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Autore: Kimando714    31/05/2023    0 recensioni
La vita a quasi trent’anni è fatta di tante cose: eventi felici ed eventi che ti mandano in crisi, successi ed insuccessi, traguardi personali e lavorativi, vecchi legami che cambiano e nuovi che nascono … Giulia è convinta di saper navigare il mare di contraddizioni che la vita le sta per mettere di fronte, e così lei anche il gruppo storico di amici. Ma la vita ti sorprende quando meno te l’aspetti, e non sempre sei pronto a ciò che ti pone davanti. E forse, il bello dell’avventura, sta proprio in questo.
“Se è una storia che sto raccontando, posso scegliere il finale. Ci sarà un finale, alla storia, e poi seguirà la vita vera” - Margaret Atwood, The Handmaid’s Tale
[Terza e conclusiva parte della trilogia “Walf of Life”]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 3 - CAN'T HEAR YOU NOW




 
-Alla dottoressa!-.
Lo stappo della bottiglia di spumante sovrastò tutti gli schiamazzi provenienti dal tavolo, almeno per una frazione di secondo.
Caterina si guardò intorno, intimorita che, da un momento all’altro, qualcuno del bar si avvicinasse per intimare loro di far meno baccano e non disturbare gli altri clienti. Non vide nessuno in vista, a parte una coppia di anziani che, seduti qualche tavolo più in là, continuavano a guardarli con occhiate torve da quando erano entrati.
-A te, festeggiata- Filippo si allungò verso di lei da sopra il tavolo, porgendole un flûte mezzo pieno di spumante dorato – Vuoi che te ne versi ancora un po’?-.
Caterina fece segno di diniego scuotendo la testa:
-Va bene così. Ormai non sono più abituata a bere molto-.
-Se non ti ubriachi oggi, non potrai farlo mai più- le disse Giulia, seduta al suo lato sinistro.
Erano passati quattro anni dalla sua prima laurea, e a Caterina continuava a sembrare a tratti miracoloso anche solo pensare di essere riuscita a raggiungerne una seconda. Erano stati anni lunghi, quasi infiniti, in cui aveva avuto a malapena il tempo di respirare.
Bevve un sorso generoso di spumante, come premio verso se stessa e per tutti gli sforzi che aveva compiuto per arrivare a quel punto. Bevve anche per la Caterina di quattro anni prima quando, alla sua stessa festa di laurea triennale, non aveva potuto toccare nemmeno lontanamente l’alcool: le faceva ancora strano pensare che, a quel tempo, Francesco non era ancora nato.
-Meglio evitare, sennò poi non so come faccio a riportare lei e Francesco a casa- si aggiunse alla conversazione Nicola, al lato destro di Caterina. Doveva aver ascoltato la battuta che Giulia le aveva appena rivolto, lanciando subito dopo uno sguardo severo in direzione di entrambe.
-Probabilmente sarà il pargolo a dover portare a casa voi due-.
Sia Caterina che Giulia risero di gusto, voltandosi verso Pietro: si era appena avvicinato alla loro zona della tavolata, tenendo Francesco per una mano, e facendo un cenno inequivocabile verso il bicchiere quasi del tutto pieno che Nicola teneva di fronte a sé.
Al contrario delle due, Nicola, nel girarsi verso l’amico, lo fulminò con lo sguardo.
-Mamma, posso assaggiare?- Francesco, con la voce stentata, si avvicinò al tavolo, artigliando i bordi ed allungandosi sulle punte dei piedi. Sembrava particolarmente incuriosito dallo spumante nei flûtes che vedeva sul tavolo, e a quella richiesta inaspettata Caterina dovette trattenere una risata divertita.
Passò una mano sui capelli biondi del figlio, affettuosamente:
-Magari tra qualche anno, tesoro-.
Di fronte all’ilarità dei presenti lì intorno, Francesco riuscì solamente ad imbronciarsi e rassegnarsi subito.
-Sangue veneto non mente-.
Alessio, seduto di fianco a Nicola, non era riuscito a trattenere le risate: era ancora rosso in viso per il troppo ridere, e il fiato corto per la mancanza d’ossigeno.
-Ma non vogliamo alcolizzati a nemmeno cinque anni- gli fece notare Caterina, alzando un sopracciglio. Al contrario di Francesco, Caterina e Beatrice sembravano essere ancora troppo piccole anche solo per incuriosirsi a ciò che stavano bevendo tutti in quel momento: si trovavano esattamente all’altra estremità del tavolo, con Giada che sembrava ben felice di distrarle e giocare con loro. Caterina la tenne osservata per qualche momento: la forma appena più arrotondata del ventre era ancora ben celata sotto i vestiti invernali, ma era evidente quanto fosse felice dal sorriso radioso perennemente stampato in viso. Non la stessa cosa che si poteva dire di Pietro, o di Alessio, e nemmeno di Alice: per quanto si fosse rammaricata sinceramente con lei per non poter essere presente a festeggiare, Caterina era ancora convinta che la sua assenza fosse più dovuta al voler evitare Alessio il più possibile, che non alla gravidanza e al voler tener Christian a casa, ancora troppo debole dopo una leggera influenza avuta a fine Febbraio.
-Hai ragione, meglio evitare- cedette Alessio, impegnato a riempire nuovamente il suo flûte. Caterina scosse il capo, guardandolo, mentre attirava sufficientemente vicino a sé Francesco per poterlo far sedere sulle sue gambe.
-Quando avete intenzione di tornare a Torre San Donato?- chiese Pietro, ancora in piedi dietro la sedia di Nicola. Anche lui sembrava piuttosto intenzionato a prolungare il più possibile quella conversazione, pur di non dover fare ritorno al suo posto accanto a Giada.
Nicola aggrottò la fronte, con fare pensieroso:
-Il prossimo weekend, con calma- disse vagamente. Caterina annuì, tra sé e sé: non avevano ancora davvero pensato ad un giorno in cui tornare. I suoi genitori erano riusciti a venire a Venezia il giorno prima, quando si era tenuta la proclamazione, ma si erano trattenuti solo per poche ore. Avevano fatto ritorno a Torre San Donato quando la sera aveva iniziato a calare, appena dopo aver riaccompagnato Nicola, Caterina e Francesco al loro appartamento.
-Andiamo dai nonni?- chiese Francesco, crogiolandosi sotto le carezze di Caterina. Sembrava essere felice della cosa, e Caterina non poteva certo dargli torto: in veste di primo, e finora anche unico, nipote nato era costantemente viziato e riempito d’attenzione da tutti i nonni, ogni volta che li vedeva.
Nicola allungò una mano verso il figlio, lasciandogli un buffetto su una guancia rosea:
-Sì, piccolo. Sei contento?-.
Francesco annuì, facendola ridere.
-Ovvio che lo sei- disse, abbassando gli occhi sulla testa dorata del bambino – Chi non lo sarebbe sapendo di ricevere l’ennesimo regalo senza alcuna ricorrenza da festeggiare?-.
-È a questo che servono i nonni- s’intromise Filippo, passando un braccio dietro la schiena di Giulia – A viziare i nipoti, e a far passare i genitori come dei taccagni-.
-Anche gli zii adottivi se la cavano bene nel viziarli- disse sogghignando Pietro.
Giulia alzò il proprio calice, restituendo lo sguardo dell’altro, prima di berne gli ultimi sorsi rimanenti tutto d’un fiato:
-Ci puoi scommettere, tesoro-.
Caterina non riuscì a trattenersi oltre: scoppiò a ridere, in una risata così lunga, che le ci vollero diversi attimi per recuperare il fiato.
 
