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Autore: Milly_Sunshine    08/06/2023    3 recensioni
Kay è una giornalista radiofonica affermata e conduce un programma di cronaca, accerchiata da un entourage di fedelissimi, il marito Anthony, a sua volta giornalista, il loro collega Samuel e l'assistente Theresa. Fissata con i crimini irrisolti, matura un'ossessione insolita nei confronti dell'omicidio di un'anziana locandiera che le costa a sua volta la vita. Kay si ritrova a sua volta vittima di un delitto, lasciando le persone che le stavano intorno, oltre che la collega Rebecca, con la quale aveva una feroce rivalità appianata soltanto nelle sue ultime settimane di vita, a interrogarsi su chi l'abbia eliminata e perché, su chi fosse la femme fatale che si aggirava presso la sede della radio il giorno prima del delitto, oltre che sulle ragioni per cui fosse così in fissa con lo specifico caso della locandiera assassinata. // Long fiction scritta nel 2015 sulla base di un'idea già in parte sviluppata cinque anni prima, unisce elementi del giallo classico e del thriller.
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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“Voi andate, io vi raggiungo” aveva detto Theresa.
A Samuel non era sfuggito il modo in cui l’aveva guardato; i suoi occhi grandi, che dietro alle lenti degli occhiali apparivano ancora più grandi, erano meno imploranti del solito ed esprimevano un’inequivocabile condanna. Non gli era chiaro, in quel momento, se la sua collega non approvasse il fatto che Kay, per festeggiare il successo dell’imminente ripresa del suo programma, avesse deciso di concedersi una serata di svago, oppure se a infastidirla fosse soltanto la sua partecipazione all’evento.
Guardando l’orologio per l’ennesima volta, tutto gli apparve più chiaro. La giornata di venerdì 23 agosto era legalmente terminata da almeno venti minuti e non era senz’altro quello l’orario in cui una donna come Theresa faceva la propria comparsa in un locale pubblico.
Seduto a pochi metri di distanza dalla pista, Samuel iniziò a chiedersi se la sua stessa presenza fosse giustificata.
“E se Theresa avesse ragione? Se dovessi davvero impiegare il mio tempo in modo più costruttivo?”
Quel pensiero durò soltanto poche frazioni di secondo. Era un uomo di successo e aveva tutti i diritti di divertirsi, qualunque cosa ne pensasse lei, che era brava soltanto a farsi viaggi mentali e a non parlare chiaro.
“Non che mi stia divertendo molto, per ora...”
Le sue riflessioni vennero interrotte dalla voce di Anthony, che era seduto alla sua sinistra.
«Non bevi?» Indicò il suo drink, ancora intatto, sul tavolino. «Da quando hai deciso di diventare un bravo ragazzo?»
Samuel si girò verso di lui e sorrise.
«Sono sempre stato un bravo ragazzo.»
«Sarai anche un bravo ragazzo» obiettò Anthony, «Ma per il momento mi sembri troppo perso in chissà quali fantasie. Rassegnati: Theresa non è venuta, ma il mondo è pieno di donne. Anzi, non capisco perché ti ostini a frequentarla.»
Samuel sospirò.
«Forse per lo stesso motivo per cui lei si ostina a cercare me.»
Si rese conto di avere parlato troppo piano: la musica era troppo alta perché Anthony potesse sentirlo.
«Cos’hai detto?»
«Niente, lascia stare» concluse Samuel. «Se Theresa ha deciso di non venire, sono problemi suoi. Mi sono stancato di sforzarmi di capire le donne, perché tanto non ne sono capace.» Prese il bicchiere, lo portò alla bocca e bevve un sorso del suo cocktail. «A proposito, hai un’idea anche solo vaga di che fine abbia fatto Kay?»
Anthony gli ricordò: «È andata in bagno.»
Samuel annuì.
«Qualcosa come un quarto d’ora fa...»
Anthony rise.
«Sai come sono le donne. Perdono tanto tempo in bagno.»
«Theresa non è così» obiettò Samuel, appoggiando il bicchiere sul tavolo. «Lei non mi fa mai aspettare.»
