Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Ghost Writer TNCS    03/06/2023    2 recensioni
Da sempre le persone hanno vissuto sotto il controllo degli dei. La teocrazia del Clero è sempre stata l’unica forma di governo possibile, l’unica concepibile, eppure qualcosa sta cambiando. Nel continente meridionale, alcuni eretici hanno cominciato a ribellarsi agli dei e a cercare la verità nascosta tra le incongruenze della dottrina.
Nel frattempo, nel continente settentrionale qualcun altro sta pianificando la sua mossa. Qualcuno mosso dalla vendetta, ma anche dalla volontà di costruire un mondo migliore. Un mondo dove le persone sono libere di costruire il proprio destino, senza bisogno di affidarsi ai capricci degli dei.
E chi meglio di lui per guidare i popoli verso un futuro di prosperità e progresso? Chi meglio di Havard, figlio di Hel, e nuovo dio della morte?
Questo racconto è il seguito di AoE - 1 - Eresia e riprende alcuni eventi principali di HoJ - 1 - La frontiera perduta.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

39. L’inizio di un nuovo mondo

«La guerra è finita» annunciò l’enorme proiezione di Nergal, così alta da essere chiaramente visibile anche all’esterno delle mura. «Chiunque si ostini a voler fare del male ai nostri fedeli, verrà sacrificato in nostro nome, e in onore di tutti coloro che sono stati barbaramente uccisi a causa della follia del bastardo di Hel.»

D’Jagger, che anche da fuori le mura aveva udito chiaramente le parole degli dei, fece un verso di stizza. «Fottuta propaganda! Certe cose non cambiano proprio mai.» Guardò in basso, verso il tamburo che aveva momentaneamente adagiato a terra. E un sorriso malefico si allargò sul suo volto.

Si alzò, passò il laccio che reggeva il tamburo dietro il collo, impugnò le bacchette e cominciò a battere con forza. L’esercito di Havard aveva solo due semplici ritmi molto facili da riconoscere: uno per ordinare l’attacco e uno per ordinare la ritirata, ma il goblin non stava suonando nessuno dei due. Quella che stava eseguendo era la musica della vittoria, la stessa che aveva suonato a lungo durante i banchetti in onore di Havard.

Non ci volle molto prima che gli orchi vicino a lui lo imitassero, e in breve tutti i suonatori dell’armata stavano eseguendo quella melodia energica, fiera e festosa: il rullare dei tamburi divenne così forte che il discorso degli dei venne relegato a un fastidioso brusio di sottofondo.

«Questo sarebbe un buon momento per saltare fuori, sai, Havard» commentò D’Jagger tra sé.

Come se lo avesse sentito, un roboante ruggito si sollevò da Shakdàn, e poco dopo un enorme drago superò in volo le alte mura della città. Il suo corpo era forte e muscoloso, ma le sue ossa sporgenti e la pelle tirata lo facevano apparire quasi scheletrico. Il muso in particolare aveva occhi infossati e zanne sporgenti, con linee minacciose che mettevano in risalto il suo massiccio teschio. Quello era un drago d’ossa, e il suo aspetto feroce – unito al tanfo che emanava – lo aiutava a scacciare gli altri predatori per rubare le loro carcasse. Anche tra i draghidi di taglia più grande erano pochi quelli disposti a combattere contro con i draghi d’ossa. Le viverne soffiamorte erano tra questi.

L’enorme necrofago planò verso l’esercito e atterrò davanti alla prima linea, facendo arrestare tutti i tamburi. Nel silenzio che seguì, i guerrieri e il drago corazzato di Havard osservarono la minacciosa creatura con timore e sospetto, ma si rilassarono appena il figlio di Hel scese insieme a Tenko.

«Ero sicuro che non potevate essere morto» affermò Reton, rincuorato dalla vista del suo leader. «Cos’è successo?»

«Più o meno quello che hanno detto, tranne che l’esplosione è opera loro e che io non sono morto. Non posso dire lo stesso degli altri.» Il suo tono era dispiaciuto, duro, ma anche determinato.

«Vinceremo anche per loro» gli assicurò l’orco con la mano metallica.

