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Autore: Milly_Sunshine    20/05/2023    0 recensioni
La A+ Series è una sorta di evoluzione distopica della Formula 1, in cui i risultati possono essere condizionati dall'alto per esigenze di spettacolo e in cui i piloti sono stati privati totalmente della loro personalità, al punto da dovere tenere segreto il proprio nome e a non potere mai mostrare il proprio volto, riconoscibili soltanto dal colore della vettura che guidano e dal loro numero di gara, oltre che dagli occhi nei rari momenti in cui vengono immortalati con la visiera del casco aperta. Noto sportivamente come Argento Quattro, Yannick è sempre stato l'eterno secondo ed è ben disposto a piegarsi al volere della dirigenza, se questo può portarlo alla vittoria dell'ambito titolo mondiale contro gli avversari Viola Cinque e Rosso Ventisette. Il suo incontro con Alysse, che con la dirigenza della A+ Series sembra avere un conto in sospeso, gli apre gli occhi, ma le nuove consapevolezze si scontrano duramente con le regole della serie: Argento Quattro e i suoi stessi avversari rischiano di ritrovarsi con le loro stesse vite appese a un filo. // Remake di una mia fan fiction sulla Formula 1 pubblicata anni fa su Wattpad.
Genere: Azione, Mistero, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Mancavano appena dieci minuti all'orario in cui sarebbe dovuto partire il giro di formazione. C'erano problemi, grossi problemi: un'avaria tecnica nella sala in cui lavoravano i social media manager sembrava ormai impossibile da risolvere. I tecnici erano all'opera, ma il CEO sapeva che non ci sarebbe stato molto da fare. Aveva mandato Maelle a verificare come procedessero le operazioni e, con il ritorno della Heidelberg, comprese di doversi mettere il cuore in pace.
«Non va ancora niente?»
«No.»
«Maledizione! I tifosi ci contano.»
«C'è una soluzione a tutto» replicò Maelle. «Qui abbiamo un computer funzionante, se non sbaglio.»
«Non permetterò a dei semplici social media manager di sedersi alla mia postazione» obiettò il CEO. «Mi dispiace, ma è fuori discussione.»
Maelle gli strizzò un occhio.
«Può permetterlo a me. Ho fatto quel lavoro per tanti anni, posso fare anche meglio di loro.»
«Una persona come lei è sprecata come social media manager.»
«Sono i social ufficiali della A+ Series a essere sprecati senza di me.»
Il CEO si alzò in piedi.
«Allora si sieda e chiami i suoi ex colleghi per farsi dare le password. Se il loro telefono non va, chiami qualcuno sul cellulare.»
Maelle gli agitò un foglio avanti agli occhi.
«Ho già fatto, le credenziali sono scritte qui.»
«Meglio così» concluse il CEO. «Si metta alla scrivania e si faccia venire in mente qualcosa. La gara sarà sicuramente emozionante, ma i piloti potrebbero fare qualsiasi cosa. C'era addirittura chi proponeva di rientrare ai box dopo il giro di formazione e non partire per la gara per ragioni di sicurezza.»
Maelle ribatté: «Quando i piloti erano veri uomini avrebbero gareggiato con qualsiasi condizione meteo.»
Il CEO obiettò: «Ai tempi dei "veri uomini" la partenza sarebbe probabilmente stata rinviata.»
«Lo so, ma mi stavo calando nella parte. Devo scrivere quello che la tifoseria vuole leggere, non importa che sia vero o meno. La verità è solo un concetto astratto, che di per sé non porta né like né soldi. Viviamo in un castello di menzogne, non importa spingersi sempre un po' più in là.» Maelle, che si era già seduta al computer, si infilò gli occhiali. «Almeno finché il castello non crolla... ma i piloti non riusciranno mai a trovare un accordo per farlo crollare. Hanno paura di perdere tutto, si guarderanno bene da fare anche un solo passo falso.»
La Heidelberg era sempre incredibilmente ottimista. Il CEO era certo che, se glielo avesse chiesto, Maelle avrebbe risposto di essere certa che il Gran Premio del Giappone sarebbe stato meraviglioso, destinato a rimanere sempre scolpito nella storia del motorsport.

