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Autore: Enchalott    02/06/2023    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dharya
 
Kamatar sfoderò la lama e fendette l’aria in una sequenza di figure d’attacco.
Era abituato a mantenersi in allenamento nelle ore che precedevano l’alba, quando il deserto di cenere non rispediva al cielo la vampa del Sole Trigemino.
Aver appreso che Mahati era vivo lo confortava, ma l’implicazione di Danyal in quello si diceva fosse stato un duello all’ultimo sangue era una spina nel fianco. Inoltre il suo contatto aveva riferito di un’arma invisibile, un’ipotesi che sfiorava l’assurdo.
 
Le dita della spia erano salite al cuore nel sahin, il volto inondato dall’argento della luna piena.
«Kae, Elefter. La somma Valarde ti assista.»
«Abbiamo poco tempo, Dharya» aveva replicato usando il nome hanran «Dimmi se i Minkari ci hanno raggirati e se Shaeta ne è al corrente.»
«No. Crede che Danyal sia morto, sa che la regina è dispersa. Se vantasse come merce di scambio la composizione della sostanza estranea, la sfrutterebbe per rientrare alla capitale. Quanto al voltafaccia del suo generale, ci avrebbe cercati per rinnovare la parola o per evitare ritorsioni.»
«Questo se fosse un consumato stratega. Ritieni sia in grado di simulare o ignorare il privato in attesa che i suoi si rialzino?»
«No. È limpido come l’acqua. Non per ingenuità bensì per convinzione personale, le sue azioni rispecchiano i saldi princìpi cui si attiene, persino quando viene punito. Inesperto sì, non vile: ha promesso al Šarkumaar che avrebbe riscattato la sua gente in un faccia a faccia con lui.»
Il capo hanran aveva annuito, confidando nel punto di vista dell’interlocutore.
«Meglio. Impiegare un ragazzino per frustrare le aspettative nemiche mi ripugna. Resta imperativo avvicinare Danyal per smascherare il gioco di cui si è reso artefice. Voglio avere certezza di lui. Pensi di riuscirci? Me ne occuperei di persona se non dovessi risolvere un serio grattacapo.»
«La mia libertà di movimento è limitata ma tenterò.»
«Te ne sono grato e mi scuso. Ti impongo uno sforzo aggiuntivo.»
«Sono qui per assisterti, Elefter.»
«Per quanto concerne il tuo compito attuale?»
«Nessun sospetto a mio carico. Recitare una parte nella parte ha dei lati divertenti.»
«Corri sul filo della lama, Dharya. Diventare un’altra persona non ti dispensa dal provare sentimenti, persino per chi ti è nemico.»
«Ho scelto. Sorrisi e lacrime si mischiano a quelli di chi anela la libertà.»
«Me lo ripeto ogni giorno, tuttavia fare i conti con se stessi non è semplice. Esistono corde che, toccate, vibrano possenti e sono in grado di annientarci.»
«Ne sono consapevole.»
Elefter si era intenerito all’espressione risoluta. La spia era giovane, rischiava la pelle più di ogni altro al campo ma non aveva mai messo un piede in fallo e non mostrava paura.
«Sai come contattarmi in caso di necessità.»
«Vale anche per te.»
 
Passò la spada nella sinistra e proseguì con l’esercizio, riflettendo sulla seconda questione che gli impegnava la mente.
L’ultima volta in cui si era recato al tempio, non aveva potuto fare a meno di notare l’argomento sulla la costa del libro che Ishwin stava consultando e il riscontro gli si era confitto nel cervello con la tenacia di un aculeo.
Perché un trattato di mitologia astronomica?
Spinto dall’idea che fosse rilevante, aveva chiesto agli shitai alla biblioteca cittadina di scoprire quali testi avesse prelevato e ne era derivato un connubio singolare, a partire dall’interesse per la storia di Kushan.
Da settimane tentava di sistemare il mosaico e non ne veniva a capo. L’unica certezza era che la sorella avrebbe sfruttato le informazioni a proprio vantaggio o le avrebbe passate a Rhenn, che disponeva di migliaia di volumi inaccessibili.