Havard salì sul suo drago corazzato, così che tutti potessero vederlo. «Gli dei hanno fatto la loro scelta!» annunciò a gran voce, e la magia mentale estese la portata delle sue parole. «Potete arrendervi, come vorrebbero loro, e rinunciare a tutto quello che avete ottenuto fino ad ora. O potete combattere! Potete combattere la più grande battaglia che il mondo abbia mai visto! Potete essere ricordati per sempre come vincitori!»

Le prime grida si sollevarono dall’esercito.

«Oggi noi uccideremo gli dei e sconfiggeremo il Clero! Combattete con coraggio, perché oggi inizia un nuovo mondo! Il nostro mondo!»

Questa volta le grida si moltiplicarono, diventando un potente ruggito collettivo.

Havard diede il segnale al suo spirito guida, e il drago d’ossa si lanciò subito verso Shakdàn. Sbatté le ali, ma non per prendere il volo, bensì per aumentare ulteriormente la sua velocità. Le sue lunghe falcate erano una carica inarrestabile, ed erano dirette verso il portone della città. Lo schianto fu fragoroso. Le mura di pietra oscillarono paurosamente, i cardini saltarono e i colossali battenti di legno e metallo cominciarono a inclinarsi lentamente. I guerrieri del Clero li videro abbassarsi, oscurare il cielo, ma non c’era già più tempo per reagire. Altri due tonfi assordanti echeggiarono per la città, insinuando il terrore nei difensori e alimentando la determinazione degli aggressori.

Il pallido puntò il suo bastone d’ossa verso la grande apertura nelle mura della città. «Dimostrate il vostro valore, e questa sera banchetteremo nei templi di Shakdàn!»

I guerrieri urlarono e i tamburi scatenarono l’energica musica dell’attacco. I draghidi si alzarono in volo, la cavalleria terrestre guidò la carica e la fanteria si lanciò come una marea armata verso i cancelli spalancati.

La risposta degli dei non si fece attendere: ora che il cancello era caduto, i difensori rinunciarono a trincerarsi per riversarsi all’esterno, sfruttando tutte le unità a disposizione per bloccare i nemici prima che potessero invadere la città.

I due eserciti erano ormai prossimi all’impatto. Le prime linee si fiondarono una sull’altra, ma fu la cavalleria del pallido ad avere la meglio, incuneandosi nella disordinata massa di nemici. I guerrieri e gli ordogue alle loro spalle si avventarono sui nemici storditi e in meno di un minuto il figlio di Hel contò centinaia di anime lasciare il proprio corpo, quasi tutte dirette verso il regno di Nergal. E il loro numero cresceva a una velocità esorbitante.

Per una volta Havard poteva contare sulla superiorità numerica, ma sapeva che anche così non sarebbe stata una battaglia facile.

Alcuni potenti incantesimi partirono dalla fanteria del Clero, riuscendo ad abbattere decine dei monoceratopi del pallido. Quella era sicuramente opera di inquisitori, ma i suoi guerrieri armati di bacchette erano abbastanza numerosi da occuparsi di loro.

Nonostante le perdite, la cavalleria terrestre continuò nella sua dirompente avanzata, spezzando in profondità le fila nemiche. Sembravano inarrestabili, finché dal terreno non esplosero lunghi rovi che li avvolsero come serpenti. Le robuste piante li ancorarono al terreno, bloccando completamente i loro movimenti e rendendoli facili bersagli.

I guerrieri del Clero ritrovarono coraggio e partirono al contrattacco. Erano ancora in inferiorità numerica, ma improvvisamente i loro colpi erano più decisi, le loro difese più salde, e le loro azioni più coordinate. Era come se agissero per la prima volta come una forza comune, guidati da una melodia prodotta da alcune decine di insettoidi posizionati nelle retrovie. Tra loro c’erano anche dei danzatori, i cui movimenti armoniosi e perfettamente coordinati andavano di pari passo con la controffensiva del Clero.

Anche in cielo le cose non si stavano mettendo bene per i cavalieri di Havard: se in un primo momento la superiorità numerica aveva giocato a loro vantaggio, ora i draghidi del pallido continuavano a venire intossicati dal fumo di uno dei nemici, col risultato che per gli altri inquisitori diventava molto più facile colpirli e abbatterli.