[NERO TRENTASEI - Alysse Mercier]
Era sotto un enorme ombrello sorretto da un meccanico e stava ormai per calarsi nell'abitacolo, quando sentì un colpo su una spalla. Trentasei si girò, per ritrovarsi di fronte al proprio compagno di squadra. Erano ormai fuori tempo massimo, ma Trentacinque sembrava desideroso di scambiare le ultime parole prima del via.
«Secondo te questa pioggia calerà?»
«Ne dubito.»
«È da pazzi gareggiare così.»
«Già, senza nemmeno le gomme da bagnato.»
Trentacinque rimase in silenzio per qualche istante, poi all'improvviso scoppiò a ridere.
«Noi, però, un po' pazzi lo siamo, quindi in un modo o nell'altro ce la caveremo!»
«Ho sentito dire che l'impianto di illuminazione non ha superato i collaudi» gli confidò Trentasei. «Se fossi al posto tuo, non sarei così tranquillo.»
«Non sono tranquillo per niente, ma l'impianto ha retto durante le qualifiche e le sprint» replicò Trentacinque, «Quindi sono ottimista. Lo sono nel vero senso della parola: secondo me oggi finiscono tutti fuori pista e arrivo a podio!»
«Te lo auguro, ma il podio è ancora lontano» lo ammonì Trentasei. «Non sentirti troppo sicuro, perché potrebbe finire male.»
«Mi gratterei volentieri là dove non batte il sole, ma non sarebbe un gesto elegante da fare davanti a una signora.»
«Come sai che sono una signora?»
«Ho tirato a indovinare. Invece sono certo che tu non abbia idea di chi sono io.»
Trentasei gli confidò: «I tuoi occhi mi ricordano molto quelli di Karl Percival, ma il colore è un po' diverso. Inoltre penso che tu sia un po' più vecchio di lui. Secondo me hai più o meno la mia età, forse abbiamo gareggiato insieme in seconda divisione.»
Trentacinque concluse: «Se qualcosa dovesse andare storto, tutti i nodi verranno al pettine. Io sarò in prima linea accanto a te, quando sveleremo le nostre identità. E no, non sono Karl.»
Si voltò e si allontanò, diretto verso la monoposto che avrebbe guidato durante la gara. Non si salutarono, ma Trentasei non se ne curò. Non era un ultimo addio, stavano solo per disputare un gran premio.

[ARGENTO QUATTRO - Yannick Leroy]
Non era raro sentire un pilota affermare che, quando si metteva al volante, tagliava fuori qualsiasi altro pensiero, non solo mella A+ Series, dove i piloti dovevano calarsi nell'identità del loro alter-ego, ma anche nelle categorie in cui ciascuno mostrava il proprio volto ed era chiamato con il proprio nome.
Era stato uno di quei piloti, per molto tempo, ma di colpo si trovava nell'impossibilità di tagliare fuori tutto il resto: Yannick continuava a prevalere, gli era difficile essere Argento Quattro. Scattava a centro griglia, ormai era il momento del giro di formazione, ma sapeva di non potere stare tranquillo. Si sforzò di concentrarsi, quando dovette accodarsi alle vetture che lo precedevano.
Era un delirio, guidare in quelle condizioni sulle gomme da asciutto. Argento Quattro cercava sempre di minimizzare, ma iniziava a rendersi conto di quanto le slick complicassero le cose. Con un simile quantitativo di pioggia, sarebbe stato necessario guidare quasi alla cieca. Non era assolutamente auspicabile dovere anche pattinare sull'asfalto quasi allagato.
Già completare il giro di ricognizione fu un'impresa. La gara sarebbe stata molto peggio, di quelle da non vedere l'ora che arrivasse la bandiera a scacchi, sempre ammesso che non terminasse anzitempo. Per una volta, si rese conto Quattro mentre era di nuovo in attesa sulla griglia di partenza, non sarebbe stato così terribile subire un guasto al motore nelle fasi iniziali. Avrebbe addirittura potuto lasciare il circuito in largo anticipo e non essere presente qualora i suoi colleghi avessero deciso di commettere qualche pazzia istigata da Alysse.