*
 
Con un lungo sospiro Caterina si stese sotto le coperte pesanti, stiracchiandosi e facendo scricchiolare la schiena. Erano appena le dieci e mezza, ma si sentiva comunque stanchissima: erano stati giorni lunghi, stressanti, pur essendo state giornate altrettanto felici.
Rimase ferma, ascoltando distrattamente le prime gocce di pioggia che avevano cominciato a cadere da poco, osservandone il riflesso contro il vetro della finestra; stavano arrivando le prime piogge di inizio Marzo, quelle che anticipavano la primavera e le prime belle giornate.
Nicola era in piedi, accanto al letto, intento a sfilarsi i pantaloni della tuta che usava sempre quando era a casa: Caterina ne osservò i movimenti lenti che tradivano stanchezza, le dita delle mani che andavano a stendere le pieghe del tessuto, mentre riponeva i pantaloni sulla sedia accanto all’armadio.
Mentre artigliava il bordo del maglione per cambiarlo con la canottiera che indossava sempre per dormire, Nicola intercettò il suo sguardo. Le lanciò un sorriso incerto, arrossendo lievemente:
-Come mai mi stai guardando?-.
Caterina trattenne a stento una risata: nonostante tutti gli anni passati insieme, Nicola continuava ad essere sempre un po’ a disagio con la consapevolezza di essere osservato da lei. Non cercava mai di nascondersi, ma il rossore delle sue guance rimaneva sempre lì, a ricordarle quella sua sorta di purezza.
-Mi gusto l’attesa di quando avrai finito di cambiarti e mi raggiungerai qui- gli disse altrettanto innocentemente, lasciandosi però sfuggire un sorriso malizioso.
Nicola si bloccò un attimo, interdetto:
-Lasciami indovinare- le disse, dopo essersi tolto il maglione ed averlo posato sopra i pantaloni – Ora stai lasciando che mi metta il pigiama, ma poi con tutta probabilità, quando ti raggiungerò, finirò per rimanere comunque senza vestiti?-.
Caterina si morse il labbro per non ridere:
-Se vuoi metterla così, allora diciamo di sì-.
Nicola scosse il capo, fintamente oltraggiato, ma non disse nulla: si limitò ad infilarsi la canotta, ed avvicinarsi a passi lenti verso il letto.
Quando scostò le coperte per potercisi infilare sotto, Caterina non perse altro tempo: si sporse verso il lato del letto occupato da Nicola, aspettando che ci si coricasse. Gli si avvicinò fino ad arrivargli a qualche centimetro dal volto, ma ancora senza alcun contatto.
Lui la osservò con un mezzo sorriso stampato sulle labbra, il sopracciglio alzato per la sorpresa:
-Pensavo saresti stata più veloce ad entrare in azione-.
Caterina lo guardò malamente per qualche secondo, scuotendo appena il capo:
-Volevo tenerti un po’ sulle spine anche io-.
Fu Nicola il primo ad annullare lo spazio tra loro. La baciò lentamente, con dolcezza, senza la fretta che poteva esserci in altri momenti della giornata, quando Francesco non era a dormire nella sua stanza e poteva interromperli in qualsiasi occasione.
Caterina chiuse subito gli occhi, mentre lasciava vagare una mano tra i capelli biondi del compagno, scompigliandoglieli inevitabilmente. Fece proseguire il percorso della mano lungo la mascella, accarezzando a palmo aperto il viso appena ispido di Nicola, prima di scendere sul collo e sulla curva della spalla. Quando sentì la mano di lui alzarle appena l’orlo della maglietta, e toccarle la pelle nuda del fianco, rise sulle sue labbra per il solletico che le stava causando.
Un secondo dopo Caterina sussultò, non appena sentì la porta della camera aprirsi di scatto, senza alcun preavviso. Nicola si staccò da lei nel giro di un secondo, altrettanto sorpreso.
Quando Caterina si voltò verso la soglia, non si sorprese affatto di vedere Francesco, vestito del suo pigiama invernale giallo ed azzurro, in piedi appena dietro la porta socchiusa. Anche in penombra riusciva a distinguere i suoi occhi scuri e il suo broncio annoiato.
-Ehi!- Caterina si rigirò nel letto, mettendosi a sedere e sistemandosi in pochi movimenti rapidi la maglietta – Come mai sei fuori dal letto a quest’ora?-.
Parlò con imbarazzo, anche se Francesco non doveva averlo colto: era ancora troppo piccolo per comprendere certe dinamiche, anche se doveva comunque star chiedendosi cosa fosse successo ai capelli di Nicola per averli così in disordine.
-Non ho sonno- borbottò il bambino, congiungendo le mani in grembo. Anche se Caterina trovò quella scusa poco credibile – più facile avesse avuto un incubo-, gli sorrise di rimando.
-Vieni un po’ qui, dai- Nicola parlò per primo, facendo uscire una mano da sotto le coperte e battendola sul materasso, tra lui e Caterina – Però per poco, eh: non pensare di fare il furbetto-.
Francesco non si fece intimorire da quelle parole: aprì maggiormente la porta per riuscire a passare, zampettando velocemente verso il letto. Vi si arrampicò con qualche difficoltà, aiutato da Caterina che si era sporta verso di lui.
Nemmeno un minuto dopo si era già sdraiato sotto le coperte, nello spazio vuoto tra i corpi dei suoi genitori.
-Che ci racconti di bello, piccolo?- Caterina si accoccolò meglio accanto al figlio – Che avete fatto stamattina a scuola?-.
Nonostante il pranzo di festeggiamento al locale dove Nicola aveva lavorato fino a quando non si era laureato, Francesco aveva comunque passato la mattinata alla scuola materna. Caterina quasi si stupiva di non notarlo particolarmente stanco, nonostante la giornata lunga e pesante.
-Niente- mormorò lui, socchiudendo gli occhi sotto le carezze sui capelli di Nicola, che trattenne a stento una risata:
-Andiamo bene- disse ironicamente, scambiandosi uno sguardo complice con Caterina.
Rimasero per un po’ in silenzio, la luce soffusa che emanava la lampada accesa sul comodino di Caterina che conciliava il sonno. Si ritrovò a sbadigliare due volte nel giro di pochi secondi, sentendo per la prima volta da quella mattina la fatica che quella giornata aveva portato anche a lei.
Abbassò gli occhi su Francesco, sicura di trovarlo assopito: venne delusa nel momento stesso in cui lo vide giocherellare con il bordo del piumone, tutt’altro che caduto addormentato.
-Voglio un fratellino-.
Caterina sgranò gli occhi, chiedendosi se aveva sentito bene. Francesco aveva parlato così piano che stentava a credere di aver udito davvero quelle parole.
Alzò gli occhi su Nicola, sentendosi ghiacciare il sangue: a giudicare dalla sua espressione altrettanto stupita, forse non aveva capito così male come sperava.
-Cosa?- chiese, con un risolino nervoso.
Suo figlio alzò gli occhi verso di lei, guardandola con fare ovvio:
-Come Giulio- le rispose semplicemente. Caterina faticava ancora a ricordare tutti i nomi dei compagni di Francesco alla scuola materna, ma il nome pronunciato le sembrava sufficientemente famigliare per non allarmarsi.
-Diceva che avrà un fratellino- proseguì Francesco, riabbassando gli occhi sul suo intreccio di dita e piumone – Ne voglio uno anche io-.
Caterina represse a stento un’imprecazione: aveva potuto appurare, soprattutto negli ultimi mesi, quanto insistente e ostinato potesse diventare un bambino quando faceva i capricci per avere qualcosa che desiderava.
Rimase in silenzio, troppo spiazzata per riuscire a parlare. Scostò lo sguardo per evitare anche quello di Nicola: era sicura che la stesse osservando, anche lui senza dire alcunché.
Lo sentì schiarirsi la gola, prima di parlare:
-Beh tesoro, forse tra un po’ di tempo- provò a negoziare, impacciato.
-Ma lo voglio ora- brontolò in risposta Francesco.
Caterina si ritrovò a voltarsi verso di lui di scatto, cercando di ripetersi che era ancora troppo piccolo per spiegargli tutto quello che c’era dietro per avere il tanto decantato fratellino.
-Ci penseremo, promesso- gli disse, forse fin troppo bruscamente, e decisamente di più di quel che lei stessa si sarebbe aspettata.
Sbuffò appena, ridistendendosi meglio sul materasso. Evitò ancora per un po’ gli occhi di Nicola, non molto sicura di voler scoprire il modo in cui la stava guardando ancora.
 