La voce interiore lo tormentava ed era fermo alle congetture. Il pensiero che i due amanti stessero imbastendo una farsa per persuadere i Khai dell’avvento del loro Signore gli faceva accapponare la pelle, però non possedeva prove e il fine gli sfuggiva.
Sfilò la casacca per tergersi dalla polvere dell’Haiflamur. Aveva centellinato l’acqua, riempiendo il recipiente a metà: il ritardo dell’avara stagione delle piogge era il terzo assillo, provvisto del peggiorativo dell’impotenza.
È il periodo dell’anno in cui comprendiamo se sopravviveremo. Divina Azalee, non ignorate i vostri supplici!
Nonostante lo sguardo rivolto al cielo, percepì la presenza alle spalle.
«Non puoi fare a meno di me?» scherzò «Dividiamo il letto in tal caso!»
Mirai non rise e lo squadrò ostile.
«Mi accoppio con quelli della mia specie.»
«Distingui male per il controsole?» la pizzicò lui.
Allentò la cinta ma non si spogliò, limitandosi a raccogliere la chioma e ad asciugarsi il collo. La cicatrice chiara spiccò sulla pelle abbronzata.
«Il fatto che ti vergogni del tuo corpo è illuminante, restando in tema» ribatté lei.
Elefter inarcò un sopracciglio: che fosse intuitiva lo stuzzicava, che mettesse al banco i propositi lo irritava. Era tipico della grettezza mentale della corte. Si denudò, riprendendo le abluzioni mattutine.
«Ho ritenuto non ti aggradasse l’esibizione di un uomo di un’altra specie. Dovresti deciderti però, infilandomi in una categoria diversa, cade l’accusa di defezione.»
Mirai ingoiò l’osservazione. I tatuaggi della campagna jandalina si avvitavano lungo il dorso e sul suo fianco. La convinzione che le ricordasse qualcuno si consolidò. Giustificò l’eccessivo indugiare sul corpo atletico con la necessità di snebbiare la memoria.
«La razza dei traditori è a sé stante.»
Kamatar le gettò un’occhiata in tralice, sorprendendola nell’atto.
«Sarà per quello che mi esamini con interesse.»
«Osservo i simboli di guerra. Almeno su qualcosa non hai mentito.»
«A parte il nome fasullo, banale lo concedo, non ti ho propinato fandonie. Avrei potuto inventarne a iosa, ma sei dotata, mi piaci e ho bisogno del tuo aiuto.»
«Stai vaneggiando!»
«Rifiutare a prescindere è scortese. Tanto più che ti ho fatto un complimento.»
«Limitati a elogiare le tue shitai! Non sei simpatico, inoltre la presa in giro della gara con l’ascia non gioca a tuo favore!»
Lui arrestò il lavacro e la squadrò seccato. Poi strizzò la pezza e terminò di ripulirsi.
«E va bene! Detesto perdere, ma la volontà di parlarti di me era altrettanto forte, da qui l’espediente privo di intento provocatorio. Il pareggio ti avrebbe obbligata ad assistermi, non ho voluto forzarti.»
«Sei lontano milioni di fars dalla solidità di una guardia reale. Negare la sconfitta mi porrebbe sul tuo stesso piano. Accetto il pari perché proposto da chi ha vinto.»
«Che pedanteria, per gli dèi! Sarebbe troppo ammettere che, da ligia nisenshi, vuoi scoprire chi sono e ficcanasare nei fatti miei?»
Mirai alzò le spalle e incrociò le braccia sul seno, in aperto rigetto alle dita tese.
«Rifiuti lo yakuwa!?» sbottò Kamatar «Cos’ha che non va?»
«È esclusiva tradizione dei Khai.»
«Giusto, come non pensarci! Si dà il caso che sia anche un uso hanran, possiamo ovviare?»
Lei sgranò gli occhi, presa in contropiede. Quelli cobalto del giovane brillavano di divertimento. Fu costretta a siglare l’accordo: stringergli la mano fu meno bizzarro che realizzarlo mentre era svestito. L’idea paradossale che non avesse nulla da nascondere e che la nudità fosse il sistema indolore per dimostrarlo la mise a disagio. Quasi si divincolò.