E mentre tra le due armate la battaglia si faceva sempre più accesa, una terza forza sembrava intenzionata a unirsi allo scontro: il vento prese a soffiare con intensità crescente, e delle nubi scure e minacciose cominciarono ad addensarsi sopra il campo di battaglia. Era solo questione di tempo prima che un altro cataclisma si scatenasse per sedare il conflitto e stroncare quell’utilizzo scellerato della magia.

«Sigurd, mi senti?» chiese Havard.

«Ti sento» confermò l’elfo, che pur trovandosi altrove, poteva parlare con il pallido grazie al comunicatore che gli avevano prestato. «Abbiamo individuato una semidea di Mbaba Mwana Waresa con la fanteria nemica, un semidio di Tezcatlipoca in cielo, e un Pilastro tra i danzatori nelle retrovie. Ma è probabile che ce ne siano altri.»

«Potete occuparvene?»

«Lo stiamo già facendo.»

Sigurd schivò la mazza di un orco, balzò oltre il cadavere di un monoceratopo e continuò la sua rapida corsa tra i guerrieri nemici. Scartò agilmente un gruppo di orchi e finalmente avvistò un manipolo di sauriani disposti intorno a una loro simile con le mani sul terreno.

L’elfo scattò verso di loro, colpì il primo con un calcio e un altro con il piatto della spada.

La sauriana si voltò verso di lui. «E tu cosa saresti?» gli chiese con sprezzo. «Un nano? O sei sempre un orco?»

Sigurd aprì la guardia di un altro difensore e lo stese con un pugno.

Lei gli sorrise con superiorità, incurante della sorte del suo alleato. «Voi mammiferi siete tutti uguali per me. Soprattutto quelli morti!»

Quattro sauriani si avventarono tutti insieme sull’elfo, Sigurd schivò e parò, ma qualcosa lo afferrò ai piedi. Con la coda dell’occhio vide altri rampicanti uscire dal terreno per ghermirgli le gambe. Usò Balmung per tagliarne alcuni, ma gli altri guerrieri lo stavano pressando. Non aveva tempo per liberarsi.

Bloccò un fendente con la protezione sull’avambraccio sinistro e un altro con la spada. Una lama rimbalzò sulla sua armatura nera, e l’altra fece lo stesso sulla sua pelle: quest’ultima aveva perso la colorazione rosata, sostituita da scaglie nero-bluastre dure come metallo.

La semidea osservò quella trasformazione con un sorriso compiaciuto. «Ma guarda un po’! Sei forse un po’ rettile anche tu?»

Nel frattempo anche Shamiram aveva lasciato l’astronave e stava volando verso lo scontro aereo tra i cavalieri di Havard e gli inquisitori. Era abbastanza sicura di poter sconfiggere tutti quei servi degli dei da sola, ma in quel momento doveva concentrarsi su uno di loro in particolare.

Dopo un inseguimento fin troppo lungo, finalmente riuscì a raggiungere il suo bersaglio: una viverna quattroali, che come suggeriva il nome aveva due ali aggiuntive che la rendevano estremamente agile e veloce.

Si adagiò sul dorso del draghide del nemico, ma dovette continuare a usare la telecinesi per non volare via.

«Giovanotto, adesso tu atterri.»

Il cavaliere ebbe un sussulto. Si voltò di scatto. Era un orco, un ragazzino in realtà, aveva la carnagione molto scura e due linee gialle dipinte sul viso.

«Cosa ci fai qui?! Come sei arrivata?!»

«Atterra! O ti faccio schiantare!»

«Aspetta, tu sei quella che se l’è presa con Urmah!» Il giovane semidio era chiaramente spaventato. «Sei la donna-esercito!»

Un simile appellativo stupì Shamiram, che poi gli rivolse un sorriso soddisfatto. «Esatto. Quindi sai già-»

«Ci vediamo, vecchia!» L’orco tirò le redini della sua viverna, che in un batter d’occhio eseguì una violenta giravolta.

Il cavaliere si voltò. «Ti è piaciu-? Aaaah! Come fai ad essere ancora qui?!»

 L’umana mosse una mano e il ragazzino venne tirato all’insù da una forza invisibile. Le cinghie che lo tenevano ancorato alla sella ressero, ma col risultato che anche la sua viverna stava venendo tirata verso l’alto.

«Ultima occasione, giovanotto.»

Il semidio creò un getto di fumo, ma un turbine di vento lo dissolse prima che potesse avvicinarsi all’umana.