Richiuse la porta dietro di sé, sperando che, almeno per quella notte, non ci fossero altri imprevisti. Nicola camminò velocemente verso il letto, maledicendosi per essersi dimenticato di infilarsi le ciabatte quando si era alzato per mettere a letto Francesco: il pavimento freddo continuava a dargli fastidio alle piante dei piedi.
-Credo si sia addormentato- mormorò, mentre si infilava di nuovo sotto le coperte. Rabbrividì appena, nel calore del piumone e delle lenzuola.
-Finalmente- sospirò Caterina, contro il cuscino.
Francesco era rimasto con loro per quasi un’ora, senza mai addormentarsi. Solo negli ultimi minuti della sua permanenza aveva cominciato a crollare; quando le palpebre si erano finalmente abbassate, Nicola si era deciso a sollevarlo il più delicatamente possibile per metterlo a letto, nella sta stanza. Tenuto tra le sue braccia, non aveva accennato a svegliarsi di nuovo.
-Comincio a domandarmi da chi abbia preso tutta la vivacità- commentò, lasciandosi scivolare con la testa sul cuscino. Cominciava a sentirsi esausto.
Sentì Caterina ridacchiare tra sé e sé:
-Forse è l’influenza di Giulia-.
Anche Nicola si lasciò andare ad una risata debole, distratta. Giulia era sempre solare ed allegra, ma lo era in maniera totalmente diversa da quando erano nate le gemelle. Si era dovuto arrendere a quell’evidenza ogni volta che notava il suo sorriso sempre più spento e meno genuino di come lo ricordava. Si rigirò nel letto, finendo per distendersi supino, gli occhi puntati sul soffitto.
Forse crescere due figlie piccole era una cosa troppo ingestibile persino per Giulia, che gli era sempre sembrata sufficientemente pragmatica per affrontare quel genere di questioni. Forse nemmeno Filippo aveva davvero messo in conto quante difficoltà sarebbero arrivate: non lo diceva a voce, ma Nicola gli leggeva in viso una sorte d’inquietudine che, due anni prima, era sicuro non ci fosse.
Per un attimo ripensò a Francesco, alla sua voglia di avere un fratello: era piuttosto sicuro che fosse solo qualcosa di passeggero, almeno per il momento, ma si chiese cosa sarebbe successo se fosse accaduto davvero. Sarebbe stato altrettanto difficile, con un bambino di tre anni a cui badare? Era una domanda che si stava ponendo da tempo, senza però mai trovare alcuna risposta.
-Però … - si lasciò sfuggire a bassa voce, riflettendo tra sé e sé. Non si rese conto di aver dato voce ai suoi pensieri fino a quando non sentì Caterina parlare a sua volta:
-Che c’è?-.
Nicola si voltò brevemente verso di lei, d’un tratto prudente:
-Stavo ripensando a quel che ha detto Francesco- disse, soppesando ogni parola – Su un ipotetico fratello-.
Caterina alzò le spalle, con indifferenza:
-A tre anni si dice qualsiasi cosa. E soprattutto, si vuole qualsiasi cosa- disse, con meno distacco di quel che, Nicola ne era sicuro, avrebbe voluto fare credere – Sono piuttosto convinta che se poi avesse davvero un fratello o una sorella si lamenterebbe in continuazione per gli strilli o per i giochi che si ritroverebbe a dover condividere o, ancor peggio, cedere-.
-Il fatto è che anche io ci sto pensando da un po’-.
Nicola sentì il silenzio calare, inevitabilmente.
Aveva parlato d’istinto, senza riflettere come il suo solito. Non aveva ponderato di dirlo così, e non in quel momento: era stato tutto talmente spontaneo che si spaventò di se stesso.
Il silenzio di Caterina, però, lo inquietava ancora di più. Si stava prolungando oltre quello che si era aspettato, e guardandola di sottecchi Nicola si rese conto che stava fissando il soffitto con fare teso.
-A cosa pensavi, esattamente?- la sentì borbottare, infine. Aveva parlato con voce fredda, e nonostante la domanda, Nicola era sicuro avesse capito dove la conversazione sarebbe andata a parare.
Si sentì a disagio, in quel momento: quando settimane prima aveva pensato di parlarle di quell’idea, aveva messo in conto una reazione non del tutto positiva. Quella che Caterina stava avendo per davvero, però, andava ben oltre le aspettative.
-Vorrei un altro figlio-.
Nicola lo sussurrò talmente piano che, per un attimo, pensò di non essere nemmeno riuscito a farsi udire. Nel silenzio della camera e della notte fuori dalla loro finestra, però, si rese conto che Caterina non poteva non aver colto le sue parole. Si schiarì la voce, con fare incerto, odiando quella sensazione di insicurezza che solo con lei riusciva a vivere:
-Non dico subito. Anche perché magari potrebbe non essere così facile- si affrettò ad aggiungere, voltandosi meglio verso di lei – Però, ecco, non mi dispiacerebbe l’idea-.
Caterina continuava a voler evitare il suo sguardo. Rimase immobile, ancora senza dir nulla, mentre Nicola restava in attesa con i nervi a fior di pelle.
Aveva pensato di parlargliene più avanti, quando la tensione per la laurea sarebbe svanita. Pochi giorni prima si era ritrovato a pensare di parlarle, dirle che stava pensando che allargare la famiglia non sarebbe poi stato così male, nel giorno in cui sarebbero tornati a Torre San Donato per festeggiare con le loro famiglie.
Non aveva mai davvero preso in considerazione l’idea di confidarsi con lei quella sera, poco prima di andare a dormire; Nicola si ritrovò ad odiare le improvvisazioni per l’ennesima volta.
Caterina sospirò pesantemente, con stanchezza:
-Non pensavo volessi un altro figlio così presto-.
Nicola annuì, pur consapevole che lei non se ne sarebbe accorta.
Caterina non aveva tutti i torti: nemmeno lui aveva mai immaginato di ritrovarsi a volere un secondo figlio in quel periodo della sua vita. Non riusciva nemmeno a capire se fosse stato un cambiamento davvero graduale: non ricordava il momento preciso in cui si era ritrovato ad ammettere di volerlo, né si ricordava cosa avesse scatenato quella consapevolezza.
Sapeva solo che, da quando era nato Francesco, parecchie cose erano cambiate. Sapeva che, se Caterina fosse rimasta incinta di nuovo, l’ultima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata quella di scappare di nuovo.
Se ne avesse avuto la possibilità, di scappare, Caterina invece l’avrebbe fatto eccome, di questo era cosciente.
-Tu no, immagino-.
Cercò di non caricare la voce d’amarezza, ma non fu sicuro di esserci riuscito per davvero. L’attimo dopo Caterina si mosse di scatto, mettendosi a sedere: teneva la schiena appoggiata contro la spalliera, le braccia incrociate contro il petto e i tratti del viso ancora tesi.
Nicola si rese conto che, forse, la fine di quel silenzio assordante stava per giungere al termine nel peggior modo possibile.
-Non so nemmeno se ne voglio un secondo, non ci ho mai pensato- Caterina iniziò a parlare con rabbia, senza nemmeno guardarlo – Non ultimamente-.
Nicola non la interruppe: sembrava arrivata al limite, pronta a sfogarsi e a smettere di nascondersi dietro quel silenzio con cui si era fatta scudo fino a quel momento.
-Mi sono appena laureata. Tra poco avrò una promozione, finalmente, e non voglio pensare subito ad un’altra gravidanza- Caterina lo guardò per la prima volta dopo parecchi minuti, lo sguardo carico d’astio.
Nicola annuì, abbassando per un attimo gli occhi: riusciva a comprenderla da quel punto di vista, molto meglio di quel che lei doveva immaginare. Era giusto che prima volesse togliersi qualche soddisfazione lavorativa: era da un anno che aveva trovato lavoro in una piccola casa editrice, dove le cose sembravano andare bene. A Caterina sembrava piacere, e lui non poteva fare a meno di pensare che se lo meritava.
-Infatti non ho detto subito- mormorò, ad occhi bassi.
Caterina sospirò di nuovo pesantemente, prendendosi qualche secondo prima di proseguire:
-Voglio prima pensare a me. A quel che abbiamo già-.
Sembrava meno arrabbiata di prima, ma non meno offesa: Nicola, pur non guardandola in viso, riusciva a capirlo dalla nota nervosa della sua voce.
-Magari tra qualche mese cambierò idea, non lo so, ma per ora non voglio pensarci-.
Il tono di Caterina non lascava spazio a dubbio ulteriori su quali fossero le sue prossime intenzioni: Nicola sapeva già che non avrebbe proseguito oltre quella conversazione.
Per un attimo si strinse nelle spalle, pentendosi amaramente di aver anche solo pensato di poter aprire un argomento simile con lei in un periodo come quello. Non riusciva nemmeno a darle torto per la durezza della voce e delle parole: in fondo era lui che avrebbe dovuto rifletterci prima.
-Non voglio forzarti, lo sai- cercò di limitare i danni, mormorando a mezza voce.
Lo sguardo di Caterina non si addolcì nemmeno per un secondo, restituendogli la stessa espressione fredda mantenuta per tutti quei minuti.
-Però mi stai guardando comunque come se fossi un’egoista-.
Non attese nemmeno ulteriore risposta: si coricò di nuovo, rannicchiandosi nella sua metà letto, voltandogli le spalle e coprendosi con il piumone.
Nicola rimase immobile, incapace di dire qualcosa. Allungò la mano verso la spalla di Caterina, fermandosi a mezz’aria: era sicuro che si sarebbe scostata al suo contatto, e non credeva sarebbe riuscito a convivere con quella consapevolezza.
Lasciò cadere la mano sul materasso, inerme.
-Non è così-.
Si stese anche lui, dandole le spalle a sua volta. Spense la lampada sul comodino, l’unica fonte di luce ancora accesa, facendo piombare la stanza nell’oscurità.
Nel nero della notte, Nicola riuscì solo a distinguere il lungo e pesante sospiro che Caterina rilasciò, le ultime parole taglienti ancora incastrate tra le labbra.
-Lo vedremo-.
 
