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Autore: Fiore di Giada    26/05/2023    0 recensioni
− Però… Però, nonostante tutto, sono fiero di averti conosciuto e amato come un fratello. La sorte, in questo, mi è stata amica e non posso non ringraziarla. − concluse. Certo, il dolore non si allontanava, ma non poteva negare la sua fortuna.
La fierezza di Riccardo aveva irradiato la sua mente, rafforzando i suoi propositi.
Doveva onorare la sua memoria e contribuire al mutamento della società.
Si irrigidì, come un militare, e alzò il pugno sinistro.
− Tornerò a trovarti, quando potrò. Tu sarai il mio modello. − promise.
Poi, girò le spalle e, a passo rapido, si allontanò dal cimitero.
[Partecipante alla challenge "Solo i fiori sanno" col prompt "Gerbera gialla", ossia "gloria".]
N.B.: per ragioni logistiche, i partigiani usavano spesso nomi diversi da quelli di battesimo.
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Nuvole grigie, dai riflessi metallici, coprivano il cielo e, di tanto in tanto, il brontolio del tuono rompeva il silenzio, come la detonazione di un cannone.
Un vento gelido soffiava tra le tombe del cimitero di Fiesole, sollevando polvere e foglie cadute.
Un uomo alto e magro, avvolto in un cappotto nero, a passo rapido, percorreva il cimitero.
Un cappello panama nero copriva il suo viso e, tra le mani, stringeva un mazzo di gerbere gialle.
L’uomo si fermò davanti ad una lapide rettangolare, poggiò il mazzo di fiori sulla terra umida e si inginocchiò.
Per alcuni istanti, rimase immobile, poi si tolse il cappello.
Una folta chioma castana circondò il suo viso dai lineamenti affilati, su cui spiccavano gli occhi nocciola, dal taglio allungato, screziati d’oro.
Deboli sospiri sollevarono il suo petto e le lacrime bagnarono le sue guance. Quella tomba ricordava l’esistenza eroica del suo amico Riccardo Grazzini.
La sua mano, leggera, sfiorò il marmo. L’ultimo, terribile conflitto mondiale aveva distrutto l’Italia e l’aveva condannata ad una odiosa guerra civile.
Riccardo, fedele alla formazione socialista e strenuo oppositore al regime fascista, aveva aderito alla forte Brigata Matteotti.
E lui, Guido Berti, lo aveva seguito.

Si passò una mano sugli occhi e fissò lo sguardo sul centro della lapide, su cui spiccava la foto di un giovane uomo dai folti capelli neri.
Il suo viso, dai lineamenti forti, era rischiarato dagli occhi grigi, che, fieri, risoluti, fissavano l’obiettivo.
Sotto la foto, a caratteri dorati, risaltava la scritta:

 

Riccardo Grazzini
23/11/1920 – 12/7/1944

Con cuore indomito e sguardo fiero, offrì in olocausto la sua bella giovinezza
al sogno di una patria libera dai lacci dell’invasore.


− Dovevamo sopravvivere e costruirci un futuro… Perché non mi hai permesso di aiutarti? − mormorò Guido. Riccardo, con la sua presenza forte, irradiava carisma, come un riflesso luminoso.
Nessuna impresa sembrava turbare il suo animo indomito.
In lui, che pure era tanto allegro, si celava un lato malinconico, che anelava alla libertà.
Guido sospirò. Il nazifascismo, con la sua crudeltà, aveva strappato a Riccardo la sua famiglia, colpevole d’essere socialista.
Come un pugno, tale tragedia aveva colpito Riccardo, distruggendogli l’anima.

Cupi, seri, erano tornati nella casa del vecchio contadino Angelo Carboni, che aveva offerto loro ospitalità.
Riccardo, di solito espansivo, si era chiuso in un silenzio fiero, doloroso, straziante. Era stato costretto a constatare la distruzione della sua famiglia.
I fascisti, sotto gli ordini dei tedeschi, cercavano lui, colpevole di colpire con le bombe qualsiasi loro mezzo.
E non avevano mostrato nessuna pietà per la sua vecchia nonna, Ada, e suo fratellino, Francesco.

Per alcuni istanti, Riccardo aveva camminato per la sala da pranzo, la testa china sul petto.
− Non calmerai così il dolore, ragazzo! Mi consumerai solo il pavimento. – aveva detto ad un tratto il contadino, serio.
Riccardo, d’istinto, si era fermato e aveva fissato i suoi occhi neri nelle iridi cerulee dell’uomo.
− Non sei meno uomo, se piangi ora. Ma non mollare. Questi tempi hanno bisogno di uomini e donne coraggiosi. E voi due siete così. – aveva detto.
Gli aveva lanciato uno sguardo serio e lui, d’istinto, aveva annuito. Quel contadino, a cui erano stati tolti due figli, si era mostrato d’una saggezza meravigliosa.
− E ora vado a controllare le galline. Voi, in caso di assalto dei tedeschi, sapete cosa fare. – aveva dichiarato.
− Signor Carboni… Grazie. – aveva mormorato lui, il cuore palpitante di commozione. Il suo pensiero, in quel momento, era corso a suo zio Antonio, stroncato da un forte colpo apoplettico.
Il contadino aveva alzato le spalle ed era uscito, chiudendosi la porta dietro di sé.

