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Autore: CanSmile    16/09/2009    1 recensioni
«Sapete Deidara? Voi rappresentate per me la cosa più pericolosa al mondo »
«La cosa più pericolosa al mondo? » rimase stupito, dalla sincerità intrisa nella voce.
Lui non puntava ad incutere paura. Sasori sarebbe mai riuscito a capirlo? Lui voleva il rispetto, lo pretendeva.
«Non credo. Quelle sono le fragole al cioccolato. »
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Akasuna no Sasori , Deidara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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[Dedicata a Giulia.
Perchè si spera che io riesca a darle questa schifezza il 14 giugno,
nonché il giorno del suo compleanno.
Potrei parlare per dieci pagine di word amore,
quindi cerco di bloccarmi in poche righe,
Non sarà molto bella.
Però è fatta col cuore, pensando ai tuoi gusti.
Ho provato a pensare alla tua coppia preferita, al tuo dinamitardo e alla tua bambolina preferita.
Al tuo stile un po' angst, romantico, tragico/macabro.
Al tuo tocco di erotismo nascosto, tramutato da me in un sogno *muahaha *, alla tua mania di infilare battutine in scene tragiche.
Oh, io ci ho provato xD
Spero siano IC, spero con tutto il cuore che ti piaccia,
Un piccolo regalo per augurarti da lontano, un sincero Tanti auguri.
Ti amo pazzoide. <3
… … ...
Ancora una cosa! ùù
Dedico Deidara a Elisa.
Per prima cosa perchè il logo è suo, e poi...
Su Elì, non conosci i famosi kamikaze rinascimentali? XD ]




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Nella Firenze del 400 sbocciano l'arte e la passione.
Ma... con pizzico di romanticismo e noir in più.
Un incontro inevitabile tra due nemesi lontane.
Un sentimento d'odio, di invidia ma intriso di una sfrenata attrazione.
Quando l'eternità incontra l'attimo... Che catastrofe ne può conseguire?

.Chocolate Strawberry
“Sasori sarebbe rimasto un eterna illusione nel nulla di Susanoo,
una mela vermiglia dell'albero sacro
.”



Con i polpastrelli del pollice, il biondo, sfiorò delicatamente il palmo della mano, giocando con la lingua sulle labbra sottili. I capelli dorati, incorniciavano disordinatamente il viso pulito, dai tratti femminei, mentre negli occhi padroneggiava solo un'insensata soddisfazione.
Mosse un passo, sempre intento a fissare la cicatrice che svettava tra la carnagione lattea della mano: le stesse cicatrici che lo costringevano al dolore, alla voglia di dare sempre il massimo in tutto ciò che faceva. Si guardò intorno raccogliendo i capelli, con un elastico, dietro la nuca. Inclinò la testa in avanti arrivando ad annusare ogni molecola del profumo che, invitante, saliva dal piatto.
Quella poteva definirsi arte.
Arte del più geniale cuoco presente a Firenze, nel '400. Ogni alimento, anche il più semplice, nelle sue mani diventava una combinazioni di sapori, di odori capaci di mandare in estasi il fortunato assaggiatore.
Vedere negli occhi degli uomini, fili intessersi creando bagliori impercettibili; udire gemiti quasi inconsistenti mostrarsi nella sala ad ogni boccone; immaginare danze invisibili cominciare negli angoli più celati della mente, per poi consumarsi su papille gustative in festa... quella era l'arte secondo Deidara. Lui ambiva ad un attimo di pura estasi, ad un secondo di sfuggente passione. Voleva creare la sensazione di un momento, che sarebbe volato via, ma che, allo stesso tempo, si sarebbe introdotto con forza nel cuore dell'uomo, lasciando al suo passaggio una scia di enorme piacere. «Stai pronto a portare in tavola il primo piatto » il suo ordine vibrò severo sulle labbra, mentre un dito ordinava al cameriere il luogo dove portate le pietanze. «Ancora cinque secondi... ora » tutto doveva essere perfetto quando lui era il cuoco: dallo staff, agli orari; dagli assaggiatori agli stessi piatti.
Il cameriere prese velocemente il carrello, trascinandolo nella stanza accanto. Seduti compostamente alle sedie del tavolo imbandito, tutti i più importanti signori d'Italia aspettavano – pretendevano - il pranzo come nobili marionette arroganti, troppo pigre per muovere sole i propri passi.
Deidara alzò il piede lentamente – si pulì le mani, sorrise – arrivando a lambire i cardini della porta di nocciolo: sporse la testa, e osservò, persona per persona, i lineamenti dei nobili sempre, in qualche modo, esagerati. Vide il re, la regina e la loro figlia, poi osservò tutti i duca, i conti. Ne studiò i movimenti, ne scrutò gli occhi che inevitabilmente si soffermavano lì; in quell'unica sedia vuota, una nota stonata strappata ad uno spartito perfetto. Chi osava ritardare ad una sua cena? Contò nella mente gli invitati, enumerò i presenti, i loro volti.
«Scusate per il ritardo » una voce risuonò tra le volte dorate del palazzo, troppo sensuale per essere ignorata. Troppo artistica per non osservare il possessore. In risposta alzò gli occhi, incrociando di sfuggita lo sguardo dell'uomo. Riconobbe i suoi lineamenti, riconobbe le dita affusolate e leggermente callose. Riconobbe il suo viso, e vide nella mente il suo nome, stampato come un tatuaggio. Lui era il suo antipodo, il suo rivale. Lui era Sasori, lo scorpione, il più talentuoso scultore che l'intera Mantova, l'intero mondo avesse mai avuto.
Ed ora stava lì, in piedi davanti alla sedia, pronto ad assaggiare i suoi piatti. Inevitabile provare onore. Inevitabile trovarsi a sperare...
«Ma non posso restare di più, ho altri impegni » la sua voce risultò suadente, tanto da rendere la delusione una piccola macchia in fondo al cuore. Si inchinò leggermente, tornando da dove era venuto.
Deidara non disse niente... semplicemente lo fissò, allibito.