«Infatti noi non stiamo aspettando nessuno» puntualizzò Anthony. «Se Kay ha deciso di chiudersi alla toilette a riflettere sulla pace nel mondo, sull’immortalità dell’anima e sulla gestione degli spazi pubblicitari nelle reti televisive, perché dovremmo preoccuparci?»
Già, perché dovevano preoccuparsi? Era quello che gli ripeteva sempre anche Theresa: lo accusava di non fare altro che intromettersi negli affari altrui, e in parte esagerava. Erano altre le persone, tra quelle con cui aveva a che fare ogni giorno negli studi di Radio Scarlet, che si occupavano troppo degli altri, non certo lui.
Samuel si limitò a osservare: «Se proprio deve chiudersi in bagno a fare riflessioni profonde, è molto più probabile che stia pensando alla povera signora Flint.»
Anthony annuì.
«Temo proprio che tu abbia ragione.»
«Ci sta mettendo l’anima, in quell’affare» aggiunse Samuel. «A volte non riesco a spiegarmi perché si sia... come dire... fissata, su quel caso.»
Anthony ripeté: «Fissata...» Abbassò lo sguardo. «Temo che tu ci abbia visto giusto: ormai sta diventando un’ossessione, per lei. Mi ha assicurato che, se ci ha lavorato per tutta l’estate, è stato perché vuole occuparsene non appena ricomincerà il suo programma.»
Samuel non poté fare a meno di osservare: «Non ne sembri molto convinto.»
«Temo che possa essere un buco nell’acqua» ammise Anthony. «Vorrei che Kay si rendesse conto che si tratta soltanto di una poveretta assassinata durante un tentativo di rapina.»
«Questo rende la sua morte meno grave?»
«Certo che no.»
«Allora ha ragione Kay.»
Anthony alzò gli occhi, scuotendo la testa.
«Non capisci.»
«Invece credo di avere capito benissimo» replicò Samuel. «Vuoi dire che è del tutto legittimo commuoversi per le sorti di quella donna, ma che non c’è nessun motivo per concentrarsi proprio su quella, quando ogni giorno avvengono delitti in tutto e per tutto simili.»
«Vedo che hai centrato il punto» osservò Anthony. Gli indicò una donna, a qualche metro di distanza da loro, da sola sul bordo della pista da ballo. «Passando alle cose che veramente contano, è da un po’ che quella graziosa signora se ne sta lì da sola. Perché non vai a chiederle se puoi offrirle qualcosa da bere? Tanto Theresa non verrà...»
Samuel lanciò un’occhiata distratta alla donna, che in quel momento gli voltava le spalle. Era alta e longilinea e portava un abito leopardato. Portava i capelli scuri raccolti in uno chignon.
«A primo impatto non mi sembra la mia donna ideale.»
Anthony convenne: «Forse no.»
«E poi» aggiunse Samuel, guardandola allontanarsi nella direzione opposta, «Pare che se ne stia andando.»

Kay appoggiò la borsa sul bordo del lavandino, imprecando tra sé e sé: quando le serviva qualcosa, non lo trovava mai!
Prese a rovistare tra il contenuto, notando un foglio di giornale ripiegato. Si guardò intorno. Dal momento che non c’era nessuno, lo prese fuori. “Incidente mortale sulle montagne”, diceva il titolo di un trafiletto. Kay lesse le prime righe, come a conferma che si trattasse proprio di quell’incidente. Appallottolò la pagina e la gettò sul fondo della borsa. In quel momento vide, infine, quello che cercava.
Estrasse la piccola trousse e ne prese fuori il rossetto. Si avvicinò allo specchio e se lo passò sulle labbra.
Lo stava mettendo via, quando vide riflettersi l’immagine di una donna che entrava.
Kay non le prestò molta attenzione. Mise il rossetto nella trousse, poi infilò quest’ultima dentro la borsa, la afferrò per la tracolla e si allontanò dal lavandino.
Non avrebbe fatto caso alla sconosciuta, se questa non si fosse rivolta a lei.
«Ha lasciato la cerniera aperta.»
Kay abbassò lo sguardo sulla borsa.
«Oh, grazie.»