Si era alzato e aveva appoggiato le sue mani sulle spalle dell’amico. 
Per alcuni istanti, Riccardo era rimasto immobile, poi aveva alzato su di lui uno sguardo umido di lacrime.
Aveva stretto la mascella. Quell’espressione, così sofferente, trafiggeva il suo cuore, ma non doveva lasciarsi intrappolare da una inutile compassione.
− Piangi pure. Potresti non averne più il tempo. – aveva dichiarato, il  tono apparentemente tranquillo. 
A quelle parole, con un grido soffocato, Riccardo si era gettato tra le sue braccia.
− Li odio… Li hanno ammazzati… − aveva gridato, le mani strette attorno alla sua maglia.
Gli aveva stretto le braccia attorno alle sue spalle e gli aveva accarezzato i capelli. 


− La mia previsione si è avverata… − mormorò Guido, amaro.  Riccardo, pur dilaniato da quell’evento, non si era lasciato sopraffare.
Con rinnovato vigore, aveva incitato i suoi compagni e le sue compagne alla lotta.
Il suo senso di giustizia era alimentato dall’odio e dal dolore.
In onore della sua famiglia, non era disposto a cedere.

− Hai mantenuto la tua parola, amico mio. Hai lottato come un leone. − mormorò. Per il suo ardimento, Riccardo Grazzini era stato soprannominato Il lupo.
Mai avrebbe abbandonato un compagno ferito, se non per salvare il resto della sua banda.
E avrebbe scaricato l’intero caricatore del suo mitragliatore sten su fascisti e nazisti.
I nazifascisti tentavano di intrappolarlo, ma lui, con la sua intelligenza, riusciva a sfuggire alle loro trappole.
Ma una delazione avrebbe spezzato la sua vita eroica.

Tutti e due, accompagnati da alcuni compagni e compagne, avevano deciso di ritirarsi temporanemante nella campagna. Una delle loro compagne, Vittoria Marino, aveva proposto di rifugiarsi da una sua parente.
Presto, però, erano stati aggrediti da una formazione nazifascista.
L’angoscia si era impadronita di loro. Chi mai aveva potuto condannarli?
Non c’era però il tempo di simili, tristi domande.
Come grandine, da entrambe le parti, erano piovute le pallottole e, ben presto, corpi si erano ammucchiati in posizioni grottesche, umidi di sangue.
Nessuno di loro era disposto a cedere a quei codardi.
Riccardo era sempre in prima linea, armato del suo mitragliatore e, accanto a lui, Vittoria sventagliava il suo Beretta Mab.
Lui aveva quasi sorriso, malgrado la situazione disperata.
Riccardo e Vittoria, pur non essendo quasi mai concordi, erano sempre in prima linea, vicini.
Il filo rosso del coraggio li univa in un legame indissolubile.

Ad un tratto, un rumore di camion era echeggiato nell’aria.
Riccardo era sbiancato. Due suoi compagni erano stati feriti e le loro munizioni stavano diminuendo.
Quei vili, invece, avevano ricevuto rinforzi.
Poi, il suo sguardo si era indurito, simile ad una divinità della vendetta. 
− Giovanni, Renato, portate in salvo i nostri compagni! Non devono cadere nelle mani di questi stronzi! − aveva imprecato, lo sguardo ardente di odio.
Il cuore gli si era infranto. Riccardo aveva chiamato lui e Vincenzo Santoro coi loro nomi da battaglia.
La situazione era disperata, ma lui, fedele al suo onore adamantino, voleva dare una possibilità ai loro amici feriti di salvarsi.
E lui e Vincenzo avevano il corpo di sportivi professionisti.
− Torneremo presto. − aveva detto Vittoria, dura, gli occhi neri scintillanti sul viso pallido.
Avevano annuito, avevano sollevato i loro amici feriti e si erano allontanati, i cuori grevi d’amarezza. Erano ben coscienti del prezzo della loro missione.
Eppure, il dolore non diminuiva.


− Non siete tornati. Siete morti. Ma, grazie a voi, noi siamo salvi. Abbiamo potuto costruirci una vita.  Ma questo non mi rende felice. Tu dovevi vedere l’Italia libera. E dovevi sposare Vittoria. − mormorò Guido. Un grumo di dolore, come un sasso, opprimeva il suo cuore.
Nemmeno le lacrime, che pure bagnavano le sue guance, davano sollievo alla sua anima.
− Non riesco a perdonarmi di non avervi salvato. Voi dovreste essere qui, con me. Soprattutto tu, amico mio. − proseguì.
Fissò per alcuni istanti la foto tombale. 
− Però… Però, nonostante tutto, sono fiero di averti conosciuto e amato come un fratello. La sorte, in questo, mi è stata amica e non posso non ringraziarla. − concluse. Certo, il dolore non si allontanava, ma non poteva negare la sua fortuna. 
La fierezza di Riccardo aveva irradiato la sua mente, rafforzando i suoi propositi.
Doveva onorare la sua memoria e contribuire al mutamento della società.
Si irrigidì, come un militare, e alzò il pugno sinistro.
− Tornerò a trovarti, quando potrò. Tu sarai il mio modello. − promise.
Poi, girò le spalle e, a passo rapido, si allontanò dal cimitero.

   
 
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