«Ora che gli Immortali vigilano sul patto, parliamo della tua adorata uniforme. Qui è fuori luogo, falla sparire.»
La nisenshi fu tentata di strangolarlo, però comprese che se non l’avesse esaudito sarebbe finita come per l’akacha trangugiato a forza.
Il maledetto è il doppio di me e tiene gli artigli lunghi nonostante il divieto! È capace di farla in mille pezzi!
«Non mi spoglierò davanti a un miserabile hanran
«Tale veemenza mi spinge a meditare che sia tu quella in difficoltà con la pelle nuda. Ma rispetto il tuo sentire, fai con comodo.»
Alla frecciata Mirai perse la pazienza. Sciolse frenetica i lacci e gli tirò contro ciò che indossava, prendendo le misure per colpirlo con gli stivali.
«Ecco! Soddisfatto, sottospecie di byasar!?»
«Parecchio» enfatizzò lui grattandosi la nuca «Non mi capita sovente.»
La guardia reale trattenne un’imprecazione. Qualche giorno prima l’aveva visto baciare una shitai e non le era sembrata una casualità a giudicare dall’assenza di parsimonia con cui elargiva la lingua e le mani. L’espressione da impunito ne era la riprova. Cercò di non infuriarsi di più per non dargli soddisfazione.
L’hanran sciolse i capelli, una cascata ruggine che gli sfiorava la vita, osservandola sottecchi in cerca di una reazione da pungolare. La gradazione singolare si agganciò a uno sperone di memoria, impartendole la folgorazione che attendeva.
«Intendo» precisò lui vedendola irrigidirsi di botto «Che sei incantevole.»
Mirai ignorò l’apprezzamento, lo sguardo fisso sulle onde dalle calde tonalità rosse.
La somma Ishwin! Le assomiglia in modo sconcertante! Chi diamine è costui!?
«C-come?» balbettò distratta.
«A Mardan non si omaggia la bellezza? Tsk, saremmo noi i plebei. Grato per il delizioso spettacolo, ma non ho con me altri vestiti. A meno che tu non voglia mettere di buon umore i miei uomini…»
Le lanciò la casacca, rindossando i pantaloni e allacciando la chioma nella solita coda di cavallo.
La ragazza si riscosse troppo tardi e l’indumento finì a terra. Lui aggrottò la fronte.
«Mh, ci risiamo con la parte della schizzinosa.»
«Non dire idiozie! Ho delle domande, mi stavo concentrando! Non sono tutti scentrati come te!» Mirai si rivestì con quella che su di lei somigliò a una tunica piuttosto corta.
«A disposizione, non ho segreti.»
«Ne dubito. Per esempio mi chiedo quale sia il tuo rapporto con la somma Ishwin, sono certa che tu non abbia meditato di rapirla o di ucciderla. Ti ci sei trovato dentro.»
Il ribelle mantenne a stento l’impassibilità.
Non questa domanda, per tutti gli dèi!
«È strano essere assolto da un giudice tanto severo» glissò «Ero al santuario per verificare l’attendibilità dei vaticini, tendo a non fidarmi di chi serve il potere assoluto.»
«Sei un borioso arrogante! Osi diffidare della parola del divino Belker!?»
«Di quella dei mortali. Inoltre dubitare è il tuo lavoro, non posso farlo anch’io?»
Mirai arginò la collera: non era uno sciocco, ciò che affermava appariva un’iperbole o il risultato di un equivoco ma sarebbe stato proficuo ascoltare il suo punto di vista. Tanto più che per prima aveva avvertito puzza d’inganno.
«Quindi?» lo sollecitò.
Elefter ripercorse i ragionamenti in cui era impegnato da quando se l’era ritrovata fra i piedi. Rivelare ciò che aveva scoperchiato era rischioso, tuttavia la nisenshi possedeva qualcosa che lo spingeva a fidarsi. Era l’occasione per mettere alla prova il proprio intuito e la coerenza della controparte.
«La risposta vale la vita.»
«Nulla di hanran mi intimorisce.»
«Non si tratta di noi bensì del clan reale. Pur sul fronte opposto, non punto il dito per astio. Non trovo parole lievi per dirti che Ishwin è l’amante del principe Rhenn.»