La richiuse e si diresse verso la porta d’uscita, provando per un attimo una sensazione di familiarità. Vi rifletté soltanto dopo avere oltrepassato la soglia. Quella donna, con il vestito maculato e i capelli scuri - a Kay era sembrato che fossero scuri anche gli occhi, ma non ne era totalmente sicura - le ricordava qualcuno.
“Già, ma chi?”
Non era la prima volta che aveva un’impressione di dejà-vu, ma era la prima volta in cui provava una sensazione di fastidio. Le era quasi sembrato di essere osservata. Dopotutto perché una perfetta sconosciuta avrebbe dovuto fare caso alla sua borsa?
“Smettila, Katherine” si ordinò, usando il proprio nome completo nel rivolgersi a se stessa, quasi in onore di quei vecchi tempi che per lunghi anni aveva cercato di rimuovere dalla propria mente. “I fantasmi del tuo passato non ti troveranno mai e non verranno mai a tormentarti.”
Lasciò andare la porta, che si richiuse alle sue spalle. Doveva attraversare quasi tutta la sala per raggiungere Anthony e Samuel. Una volta arrivata da loro, inoltre, avrebbe dovuto far finta di niente.
“Dopotutto” ricordò a se stessa, “Non è successo niente.”
O almeno, non era accaduto nulla che non la riguardasse personalmente, perché in realtà i problemi c’erano: il primo era che aveva commesso il grave errore di tenere nella borsa del materiale compromettente, il secondo era che stava iniziando a diventare paranoica. Quale dei due fosse la causa scatenante dell’altro, non le era ancora chiaro.
Si avviò nella penombra, verso quello che era stato il suo punto di partenza. Camminò in fretta, abbagliata dalle luci colorate che si riflettevano anche oltre la pista da ballo, diretta verso i due uomini che la stavano aspettando.
Era ormai giunta a destinazione, quando si fermò. Strizzò gli occhi per mettere a fuoco e finalmente li vide: erano ancora seduti al tavolo e Samuel teneva un bicchiere in mano.
Quando li raggiunse, Anthony osservò: «Pensavamo che ti fossi persa.»
Samuel intervenne: «Veramente hai detto che, se stava facendo profonde riflessioni, era meglio non preoccuparsi e lasciare che tutto procedesse secondo gli schemi.»
Kay rabbrividì.
Aveva trascorso troppo tempo lontana dal tavolo, e non era un bene. Negli ultimi giorni non faceva altro che chiudersi in se stessa e, presto o tardi, qualcuno le avrebbe chiesto quale fosse la ragione del suo comportamento anomalo.
«Io, invece, mi sto chiedendo se tu abbia fatto le radici su quella sedia.» Si sforzò di sorridere, mentre si rivolgeva ad Anthony. «Alza il culo e vieni a ballare.»
Anthony spalancò gli occhi.
«Perché dovrei?»
«Perché la tua legittima consorte te lo ordina» ribatté Kay. «Sei stato tu a proporre di venire qui, quindi datti da fare.»
«Più tardi» replicò Anthony. «In questo momento non ne ho voglia.»
«Va bene.» Si girò verso Samuel. «Vieni con me.»
«Dove?»
«Dove Anthony non vuole venire.»
Per fortuna Samuel non oppose resistenza. Per fortuna... o forse purtroppo. Già una volta, quel giorno stesso, aveva accennato al suo strano atteggiamento. Kay fu tentata di dirgli che aveva cambiato idea, ma ormai si era già alzato in piedi.
Appoggiò la borsa sul tavolo e lo seguì sulla pista, sperando che tutto potesse procedere nel migliore dei modi.

Cercando di non farglielo notare, Samuel scrutava Kay con attenzione. In apparenza sembrava non esserci nulla di nuovo, ma il suo sguardo era sfuggente.
Stavano ballando da pochi minuti, quando finalmente decise di trovare una scusa per rimanere da solo con lei.
«Andiamo a fumare?»
«Possiamo farlo qui» gli ricordò Kay.
Samuel scosse la testa.
«È meglio fuori. Qui potrebbe dare fastidio a qualcuno.»
«Guardati intorno» gli suggerì Kay. «C’è tanta gente che sta fumando.»
«E tanta altra che, quando uscirà da qui, si lamenterà perché stava per avere un attacco d’asma» puntualizzò Samuel. «Andiamo?»
