Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |      
Autore: Ginevra Gwen White    26/05/2023    0 recensioni
E se OUAT incontrasse Lost?
Genere: Drammatico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Gli occhi di Emma Swan si aprirono di colpo.

Fronde verdi si riflettevano nelle sue iridi color del cielo. Ci misero un po' a mettere a fuoco lo spazio circostante. Sembrava avessero dormito per secoli. Emma li batté un paio di volte e provò ad alzarsi, ma una fitta all'addome la rispedì giù.
Analizzò con lo sguardo la situazione. Era circondata da una vasta quantità di alberi. Se il pensiero non fosse stato così assurdo, Emma avrebbe detto che si trattava di una giungla. All'orecchie le giunse il frinire pigro di insetti sconosciuti e il fruscio incessante del vento fra le foglie piatte e grandi. Un ciclone di fiori colorati abbagliava la vista con le sue bizzarre tonalità.

Emma ebbe uno spasmo alla mano che strinse incoscientemente un mucchio di terra bruna. Da un polso pendeva un paio di manette.
Dove si trovava? La donna chiuse nuovamente gli occhi e si massaggiò la testa, confusa e disorientata. Cercò di ricordare dove fosse poco prima, ma il cervello non ricevette alcun segnale. Si impose di respirare a fondo e provare ad alzarsi di nuovo. Contò fino a tre e si diede una spinta potente. Riuscì a mettersi in piedi e si poggiò su di un tronco, puntellandosi con un gomito. Un forte tramestio di foglie, come di qualcuno che si avvicinava, la fece sussultare ed Emma si voltò allarmata per fronteggiare la presunta minaccia; dalle frasche cadenti si rivelò un dalmata, che si pose ai piedi di Emma e uggiolò spaventato.
Lei tirò un sospiro di sollievo e si abbassò leggermente per accarezzarlo. La manetta tintinnava fastidiosamente.

Tutt'intorno regnava una calma innaturale. Emma si rialzò e decise che la cosa più logica da farsi fosse dirigersi verso il percorso compiuto poco prima dal cane. Magari avrebbe trovato il suo padrone e perlomeno ne avrebbe capito di più di quell'assurda storia. Doveva di sicuro aver sbattuto la testa piuttosto forte per non essere capace di ricordarsi gli eventi di quelle ultime ore.
La donna si avviò per quella direzione e il dalmata si mise ad abbaiare per avvertirla di un pericolo. Emma non se ne curò e continuò a calpestare le foglie secche. La parte razionale del suo cervello le suggeriva che qualcosa non quadrava e che probabilmente era successo qualcosa di brutto.
Il fogliame le cadeva incessante davanti agli occhi e, dopo un po', Emma prese a correre. Ora i rami e le liane la frustavano senza pietà, cercando di impedirle il passaggio, quasi a proteggerla da ciò che avrebbe trovato aldilà.

Il silenzio di poco prima fu man mano sostituito da nuovi rumori. Urla, ronzii metallici, tonfi improvvisi. Sebbene in preda ad una commozione cerebrale, Emma fu investita da un macabro presentimento, che la attorcigliò in una spira di panico. Si fermò, ansimante e si piegò sulle ginocchia, chinando la testa in avanti.
"Cosa fa un ladro quando viene scoperto?" pensò, le parole di una persona che non voleva ricordare le si materializzarono nella mente. Respirando malamente, si rispose: "Non deve lasciarsi prendere dal panico. Deve pensare con lucidità e cercare la strada migliore per scappare."
Emma sarebbe tanto voluta scappare, ma qualcosa la spingeva verso la spiaggia. Il desiderio infantile di chiudere gli occhi per far sparire tutto la sfiorò, ma proseguì ugualmente con risolutezza, preparandosi alla scena che avrebbe presto avuto davanti.