Lei impietrì.
«Tu… bugiardo!»
«Li ho visti insieme e ti assicuro non stavano invocando Belker. Non pretendo che tu mi creda, ma ti invito a meditare sui dettagli che vengono a costituire delle prove, se esposti alla giusta luce.»
«Quali sarebbero?»
«La costante previsione di un successore che non nasce, l’assicurazione di una vittoria che non giunge, l’incessante tentativo di allontanare Mahati da Mardan, tanto per cominciare. Se colleghiamo tali esempi alle letture sul Signore dei Khai, che di certo hai notato durante la perquisizione, allora il sentore acquisisce fetore di marcio. L’Ojikumaar difetta di alleati, ha l’abilità di inimicarsi il prossimo: il suo diritto è in bilico, avere l’appoggio della pithya gli concede tempo e credito. Farsi dichiarare da lei come predestinato lo mette al sicuro. Non mi stupirei se saltasse fuori un bambino proprio dalle stanze del tempio e mi si rivolta lo stomaco all’idea. Ho una ragione aggiuntiva per volere il Kharnot sul trono e la principessa Yozora al suo fianco. O metti in dubbio anche la sua onestà?»
Mirai percepì un’onda gelida. Le affermazioni erano indiscutibili, ma si poteva dire altrettanto delle deduzioni? L’unica evidenza era l’integrità della sua protetta.
Ho ascoltato centinaia di rassicurazioni sortite dalle fiamme sacre, a Minkar ho visto di persona l’impegno dell’armata risolversi in un nulla di fatto, il secondogenito non è quasi mai a casa. E allora? Non significa che…
Forse la dorei assassinata aveva intuito ciò di cui Elefter era stato testimone, ma tale tesi avrebbe incastrato Ishwin e scagionato i ribelli. Perché il loro capo aveva taciuto? E Rhenn l’aveva interrogata per capire se avesse tratto conclusioni probanti in quella direzione o per altre ragioni? Le era parso propenso a smascherare il responsabile, non a mettersi al sicuro. Che la trama fosse più complessa?
«Fingiamo che io ti creda. Perché non ti sei difeso?»
«Che valore ha la parola di un hanran
«Avresti potuto ricorrere a una missiva, a un contatto in campo neutro o…»
Elefter rise. Versò con calma l’acqua rimasta tra le radici delle piante che crescevano all’ombra delle rocce.
«Lo faccio ora. Ne discuto con te, vivi a corte e conosci le zone buie. Le stanze che sorvegli celano informazioni di vitale importanza. Questioni all’apparenza banali o forse ordini impartiti alle persone adatte. Sfruttali per capire se mento e decidi se aiutarmi a non abbandonare il regno nel precipizio della corruzione.»
Il blu limpido dei tuoi occhi mi persuade della tua sincerità.
Mirai scacciò il pensiero fuorviante e inalò l’aria, cercando una via oggettiva.
Il braccio destro del Šarkumaar, Eskandar, ha il compito di sorvegliare il principe della corona. Ho creduto si trattasse della nota acredine tra i fratelli, ora non ne sono certa. Mahati ha ripetutamente manifestato dissenso agli ordini di rientro nell’Irravin e non si è mai recato al tempio con la principessa. Le motivazioni possono essere infinite, ma non nego ciò cui la ragione mi pone difronte.
«Ci rifletterò. Non significa che sia disposta ad allearmi con te. Inoltre esigo da te una risposta franca. Se tu non avessi familiarità con la nobile Ishwin, l’avresti consegnata per salvare il collo, per ralaki o per il šokai della stirpe. Non è avvenuto.»
«Sudenha» sussurrò il giovane, confermando la supposizione.
Raccolse le sue cose e si apprestò a rientrare senza aggiungere altro.
«Devo indovinare?» lo pressò Mirai trattenendolo per un braccio.
«Non è importante, tanto più che detesti sentir parlare di ahaki. Hai detto che sono scentrato, prendila come una delle mie stravaganze.»
«Stai fuggendo, Elefter?»