Sapeva che, allontanandosi dalla pista, avrebbe suscitato l’effetto desiderato: Kay sarebbe andata con lui.
«Aspetta» lo pregò lei, afferrandolo per un braccio per attirare la sua attenzione. Disse qualcosa che Samuel non capì, le parole coperte dal frastuono della musica. «...e ti raggiungo.»
Samuel aggrottò le sopracciglia.
«Cos’hai detto?»
«Ho detto che vado a prendere le sigarette, poi ti raggiungo.»
Non c’era tempo da perdere, Samuel lo sapeva. Se fosse tornata al tavolo, avrebbe invitato Anthony a unirsi a loro e, in sua presenza, non avrebbe risposto alle domande che intendeva porle.
«Ce le ho io» le assicurò. «Possiamo andare.»
Per fortuna Kay non oppose resistenza. Si allontanarono dalla pista e si diressero verso la porta che, sul retro del locale, conduceva verso una sorta di piccolo cortile.
Ci volle qualche istante e, non appena uscirono, Kay volle sapere: «Allora? Per quale motivo mi hai portata qui?»
Samuel prese fuori il pacchetto di sigarette dal taschino della camicia.
«Per fumare.»
«Puoi anche metterle via, per quanto mi riguarda» puntualizzò Kay. «Pensi che non abbiamo capito?»
Samuel sorrise.
«Dato che non ci ho ancora capito nulla nemmeno io, mi sembra molto improbabile che...»
Kay lo interruppe: «Basta con questi giochetti, Sam.»
Lui le lanciò un’occhiataccia.
«Sai che non mi piace essere chiamato Sam.»
«E a me non piace essere presa in giro» replicò Kay. «È stato Anthony che te l’ha chiesto, non è vero?»
Samuel le ricordò: «Sei stata tu a propormi di ballare. Io mi sono limitato a fare quello che volevi. Al massimo puoi dare la colpa ad Anthony per non essere venuto in pista con te.»
Kay sbuffò.
«Non continuare a girarci intorno. Cosa vuoi?»
«Voglio che mi spieghi - e sono io a volerlo, non Anthony - che cosa ti prende, ultimamente. Ti ho sentita, stamattina, al telefono.» A Samuel non sfuggì il lieve sussulto di Kay, a quelle parole. «Non so con chi stessi parlando, ma mi sembravi piuttosto tesa. Quando sono entrato in ufficio, inoltre, ti sei affrettata a riattaccare.»
«Osservazione molto interessante» ammise Kay, che sembrava nuovamente sicura di sé, «Ma che non ci porta da nessuna parte.»
«Ci porta molto più lontano di quanto tu possa immaginare, invece.»
«Davvero?»
Samuel annuì.
«A condizione che tu non mi dia una spiegazione, dedurrò che stai nascondendo qualcosa a tutti, negli ultimi tempi.»
Kay si lasciò andare a un lieve sorriso.
«Infatti è proprio così. Ci sono alcuni retroscena del caso Flint che ancora ignorate.»
«Pensavo che tu ti fidassi dei tuoi collaboratori» puntualizzò Samuel. «Lo ammetto, non mi infastidisce che tu voglia lavorarci su per conto tuo, ma mi piacerebbe sapere come mai hai preso questa decisione.»
«Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio» rispose Kay. «Inizio a pensare di dovermela vedere da sola, ogni tanto.» Abbassò lo sguardo. «In realtà non voglio mettere in pericolo nessuno.»
Samuel sospirò.
«Ma quale pericolo, Kay? La signora Flint è stata assassinata perché si è difesa da un tentativo di rapina.»
Kay alzò la testa di scatto. I loro sguardi si incrociarono.
«Questa è la storiella che ci hanno sempre propinato, ma mi sembra più che scontato che non sia andata così!»
Samuel obiettò: «A me pare tutt’altro che scontato.»
«Questo significa, appunto, che la tua deduzione è corretta: vi sto nascondendo qualcosa, proprio come mi pare di avere già ammesso.» Kay fece una breve pausa, guardandosi intorno. Sembrò sollevata dal fatto che le poche persone presenti non stessero badando a loro. «Stai tranquillo, Samuel: presto saprete tutto anche voi... Tutti sapranno come sono andate le cose e, per qualcuno, sarà poco piacevole.» Gli indicò la porta che conduceva all’interno. «Torniamo a ballare?»
