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Autore: Orso Scrive    19/05/2023    1 recensioni
Alberto Manfredi e Aurora Bresciani ricevono l’incarico di gestire la sicurezza di una mostra dedicata alla storia della frontiera americana. Fare la guardia a vecchi cimeli privi di valore non sembrerebbe essere un incarico molto gratificante, per i due carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale. Ma dovranno presto ricredersi, quando la mostra verrà sconvolta da uno strano furto, che sembra collegato a un’antica maledizione degli indiani d’America e alla scoperta, ai tempi della frontiera, di una miniera misteriosa…
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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18.

 

 

Roma, Italia, marzo 2022

 

 

Pini marittimi, vigneti, paesetti e cascine sparse.

E tanti, tanti cinghiali che grufolavano in libertà.

Questo offrì alla vista di Alberto, Aurora e degli altri tre la campagna laziale, in quella notte interminabile. Questo e niente altro.

Di Black Eagle, nessuna traccia.

Nemmeno l’ombra.

«Non mi sono mai fatto troppe illusioni di ritrovarlo», disse il professor Shelton, con un’alzata di spalle. «Del resto, è un Apache. Un Apache lo trovi solo se vuole farsi trovare. E pare proprio che Ward, di essere ritrovato, non abbia alcuna intenzione.»

Era l’alba. Si erano fermati nel piazzale di un bar che apriva molto presto, essendo lungo una statale. L’ispettrice Esposito e l’agente Martini, stanchi e assonnati, erano entrati per bere un caffè.

Il professor Shelton, le mani in tasca, ammirava il sole che spandeva i suoi raggi all’orizzonte, sui colli romani. Aurora aveva preso una sigaretta dal pacchetto e la stava fumando con lunghe e profonde boccate.

«Mi fa piacere che l’abbia presa così stoicamente, professore», commentò Alberto. «Le garantisco che, in ogni caso, avvieremo un indagine e faremo il possibile per ritrovare il reperto rubato.»

Anche perché, si disse, sono certo che Iannaccone non sarà altrettanto stoico.

«Gliene sono grato!» ruggì Shelton. Poi scrollò le spalle e minimizzò: «Ma, in fondo, il furto di una vecchia terraglia indiana non è poi tutta questa gran cosa. L’importante è che gli speroni di Roosevelt siano rimasti al loro posto, sotto stretta sorveglianza!»

Alberto fissò il professore americano. Rinunciò a cercare di capire se fosse ironico o meno. Si volse verso Aurora.

«Dici che Iannaccone ce la farà passare liscia?» domandò, incerto.

Lei si limitò a prendere una boccata di fumo.

«Il massimo che potrà fare, sarà toglierci l’incarico di fare la guardia alla mostra e trasferirci altrove.» Altra boccata di fumo, prima di soggiungere: «Peccato.»

Il sarcasmo trasudò da quell’ultima parola con una prepotenza tale che Manfredi si sentì attraversare da un’ondata frizzante che non aveva nulla a che vedere con l’aria della mattina primaverile.

«Be’, speriamo che non urli troppo», concluse.

Adesso, almeno, avrebbe avuto tutto il tempo per rifinire i dettagli del piano di incursione nella villa di quel maledetto di Rakovac, per recuperare la Venere impudica e riportarla in Italia.

Tanto vale sorbirsi un po’ di cazziatone da parte di Iannaccone, se questo sarà il risultato.

Il sole, all’orizzonte, aveva ormai fatto capolino e si stava sollevando verso il cielo.

 

* * *

 

Il coperchio del cassonetto dei rifiuti si sollevò di qualche centimetro. Due occhi astuti scrutarono il piazzale, assicurandosi che fosse deserto. Una mano spinse in alto la copertura e Paul Ward saltò agilmente fuori dal cassonetto.

Sotto braccio, aveva il vaso in cui era rinchiusa la strega Skudakumooch.

Tanti anni prima, i suoi antenati preposti a fare la guardia a quel pericoloso recipiente avevano fallito nel loro compito. Un uomo arrivato da lontano era riuscito a trafugare il vaso che, per oltre un secolo, era stato ritenuto perduto.

Perduto e potenzialmente pericoloso, perché se Skudakumooch ne fosse uscita, avrebbe portato la sua piaga su tutta la terra.

Ma ora Black Eagle aveva compiuto il suo compito. Aveva ritrovato il vaso e, presto, lo avrebbe rimesso al sicuro, nelle viscere delle montagne, da dove non sarebbe mai più uscito.

Soddisfatto, l’Apache si allontanò, silenzioso e invisibile come un’ombra.

 
   
 
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