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Autore: _sweetnightmare_    21/05/2023    0 recensioni
Bologna, 1276. La città, occupata nella lotta tra Guelfi e Ghibellini, vede intrecciarsi le vite di una giovane nobildonna, Fiamma, e quella del suo amante.
Dal primo capitolo:
" Ma ora, finalmente, sapete tutta la verità e quel che mi portò a questo ignobile gesto. La libertà di una donna, scambiata per quella di una puttana, l'amore verso ciò che c'è di più sacro al mondo...di quella, Padre, non sarò mai pentita."
Genere: Drammatico, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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In nomine Patris



Si dice che tutti noi siamo figli del nostro tempo. Ebbene, a quasi trent’anni e con una nuova vita in grembo, posso dire che è vero. Non fraintendermi, rivedendo ciò che è stata la mia vita fino ad ora, non posso dire di essere stata la figlia perfetta.
Nemmeno la donna.
O la moglie.
Questa società ci vuole obbedienti, taciturne.
Creature perfette, eteree. Così come la maggior parte dei poeti scrive di noi.
Sai, Teresa mi diceva sempre che ero troppo per la mia età ed il mio rango.
Troppo sfacciata.
Troppo vivace.
Troppo permalosa.
 
“Fiamma, vieni qui”.
Una bambina dai lunghi boccoli chiari e dagli occhi verdi pieni di vita correva per le vie del mercato, facendosi spazio tra le gonne delle dame e le zampe dei cavalli. Inciampava, saltava, poi all’improvviso si fermava osservando un cesto caduto e raggiungeva Teresa, che cercava di contrattare con il mercante per riparare al danno causato dalle sue corse sfrenate e disattente. Bastavano i suoi occhi dolci per risolvere ogni questione e, dopo aver sentito la fatidica frase “dovrebbe stare più attenta alla bambina”, Teresa la afferrava per una mano e la stringeva forte, prima di allontanarsi a passo più svelto.
Non riusciva ad essere dura con lei: ogni monelleria aveva una scusa pronta, anche davanti a suo padre.

 
Penserai che fosse sempre pronta a giudicarmi. Non è così.
Mia madre è morta quando avevo pochi giorni. Si chiamava Eleonora. Teresa diceva che aveva il mio stesso portamento, o meglio, che io fossi molto simile a lei. Mi ha sempre raccontato di come lei riuscisse a guardare il lato positivo di ogni cosa e di come trovasse del bene anche nella situazione più spiacevole. Teresa è stata scelta da Gregorio, mio padre, perché si occupasse di lei quando lui era a Roma e non poteva svolgere uno dei ruoli, il più importante, che un marito giura quando prende per mano la sua sposa: prendersi cura di lei in ogni circostanza.

 
“Vedete, Teresa… guardare sempre il lato positivo aiuta a vivere la vita con maggior serenità. Anche l’esperienza più brutta può essere più facile da affrontare, se la osservate con letizia e gaiezza. E’ la via che a noi è concessa per la beatitudine. Spero che un giorno riuscirò a insegnare a mio figlio questo modo di intendere la vita, lo aiuterà a sopportare ogni cosa”. Eleonora si massaggiò la pancia con movimenti lenti e circolari. Secondo la levatrice il termine della gravidanza sarebbe stato dopo un paio di mesi, ma la donna sentiva dentro di sé che avrebbe dato alla luce suo figlio molto prima. Già da qualche giorno avvertiva dei movimenti strani all’interno della sua pancia, piccoli scalpiti degni di un puledrino che voleva vedere il sole il prima possibile. Sorrise, pensando a come sarebbe stato, a chi avrebbe assomigliato di più. Se avesse preso in eredità i suoi occhi scuri, o i suoi capelli biondi. Se avesse avuto la sua pazienza, o fosse stato testardo come suo marito, o ancora gentile e buono come entrambi. Spesso si tratteneva a chiacchierare con Teresa, mentre era intenta a ricamare piccoli lenzuolini per suo figlio. Confidava a lei le sue preoccupazioni sul diventare madre, e su quanto fosse felice che la sua giovanissima età le avrebbe permesso di crescere mano nella mano con il suo bambino. A volte, poi, il suo sguardo sempre allegro tradiva un velo di malinconia, ma subito veniva scacciato da una battuta di spirito su quanto fosse viziata e coccolata.