«Eravamo venuti qui per fumare» obiettò Samuel. «Non...»
Si interruppe nel vedere Kay passare oltre, ormai diretta verso l’interno. Mise le sigarette in tasca e la seguì.
«Kay, aspetta» la pregò. «Non abbiamo nemmeno finito di...»
L’amica si girò un attimo, lanciandogli un’occhiata gelida.
«Non abbiamo finito che cosa?»
«Stavamo parlando» precisò Samuel. «Non mi piace lasciare i discorsi a metà.»
«Infatti non l’abbiamo lasciato a metà» fu la secca replica di Kay. «Io non ho più niente da dire, almeno per il momento.» Il suo sguardo si fece implorante. «Ti prego, Samuel, dimenticati di Marissa Flint.»

Kay si sentiva sollevata. Aveva dovuto affrontare una discussione del tutto indesiderata, ma se l’era cavata. Era riuscita a convincere Samuel a tornare a ballare e, almeno per il momento, c’era la possibilità che il loro argomento di conversazione fosse dimenticato.
Cercò di concentrarsi lei stessa su qualcos’altro e il caso giocò a suo favore: vide di nuovo la donna con l’abito maculato, a pochi metri di distanza.
Si avvicinò a Samuel e gli domandò: «La conosci?»
Lui non capì a chi si riferisse e iniziò a guardarsi intorno.
Kay gliela indicò.
«Lei. Quella con i capelli raccolti.»
Samuel la osservò per qualche istante.
«Non mi pare.» Inaspettatamente ridacchiò. «Prima me l’ha fatta notare anche Anthony. Mi aveva suggerito di andare a parlare con lei.»
«Tu, però, non l’hai fatto.»
«Ovviamente no.»
«Perché deve essere così scontato?» obiettò Kay. «Theresa non è venuta, dopotutto.» Non le era ben chiaro quale rapporto ci fosse tra i suoi due collaboratori, ma era certa che si frequentassero. «Se lei ti dà buca di continuo, hai tutti i diritti di guardarti intorno.»
«Non così» puntualizzò Samuel. «Non credo che quella donna abbia nulla in comune con me.»
Kay aggrottò le sopracciglia.
«Perché, Theresa sì?»
Samuel non rispose.
Kay insisté: «Non ha senso che tu continui a stare con una donna con cui sei infelice. Non capisco perché ti ostini a...»
Samuel la interruppe: «Io, invece, non capisco perché la mia vita privata sia così interessante per te.»
«Siamo amici, mi pare.»
«Certo che sì, ma certe cose preferisco tenermele per me. E poi, lo sai bene, tra me e Theresa non c’è niente di serio.»
Kay precisò: «Lei sembra convinta del contrario.»
«Theresa è convinta di tutto e del contrario di tutto» ribatté Samuel. «È stata la prima a dirmi che non si voleva impegnare.»
«Forse perché pensava che fossi tu a non volerlo.»
Samuel la guardò con occhi carichi di rassegnazione.
«Purtroppo non sono ancora in grado di leggerle nella mente.»
Kay rise.
«Per fortuna, direi.»
Per la prima volta, quella sera, si sentì soddisfatta. Era riuscita a far dimenticare a Samuel il loro poco piacevole discorso e, per riuscirci, le era bastato tirare fuori Theresa che, proprio come si aspettava, alla fine non si era presentata nel locale, nonostante si fosse dichiarata tanto desiderosa di uscire insieme a loro.
“Di certo” realizzò Kay, “Se la prenderà a morte con Samuel, perché sperava che non venisse nemmeno lui.”
Per qualche oscuro motivo, negli ultimi tempi, sembrava non approvare molto le frequentazioni di Samuel.
Seppure a fatica, Kay si tolse dalla testa anche i dubbi a proposito della sua collaboratrice. C’erano cose più importanti di cui doveva occuparsi in quel momento: convincere Anthony a ballare, per esempio.

   
 
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