mai rimpianto il tempo che ha perso insieme a te.»
«Non sto parlando di me. Sto parlando di Giovanna e di quello che le hai fatto, quando ci ha sentiti parlare dei nostri affari. Sempre ammesso che abbia sentito davvero. L'hai colpita a tradimento, proprio tu, che non facevi altro che vantarti di averla allontanata da me.»
Carolina rimase in silenzio per alcuni lunghi istanti, infine sbottò: «Tu non sei nessuno per venire a farmi la morale! Credi che qualcuno potrebbe credere alle tue accuse? Se nessuno ti avesse visto allontanarti da casa di Giovanna, quel giorno, forse le cose sarebbero andate diversamente, ma non hai mai avuto speranze. Eri già condannato ancora prima di entrare in tribunale... ed è esattamente quello che si meritano le nullità come te.»
«Sai, Carolina, io non sono mai venuto qua per dire la verità a Giovanna» ammise Alfredo, «Ma non sono così sicuro che non mi crederebbe, se le raccontassi tutto per filo e per segno. Mi hanno detto che non ricorda niente, ma non penso che, se non le fosse stato messo in testa, mi avrebbe mai accusato. Sa che non le avrei mai fatto del male.»
«Smettila di interpretare la parte del ragazzo che le vuole bene.»
«Non sto interpretando una parte. Non è questioni di volerle o non volerle bene. Non avrei alcun motivo per fare del male a Giovanna, nemmeno se mi fosse sempre stata indifferente! Figurarsi dopo che è sempre stata così gentile con me, sempre disposta ad aiutarmi quando avevo bisogno. Vogliamo parlare di te, invece? È tua figlia, eppure hai...»
Carolina lo interruppe: «Con che diritto vieni a casa mia e mi accusi di cose che non sai? Se Giovanna fosse qui a vederti, direbbe che sei un pazzo visionario!»
Alfredo obiettò: «Ti sbagli, Carolina. So bene che sei stata tu. C'ero anch'io. Sei stata tu a convincermi ad andarmene e a fingere di non avere visto. Era solo svenuta, mi hai detto. Si sarebbe ripresa subito, ma dovevo andare via e fare finta di non essere mai stato lì, mi hai detto. Mi hai assicurato che sarebbe stato tutto facile... e invece avevi pensato a tutto, avevi pensato che fosse così semplice dare la colpa a me. E nonostante tutto, sembri non provare la minima vergogna, se adesso fingi di essere la salvatrice che l'ha aiutata a rimettere in piedi la propria vita. Però sappi, Carolina, che prima o poi pagherai per quello che hai fatto. È assicurato, non importa che tu abbia fatto del tuo meglio per farla vivere in un castello di bugie: crollerà, crollerà molto presto. Prima o poi avrai quello che meriti e Giovanna scoprirà chi sei veramente.»
Carolina rimase in silenzio, in apparenza impassibile. Alfredo le aveva già detto tutto, non aveva altro da aggiungere. Le lanciò un'ultima occhiata di fuoco, poi le voltò le spalle. 