L’ex reikan esitò, soppesando le implicazioni: ciò che lo persuase fu che, per la prima volta, lei non lo avesse apostrofato con un dispregiativo. Sollevò lo sguardo nel suo e trovò terreno fecondo.
«È mia sorella.»
 

 
Danyal si forzò a stringere l’involto di panno tra le dita, ma la destra non rispose. Sebbene la ferita fosse guarita, a eccezione di alcuni insignificanti movimenti, la mano e il braccio rimanevano intorpiditi.
Non si rassegnò, riprese il movimento: la fronte si imperlò di sudore e lo stomaco gli inviò un riflusso di nausea, segnalando il debito di energie.
Inizio a disperare la ripresa.
Sollevò lo sguardo sul panorama desolante, paragonandolo al proprio stato d’animo. Dopo gli attacchi guidati da Rhenn e dai generali di stormo, della prima cinta muraria non restava che cenere. Delle solide torri solo quella meridionale svettava diroccata nella bruma, i tizzoni tesi al cielo come ossa spezzate. Il palazzo reale era caduto, i superstiti disponevano l’estrema difesa dalla zona degli ospedali, un angolo intonso al riparo delle merlature interne, e si rivolgevano a lui come se fosse in grado di salvarli. Si domandò cosa avesse impedito ai Khai di radere al suolo le fortificazioni.
Non riesco a montare, camminare è uno sforzo sovrumano. Hanno fiducia in un uomo finito. Tuttavia non posso mollare, non ancora.
Le nubi violacee del tramonto snudarono uno spicchio di luna, gettando un pallido chiarore sul bivacco. Erano sconfitti, non vinti. Che fosse un dono degli dèi, un capriccio del caso o una stasi decisa dal nemico per piegare i loro nervi, avrebbero dovuto approfittarne.
«Generale?»
Danyal diresse un’occhiata cupa a Zobel, che indugiava sulla soglia attorniato dagli assistenti in tunica bianca.
«Siamo riusciti a salvare un terzo delle scorte di kori.»
Annuì. Detestava il veleno, odiava se stesso per aver ucciso Mahati con quel sistema subdolo, non perdonava la guerra e non scusava nessuno, a partire da se stesso.
«Se riuscissimo a cogliere di sorpresa i nemici e impiegassimo quello che avanza, forse si creerebbe un’aspettativa» azzardò l’alchimista «Siamo pronti, attendiamo i vostri ordini.»
Dannato ruffiano impomatato!
Non aveva scusato i sacrifici dei suoi soldati, immolati per consentirgli di perfezionare il composto e ovviare a decine di fallimenti, senza vantare la certezza che l’ultimo lancio fosse stato decisivo. Non avevano la prova effettiva della morte del Kharnot. Su un punto però aveva ragione: era la sola possibilità rimasta.
«Sorprendere, mastro Zobel?» mormorò sarcastico «Avete mai visto un demone stupefatto? Occorre una strategia, contando che è l’ultima carta di una partita persa. Occupatevi dei feriti e lasciate la tattica a chi porta l’uniforme, senza dimenticare che il nostro principe è nelle mani degli avversari.»
«C-certo, io non metterei mai in pericolo sua altezza» farfugliò l’altro «L’ho dato per scontato, se conoscessimo il luogo in cui è detenuto, potremmo…»
Danyal colpì il suolo con il fodero della spada, ottenendo un istantaneo mutismo.
«Non vi sto accusando. Vi invito a concentrare gli sforzi su chi rischia di raggiungere le dimore del celeste Reshkigal. Io sto benissimo» aggiunse a scanso di equivoci.
L’alchimista si inchinò e batté in ritirata, intimorito dalla durezza dei toni.
Il generale si raddrizzò a fatica e uscì, rabbrividendo per la temperatura polare. Se Shaeta non fosse stato catturato, si sarebbe consegnato ai ribelli assumendosi la responsabilità per la morte ingloriosa del Šarkumaar, supplicando una possibilità per il ragazzo. Di certo non avevano gradito che avesse taciuto l’esistenza del kori.
Arrancò fino alla sponda del fiume, scendendo di qualche metro verso ciò che restava delle gallerie per l’imbarco sotterraneo.