*
 
I'm tired of being what you want me to be
Feeling so faithless, lost under the surface
I don't know what you're expecting of me
Put under the pressure of walking in your shoes

(Linkin Park - "Numb")*
 
Aveva cominciato a piovere da pochi minuti, poche gocce silenziose che cominciavano a rigare i vetri delle finestre. Alessio si perse nell’osservare il percorso di una di loro, mentre scendeva lentamente verso il basso, sempre più giù: era un cammino inesorabile che si avviava a trovare il suo termine dove il vetro finiva.
Spense svogliatamente la tv, stanco di ricercare qualche film che, probabilmente, non l’avrebbe interessato comunque. Erano solo le dieci e mezza, e si ritrovava senza sonno a domandarsi cosa fare nell’attesa che i primi sentori di stanchezza arrivassero.
Passare un po’ di tempo con Christian sarebbe stata la sua prima scelta, ma l’aveva messo a dormire già quasi due ore prima, dopo avergli misurato la febbre ormai bassa. Si era addormentato appena toccato il letto, stanco per l’influenza che, seppur leggera, l’aveva indebolito parecchio in quegli ultimi giorni.
Tirò un sospiro seccato, mentre poggiava la nuca contro lo schienale del divano, chiudendo gli occhi per un attimo: la giornata era stata intensa, stressante e vivace.
Il pranzo per festeggiare Caterina si era protratto per quasi tre ore, e l’unica cosa che l’aveva fatto andare avanti era stato prima il vino rosso delle prime portate, e poi lo spumante che Filippo aveva stappato. Aveva bevuto svariati bicchieri, e non era riuscito comunque a sentirsi nemmeno decentemente brillo.
-Come è andata oggi?-.
Alessio non riaprì gli occhi, limitandosi ad ascoltare i passi felpati di Alice, appena entrata nel piccolo salotto del loro appartamento.
-Bene- mormorò con indifferenza, rialzando le palpebre e raddrizzandosi – Siamo rimasti lì per un po’-.
Non precisò quanto effettivamente erano rimasti nel ristorante: non aveva voglia di spiegarle che aveva preferito non rientrare subito a casa, preferendo girovagare per le calli di Venezia. Forse, in fin dei conti, a lei nemmeno interessava sapere quel dettaglio.
Alice andò a sedersi sulla poltrona accanto al divano, abbassandosi con movimenti lenti ed impacciati. Alessio posò lo sguardo sul suo grembo, ormai piuttosto evidente e sempre più pesante: avrebbe voluto provare ad avvicinarvi una mano, cercare di viverla più serenamente di quanto non fosse accaduto quando aspettavano Christian, ma la sola idea di doversi avvicinare anche ad Alice lo teneva a distanza.
Cercò di non guardarla troppo truce, anche se gli risultò difficile.
-Domani o domenica passerò da Caterina e Nicola per vederli- sospirò lei, massaggiandosi il pancione con gesti circolari: la bambina doveva aver appena scalciato.
Alessio alzò le spalle:
-Come preferisci-.
Sperò che la conversazione si fermasse lì. Aveva cercato di evitare Alice tutto il giorno – più o meno quello che succedeva ogni giornata, da Novembre-, e non aveva la minima intenzione di recuperare tutto il tempo che avevano passato separati in quel preciso istante.
Fece per alzarsi, già pregustando la calma che la camera degli ospiti gli avrebbe donato, ma Alice parlò ancora:
-Lo sai che sarei venuta, se Christian fosse stato bene-.
A giudicare dalla voce sembrava realmente dispiaciuta. Su questo Alessio non aveva dubbi: era piuttosto sicuro che si sentisse in colpa verso Caterina per la sua assenza, ma non era altrettanto certo che, se non ci fosse stata di mezzo l’influenza di Christian, si sarebbe fatta vedere ugualmente.
-In realtà credevo te ne saresti stata a casa in ogni caso- ribatté, alzandosi lentamente dal divano.
L’espressione di Alice mutò nel giro di qualche secondo, irrigidita e non più apparentemente serena come un attimo prima. Doveva aver compreso benissimo dove Alessio stesse andando a parare.
-Non gira tutto intorno a te- sussurrò, ferita. L’accento inglese si fece più presente: le succedeva ogni volta che la rabbia cominciava ad arrivare, facendola parlare più velocemente e senza calibrare bene la pronuncia.
Alessio alzò le spalle, tutt’altro che invogliato a litigare con lei in quel momento: pur di evitarlo era persino disposto a dargliela vinta.
-No, ovviamente-.
Alice continuò a guardarlo con sguardo ferito, mentre si avviava lentamente verso la sua camera. Per un attimo si bloccò, prima di oltrepassare definitivamente la soglia del salotto; sentiva il nervosismo montare, tanto da farlo quasi desistere dal suo intento di non cercare lo scontro. Si trattenne solo pensando che, nel suo stato, l’ennesimo litigio non avrebbe giovato ad Alice.
Si voltò verso di lei, la voce strascicata per la poca voglia di avvisarla:
-Credo che sia solo questione di tempo prima che gli altri comincino a chiederci che succede- le disse, come a volerla mettere in guardia – Ormai è piuttosto evidente che c’è qualcosa che non va tra noi-.
Alice annuì lentamente, soppesando quelle parole:
-Non dobbiamo per forza spiegare tutto-.
Alessio sbuffò, quasi divertito: quella faccenda stava semplicemente diventando una farsa. Difficilmente gli altri si sarebbero bevuti ancora a lungo le molteplici scuse che lui ed Alice rifilavano loro per giustificare quella distanza.
-Sarebbe piuttosto strano se parlassi con qualcun altro che non sono io del motivo per cui mi hai lasciato-.
Fece per andarsene, e l’avrebbe fatto sul serio, se solo Alice non avesse proseguito a parlare:
-About this … -.
Alessio si bloccò per la seconda volta, stavolta decisamente più attento: si voltò di nuovo verso Alice, osservandola mentre si alzava con movimenti goffi dalla poltrona. Non aveva idea di cosa avesse voluto dire con quelle parole, né cercava di farsi qualche prospettiva: per troppo tempo aveva sperato di capire cosa Alice gli nascondesse, per talmente tanto tempo che era quasi arrivato a rinunciare a chiederle ancora spiegazioni.
-Cosa? Ci hai ripensato?- le chiese, con amara ironia – Vuoi forse tornare a fingere di essere una famiglia perfetta?-.
Era del tutto sicuro che Alice non avrebbe mai più voluto tornare ad avere una relazione con lui, e non si stupì affatto della sua risposta:
-Non credo che quello succederà mai-.
“Prevedibile”.
Alessio sbuffò, annuendo:
-Almeno su una cosa siamo d’accordo-.
Alice gli venne incontro lentamente, tenendolo fissato con lo stesso sguardo grave – Alessio l’avrebbe definito più puntualmente malinconico-; si teneva una mano sotto il grembo, come a voler reggere il peso del pancione.
-Però sono stanca di tenermi tutto dentro- mormorò, una volta arrivatagli ad un metro di distanza – Stanca di vederti sempre così pieno di rabbia-.
Alessio la guardò di rimando, duramente:
-Sai già cosa potrebbe calmarmi-.
-Oh, non credo affatto ti calmerà sapere il motivo che mi ha spinto a prendere quella decisione-.
Lo credeva anche Alessio, anche se non voleva darlo a vedere. Era difficile fingere di poter riuscire a rimanere distaccato, quando invece sentiva solamente la rabbia ribollirgli dentro, per l’ennesima volta.
Si chiese se, prima o poi, sarebbe riuscito a sopportare la presenza di Alice accanto a lui, a parlarle ancora come una volta, senza sentire costantemente l’istinto di allontanarsi il più velocemente possibile.
Gli si era fermata di fronte, lo sguardo abbassato verso il pavimento, l’aria pensierosa:
-Però allo stesso tempo credo che se continuo a tenertelo ancora nascosto potrei impazzire- mormorò, quasi più a se stessa che non a lui.
Alessio tirò un sospiro pesante, appoggiandosi con la schiena alla parete:
-Credo che ormai non mi interessi più sapere come potrei stare nel saperlo- si ritrovò ad ammettere, a malincuore. Era certo che, in un modo o nell’altro, si sarebbe comunque ritrovato di nuovo divorato dalla rabbia e dal rimpianto, esattamente com’era stato nel momento in cui Alice gli aveva detto che voleva lasciarlo.
-Voglio solo la verità, Alice, solo quello-.
Attese, in silenzio, osservandola ancora mentre teneva il viso chinato. Gli parve di scorgere una lacrima rigarle una guancia, ma nella penombra notturna del salotto non poté dirsene sicuro.
Nel silenzio che li circondava, dopo qualche secondo, le parole di Alice parvero quasi risuonare a gran voce, nonostante le avesse sussurrate:
-I’m in love with someone else-.
 
Insieme a te non ci sto più
Guardo le nuvole lassù

Cercavo in te la tenerezza che non ho
La comprensione che non so
Trovare in questo mondo stupido
Quella persona non sei più
Quella persona non sei tu
 