* * *
Mise a posto le ultime cose, e uscì dalla cucina... finalmente.
Dietro i vetri della finestra, si poteva intravedere già il tramonto,accompagnato da tutte le sfumature che creava.
Quel giorno di lavoro gravava ancora sulla sua mente, pesava sull'orgoglio, sull'ambizione.
Li poteva vedere entrambi – l'orgoglio e l'ambizione – legati al cappio di una corda. E li intravedeva pochi attimi dopo a penzoloni, annegati in un respiro cercato. Uccisi, da un inchino di cortesia.
Camminava per i corridoi del castello, ignorando completamente tutte le persone che, forse solo per gentilezza, gli porgevano un saluto. Si sistemò il colletto, e si strinse la coda posta sopra la nuca.
E' un ambasciatore di pace.
Un bel corno! Lui non lo voleva nella sua Firenze: quella città era abbastanza grande per un solo genio, non per due.
Arrancò un passo in avanti, in quel momento avrebbe tanto voluto essere a letto, e si bloccò davanti ad una porta: ne accarezzò gli spigoli, spiando ciò che succedeva dentro.

Non c'era maniera per descriverlo: un aggettivo lo sminuiva, due erano anche troppi.
E lui, come tutti, non trovava una via di mezzo.
I suoi occhi castani erano persi in un luogo sconosciuto, in una dimensione inarrivabile per chiunque. I suoi gesti erano perfetti, nessuna parola li descriveva meglio: sensuali, coordinati col piccolo scalpello. Sasori doveva fare il chirurgo, in fondo aveva talento.
Già, doveva ammetterlo. Lo scorpione sapeva usare le mani, per l'arte.
Sapeva incantare l'anima, spezzare il tempo. Infiltrarsi nel cuore, e distruggerlo dall'interno.
Sasori pareva una bambola; una di quelle che costavano tanto, dalla pelle liscia e invitante, dagli occhi di un azzurro irreale, dai tratti delineati dal linee d'inchiostro...
Com'era eccitante l'idea di averlo accanto! Come sarebbe... bello, essere una delle sue opere, grate – senza ombra di dubbio – del suo tocco! Invidioso della perfezione? Ovviamente. Per una volta Deidara avrebbe voluto essere il migliore, il genio. Non il misero secondo arrivato, perennemente in basso, sullo scalino a destra del podio.
Ma era davvero arte quella? Che mai poteva avere di bello, un blocco di pietra.
A differenza sua Sasori voleva aggredire la perfezione: trascinare l'arte negli anni, regalando attimi di venerazione, strappando sorrisi ai volti più bui. Voleva fermare il tempo, bloccare cuori stracolmi, occhi stanchi, anime straziate... e farli rinascere -liberi – in un altra epoca, in un altra vita. Pretendeva di far ammirare ciò che faceva nell'eterna utopia di Firenze, di istillare nell'animo altrui un sentimento capace di smuovere le menti, i cuori.
Entrò nella stanza come ipnotizzato dal suo profilo, ne catturò l'attenzione e rimase immobile.
Le loro erano arti diverse, arti che, inevitabilmente, si completavano.
Perchè non si potevano dividere due opposti. Per quanto lontani possano essere, per quanto irraggiungibili all'apparenza... saranno sempre uniti dall'altro polo dell'universo: come il giorno non può nascere senza la notte, l'eternità non poteva esistere senza ogni effimero attimo.