I semafori iniziarono ad accendersi: una luce rossa, due luci rosse, tre luci rosse, quattro luci rosse, cinque luci rosse.
Si spensero, dando il via alle danze: un ballo macabro fatto di spray e di scarsissima visibilità. Da qualche parte, molto più avanti, Tre doveva essere leader della gara, l'unico che non doveva vedersela con l'acqua alzata da altre vetture.
Quattro non riusciva a stare in scia al pilota che lo precedeva. La monoposto andava da tutte le parti, tranne dove avrebbe dovuto. Mantenerne il controllo per oltre cinquanta giri sarebbe stato un atto eroico, qualsiasi cosa ne pensassero quei coglioni che, seduti sul divano con lo smartphone in mano, affermavano puntualmente che i piloti degli anni 2020 non valessero nemmeno un decimo di quelli di un generico passato che avrebbe potuto essere indistintamente il 1950, il 1975 o il 2000.

[ROSSO VENTOTTO - Ryuji Watanabe]
Per la prima volta da quando aveva lasciato le corse americane, rimpiangeva ferocemente le corse americane. Con un meteo del genere, in Indycar, a nessuno sarebbe mai passato in testa di scendere in pista. Ventotto non aveva mai guidato in quelle condizioni, se non talvolta nelle formule minori giapponesi. Nelle formule minori giapponesi, tuttavia, esistevano le gomme da bagnato estremo e, in generale, i piloti non erano mandati incontro a una potenziale morte solo per intrattenere un pubblico affascinato dal macabro.
Quella gara sarebbe stata uno strazio e quasi Ventotto fu sollevato, quando dopo un testacoda si ritrovò in una via di fuga. Per un attimo ebbe l'impressione che la sua gara fosse finita, ma non lo era, il motore era ancora acceso.
Ripartì. Non aveva idea di quale posizione occupasse, forse una delle ultime, ma non riuscì ad averne la conferma dal proprio box, perché la radio funzionava a tratti. Gli era parso di intravedere bandiere gialle, in precedenza, oltre che sagome che potevano essere mezzi di soccorso. Dovevano esserci stati vari incidenti e ritiri, anche se non era entrata alcuna safety car, né il direttore di gara aveva esposto quella bandiera rossa che in altre occasioni era stata tirata in ballo per molto meno.
Era l'Apocalisse dei gran premi della massima categoria e un giorno raccontare di averla vissuta in prima persona sarebbe stato motivo di vanto. Prima, però, era doveroso uscirne vivi e cercare di mantenere la lucidità, impresa sempre più difficile. Ventotto non riusciva nemmeno più a distinguere se la pioggia fosse costante, oppure se stesse aumentando. Tutto ciò che comprese era di avere di nuovo perso il controllo della vettura che stava guidando.
Non trovò una via di fuga, ma una barriera, contro la quale impattò ad alta velocità. La monoposto resse l'impatto: Ryuji Watanabe, ex pilota di Indycar che gareggiava con il nome di Rosso Ventotto, era giunto alla fine prematura del proprio gran premio di casa.
Si slacciò le cinture e rimosse il volante per scendere dall'auto. Il botto che aveva fatto era stato piuttosto pesante, ma il sollievo di essere vivo e fuori da quell'incubo prevaleva su ogni cosa. Sotto le luci soffuse dei lampioni, si avviò a piedi verso i box, che non erano molto lontani. Era ormai giunto a destinazione quando, all'improvviso, sul tracciato calò l'oscurità.
In lontananza le luci colorate delle monoposto erano puntini che facevano contrasto con il nero della notte di Suzuka. A Ryuji - ormai non si vedeva più come Ventotto - servirono diversi istanti per rendersi conto di cosa fosse successo: l'impianto di illuminazione del circuito era saltato.

[NERO TRENTASEI - Alysse Mercier]
Aveva volato, ribaltandosi. Era girato di novanta gradi, contro una barriera. C'era stato un contatto con un'altra monoposto. All'improvviso era tutto buio. Trentasei si chiese se fosse quella la fine, mentre giaceva immobile all'interno di ciò che restava della monoposto.