Scostò le fronde. Uno spettacolo confusionario e terribile. Fumo. Un aereo in mille pezzi. Palme cadute. Persone che piangevano, persone che urlavano. Cadaveri. Un uomo risucchiato da una turbina.
Emma guardò il tutto con gli occhi di un’altra persona. Non voleva crederci. Prese a camminare a passi claudicanti in mezzo a quel caos.
Un ragazzo giovane urlava un nome, guardandosi attorno. Un signore anziano gridava, avvolto dalle fiamme. Una bambina bionda chiamava il padre, piangendo. L'istinto la diresse verso quest'ultima, spostandola poco prima che un grosso pezzo di metallo la mettesse sotto.
Emma si districò dai rottami sui quali era caduta. — Stai bene? — domandò alla bambina. La piccola aveva il viso sporco rigato di lacrime. Annuì.
— Qual è il tuo nome? — chiese ancora.
L'urlo di un uomo sulla trentina le rispose. — Paige! — L'uomo si avvicinò alla bambina e la abbracciò, caricandosela in braccio e correndo altrove.
Emma rimase a guardarli per un po', poi si portò una mano alla testa e distogliendola notò che era piena di sangue. La vista le si fece sfocata e sentì un netto calo di pressione, ma non poteva permettersi di svenire. Non in quel punto.
Si voltò e vide una donna vistosamente incinta sdraiata sulla sabbia, che invocava aiuto. Un flash le attraversò la testa.
 
***
— Emma, spingi, spingi!
— Brava... così... ci sei quasi, Emma.
— Continua così!
— Forza, forza!
La donna bionda sdraiata sul lettino d'ospedale urlava mentre spingeva, spossata dalle lunghe ore di travaglio. Lacrime di sofferenza colavano fino al mento. Un'agente della polizia penitenziaria era appoggiata alla porta ad assistere.
— Un ultimo sforzo, Emma... ce la puoi fare...
Un'ulteriore spinta. Un altro urlo. E poi, il sollievo.
Era finita.
Il dottore la guardò, accennando un sorriso. — Congratulazioni, Emma. È un maschietto.
Emma fissò l'infermiera che le porgeva il bambino che strillava. Poi scosse la testa e abbandonò il busto all'indietro.
Il dottore si avvicinò all'infermiera e le disse qualcosa, facendola voltare imbarazzata con ancora il bambino fra le braccia.
Non posso essere una madre, pensò Emma fra le lacrime. Non posso esserlo.
 
  ***
 
Emma si avvicinò alla donna incinta, guardandosi attorno alla ricerca di un posto sicuro dove trascinarla. Lo trovò. A poco più di una dozzina di metri di distanza, c'era una grotta naturale, celata in parte da fronde verdeggianti.
Prese la donna per le braccia e con non poca fatica la portò fino al punto prestabilito. La mente era vuota, animata soltanto da un inusuale quanto bizzarro istinto di sopravvivenza.
Scaricò la donna su un cumulo di foglie, dentro la caverna. Lei urlò per il dolore. Forse aveva qualcosa di rotto. Per un po' nessuna delle due fiatò, concentrate solo sui rumori all'esterno e sulle proprie ferite. Emma ansimava, cercando di non svenire.

— Grazie. — boccheggiò la donna con una mano sul ventre prominente.
— Non preoccuparti. — rispose trafelata Emma, portandosi una mano alla fronte. Il dolore alla testa era il più forte che avesse mai provato.
— Sei ferita? — continuò preoccupata la ragazza. La poca luce che entrava attraverso le frasche le illuminò lo sguardo. Aveva occhi ambrati e allungati che mal si intonavano con le ciocche tinte di rosso dei sui capelli scuri.
— Temo di sì. — ansimò sincera la bionda. — E tu?
— Niente di grave, credo. Una lamiera mi ha colpito di striscio la schiena. Molti non sono stati così fortunati. — Una pausa densa di tormento e la ragazza soffocò un singhiozzo. — Come ti chiami? —
— Sono Emma.
— Ruby. — sussurrò, abbandonando il capo sulle foglie. — Come è potuta accadere una cosa del genere?
— Forse una perturbazione.
— Io ho sentito un gran rumore, ma poi la pressione mi ha fatto perdere conoscenza.
— Non ricordo con esattezza.
— Sono morte tante persone? — domandò ingenuamente la ragazza. — Ci salveranno? Ho paura di perdere il bambino...
Emma la guardò. Quasi incoscientemente le aveva rivelato le sue più grandi paure. Si girò da un'altra parte. Non era in grado di rispondere. Non era in grado di pensare. Tutto l'incidente nella sua testa non era che mille urla diverse e lei, per la prima volta, non aveva alcuna idea di cosa fare.
Ruby cominciò a piangere sommessamente.
 