 
Dopo la morte di Madonna Eleonora, mio padre aveva ritenuto importante che non mi fosse mai mancata una figura femminile a cui rivolgermi in ogni momento in cui ne avrei avuto bisogno e siccome Teresa era ormai parte della nostra famiglia, la responsabilità delle mie cure era passata a lei.
Teresa aveva accettato di buon grado il compito di curarmi in tutte le mie fasi della vita e, dopo qualche anno, tra me e lei era cominciata a esserci un’affinità che avrebbe fatto invidia a qualsiasi altro rapporto naturale di madre e figlia. La mia presenza aveva reso le sue giornate ancora più piene e, pian piano, anche il dolore di non aver potuto stringere tra le braccia un figlio suo si era fatto più lieve, fino a scomparire.
Non ho mai davvero provato dolore per l’assenza di una madre.
Non si può sentire la mancanza di qualcuno che, di fatto, non hai mai conosciuto. Non fraintendermi, ti prego: ne sono innamorata, ma di un amore che si può provare verso il protagonista della tua fiaba preferita, quella che ascolti ogni sera prima di andare a dormire.
Ogni mia giornata si apriva con la luce del sole che entrava dalla finestra, la più grande di tutto il palazzo, e con lo sguardo di Teresa e il profumo delle pagnotte con il miele che sfornava apposta per me.
Non immagini quanto mi manchi.
Da bambina spesso l’aiutavo: la seguivo fino alle cucine e non le permettevo di fare nulla fin quando non versava per me una montagnetta di farina e acqua sul tavolo in legno, pieno di solchi e sempre occupato da qualcosa di buono da mangiare, ora una pagnotta, ora un dolce o l’arrosto per la cena. Era uno dei miei passatempi preferiti, quello di stringere nelle mie mani quell’impasto appiccicoso ma che per me era perfetto.
Nonostante passassero gli anni, quel momento tra me e lei c’era ogni giorno, la pausa tra una lezione di arpa e una di latino.
 
 
“Oh, Fiamma, Fiamma…”, sospirò la donna, intenta rompere le uova all’interno della piccola montagnetta di farina che la ragazza aveva in parte distrutto giocando a farla scorrere tra le dita.
“E’ tempo che noi due facciamo un discorso…”, annunciò poi seriamente, cominciando a unire insieme gli ingredienti con le mani. Anche Fiamma sospirò. Sentiva di star crescendo, e questo non avrebbe mai potuto sopportarlo. “Obblighi da brava dama. Oh, attento messere! Non guardatemi così, vi prego…” disse ironica, mentre girava intorno al tavolo e roteava in alto le mani creando in aria movimenti strani.
“Finirete per imbarazzarmi, mio signore”, finì poi, affondando distrattamente la mano nell’impasto morbido che stava preparando Teresa e sporcandosi il vestito di farina. La balia la guardò, non riuscendo a trattenere una risata, seppur sommessa. Quando Fiamma era lì, sembrava che al palazzo fosse estate tutto l’anno, anche nei mesi più freddi o nelle giornate più tristi.
 

Della mia istruzione, invece, se ne faceva carico mio padre: era orgoglioso di avere una figlia e, proprio in virtù di questo, voleva che la cultura nella mia vita non venisse meno.
Sai, a differenza di tante altre donne, io ero molto più libera: libera di studiare, libera di viaggiare.
Libera di disobbedire.
E di sbagliare.
Riderai appena ti racconterò di tutte le volte che Teresa era in ansia per me. Se da bambina mi limitavo a rubare le mele dai cesti in vimini quando andavamo al mercato, da più grande scappavo e al mercato ci andavo da sola.
 

“Questa è l’ultima volta che copro una sua bugia. Se suo padre verrà da me, giuro su ciò che ho di più ca…”.
Le porte si spalancarono e Fiamma corse verso la cucina, tenendo le punte dei piccoli piedini alzate, come il vestito troppo lungo per la sua altezza. Aveva quattordici anni, lunghi capelli castani raccolti in un insieme di trecce e perle, e un cesto di lavanda tra le mani. Teresa la osservò: pian piano il suo corpo si stava trasformando in quello di una donna, i fianchi si facevano più larghi, la vita più stretta e dalla scollatura dell’abito cominciavano a sporgere le prime forme di un seno ancora poco sviluppato.
“Lo so, lo so. Ho fatto tardi ancora una volta, ma sai che quando vado in città il tempo passa così velocemente…”. Posò il cesto pieno di fiori sul tavolo e immerse il dito nella montagnetta di farina sul tavolo di legno, per poi sporcare la punta del naso della balia. Lo sguardo di Teresa, dapprima nervoso e preoccupato, lasciò il posto ad uno più comprensivo e paziente. Sapeva bene quanto Fiamma adorasse la vita cittadina, e il fatto che la vita le aveva negato l’amore di sua madre e la costante presenza di suo padre, la portava a consentirle quelle libertà che poche altre donne potevano vantare, anche a costo di mentire al suo signore.
 

Non immagini cosa voglia dire respirare la vita fuori dalle mura del palazzo.
Lontano dai doveri, per un solo istante.
È stato proprio al mercato che, un giorno di aprile, la mia vita è cambiata.
Cerca il foglio con l’impronta di una camelia rossa al centro.
Il racconto continua lì.
 
   
 
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