Fece girare la chiave nella toppa della porta, un lungo sospiro trattenuto a stento nelle labbra raffreddate. La porta d’ingresso si aprì con uno scatto, ed Alessio non attese oltre per oltrepassare la soglia e rabbrividire non appena si sentì avvolto dal tepore dell’appartamento.
Erano le sette, e l’unica cosa a cui riusciva a pensare dopo una giornata di lavoro – quasi gli sembrava strano pensare che quello sarebbe stato l’ultimo mese da dipendente- era la prospettiva di una doccia calda, qualcosa da mettere sotto i denti e finalmente dormire.
Si sfregò gli occhi stancamente, mentre si levava il cappotto pesante, nel piccolo ingresso: quando era uscito dall’ufficio aveva guidato fino a Piove di Sacco, per leggere e firmare altri documenti per quella che – ancora faticava a crederlo- di lì a poco sarebbe stata la sua neonata impresa. Aveva dovuto apporre così tante firme che aveva perso il conto.
Mosse qualche passo verso il piccolo salotto, nell’oscurità: si chiese, per un attimo, se Alice fosse uscita. Non udiva alcun rumore nella casa, a parte il rimbombo dei suoi passi. Si tolse le scarpe, prima di proseguire verso la camera di Christian: la porta era socchiusa, e solo la tenue lampada del comodino era accesa, lasciando la camera in penombra.
Suo figlio sembrava addormentato, avvolto nelle coperte colorate del lettino; Alessio riusciva a distinguerne il profilo del corpo, girato di spalle e con i capelli biondi spettinati per il contatto col cuscino.
Alessio richiuse la porta con un mezzo sorriso stampato in viso: gli sarebbe piaciuto andarlo a salutare, ma l’avrebbe fatto quando si sarebbe risvegliato.
Proseguì qualche metro più in là, verso la camera da letto: anche la porta di quella stanza era socchiusa, ma lo spicchio di luce giallastra proiettata sul pavimento tradiva la presenza di qualcuno all’interno.
Quando spinse appena la porta per entrare, Alessio non si stupì di trovarvi Alice, seduta sul bordo del materasso. Si meravigliò per i capelli rossi scombinati, ormai lunghi fino a metà vita, le lacrime che le rigavano il viso e gli occhi cerchiati di rosso che aveva sollevato non appena si era accorta del suo arrivo.
-Che succede?-.
In un secondo le fu accanto, in apprensione, mille domande che gli stavano riempendo la mente, senza riuscire a trovare una risposta.
-Stai bene?- le chiese ancora, scontrandosi con il silenzio di Alice. Provò a posarle una mano sulla schiena, ma si bloccò con la mano a mezz’aria non appena la vide scostarsi piano, evitandolo.
Non le chiese ancora cos’avesse: sapeva che non gli avrebbe risposto, fino a quando non avrebbe voluto lei. In quello si erano sempre assomigliati molto: era il silenzio il loro alleato, nei momenti in cui la fragilità prendeva il sopravvento su qualsiasi altra cosa.
Alice i schiarì la voce dopo quella che ad Alessio parve un’eternità:
-Ti devo parlare-.
Stava piovendo, all’esterno, e il suono della sua voce si perse nel ticchettio frenetico delle gocce di pioggia che rigavano i vetri delle finestre.
-Sono qui- si ritrovò a sussurrare a sua volta lui, incerto.
Alice aveva smesso di guardarlo subito, non appena le si era seduto accanto, su quel materasso malandato che mandava cigolii di molle ad ogni minimo movimento.
-Ho avuto dei risultati di alcune analisi stamattina- sussurrò Alice, la voce rotta e l’italiano che, in certi momenti, si faceva più incerto come se fosse sempre sull’orlo di tornare alla propria lingua madre – Me l’aspettavo, ma volevo averne conferma-.
Alessio si prese qualche secondo per cercare di fare mente locale, ricordare qualcosa che potesse avere a che fare con le analisi di cui Alice gli stava parlando. Non si erano parlati molto nelle ultime settimane – forse negli ultimi mesi-, non da quando lui rientrava sempre più tardi a casa, talmente stanco da riuscire a malapena a cenare.
Si sentì in colpa per non riuscire a ricordare un dettaglio del genere.
-Ma stai bene?- azzardò, sentendosi fuori posto – Di che analisi parli?-.
Alice si prese il viso tra le mani, scostando le ciocce ramate dal viso e celandogli lo sguardo. Era come una tela bianca, in quel momento, ed Alessio avrebbe potuto attribuirle qualsiasi espressione: sapeva, anche senza riuscire a studiarne le iridi verdi, che i suoi occhi dovevano essersi ancora riempiti di lacrime.
Provò a parlare una prima volta, ma non riuscì a dire nulla. Si schiarì la gola un paio di volte, l’ansia in Alessio che cominciava a crescere ad ogni secondo che passava.
-I’m pregnant-.
Era stato un sussurro poco più che udibile, come un alito di vento nelle giornate d’Agosto. Non c’era inflessione nella voce di Alice, solo un profondo rimpianto che Alessio avvertì forte, ancor di più della notizia.
-Ne sei sicura?-.
Aveva cercato di non sembrare arrabbiato. Non lo era, non stavolta: quando aveva saputo di Christian era stato uno schiaffo in faccia, non ancora consapevole di cosa significasse un figlio. Si sentiva stordito, perché era ancor più inaspettato della prima gravidanza, ma paradossalmente non si sentiva sperduto e solo, non di nuovo.
-Ho fatto gli esami apposta- Alice tirò su con il naso, finalmente abbassando le mani e scoprendo il volto teso – Ho aspettato fino all’ultimo, ma lo sospettavo da un po’-.