«Questa... non è arte » sentenziò Deidara accarezzando i profili della statua. «Non evoca nessun ricordo, nessun sentimento. Punta solo all'esteriorità, alla bellezza piatta. » Sasori bloccò le mani, intente a rifinire i particolari, catturando con violenza lo sguardo di cielo. Assurdo paragonarlo ad un predatore con la sua preda, ad un gioco di agilità, dove vince, chi corre più veloce. «E voi? Voi che arrivate a dubitare della mia arte, chi siete? »
«Deidara, cuoco di Lorenzo de Medici » sfiorò con gli occhi i tratti duri del volto, osservò le strisce lucenti che incorniciavano il mento perfettamente spigoloso. Abbassò poi lo sguardo e…annegò. I suoi occhi assomigliavano al mare che attorniava l'Italia: gelido e caldo, affascinante ma letale al contempo. «Un cuoco? Da uno che dice simili ipocrisie, mi aspettavo qualcosa di meglio. Cosa ne potete sapere voi dell'arte, della mia arte? » disse mentre le labbra si stesero in un sorriso.
«I miei piatti sono l'arte stessa. Riescono a creare il piacere di un momento, l'effimero ricordo di gusti perfetti. Non puntano a durare nel tempo, cosicché gli occhi umani si abituino ad un simile obbrobrio. » Nella piccola stanza calò il silenzio. Solo la luce del sole, che filtrava attraverso i cristalli dei vetri riuscivano a riempirla, seppur di poco. Il falco socchiuse gli occhi, certo di aver vinto il primo round, nella guerra contro lo scorpione. Alzò la mano per sistemarsi i capelli, ma la risata sonora di Sasori lo colse alla sprovvista; il suo sorriso ardeva nel cuore, una fiamma densa che bruciava ogni cosa sul suo cammino, facendo male. Dannatamente male. «Se vi credete così bravo... dovrete farmi assaggiare uno dei vostri piatti la prossima volta. Visto che all'ultima cena non sono riuscito a mangiare niente. » Parlò piano, legando le parole da melliflue pause. Aspettava una risposta, forse la pretendeva quasi... finché nel ritrovato silenzio, Deidara, tornò alla lucidità, capendo che una guerra era appena cominciata. «E sia, vi stupirò Sasori» Sul viso di entrambi solo un sorriso beffardo e una strana luce negli occhi, ancora legati dal contatto dello sguardo. Inutile decretare il vincitore di quel round, a quel punto: il loro profumo aveva dato alla testa ad entrambi.
«Allora venite come me, vi inebrierò i sensi » dichiarò deciso, voltandosi di spalle. Fece qualche passo in avanti, intento ad aprire la porta, ma il silenzio dietro di sé, lo raggelò. «Non venite? »
«Non ne ho voglia» sibilò bonariamente. «Però, vi crederò sulla parola. »
«No! » il suo urlo rieccheggiò tra l'intonaco dei muri, vibrò nelle orecchie dello scultore facendolo sussultare leggermente. «Voi dovete vedere, dovete ammettere che la vostra non arte. La mia è arte, la mia è... »
«Sapete Deidara? Voi rappresentate per me la cosa più pericolosa al mondo »
«La cosa più pericolosa al mondo? » rimase stupito, dalla sincerità intrisa nella voce. Lui non puntava ad incutere paura. Sasori sarebbe mai riuscito a capirlo? Lui voleva il rispetto, lo pretendeva. «Non credo. Quelle sono le fragole al cioccolato. » sibilò il biondo, alzando gli occhi al cielo come se la risposta fosse ovvia.
«Le fragole al... »
«Già, la combinazione più peccaminosa al mondo. »
Sasori lo fissò sorpreso, stupito dai suoi occhi privi di ogni malizia, dalla sua geniale follia. Una tentazione, la più peccaminosa e lussuriosa, racchiusa in frutto? Scosse la testa e non aggiunse altra parola: quel cuoco lo affascinava da morire.