Era quella la morte? Alex aveva provato sensazioni simili, quando era stato avvelenato? Oppure Tina Menezes, al momento del suo incidente a Montecarlo?
Quel pensiero fu interrotto da un colpetto che sentì sul casco e poi una voce a malapena comprensibile.
«Stai bene?»
Nero Trentasei si mosse dentro l'abitacolo, per dare un segnale. Non stava morendo, anche se non vedeva più nulla. Sentiva la pioggia, così come percepiva qualcuno che cercava di prestargli aiuto. Non seppe dire come ne venne fuori, ma una volta uscito notò in lontananza, oltre che il rombo di qualche motore, qualche luce posteriore accesa, così come le più piccole luci decorative che risplendevano sulle monoposto ancora in pista.
Cercò di mettere a fuoco nell'oscurità, dove doveva esserci la persona che l'aveva aiutato a tirarsi fuori dalla vettura. Si guardò intorno e, girandosi, notò un monitor, che trasmetteva le immagini della gara. Era tutto buio, si vedevano appunto solo le stesse luci delle auto che vedeva anche Trentasei.
«È saltata la luce?» chiese.
«Sì» rispose qualcuno, accanto a lei.
«Chi sei?»
«Quattro. Tu?»
«Alysse.»
Quel nome venne fuori spontaneo. Ormai Nero Trentasei non c'era più e, se non fosse stato per quella pioggia maledetta, non avrebbe avuto problemi a togliersi il casco in quel momento stesso.
«Avevi ragione» disse Yannick, «Per loro non conta niente se siamo vivi o morti. Siamo solo pedine su una scacchiera.»
«Cosa ti è successo?»
«Non lo so. Di colpo una vettura mi ha travolto e ha iniziato a volare. Eri tu?»
«Penso di sì, ma non come sia andata.»
«Non importa.» Yannick scattò verso di lei e la strinse in un abbraccio. «Hai sempre avuto ragione tu.»
Alysse fu tentata di liberarsi, ma si lasciò andare. Il suo lato razionale le suggeriva di voltare le spalle a Yannick, ma non se la sentiva. Le aveva fatto molto male, era vero, ma un tempo aveva creduto di essersi innamorata di lui e sembrava che finalmente stesse dalla sua parte.
Lo strinse a propria volta e lo pregò: «Portami dagli altri. La luce è saltata. Non è andato tutto bene.»
Yannick non si oppose. Si avviarono a piedi verso il paddock, consapevoli che la A+ Series sarebbe cambiata per sempre.
Trovò la maggior parte dei suoi colleghi radunati, alcuni senza casco. Fece lo stesso, se lo tolse e si espose ufficialmente.
Alcuni dei piloti con cui si era accordata stavano trafficando con cellulari e altri mezzi elettronici. Axel Frosch le disse che alcuni di loro avevano già fatto un video in cui rivelavano le proprie identità e le chiese se fosse già pronta.
Yannick - Argento Quattro, indossava ancora il casco - obiettò: «Non sarebbe meglio aspettare che ci siano tutti?»
«No» replicò Alysse, con fermezza. «Dopo potrebbe essere troppo tardi. In più alcuni piloti sono ancora in gara. Dobbiamo pubblicare il video in cui divulghiamo la nostra identità il prima possibile, non appena la gara sarà finita... oppure» contò almeno tredici piloti presenti, «quando tutti finiranno fuori pista.»
Non ne mancavano più molti, magari il suo compagno di squadra sarebbe stato il prossimo a raggiungerli. Non andò così e ad arrivare fu Ryuji Watanabe, che teneva in mano il proprio casco. Alcuni dei presenti si stupirono nel riconoscere l'ex pilota di Indycar come un loro collega.
Non fu necessario attendere molto affinché arrivassero anche altri: il gran premio stava proseguendo al buio. Alla fine si radunarono tutti e presero tutti parte al video rivelatore.
Tutti tranne uno: all'appello mancava Nero Trentacinque.