Shamiram non disse nulla. Evocò il fuoco del jinn fenice per bruciare i lacci della sella e poi avvolse il giovane orco in un bozzolo di bitume che lasciava fuori solo la testa.

Ora il ragazzino era terrorizzato. «No! Ti prego! Ti prego!»

Lei lo zittì tirandogli un piccolo pezzo di catrame sulla fronte.

«Questo è per il fumo.»

Con un cenno della mano lo lanciò nel vuoto.

«E questo è per avermi dato della vecchia.»

Oltre a Sigurd e Shamiram, anche Freyja aveva ricevuto ordine dall’elfo di scendere in campo.

Aveva indossato abiti simili a quelli dei guerrieri locali per confondersi tra loro, brandiva una mazza di ferro, ma questa volta aveva con sé anche una vera arma. Arma di cui – lo aveva promesso – si sarebbe completamente dimenticata una volta lasciato il pianeta.

«Se devo dare una mano contro le unità più forti del Clero, vorrei almeno una pistola stordente» disse l’orchessa ai due proprietari dell’astronave. «Voglio dire, sono forte, ma non così forte…»

«Non abbiamo armi a bordo» dichiarò Shamiram.

«A parte la mia spada» precisò Sigurd.

La poliziotta sospirò. «Va bene anche una pistola non registrata e priva di qualsiasi identificativo.»

L’umana stava per ripetersi, ma l’elfo le lanciò un’occhiata eloquente. Sbuffò. «E va bene, aspetta qui.»

Freyja non aveva idea di quali altre armi illegali fossero nascoste sull’astronave, e in tutta onestà non aveva nessuna voglia di scoprirlo. Ma avrebbe fatto buon uso di quella che gli avevano consegnato per ridurre al minimo le perdite per entrambi gli schieramenti.

Dopo aver aggirato buona parte della battaglia, rallentò la sua corsa e si insinuò tra i nemici cercando di non farsi notare. Grazie all’elmo e ai vestiti coprenti nessuno sembrava fare particolarmente caso a lei, e questo le permise di raggiungere gli insettoidi nelle retrovie senza bisogno di lottare. Ma la parte facile finiva lì.

Osservò con attenzione i ballerini e quasi subito riconobbe il suo bersaglio: un coleotteriano dall’esoscheletro verde iridescente.

Non aveva senso identificarsi come un agente di polizia, così impugnò la pistola, prese la mira e sparò.

L’impulso stordente colpì l’insettoide, che ebbe un sussulto. La sua danza si interruppe, perse l’equilibrio. Ma non cadde. Non guardò nemmeno nella direzione da cui era arrivato il colpo: semplicemente riprese a ballare, e come lui fecero anche gli altri danzatori e suonatori.

Freyja sparò altre tre volte, tutte sul bersaglio, ma questa volta il Pilastro non si fece cogliere di sorpresa e contrastò lo stordimento con la sua energica danza.

Freyja sentì un brivido lungo la schiena: l’insettoide sembrava deciso a ignorarla, ma lo stesso non valeva per i guerrieri lì presenti. Le decine di guerrieri lì presenti.

«Cavolo…»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Finalmente vediamo lo spirito guida di Havard, ossia un minaccioso drago d’ossa. Che di sicuro lo ha aiutato a fare un rapido e trionfale ritorno in campo, anche perché l’iniziativa di D’Jagger non avrebbe tenuto insieme le truppe molto a lungo.

Il pallido ha dato il via alla battaglia, il cui esito però è ancora incerto. Il figlio di Hel può contare su un esercito più numeroso, su Sigurd, Shamiram e Freyja, ma gli dei hanno ancora diversi assi da giocare, su tutti i loro figli, i Pilastri e Spartakan.

Insomma, è giunto il momento di buttare tutti nella mischia, e vedremo chi la spunterà >.<

Ormai ci stiamo avvicinando alla conclusione, quindi non perdete il prossimo capitolo!

A presto ;D

PS: sarei tentato di aggiungere a difesa del ragazzino semidio che ne sono passati di anni da quando Shamiram regnava su Babilonia, ma ormai è chiaro che è meglio non fare arrabbiare l’illustre signora, quindi taccio :X


Segui Project Crossover: facebook, twitter, feed RSS e newsletter!

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Ghost Writer TNCS