* * *

Quando la mattina dopo Deidara aprì gli occhi, il sole spaccava già a metà il cielo. Stirò i muscoli, tentennando sulla decisione d'alzarsi: in fondo non era l'unico cuoco del palazzo, quindi perchè non godersi ancora un po' del meritato riposo? Scostò le coperte del letto, assaporandosi gli spifferi d'aria. Gli occhi ancora gonfi dal sonno, stanchi dall'incubo.
... Aveva memorizzato ogni cosa dell' incubo – o sogno? - che gli aveva tormentato la notte. Ogni parola, ogni movimento. Si ricordava benissimo la figura pallida entrare maliziosamente nella stanza, sfilarsi i vestiti e, senza ritegno, intrufolarsi nel suo letto. Rammentava il gelido tepore dei suoi piedi, lo sguardo vuoto mentre scivolava sotto le coperte. E infine ricordava la lingua guizzante nell'incavo del linguine, il piacere provocato dalla leggera penetrazione...
Un giorno avrebbe mai avuto l'occasione di tramutare sogno in realtà? Avrebbe mai avuto il coraggio di cogliere la mela dall'albero di Dio? Dare ascolto al serpente, alla tentazione, per attimi di puro piacere. Dopotutto, era così che incantava i suoi sostenitori. Quindi, perchè non cedere lui stesso?
Si alzò dal letto, avvicinandosi, con qualche barcollo, al cestello pieno d'acqua. Intinse le mani nel liquido, godendo del lieve freddo. «Sto diventando scemo» concluse sorridendo.

«Dite che questa è arte?»
«Voi, siete l'arte»



Sprofondò col volto nell'acqua, cercando inutilmente di scacciare quei pensieri.
… Quella fu la prima volta che il falco sognò lo scorpione; e doveva anche essere l'ultima.

«Dimostratelo»
«Cosa volete che faccia?»
«Rendete questo momento perfetto.»
«Allora... fatemi vostro. Nel cuore e nell'anima.»



Consapevole che una cosa del genere non sarebbe mai successa, Deidara, alzò di nuovo il volto boccheggiando l'aria intorno a se. «Mi sto perfino eccitando! » urlò poi, sconvolto. Si guardò il cavallo dei pantaloni, stampandosi il palmo della mano alla fronte: era... vero.
«Signore? »
Deidara sussultò violentemente, asciugandosi il volto. «Sì? Entrate pure»
«C'è una visita per voi, posso farlo entrare?» Non ebbe tempo di rispondere che, Sasori, comparve a pochi passi da lui; perfetto come sempre. «Di solito si aspetta il permesso, sapete per ben educazione» sbottò irato.
«Ma io non volevo entrare, lo pretendevo.»
Se lo immaginava steso sul letto, abbracciato dalle morbide lenzuola nere: riusciva a vedere i capelli arruffati, appiccicati delicatamente alle guance dal lieve velo di sudore, gli occhi duri, improvvisamente divenuti morbidi, carezzevoli. E riusciva a sentire i respiri caldi tra i riccioli chiari del pube, la lingua leziosa lungo l'erezione fremente...
L'orgoglio dello scorpione avrebbe mai permesso una cosa del genere? No. Sasori sarebbe rimasto un eterna illusione nel nulla di Susanoo, una mela vermiglia dell'albero sacro.
«Qualche problema? » sussurrò Sasori.
Chissà se l'artista toccava i suoi amanti, come sfiorava le suo opere d'arte. Chissà se un giorno avrebbe toccato così anche lui. «No, nessun problema» rispose il Deidara seccato; il cavallo dei pantaloni che cominciava ad essere veramente d'intralcio. Il fulvo danzò con lo sguardo sui tratti delicati del biondo, evitando volontariamente di soffermarsi. Lasciò cadere le mani lungo i fianchi e sospirò, notando i pozzi cristallini che, innocenti, ancora lo stavano fissando.
«Comunque tornando a noi. Sono venuto qui per consegnarvi questo » Prese dalla tasca una busta bianca, porgendolo, con la solita arrogante nobiltà, al biondo ancora mezzo addormentato. «Mh? »
«E' l'invito ufficiale al ballo di questa sera. Non dovrete venire da cuoco, ma come nobile. E per favore... spero vivamente che verrete conciato meglio di come siete adesso. » lo squadrò, divertito e altezzoso. «Divertente, sul serio » Ironizzò una risata, rispondendo con disprezzo.
Come diavolo si permetteva? Forse non aveva ancora capito chi lui fosse.
Prese l'invito tra le mani, poggiandolo sgarbatamente sul tavolo alla sua sinistra. «Perchè avete voluto invitarmi? »
«Perchè voglio farvi capire quanto io sia il migliore » Deidara contrasse il volto, chiuse i palmi in una presa ferrea. Sembrava che si divertisse, a farlo impazzire. «Allora verrete? »
«Sì »
«Non vedo l'ora »