[STANZA DEI BOTTONI - CEO & Maelle Heidelberg]
Di solito l'assistente era una donna pragmatica, poco propensa a perdersi d'animo. Il CEO rimase impressionato dal suo sguardo allucinato. Aveva lavorato incessantemente, seduta davanti al computer e con gli auricolari alle orecchie, dando segno di cavarsela nonostante il susseguirsi frenetico degli eventi. Non dovevano esservi molte ragioni di turbamento per lei, quindi fu facile azzardare la possibilità più ovvia.
«È per il blackout, vero? Per tutti gli incidenti che avrebbero potuto generare audience se solo ci fossero delle inquadrature decenti?» Il GPS dava tutte le monoposto ormai ferme, una vera carneficina, nonostante si contasse un solo pilota che non era sceso dalla vettura. «Non pensa che l'assenza di immagini possa comunque essere sfruttata in qualche modo? È affascinante non sapere cosa sia successo esattamente. Non...»
Togliendosi gli auricolari, Maelle lo interruppe: «È appena successo un disastro, direttore. Axel Frosch ha rivelato la propria identità tramite i propri profili social, ha detto di avere avuto una relazione con Tina Menezes e ci ha accusati di averlo fatto di proposito.»
Il CEO si irrigidì.
«Ecco un altro coglione. Non fa nulla, sarà radiato.»
«Anche Hamster Gangster si è rivelato, così come Ricky Scarpelli. Anche loro hanno lanciato accuse a proposito dell'incidente della Menezes.»
«Tre piloti da radiare in un colpo solo non sono una passeggiata, ma ce la cambieremo, anche se a conti fatti avremmo fatto meglio a radiare loro piuttosto che il piccolo principe Silberblitz.»
Maelle, guardandolo negli occhi, chiarì: «Non sono solo loro tre. Ci sono quasi tutti. Possiamo radiarli, certo, ma ci ritroveremo senza piloti e l'opinione pubblica sarà contro di noi. C'è perfino Yannick Leroy. E Alysse Mercier dice addirittura che probabilmente suo marito è stato ucciso perché non era abbastanza discreto a proposito della sua partecipazione a un documentario nel quale veniva falsificata la storia della Formula 1 e della A+ Series.»
«Merda» sibilò il CEO. «E la gente? Cosa dice la gente sui social? Da che parte sta?»
Lo sguardo di Maelle valeva più di mille parole.
Il CEO ruppe il silenzio, riprendendo: «Credo sia meglio discutere a lungo del da farsi. Le va di prendere un tè? Ho bisogno di zuccheri, per riflettere.»
Maelle fece per alzarsi in piedi.
«Vado a prenderli giù al distributore automatico.»
Il CEO la fermò.
«No, vado io. Lei continui a leggere i commenti e poi mi aggiorni.»
Uscì in corridoio, ormai certo che fosse finita. Era un vero peccato che i piloti avessero scelto di comportarsi in maniera così scellerata. Il CEO sapeva di avere perso. Fece ciò che doveva fare, poi tornò per sentire la conferma dalla bocca di Maelle.
«È successa anche una cosa bella» cercò di rassicurarlo la Heidelberg. «I soccorsi hanno raggiunto Nero Trentacinque. Niente respiro, niente battito cardiaco, niente segni di vita. C'è ancora un pilota senza nome.»
In altri momenti una sepoltura e una tomba anonima avrebbero riempito il CEO di soddisfazione, ma era plausibile che, accanto all'evento epocale appena accaduto, un banale incidente mortale passasse quasi inosservato.
«È la fine» mormorò il CEO, allungando a Maelle il tè.
La Heidelberg lo bevve tutto d'un colpo. La guardò morire allo stesso modo in cui era morto Alexandre Mercier. Teneva ancora in mano il proprio bicchiere. Doveva solo scegliere quanti istanti ancora volesse vivere. Non si sarebbe mai abbassato ad assistere alla conclusione del prodotto in cui aveva tanto creduto: sapeva che la A+ Series per come l'aveva concepita già non esisteva più.

   
 
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