Da settimane non c’era stato contatto con i dissidenti, un palese segno di biasimo. Intuire i loro pensieri non era sufficiente, reclamava certezze basandosi su quella che non lo avrebbero eliminato senza pretendere una spiegazione. S’inoltrò tra le rovine, pensando che lo avrebbero udito a miglia, privo com’era dell’agilità e della reattività di un tempo.
Rimase a fissare la corrente impigrita dal gelo, un nastro sinuoso tra gli sterpi induriti. Quando capì di non essere solo, aveva una lama alla gola.
«Hai un fegato notevole, generale.»
Danyal alzò le braccia. Il destro si bloccò a metà, per lo sforzo gli sfuggì un gemito.
L’hanran ritirò l’arma con un moto di commiserazione, consentendogli di voltarsi: identificò il vice di Elefter alla luce altalenante del crepuscolo.
«È ciò che mi rimane» ammise massaggiandosi l’arto sofferente.
«Oltre all’unica occasione per spiegarti. Hai ordinato tu la morte del nostro principe?»
«No, ma ho ordito la trappola.»
Il demone strinse le palpebre con evidente collera, però non reagì.
«Ti ascolto.»
«Non ne traggo vanto e non assegno il torto alla guerra. Forse un altro stratega avrebbe barattato Shaeta con le vite dei suoi uomini, non io.»
«Se fossi Rhenn, ti attribuirei scarsa perspicacia. Nessun Khai cede al ricatto, non è abbastanza chiaro? La mossa successiva è stata quella di annientarvi prima che cercaste di avvantaggiarvi. Se esistono superstiti è perché noi hanran abbiamo rallentato l’attacco e tirato il ladi a vuoto. Vedi di ricordartene, generale.»
Danyal trattenne il fiato. La spiegazione bastava a motivare i sassi rimasti in piedi. Serrò le labbra, realizzando quanto da vicino avessero sfiorato l’estinzione e quanto orchestrare un tutto per tutto avesse sortito l’effetto contrario.
«La tua fortuna è che sono un ribelle» continuò l’altro «E capisco che la vita dell’erede al trono sia preziosa sia sul piano politico sia su quello personale.»
«Shaeta…?»
«Non ha patito ritorsioni. Non credere sia avvenuto perché non è al corrente delle vostre disposizioni militari. Respira poiché il principe Mahati aveva ordinato ai Khai di non toccarlo.»
L’ufficiale minkari sentì il cuore perdere un battito: con il Kharnot morto veniva a mancare il perno sul quale era fondata la sopravvivenza di Shaeta. Se l’avessero ucciso, le mani sporche di sangue sarebbero state le sue.
«Prendi la mia vita. Salva il ragazzo, ti prego.»
Il demone lo squadrò da sotto il cappuccio.
«Ti parrà strano, ma si sta salvando da solo. Ha accettato la sfida, la mia gente ne sta facendo un uomo. È di te stesso che devi occuparti.»
Danyal spalancò gli occhi bruni, intensi sul volto cereo. L’aria incredula provocò il sogghigno della controparte.
«La scarsa fiducia nel tuo futuro sovrano non ti fa onore, generale. Puoi considerare la stirpe cui appartiene e cambiare idea.»
«Parli della regina? Amshula è con voi!?»
Il demone aggrottò la fronte come se non avesse previsto la reazione e negò.
«Abbiamo supposto fosse a Mardan» seguitò angosciato il generale.
Dharya ascoltò il resoconto sull’evasione e scosse il capo.
«Il tuo problema è riguadagnare la nostra stima, non affannarti per quella donna.»
«Rinnovo la mia parola. Ma non chiedermi l’antidoto al kori
«Ti chiedo di non usarlo. A te la scusa atta a convincere i Minkari. Se colpirà uno solo dei Khai, Elefter considererà chiuso il capitolo accordi. Non è necessario che ti illumini sulle conseguenze.»
Danyal assentì grave e osò un’ultima domanda con il cuore in gola.
«Posso sapere se Rhenn sostituirà Mahati alla guida delle armate?»
«Nessuno può sostituirlo» sentenziò sbrigativo il ribelle.
   
 
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