* * *
Si sedette a destra del re, incrociando con ansia le dita davanti al volto. Sentiva le palpebre pesanti, la voce impastata dalla battaglia in sospeso. Il petto si muoveva al ritmico tempo del respiro, divenuto particolarmente agitato. Per lui? No impossibile.
Deidara era sempre stato il predatore, certo che nessuno al mondo avrebbe mai potuto superarlo. Però, quegli occhi lo avevano scaraventato con violenza nella verità, lo avevano schiaffeggiato lasciando marcati segni rossi sulla sua autostima. Sasori, era un complesso groviglio di fili: da capire, da maneggiare, e solo poi, in seguito, da sbrogliare. E se solo un passaggio di questi veniva saltato, tutto poteva andare a rotoli in pochi secondi.
«Finalmente è arrivato » sibilò con entusiasmo Lorenzo. Strano, non aveva mai mostrato tanto interesse per lui. «Sasori è qui »
Deidara sussultò, alzando di scatto il volto; vago per la stanza, passando per ochette e damerini permalosi. Nessuno che fosse anche solo paragonabile alla sua perfezione, nessuno che si potesse definire bello al suo confronto.
«Dove lo vedete? »
«Laggiù accanto a mia figlia... Sono proprio una bella coppia »
Sasori non stava realmente ascoltando le parole della nobile, egli guardava in un punto, aveva fisso il suo sguardo in occhi che ancora lo stavano inseguendo. Occhi che desideravano averlo, che bramavano il suo corpo, le sua membra.
«Perchè non andate a salutarlo Deidara? Ho sentito che siete ottimi amici »
«Declino l'invito signore... Siamo solo conoscenti »
Il biondo sorrise, distogliendo lo sguardo. Che poteva farci? La sua unica debolezza consisteva nella perfezione, e lui ne era l'esempio vivente.
«Guardate si sta avvicinando »
Fu in quel momento, passo dopo passo, che Deidara comprese la verità: la sua grazia, il suo talento, la sua amara nobiltà... Non avrebbe mai creato una simile arte.
Però non provò invidia, le farfalle allo stomaco non lo assalirono. E il senso di impotenza, seguito dalla volontà di porre fine alla sua esistenza, lo risparmiarono per una volta.
Lui non poteva nemmeno sfiorare la perfezione.
Però... poteva farla sua.

“Chocolate”
Un sussurro.



«Buonasera signore » sibilò il rosso, inchinandosi davanti al trono affilato. «Deidara »
«A voi, Sasori » rispose Lorenzo, tranquillo.
Paradossale pensare che in fondo sarebbe stato bello, fare l'amore con lui. Sentire il suo spirito entro di se, la voce roca sospirata nell'orecchio.
«Non andate a ballare? E' appena cominciata la musica »
Ma non fu il dolce suono del violino a inebriare i sensi del biondo, non fu la musica a ipnotizzarlo, non la sensazione di impotenza a scoraggiarlo così tanto. Sentiva la testa girare, incurante delle leggi di gravità, attraverso il vortice di irresistibile malia. Ma non ebbe tempo di parlare che si volatilizzò, tra i passi sensuali del ballo. Lo lasciò al ciglio di un burrone, ai confini dell'ossessione, della follia. Sarebbe riuscito a fare un passo indietro, o sarebbe precipitato nell'infinito rancore?


Prese la mano della ragazza, alzandola a ritmo della musica.
La strinse a se, con fare possessivo, e la baciò leggermente sotto gli occhi impassibili di Sasori.
Era solo lui a provare invidia? Solo lui ad avere una morsa allo stomaco, l'egoismo di volerlo tutto per se? Lo guardò nuovamente, scrutò nei suoi occhi, scavò nell'anima illeggibile.
«Mi volete? »
Perse l'accordo, sbagliando passo. Le labbra si muovevano lente, piegate dalla piega sorniona.
Fecero vibrare la richiesta, nessun suono, nessuna reazione. Solo lui poteva sentirlo, un urlo dentro la sua testa. Era Deidara, ad un passo dalla crudele divinità.
«Forse »
«Allora venite »
«Stasera, dopo la festa. »
Rimase in silenzio, la risata che voleva prendere atto, infiltrarsi con forza.
«Vi aspetterò, qui »