Il racconto di Carolina entrò nel culmine. Olimpia non faticò a immaginarsi la scena: una bambina di otto anni che, alla finestra di nascosto, vedeva la nonna accanirsi a colpi di ombrello sulla testa di uno sconosciuto, non appena questo commetteva l'imprudenza di voltarle le spalle.
«Non sapevo cosa fosse accaduto esattamente, ma avevo la certezza di essere in una di quelle situazioni in cui capita di vedere per puro caso qualcosa che dovrebbero vedere soltanto gli adulti» concluse Carolina. «Mia madre era piuttosto rigida su questo, sarà perché aveva una relazione clandestina e doveva gestire tutti i segreti che ne derivavano, ma pensai che non sarebbe stata felice, se mi fossi immischiata nell'affare con cui aveva a che fare mia nonna. Non avevo idea del significato di quello che avevo visto. Non pensavo che quell'uomo fosse morto. Tornai a letto e decisi di fingere di non avere mai visto e sentito nulla. Lo so, non è stata la scelta migliore, ma ero una bambina ed ero spaventata. Era piena notte, o almeno per me lo sembrava. Avrei dovuto dormire, a quell'ora, tanto che, con il passare del tempo, cercai di convincermi che si era trattato solo di un incubo. Iniziai a pensarlo davvero, forse. Mia nonna e mia madre non parlavano mai di quello sconosciuto, quindi iniziavo a credere che non fosse mai esistito. E poi, in ogni caso, non sentii mai parlare di un cadavere, per me quel tizio era vivo e non avevo alcuna ragione per chiedere a mia nonna come mai avesse iniziato a colpirlo con un ombrello. Solo negli ultimi tempi ho iniziato a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle, arrivando a capire.»
«E, sentiamo» la invitò Olimpia, «Cos'hai capito?»
«Ho capito che mia nonna rubava, o comunque trafficava oggetti rubati» rispose Carolina. «Quando ebbe il sospetto di essere sul punto di venire colta sul fatto da mia madre, la tramortì con un colpo alla testa, magari sempre con un ombrello, rischiando di ammazzarla. Poi lasciò che Alfredo - il suo complice nei furti - fosse accusato al posto suo. Non lo fece solo davanti alla legge, ma anche con mia madre. Finse di volerla aiutare, quando forse tutto ciò che desiderava era assicurarsi che non ricordasse... il tutto mentre lei, in segno di riconoscenza, decideva che avrei dovuto portare il suo stesso nome.»
«Tu pensi che tua nonna abbia rischiato di uccidere tua madre - o forse addirittura tentato - eppure vuoi proteggere la sua memoria?»
Carolina scosse la testa.
«Ma no, come fai a non capire? È mia madre che voglio proteggere. Non si merita una simile delusione, di sapere che la donna che l'ha messa al mondo le ha quasi tolto la vita per proteggere i propri affari loschi.»
Olimpia azzardò: «Anche a costo di lasciare che Alfredo Vitale si prenda una colpa che non ha?»
Carolina replicò: «Non ho idea di chi fosse realmente quell'uomo, anche se tutto lascia pensare che non fosse pericoloso. Ormai, però, è morto da decenni, non c'è più niente che io possa fare per lui. Aveva già scontato una condanna ingiusta. Non posso pensare a lui, devo pensare a mia madre. Ha tollerato per tutto questo tempo l'idea che il suo ex fidanzato potesse avere tentato di ucciderla. Non voglio esporla a qualcosa che difficilmente potrebbe tollerar-...»
Si interruppe e si girò verso la direzione che già attirava Enrico. Un uomo sulla sessantina, vestito molto elegantemente, stava venendo verso di loro.
Abbandonata la sua intricata vicenda familiare, Carolina salutò il nuovo arrivato con un "buongiorno, signor Rossini", subito imitata da Enrico. Quello era dunque il padre di Paola, nonché colui che già in passato aveva cercato di impossessarsi dell'attività dei Gottardi.
Olimpia era in dubbio su come giustificare la propria presenza, ma non ebbe bisogno di impegnarsi molto. Fu lo stesso signor Rossini a suggerirle una spiegazione, quando le chiese: «Lei è la signora che si è candidata come cameriera? Barbara... non ricordo il cognome.»
Olimpia annuì con convinzione.
«Sì, sono io.»
Enrico la fulminò con lo sguardo, ma non se ne curò, mentre Rossini la invitava a seguirlo nel suo ufficio per il colloquio: aveva finalmente la possibilità di rimanere da sola con lui e di chiedergli se avesse ingaggiato Vitale per derubare i clienti dell'albergo, se in precedenza fosse stato lui a testimoniare di averlo visto nei pressi dell'abitazione di Giovanna Riva. Poi, se tutto fosse girato per il verso giusto, magari gli avrebbe domandato anche se avesse qualcosa a che fare con il tentativo di omicidio subito al bar.

   
 
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