Alessio non se ne sorprese affatto: l’ultima volta in cui si erano ritrovati in intimità, in quella stessa stanza, su quel letto, era stata più una situazione dettata dalla noia e dallo sfogo, che dalla passione. Quella era scemata da tempo, sempre di più, fino a scomparire.
-Forse non volevo saperlo-.
L’amarezza di Alice trasparì anche solo da quelle parole, dal modo in cui le aveva pronunciate: taglienti, come se le avesse dette più per ferire che non per un moto di sincerità.
Alessio accusò il colpo, sentendo la sensazione di contentezza consumarsi poco a poco:
-È per questo che stai piangendo?-.
Si era reso conto di aver parlato con durezza, quasi aspramente, ma non corresse il tiro.
Alice non sembrò voler rispondere, non subito: tenne ancora gli occhi fissi davanti a sé, senza voltarsi, in quel contatto che continuava ad evitare da quando Alessio le si era seduto accanto.
-Non solo- la sentì sussurrare, mentre si passava una mano sul viso.
Alessio sospirò pesantemente: si sentiva incapace di capire cosa le stesse passando per la testa, alienato e bloccato nei gesti e nelle parole. Non riusciva ad intuire quali fossero i veri sentimenti di Alice in quella situazione: riusciva a capire che non fosse felice, che la notizia l’avesse spiazzata più di quanto non fosse successo a lui, ma c’era qualcosa che continuava a sfuggirgli e a nascondersi dietro quelle lacrime.
-È inaspettata, come cosa … - provò a dire, schiarendosi la voce – Un secondo figlio in questo periodo sarà dura, soprattutto ora. Però incredibilmente la vedo meno nera di quando aspettavi Christian-.
Aveva cercato di fare del suo meglio, fallendo miseramente. Avrebbe voluto perlomeno posarle una mano sulla spalla, dirle così che le era vicino, e che – nonostante un’azienda appena fondata e un figlio ancora piccolo a cui badare- non sarebbe stato di nuovo un calvario come un anno e mezzo prima; dovette trattenersi, perché sapeva che ad un eventuale contatto Alice si sarebbe sottratta di nuovo.
-Sono cambiate tante cose da allora- gli rispose Alice, la voce distante. Sembrava essere assente, come se la sua mente fosse in un altro posto rispetto al suo corpo, lontana da quella stanza e da Alessio: potevano essere seduti vicini, ma Alice non era davvero lì.
-Avrei voluto parlarti di una cosa, tra un po’ di tempo … Ma ora non c’è tempo, non più-.
Alessio si ritrovò a corrugare la fronte, perplesso:
-Di che stai parlando?-.
Stavolta Alice non evitò il suo sguardo: si voltò verso di lui, in un’espressione che Alessio non seppe definire. Nelle iridi verdi e ancora umide ci leggeva rabbia, delusione, malinconia e paura, tutte mescolate tra loro, indivisibili e distinguibili allo stesso tempo.
-Non voglio più stare con te, Alessio-.
Fu come uno schiaffo improvviso, inaspettato, che non aveva visto arrivare prima di colpirlo dritto in faccia.
Mille pensieri e domande gli affiorarono alla mente, ma non riuscì a pronunciare nemmeno una sillaba.
Riusciva solo a vedere gli occhi di Alice e la durezza con cui lo stava osservando.
-Ci ho riflettuto per mesi, ci ho provato. Ma non posso più-.
Quando Alice si alzò in piedi, mettendo tra di loro almeno qualche metro di distanza, Alessio non la imitò: si sentiva schiacciato lì, dove si trovava, impossibilitato a muovere anche solo un muscolo.
Alzò lo sguardo lentamente, puntando gli occhi sul volto tirato e teso di Alice, abbassandolo fino al suo ventre ancora piatto:
-Ma sei incinta … -.
La sua voce risuonò talmente strana, talmente distante, che gli parve di non essere davvero lui a parlare.
-E Christian … -.
-Non ti amo più-.
Alice non gli aveva nemmeno dato il tempo di riflettere, di pensare a quel che voleva dire sul serio: aveva parlato in modo così perentorio che riuscì ad annientare in una sola volta qualsiasi sforzo di Alessio di trovare una seppur minima obiezione.
Per un attimo, nel caos che si sentiva in testa, non riuscì nemmeno a darle torto per quella scelta.
-Ma non è solo per questo- Alice tirò su col naso, chiudendo gli occhi per un attimo – Ma non voglio parlarne. Non con te. Non adesso-.
-Mi lasci così?-.
Nella sua mente si era immaginato di parlarle con voce irata, furente, ma non fu affatto così: era flebile ed appena udibile, come il vuoto che si sentiva dentro e che sostituiva la rabbia che, fino a qualche minuto prima, si sarebbe immaginato di incamerare in una situazione simile.
Cercò di alzarsi a sua volta, fermandosi di fronte ad Alice, sentendosi sempre più debole:
-Senza una spiegazione? Senza nemmeno provare a parlarne?-.
Seppe ancor prima che Alice aprisse bocca quale sarebbe stata la sua risposta: gliela leggeva in faccia, negli occhi chiari che non lasciavano trasparire alcuna intenzione di cedere, nei gesti che facevano trapelare solamente la voglia di andarsene.
-Non c’è nient’altro da dire-.
Di fronte agli occhi di ghiaccio di Alice si sentì soffocare: fu istintivo camminare fino alla porta, richiuderla dietro di sé, mentre si allontanava sempre di più.
Alessio andò ad accasciarsi sul divano del salotto, senza nemmeno accendere le luci, rimanendosene nel silenzio dell’oscurità.
 