* * *

Entrò nella stanza stranamente impacciato, torturato della voglia, l'eccitazione ormai presente.
Tra tanti, lui aveva scelto Deidara.
Tra mille, aveva scelto l'arte, l'attimo.
Si guardò intorno, osservando il tramonto dietro le grandi finestre. La notte stava uccidendo il sole, così la pensava Deidara: era bello credere in qualcosa di innaturale, qualcosa di consapevolmente falso. Com'era bello e falso, immaginarsi insieme a lui nel vortice della passione.
«Sasori? Siete qui? » le parole si persero nella sala, l'eco rieccheggiò tra i muri vuoti.
Non era il tipo d'arrivare in ritardo.
Usci dalla stanza, dirigendosi verso la stanza dell'uomo.
«Ch- Che state facendo? » sibilò Deidara, nel vedere la scena che, all'entrata, gli si presentò davanti.
Valigie in mano, mantello da viaggio, un sorriso apatico sulla labbra.
«Cos-Cosa state facendo? » Sasori prese la sua valigia e la consegnò al paggio. Poi asserì, serio.
«Da quando ambite a distruggermi, Deidara? » il suo sguardo lo incatenava, bruciava i vestiti mentre, con arroganza, voltò le spalle pronto a salire in carrozza. Fu strano pensare che ciò che vide, i capelli fulvi, la schiena disegnata col carboncino, fosse una vista familiare: Sasori era sempre un passo davanti a lui, era sempre più affascinante, sempre più artistico.
«Scusa?»
«Con quegli sguardi, con quelle iridi di cielo. Da quando ambite ad imprigionarmi? » sentenziò la frase come fosse un insulto, sputò le parole a terra come fossero qualcosa che sapeva, che sentiva ma che, senza remore, ripudiava. «Io non voglio, rimanere in gabbia. Voglio poter muovermi, libero » Però, Deidara aveva capito tutto. Forse un intuizione sbagliata, ma nei più profondi meandri della mente di Sasori – lo stesso che era avvolto da un'armatura di freddo rancore – piangeva un bambino, annegato nel gelido mare dei suoi occhi.
«Signor Sasori, voi siete stato imprigionato tempo fa. Anche ora, qui adesso, portate una maschera, che non lascia uscire il vostro vero volto.» Un sussulto scosse il suo corpo, le dita richiuse con forza nella mano; ferivano la pelle lattea, ad ogni scarica che gli frustava la spina dorsale. E presto, la prima goccia scarlatta sporcò il pavimento.
«Chi vi fa credere che non sia questo il mio volto? » Voltò la testa, gli occhi leggermente socchiusi. Due spilli che penetravano la pelle, lasciando ferite profonde sul rivale – Amico? Amante?-.
«Il vostro cuore. Non... batte»
In fondo al battito di un cuore fermo, che mai poteva esserci?
Semplice... il fondo ad esso, ci sarebbe stato solo il nulla.

«Mi dispiace » sussurrò infine, attraverso il riflesso del finestrino
Deidara non rispose, solo un ultimo sguardo. Bastava un sussurro... forse due.
Un gozzo in gola, troppo simile al suono di due parole gli impedivano di versare lacrime, scatenare la rabbia in corpo. Ribellarsi alla decisione presa senza il suo consenso.
Mentre innegabilmente la carrozza partì per Mantova.

Dite che qualcuno ha vinto la guerra?
Dite che si può decretare il vincitore e il vinto?
Io credo che sarebbe opportuno finirla in parità.
Prima però, dovrò ricomporre i pezzi del mio cuore che,
senza ritegno avete gettato a terra.
Lo vedete?
Prendetelo, perchè è ancora vostro scorpione.