— Ne ho trovate altre due! Venite ad aiutarmi!
La voce di un uomo risvegliò Emma, che si guardò attorno in apprensione. Era in una caverna, con una donna incinta stesa supina su delle foglie. Piano piano, i ricordi si fecero strada e gli occhi le si chiusero per un momento.
— Sorella, stai bene? — chiese la voce di poco fa. Emma li riaprì. Un uomo basso, tarchiato e massiccio, con una barba nera e lo sguardo inquieto le porgeva una mano, mentre una donna con i capelli corti si affannava per svegliare Ruby.
Emma annuì brusca e si rialzò da sola. Osservò la donna con i capelli corti e scuri che aiutava Ruby in stato confusionale ad uscire dalla caverna. Portava un cardigan rosa sbiadito e strappato e sul viso sporco risaltavano ancora le righe più chiare lasciate dalle lacrime.

Appena fuori, un vento violento investì Emma, facendola vacillare.
I resti dell'aereo erano ancora fumanti. Sembravano i resti di un gigante caduto in battaglia. L'unica cosa differente a prima era il silenzio. Non si udivano più né urla né rumori. Emma si guardò attorno e vide un gruppo di persone raccolte, che parlottavano concitate.
— Leroy, Mary Margaret! — Un uomo si voltò e venne loro incontro. — Sono David. — disse, guardando prima Ruby e poi Emma. — State bene?
A Emma sembrò che parlasse in modo un po' troppo meccanico. Probabilmente aveva fatto la medesima domanda ad altre dozzine di persone, non ponendosela, però, a sé stesso. David stava decisamente male; era quello che si percepiva dagli occhi stanchi e dalla sua espressione affranta.
L'uomo le condusse dagli altri superstiti. Qualcuno stava seduto sulle valigie, altri in piedi e numerosi sdraiati sulla sabbia, con la faccia rivolta verso il basso. Emma si domandò gli ultimi se fossero effettivamente superstiti e non cadaveri. Il pensiero le fece attorcigliare le budella.
— Come vi chiamate? — sospirò David, sedendosi su una pietra piatta.
— Sono Emma. Lei è Ruby. — Indicò Ruby con un cenno. — Hai un'idea di che ore siano?
— Le cinque del pomeriggio. Lo schianto è avvenuto più o meno alle undici.
— Quanti superstiti?
La voce di David si incrinò. — Non li abbiamo ancora contati. Siamo più o meno una trentina, ma non ho idea di quante persone ci fossero a bordo.
Emma annuì e guardò i sopravvissuti. Il padre di Grace teneva la bambina stretta a lui, con uno sguardo quasi folle. Mary Margaret era in ginocchio con gli occhi chiusi, quasi in meditazione.
— Hans, dai a tua sorella un po' d'acqua, mi sembra che stia per svenire di nuovo. — disse Leroy, dando una pacca sulla spalla ad Hans.
Il giovane dai capelli bruni guardò preoccupato la sorella e le porse la borraccia. Lei la prese con fare assente e se la portò alle labbra.
— Greta? Greta... parlami. — supplicò Hans. — Così mi fai preoccupare! —
Greta si voltò da un altro lato per non starlo a sentire.
— Greta, stai tranquilla... i soccorsi arriveranno presto. — continuò Hans, mettendole un braccio intorno alle spalle. — Non devi più preoccuparti. Io sono qui. Tu sei qui. Non c'è niente che importa di più, capito?
La sorella iniziò a singhiozzare ed Emma distolse lo sguardo.
— David, quando arriveranno i soccorsi?
L'uomo fissava il vuoto, concentrato. — Suppongo il prima possibile. — La voce gli si affievolì ancora e gli occhi si fecero lucidi. — Scusate, vado a controllare i feriti.
Emma lo guardò allontanarsi. Tutta la faccenda aveva un che di irreale. Sembrava impossibile che, solo poche ore prima, si trovasse su un aereo, diretta a Sydney.
Sollevò un braccio. La manetta pendeva ancora dal polso.
 