Avvertì il suo respiro bloccato, fermo al momento in cui Alice aveva parlato. Per i primi secondi aveva temuto di aver capito male, ma era altrettanto consapevole che quello fosse solo un meccanismo di difesa: non poteva aver capito male, non se intorno a loro vi era solo silenzio, con il picchiettio della pioggia contro i vetri delle finestre come unico accompagnamento.
Alessio era rimasto pietrificato, la bocca socchiusa nel tentativo di dire parole che gli erano morte in gola, ben prima di riuscire anche solo a pensarle.
Si era chiesto a lungo, in quei lunghi mesi, quale fosse l’altro motivo per cui Alice aveva messo fine a tutto. Sarebbe potuto bastare benissimo il primo – il non amarlo più-, ma il pensiero che ci fosse anche dell’altro lo aveva sempre fatto dubitare di cosa potesse essere accaduto.
Non riusciva a darle torto: per quanto tempo la loro relazione si era trascinata senza un reale motivo a tenerli insieme? Alice era sempre stato il motore che li teneva legati, lei e il suo amore e lui e il suo bisogno di avere accanto qualcuno – senza chiedersi mai troppo se, quando ricambiava i “ti amo” di Alice, fosse davvero sincero o fosse solo un’altra maniera per dirle che le voleva bene e che la ringraziava per esserci.
Sapere però che c’era un’altra persona, di cui non sapeva nulla e di cui non aveva minimamente sospettato la presenza, lo destabilizzò ugualmente. Alice stava rivolgendo il suo amore e la sua attenzione verso qualcun altro che non era e non sarebbe più stato lui.
E poco importava se all’epoca gli aveva chiesto di tenere per loro il dettaglio che non sarebbero più stati una coppia: lo aveva fatto solo per Christian, per non turbarlo quando era ancora così piccolo nel vedere uno dei suoi genitori andarsene di casa, senza nemmeno molte spiegazioni da potergli dare. Gli aveva chiesto di restare, e gli aveva chiesto di farla restare, solo per il figlio che già avevano e per la figlia che sarebbe nata in primavera, e solo dopo la sua nascita avrebbero deciso cosa fare.
Alice non se n’era andata solo per loro, e Alessio sapeva che aveva ragione nell’agire così, in fondo. Ma non bastò a non ricordargli quella sensazione d’abbandono che aveva già vissuto anni prima, e che come un fantasma ora tornava ad aleggiargli attorno.
“Le persone se ne vanno sempre”.
Alice sembrava essere riuscita a vincere l’insicurezza: aveva rialzato il volto, gli occhi lucidi ma fermi. Non sembrava intenzionata a ritrattare in alcuna maniera, né a negare ciò che aveva appena confessato.
-Lui chi è?-.
Alessio sentì la propria voce risuonare atona, quasi rauca da tanto era bassa. Non aveva davvero riflettuto prima di parlare: era stata una domanda istintiva, tutt’altro che calcolata.
Alice scosse la testa, rassegnata:
-Non ha importanza-.
-Ne ha per me-.
Si odiò, nel dire quelle parole. Avrebbe fatto di tutto, qualsiasi cosa, piuttosto che lasciar anche solo trasparire la fragilità che si sentiva addosso in quel momento.
Immaginò che anche Alice dovesse odiarlo per averle chiesto una cosa del genere: se lo stava facendo, però, non lo dette a vedere, perché non indurì l’espressione del viso, né cercò di allontanarsi.
Tirò solamente un sospiro rassegnato, chiudendo gli occhi per un attimo e passandosi le mani sul volto.
-Sergio- esalò, a voce così bassa che Alessio la udì a malapena.
Non appena ebbe capito il nome appena pronunciato aggrottò la fronte, cercando di farsi venire in mente il Sergio che Alice doveva intendere. Gli ci volle qualche minuto per rammentare, tra tutte le persone conosciute lì a Venezia, ex compagni di università e colleghi di lavoro, il volto di colui che stava cercando tra i suoi ricordi.
-Il tuo collega?- chiese, a mezza voce, insicuro.
Da come Alice gli restituì lo sguardo – intenso e sincero- ebbe la certezza di aver indovinato prima ancora che aprisse bocca:
-Lui-.
Per un attimo Alessio non riuscì a dire nulla. Sergio Salvatore, un collega di Alice, non poteva dire di conoscerlo bene: ricordava di averlo visto solo poche volte, a qualche festa di compleanno di Alice o quando – ormai più di un anno fa- capitava di accompagnarla fino al museo dove lavorava. Si erano parlati forse due o tre volte, e di lui era riuscito solo a pensare che, sotto gli innumerevoli tatuaggi che gli ricoprivano le braccia, nascondesse una certa arroganza.
-Avete una storia?- chiese ancora, con voce strozzata.
Non si stupì molto di rendersi conto, in un breve attimo, di non riuscire nemmeno a sentirsi geloso: poteva immaginarsi Alice tra le braccia di Sergio, baciarlo come una volta faceva con lui, e non sentire assolutamente nulla. Era solamente la sorpresa di scoprire cosa l’aveva allontanata a renderlo, in un certo senso, inquieto.
-Lui non sa niente- disse Alice, con decisione – Non gliel’ho nemmeno detto. Non c’è stato niente tra di noi-.
A quella domanda chiunque altro avrebbe mentito, ma non era quello il caso. Alessio la guardò pensieroso, e non ebbe alcun dubbio sul fatto che Alice, nonostante tutti i mesi in cui gli aveva nascosto quei particolari, stavolta fosse sincera: riusciva a leggerle il dolore negli occhi, e quello non poteva essere falsificabile.
Attese ancora, prima di dire qualsiasi cosa; Alice sussultò appena, forse per un calcio della bambina che portava in grembo, ma proseguì quasi subito:
-Ma a che serviva restare con te, quando ormai in qualsiasi momento pensavo a Sergio? Ti stavo solo ingannando-.
Non riuscì a darle torto, non quanto avrebbe voluto.
-Perché non l’hai detto subito?- le domandò, abbassando per un attimo gli occhi. Forse era proprio quella la domanda che gli premeva di più, quella a cui avrebbe davvero voluto dare finalmente una risposta.
-Dirti che amavo un altro uomo subito dopo averti detto che ero di nuovo incinta?- Alice sbuffò, amareggiata, farfugliando appena e lasciando evidenziare l’accento britannico – Forse non avresti nemmeno creduto che fosse tua figlia, forse non mi avresti nemmeno voluto più vedere … I was afraid. Però allo stesso tempo non potevo nemmeno restare con te-.
Alessio rialzò il viso di scatto, guardandola incredulo, gli occhi sgranati: si sentì così tremendamente offeso da quel che aveva appena sentito, che per un attimo ebbe la tentazione di andarsene e interrompere quella conversazione.
-Pensavi davvero che avrei reagito così?- sbottò, sforzandosi di non alzare la voce – Non sono quel tipo di persona-.
Si sentì inorridito, mentre guardava Alice con occhi venati di rabbia.
Ripensò al momento in cui lei l’aveva lasciato, all’attimo in cui gli aveva anche detto di essere incinta: aveva pensato a mille cose diverse, alle difficoltà economiche, al poco tempo libero che avrebbero avuto per occuparsi dei bambini, a qualsiasi cosa, ma non gli era mai passato per la mente l’idea di andarsene e abbandonarli. Ricordava ancora com’era stato prima che Christian nascesse, e ricordava anche quanto quella situazione l’avesse fatto sentire in gabbia: non se ne era andato nemmeno quella volta, quando le cose erano decisamente peggiori e ancora non sapeva come affrontarle.
-Lo so cosa stai pensando: non sei come tuo padre-.
Alice non aveva ceduto all’ira. Non quanto lui, almeno. Lo guardava duramente, con sguardo affilato, ma senza accennare nemmeno a voler alzare la voce.
-Probabilmente lo stai pensando di me- gli disse ancora, senza abbassare gli occhi.
-Non l’ho pensato-.
Gli fu difficile evitare di contraddirla. Alessio cercò di impedirsi di pensare a Riccardo, al modo in cui aveva lasciato indietro lui, sua sorella e sua madre; il groppo in gola che gli si era formato gli impedì di parlare per quasi un minuto.
-Ma forse ho appena capito quel che ha passato mia madre con lui-.
Alice lo guardò incredula, prima di sbuffare sonoramente, stavolta senza nemmeno provare a nascondere la rabbia:
-Non metterti sullo stesso piano di tua madre- alzò la voce, avvicinandosi di nuovo ad Alessio in uno scatto inaspettatamente rapido – Lei è stata una vittima, ma tu con me non hai mai cercato di migliorare le cose. Nemmeno una volta-.
Ad Alessio non rimase che rimanere in silenzio, sforzandosi di non abbassare lo sguardo.
Si sentì tremare – se per la rabbia, l’umiliazione o la fastidiosa sensazione di vedersi sbattute davanti agli occhi le sue colpe ancora non riusciva a capirlo-, ma non cercò nemmeno di ribattere.
Riusciva a comprendere quel che voleva dire Alice, riusciva a comprenderlo più d quanto non avrebbe voluto; l’idea che, in fin dei conti, avesse ragione lo fece sentire ancor più distrutto.
-Io ho le mie colpe, ma non puoi credere davvero di non averne anche tu- la voce di Alice si fece di nuovo malferma e tremante, gli occhi ancora lucidi – Non vuoi essere come tuo padre, ma sei davvero sicuro che non sia così?-.
Alessio tacque ancora, restituendole lo sguardo in silenzio.
Alice non demorse nemmeno in quel momento, continuando a guardarlo con rabbia e con le lacrime che ormai le avevano di nuovo rigato il viso:
-Prova a chiederti come ho fatto ad allontanarmi, ad allontanarmi così tanto da te da guardare un altro uomo … E allora ti sarà tutto più chiaro-.
Quando se ne andò, allontanandosi da lui il più velocemente possibile, Alessio non fece nulla per fermarla. Rimase ancora lì, le spalle contro la parete del salotto, nella penombra della stanza, ascoltando distrattamente la pioggia che, fuori dalle finestre, continuava a cadere sulla città ormai addormentata.
 