* * *


Camminava lento per il lungo corridoio di Palazzo Te, affrescato dai migliori pittori in circolazione; la posizione ritta, fiera, le mani intrecciate dietro la schiena. Osservò alcune donne passare, ricambiando al loro sorriso con poco interesse. Si tirò indietro i capelli, giocando con piccoli ciuffi e annusò l'aria, avvertendo un odore diverso dal solito. Trattenne il respiro, mentre il profumo riempì ogni molecola della stanza; lo invitava ad entrare, spingendolo verso la porta senza violenza, ma con forza. Sasori si bloccò all'istante, lambendo con le dita la superficie ruvida della porta; la spinse delicatamente e sgranò gli occhi senza farsi notare. «Buongiorno» sibilò chiudendo la porta dietro di se. Vagò con lo sguardo per la stanza e inevitabilmente si soffermò lì, nel punto in cui, sopra la coperta di seta, sedeva una donna muovendo lussuriosamente un calice di vino. «Buongiorno a voi» disse lei, soffocando una risata. «Vi stavo aspettando, scorpione » L'uomo, ancora immobile sul ciglio della porta, corrucciò la fronte, accigliato. «Scorp-»
«So bene chi siete voi, non c'è bisogno che lo ripetiate. » sentenziò pacata.
Un gioco di sguardi, di intelligenza. Come negli scacchi stavano entrambi studiando le mosse dell'avversario; e al primo passo falso qualcuno sarebbe divenuto un vinto. «E il vostro signorina? »
«Sakura Haruno » Terminato il nome, Sasori, notò la curiosa sfumatura rosa dei capelli, poi gli occhi del color di un serpente: occhi di un verde irreale, tale da mozzare il fiato. «Petalo, di ciliegio..?!» sibilò ironico «Sembrate più un confetto» Vide le sue dita contrarsi attorno al cristallo del calice, pronta a ridurlo in briciole. «Voi invece siete uno scultore di altissimo livello, che si è fatto molti nemici tra le signorie di Mantova.» Lo guardava fervida, in tono di sfida, mentre Sasori sprofondò nella morbida poltrona. «Lo so. E so anche che voi, Sakura, non siete qui in veste amichevole. C'è per caso qualcuno che mi vuole vedere morto? »
«La lista è molto lunga » accarezzò con le labbra i bordi di vetro, assaporando le piccole gocce depositate del liquido scuro. Sospirò lievemente, appoggiando il bicchiere sul comodino vicino; si alzò di scatto dal letto, facendo cadere a terra il boa di piume corvine che, anche se minimamente, coprivano il corpo delicato. «O è il mio compleanno e ne nessuno mi ha avvertito » sfiorò con lo sguardo le curve morbide dei fianchi, cercando di sviare la vista dal corpo che, come una calamita, lo attirava a se.
Cadere nella tentazione, cedere al peccato carnale regalandosi attimi di puro piacere – attimi di pura... arte - . Da quando aveva bisogno di questo? Da quando il sesso facile, la bramosia del desiderio avevano preso il sopravvento sulla sua mente?
«Guardatevi. Sono la cosa più pericolosa, la cosa che in questo momento desiderate di più » Ascoltò la voce come fosse l'eco di un urlo lontano, guardò la figura avvicinarsi allo stacco del muscolo, indifferente; la sentì giocare con i bottoni della biancheria, cercando l'erezione sotto di essi.
Stava davvero cedendo alla lussuria? Lui, che era considerato l'uomo perfetto: misterioso, sfuggente, stupendo... Lui che aveva amato una sola volta, che aveva desiderato realmente un solo corpo. «E'-è errato » sibilò impassibile. «Voi siete bella, affascinante. Ma non siete la cosa più pericolosa al mondo... quelle sono le fragole al cioccolato.» Sakura alzò gli occhi, delusa nel vedere che, lei, non aveva nessun effetto sulla mente dell'artista, ma stupita dall'insolita reazione. «La combinazione più peccaminosa al mondo» Giunto al culmine, allontanò la ragazza con un gestaccio. Chiuse gli occhi, coprendosi il volto con la mano sinistra, e si lasciò andare ad un gemito che sapeva di lagna. Si sistemò meglio, poggiando le braccia sui braccioli di seta e portò la mano al linguine, riallacciandosi la cinta dei pantaloni. «Che state facendo? » ansimò Sasori.
«Non volete concedermi il piacere dell'orgasmo, mi prendo una consolazione - seppur magra – nel vino. A proposito, ne vuole un po' scorpione? » Annuì e non aggiunse altro. Strano pensare che, in qualche modo assomigliasse a lui.
Sakura aprì la bottiglia, in seguito il carillon tempestato di pietre preziose. Ne prese il contenuto, stringendolo nel palmo pallido; svitò il tappo e un odore di mandorle dolci si sprigionò nell'aria.
Ne versò il liquido nel vino, mischiandolo con movimenti circolari. «Ecco tenete »
Sasori respirò l'odore presente, ma non se ne curò; forse, però, fece solo finta di non badarvi.
Toccò con le dita i bordi, e ne gustò un sorso. « Danzou, Sarutobi, Tsunade » sussurrò flebile la ragazza.
«Eh? » All'improvviso sgranò gli occhi, schiumò dalla bocca e per pochi secondi assaggiò l'inferno. Poi si accasciò a terra, privo di sensi. «Sono coloro che mi hanno ordinato di uccidervi... Perdonatemi Sasori » Si avvicinò al letto, si vestì velocemente e chiuse le palpebre al corpo inerme. «E' stato solo un ordine » Si mise il cappuccio, abbassandolo al livello degli occhi e uscì dalla stanza, sbattendo la porta.