***
— Posso andare in bagno? — domandò Emma con tono casuale.
Humbert Graham scosse la testa con un sorrisetto, continuando a leggere il menu di volo. — Bel tentativo, Emma. — asserì — Ma con me non funziona.
La donna sbuffò. Perché era così maledettamente difficile? Piegò il busto verso di lui, cercando di apparire vulnerabile. — Per favore?
Un altro diniego. — Piuttosto... desideri qualcosa dal menu, Emma?
— Non voglio niente.
— Sicura?
— NON VOGLIO NIENTE!
Graham la zittì con un'occhiataccia. — Santo cielo, stai calma, Emma. Il viaggio in aereo ti mette in apprensione?
Emma non rispose, voltandosi dal lato opposto.
— Sai, magari crederanno alla tua storia. Diranno 'oh, di sicuro la racconta giusta, come non si potrebbe credere a una donna che, dopo aver compiuto un furto ed essere evasa dal carcere per nove lunghi anni, sostiene di essere stata incastrata? Ha perfettamente senso! — Graham assunse un'espressione sarcastica, stringendo le labbra e alzando le sopracciglia. — Non solo, magari ti libereranno!
— Piantala.
— Oh, non essere scontrosa, tesoro. Io tifo per te.
— Come no.
Lo sceriffo cercò di mantenersi serio, ma scoppiò a ridere.
— Attenzione, signore e signori. Vi preghiamo di allacciare le vostre cinture di sicurezza e rimanere legati fin quando il segnale luminoso sopra di voi si estinguerà.
— Ti allaccio io la cintura, tesoro. Non deve essere facile con quelle manette nelle mani. — Graham si sporse e le allacciò la cintura. I capelli biondi di lei gli solleticavano il viso. Cercò di mantenersi calmo e non sfiorarla in alcun modo. Quella volta di tre anni prima era bastata.
Una turbolenza improvvisa lo spinse con forza verso Emma, travolgendola con il suo peso.
— Ma che ca...                                                 
L'aereo cominciò a scuotersi e tremare e, dopo aver sbattuto varie volte contro il tettuccio metallico, l'uomo si accasciò e la sua vista si oscurò d'improvviso.
 
***
 
David tornò da Emma e Ruby e porse loro due bicchieri di plastica con dentro un po' acqua.
— Sarete disidratate. Prendete un po' d'acqua.
— Grazie, David.
Emma bevve un sorso dal suo bicchiere e il suo sguardo si posò sulla tenda da cui era uscito David, dalla quale provenivano mugolii di sofferenza.
— Chi c'è lì dentro?
L'uomo fece un gesto di noncuranza. — Un uomo con una lamiera incastrata poco sotto lo stomaco. Non penso supererà la notte.
— Si è svegliato?
— No, ma continua a mugolare qualcosa del genere 'Swan, torna indietro'... non ho idea a cosa si riferisca, probabilmente delira.
La donna si congelò. Poteva essere...? Non era morto, dunque? La mente di Emma si mise in moto freneticamente. Non poteva permettere che Humbert Graham la rispedisse in prigione, non appena fossero arrivati i soccorsi. Nessuno doveva sapere che lei era una fuggitiva.
Assunse un tono noncurante. — Ha detto altro, oltre...