E quando andrò devi sorridermi se puoi
Non sarà facile ma sai
Si muore un po' per poter vivere
(Caterina Caselli - "Insieme a te non ci sto più")*





 
*il copyright delle canzoni appartiene ai rispettivi cantanti e autori.

NOTE DELLE AUTRICI
Nuovo capitolo e nuovo piccolo salto temporale, a qualche settimana di distanza dagli eventi del precedente aggiornamento.
Finalmente anche Caterina è riuscita a coronare il suo obiettivo di laurearsi alla magistrale, godendosi giustamente i festeggiamenti... Ma, come sempre nelle nostre storie, le feste di laurea portano sempre novità! Francesco, a quanto pare, desidererebbe un fratellino più piccolo... Non che i suoi genitori siano altrettanto d'accordo
😂 O per meglio dire: Caterina non sembra esserlo. Lei e Nicola, infatti, sembrano mostrare, senza troppi peli sulla lingua, di avere due visioni ben distinte sull'avere oppure no il secondogenito. Qualcuno cambierà prima o poi idea, oppure ognuno rimarrà saldo nelle proprie convinzioni, con tutte le conseguenze del caso?
Il focus poi si sposta su Alessio ed Alice, ma il clima, anche in questo caso, non sembra migliorare più di tanto. E in questo capitolo sembra proprio essere giunto il momento di certi chiarimenti (e anche certe scoperte) su cosa sia successo tra Alice e Alessio, e soprattutto quale sia stato il motivo della loro rottura. E a quanto pare non è nient'altro che il fatto che Alice si sia innamorata di qualcun altro!
Omai non ci sono molte alternative per la loro relazione ormai finita, ma una domanda sorge spontanea: Alice aveva ragione nel dire quello che ha detto ad Alessio, oppure c'era la possibilità e la volontà di agire diversamente? Chi lo sa. A giochi fatti è sempre più facile parlare. Cosa ne pensate?
Nel frattempo vi diamo appuntamento a mercoledì 14 giugno con un nuovo capitolo... e preparatevi: sarà un capitolo particolarmente importante ed emotivamente significativo (e sì, ci odierete profondamente)!
Kiara & Greyjoy


 
 
 
   
 
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