Scacco... matto.



Sarebbe rimasto un illusione spezzata nel nulla di Susanoo, una mela caduta dall'albero di Dio.
Sarebbe rimasto in terra, pezzi d'anima rinchiusi in ogni statua.
Sasori... non avrebbe mai più creato l'arte.

* * *

Prese la fetta del dolce in mano, portandola all'altezza delle labbra e le socchiuse leggermente.
Il primo assaggio doveva andare a lui, l'opera compiuta doveva essere elogiata, prima, dallo stesso artista; doveva passare la prova più difficile, l'esame che ne avrebbe decretato la qualità, che avrebbe dato un valore alla sua anima. Chiuse gli occhi pronto, e ne lambì la punta.
«Signore! » Qualcosa però, andò storto nell'esecuzione. Prima un colpo alla porta, un secondo, infine un terzo.
«Vi disturbo? » sibilò l'uomo, affacciandosi timidamente alla porta.
«Sì » sentenziò il cuoco, irritato. «Ma visto che avete già rovinato l'attimo, dite ciò che avete da dire. » Posò il dolce sulla mensola di ciliegio, riservandogli uno sguardo monocorde. Non guardava l'interlocutore, ne era intento ad ascoltare le sue parole. Voleva solo mangiare, chiedeva tanto?
«Riguarda... Sasori » spezzò la frase in due, enfatizzando tristemente sul nome.
«Ah lo scorpione. Come sta adesso? » sussurrò il biondo, stringendo il bordo della mensola. Le dita premevano sulla parte inferiore del legno, la forza che riuscì a scheggiarla.
Troppi giorni erano passati da quella notte.
Troppi giorni erano trascorsi nel tentativo di dimenticare la delusione, il tradimento che l'eternità gli riservò. Troppi giorni... troppo di tutto. «E' proprio questo il punto. Sasori è... » passò la lingua sulle labbra, la voce fastidiosamente allegra. «... morto »
Deidara spalancò gli occhi, fissando il volto serio del servo. «Morto? »
«Le cause sono ancora un mistero, signore. Ma è sicuro che sia omicidio.»
Lo sguardo impassibile, gli occhi inesorabilmente vuoti. Solo una piega sorniona delle labbra spezzava la maschera d'odio. «Andate»
«Sì signore»
Il cuoco si guardò intorno, osservando la stanza in tutta la grandezza. Fece un passo verso il tavolo, accarezzando i bordi del vassoio d'argento; poggiò i gomiti sul legno, lasciando cadere il volto, tra le mani aperte. E... rise, una risata falsa, sardonica. «Ve lo siete meritato scorpione» Diede un pugno sulla superficie del tavolo, rovesciando con gesti scoordinati, il vassoio. «Ve lo siete... meritato » ripeté infine accasciandosi a terra, la schiena che premeva pesante sulle gambe del tavolo. «Ora però... » Si coprì il volto con una mano, e smise di ridere. «Che farò io?»
Valeva la pena godersi appieno l'attimo, se per l'eternità non c'era più nessun spiraglio di luce? Valeva davvero vivere una vita lontano dalla sua metà, dalla sua nemesi? No... e sì. Sasori era scappato dopotutto, lasciandolo solo. Aveva preso la sua decisione, l'ultima firma al suo testamento. Ormai - quei capelli rossi, quegli occhi marroni - non faceva più parte della sua vita da tempo.
Guardò di sottecchi il dolce maciullato a terra, la panna liquefatta sulla pavimentazione nera, le fragole macchiate di marrone ferite dalla colluttazione.
Non c'era più speranza nei suoi occhi, niente più tristezza al suo ricordo. Solo una lacrima, una sola, infranta nell'angolo della bocca, tradì le sue emozioni.
E per la prima volta Deidara si arrese alla verità: il suo dolce, quel dolce, non avrebbe mai raggiunto la perfezione. Per la prima volta nello zucchero sentì l'amaro sprigionarsi nelle vene, lento come il veleno, pungente come un ago.
Ad esso mancava qualcosa.
Qualcosa che niente e nessuno gli avrebbe mai ridato indietro.
  
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