— Ti ho visto, sai! Sei stato tu! — L'urlo di un uomo con la giacca di pelle e i capelli neri che puntava il dito contro un uomo di mezz'età, frenò il suo discorso.
— Non ho idea di cosa diavolo tu stia parlando. — si difese quello, con espressione neutra.
— Ah no? E perché mai tenevi tutto il tempo la mano nella borsa? Sei un maledetto terrorista, ecco cosa sei!
— Ti rendi conto delle assurdità che stai dicendo? — domandò calmo l'altro.
L'uomo dai capelli neri lo prese per la collottola e lo strattonò. — Non mi fido di te!
— Levami le mani di dosso.
Un'espressione di sfida gli comparve in viso. — Sennò cosa fai? Mi uccidi? Provaci! Non sarebbe la prima volta, eh?
Un pugno da parte di quello lo stese per terra.
— Ehi, tu! Togligli le mani di dosso! — David si precipitò in mezzo alla zuffa e fermò con un braccio l'uomo più grande. — Cosa credi di fare?
— È un bastardo! — sputò fuori l'uomo per terra, indietreggiando e rialzandosi. — Te lo dico io, è stato lui a farci saltare tutti in aria!
David boccheggiò, cercando di prestare attenzione ad entrambi. Nel frattempo, un piccolo capannello di persone si era avvicinato e ascoltava gli improperi che l'uomo con la giacca di pelle lanciava contro l'altro.
— Dove sarebbero le prove? — domandò l'altro, ritrovando la calma.
— Oh, questo lo dirò direttamente ai soccorsi. Ti farò arrestare, cazzo! — L'uomo fece per avvicinarsi minacciosamente, ma David lo fermò, costringendolo ad indietreggiare nuovamente.
Emma fissava la scena, assorta. L’uomo con la giacca di pelle si dimenò con violenza dalla presa di David e sputò a terra, lanciando un’occhiata di disgusto a tutti quanti.
— Chi è quello? — chiese Emma a Mary Margaret, che le era venuta accanto.
— Non ricordo, ma Leroy lo saprà di certo. Leroy?L’interpellato si mosse verso di loro. Sembrava un po’ arrabbiato e teneva i pugni ben stretti.
— Chi è quell’uomo? Un gran rompipalle, questo è quello che vedo. Si chiama Hook, se non vado errato. E l’altro è Gold.Come mosso dall’istinto, Gold si voltò verso di loro. I capelli castano spento gli arrivavano alle spalle e il ghigno del suo volto non gli conferiva un’aria molto simpatica. Notando che Emma lo guardava, simulò una riverenza ironica, girò i tacchi e si diresse nel lato orientale della spiaggia.
Hook lo fissò mentre se ne andava e fece per dileguarsi anch’egli, ma David lo prese per le spalle.
— Si può sapere che succede? — gli chiese. — State facendo spaventare tutti qui! — David indicò con un cenno il punto in cui si trovavano Emma, Leroy e gli altri superstiti.Hook seguì con gli occhi il posto che segnava David e incontrò lo sguardo di Emma. Le lanciò un’occhiata perforante, ma lei non abbassò la testa. Le fece un cenno con il capo, spinse indietro David e se ne andò.
Quell’occhiata lunga e penetrante le fece risvegliare con un brivido un ricordo sepolto nella sua memoria che non rievocava da un po’. Esattamente da tre anni.
 
***
Humbert Graham le aveva infilato le manette. Emma si sentì in trappola. Era evasa da ormai sei anni, non si aspettava che ci fosse ancora qualcuno a darle la caccia.
E invece c’era. Graham aveva pregustato per anni quel momento, il momento della cattura. Dopo averla trovata, lì, casualmente, in quel pub dall’aspetto sudicio e decadente, aveva deciso che non l’avrebbe portata subito in caserma. Non ancora.
Sapeva che in teoria avrebbe dovuto farlo, ma caspita, erano sei anni che la cercava e voleva farsi raccontare tutto per benino, senza gli altri agenti che gli stessero con il fiato sul collo.
La spinse su una sedia di casa sua e si gettò comodamente sul divano di fronte a lei. Non ci sarebbe stato alcun bisogno di minacciarla con una pistola. Graham conosceva bene la sua preda.
— Emma… Emma, Emma, Emma. Contenta di rivedermi? Io di sicuro! — esclamò l’uomo, guardandola con un sorrisetto.Emma non rispose, ma contraccambiava lo sguardo, carico di ribellione. La sua mente escogitava un piano per fuggire da quella casa. Gliene venne uno in mente, ma era terribilmente folle e l’esito non era assicurato.
— Sei anni che non ci si vede. Sei cambiata! Non più così ragazzina come un tempo, eh, Emma? — Graham rise. Non ricevendo risposta, continuò.
— Allora, che mi racconti di bello? Posso sapere dove sei stata in questi anni?La donna decise di attuare quel piano folle in un modo o nell’altro. Si alzò dalla sedia e rimase in piedi di fronte a lui.
— Sono andata nel Maine. — soffiò. — Anche tu hai preso qualche colpo. Sennò mi avresti trovata subito.
— Devo ammettere che tu sei la mia preda più sfuggente. — concesse Graham, non smettendo di fissarla negli occhi. — Ma ti ho trovato, alla fine.
— Mi hai preso, agente. —  disse Emma, con sguardo falsamente innocente. — Cosa ne sarà di me, adesso? Perché non mi hai portato in caserma?Graham inspirò. — Voglio gustarmi da solo la cattura, parlare senza interruzioni. È così che agisco.
La bionda si avvicinò ancora di più, in modo provocatorio e scosse i polsi, facendo tintinnare i ferri. — E queste manette? Hai in mente qualche gioco erotico di cui dovrei essere a conoscenza?
Emma sorrise nel vedere l’uomo deglutire e, lentamente, gli si mise a cavalcioni. Graham si irrigidì, ma non oppose resistenza.
— Te le ho messe per toglierti dalla mente l’idea di fare qualcosa di sbagliato. — sussurrò l’agente. L’istinto gli suggeriva di scacciarla malamente dalle sue gambe, ma una forza lo attraeva terribilmente. Era un uomo, diamine, ed Emma che si sporgeva verso di lui per mostrargli la scollatura, era qualcosa a cui, purtroppo, non poteva restare indifferente.
— E se fosse qualcosa di sbagliato piacevole? — domandò candida la donna, calcando l’ultima parola e avvicinandosi al suo viso.I due volti erano l’uno adiacente all’altro e il respiro pesante di Graham non lasciava trapelare alcun dubbio dell’effetto che gli provocava quella donna.
— Qualcuno dei remoti Paesi del sud si è risvegliato? — domandò sensuale la donna, passando le labbra sul suo collo bollente.
Graham sentì che la tentazione si era presa possesso di lui e – al diavolo tutti! – le prese rudemente il volto fra le mani e la baciò con rabbia, premendo con la lingua per indurre le labbra della donna a schiudersi. Emma rispose con trasporto, spingendolo sdraiato sul divano e sorridendo lievemente, conscia che il piano che aveva in mente si stava per attuare.
 
***
Emma deglutì, ricordando come lo avesse distratto e gli avesse preso la pistola dalla fondina, per poi puntargliela contro. L’aveva costretto ad aprirle le manette e il gioco era fatto.
L’urlo del suo nome gridato da Graham, mentre scuoteva le manette con le quali l’aveva attaccato alla testiera del letto, le riecheggiava ancora nella mente.
Ripensandoci, la donna si accorse di quanto l’uomo fosse stato incosciente. Era probabilmente per quel motivo che continuava a darle la caccia imperterrito, come a volersi punire di quell’errore commesso tre anni prima.
— Emma.
La bionda sobbalzò, tanto era immersa nei suoi pensieri. Voltò le spalle e vide David che le si avvicinava.
— Emma… io non ti conosco, ma mi sembri una delle poche persone lucide qui intorno. — mormorò David, gli occhi azzurri che la ispezionavano. — Ho bisogno che tu venga con me.
— Che succede?
David le fece cenno di seguirlo e i due si diressero verso un uomo alto dalla pelle scura.
— Emma, lui è Lancelot. Era nell’aeronautica militare.
Emma alzò il capo in segno di saluto e l’uomo fece lo stesso.
— Stiamo andando a recuperare la scatola nera dell’aeroplano. Ormai il fuoco si è spento, non c’è più pericolo.
— Vengo con voi.
Lancelot fece strada verso l’aeroplano ed Emma si affiancò a David che procedeva con fatica.
— Con chi sono i feriti? — domandò.
— Con uno psicologo. Dice di avere una formazione medica. Mi fido.
— Perché stiamo prendendo la scatola nera? Lo faranno i soccorsi.
 David sorrise stancamente. — Guardaci, Emma. Siamo qui da ore e i soccorsi non arriveranno prima di domani. Nessuno dormirà questa notte… abbiamo bisogno di tenerci occupati, altrimenti la nostra mente non farà altro che rivivere questo incubo.
Emma vide che David si stava trattenendo dal dire qualcosa. — Tu hai perso qualcuno?
L’uomo annuì. — Sì. E penso di impazzire, se continuerò a pensarci. Almeno ci rendiamo utili, aiutando i soccorsi e capendo cosa è successo. — Raddrizzò le spalle e guardò in avanti. Era un uomo spezzato e senza più niente da perdere. Esattamente come lei.

Giunsero all’aeroplano. Molte lamiere erano liquefatte, ma non sembrava pericoloso avvicinarsi.
— Ci sono due scatole nere in un aeroplano. — disse Lancelot con voce ferma, mentre si chinava sui resti della cabina di pilotaggio. — Sono programmate per resistere ad altissime temperature e a condizioni estreme. Una registra i dati di volo delle ultime 24 ore e l’altra i suoni e le voci della cabina di pilotaggio delle ultime due ore. È quest’ultima che ci serve.
Emma guardò lo scheletro dell’aereo. Molti sedili erano stati sbalzati fuori dall’urto violento. La porta blindata della cabina di pilotaggio era ancora intatta; tuttavia, il tettuccio era pieno di grinze e spaccato in più punti. I tre si calarono per una fessura lunga un metro e larga circa quaranta centimetri.
Dopo aver avuto accesso, non senza difficoltà, Emma quasi saltò in aria dallo spavento. Il ghigno carbonizzato del pilota la fronteggiava. Represse un moto di disgusto e pena e guardò David, che ricambiò lo sguardo con empatia.
 Lancelot si era già diretto verso i comandi e tastava il pavimento alla ricerca della scatola.
— Anche se il suo nome può trarre in inganno, la scatola nera è arancione per essere vista più facilmente… aiutatemi a trovarla.
Emma avanzò verso il tavolo dei comandi e li fissò. Erano tutti inutilizzabili, ormai. Ma se solo avessero avuto un meccanico tra i sopravvissuti…
Un’idea le balzò in mente.
— David, dovremmo stilare una lista dei superstiti con affiancata la loro professione. Se troviamo un meccanico, può far funzionare la radio di bordo. Potremmo dire ai soccorsi che siamo vivi. Per rassicurare le nostre famiglie.
— Dovremmo farlo, sì. Controlleremo le valigie per cercare dei fogli.
Si udì un fruscio e Lancelot si rialzò con una scatola rossa in mano.
— L’ho trovata.
David si avvicinò in fretta. — Sai come farla funzionare?
— Che domande.
Lancelot premette il pulsante di ascolto. I tre tesero le orecchie, ma non udirono nulla. Solo fruscii e interferenze.
— Sei sicuro che…
La scatola prese improvvisamente vita. Una voce chiara e acuta risuonò per tutta la cabina di pilotaggio, lasciando i tre immobili e sbalorditi.
— Aiutatemi… Aiutatemi! 4... 8. 15. 16… 23. 42. Ripeto…. 4. 8. 15. 16. 42. Aiuto! Sta per esplodere!
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Ginevra Gwen White