“Finalmente sono
riuscita a chiarirmi con Goku, sono felicissima che lui non abbia sofferto e mi
sento una stupida per non aver subito intuito i suoi sentimenti verso
quell’infermiera. Forse, se me ne fossi accorta prima, ci saremmo
risparmiati tanto dolore e tanti crucci mentali. Ma oramai è inutile
pensare al passato e riempirlo di se
e di forse, inutile e sciocco. Ora,
grazie a Vegeta, anche io potrò ritrovare la serenità e
l’amore. A Goku ho detto che Vegeta mi ama, ma sarà vero? Quando
ci siamo lasciati, in quel modo così orribile, lui mi era sembrato
sinceramente triste che io avessi interpretato il nostro rapporto come un
errore, uno sbaglio da non ripetersi. Se ripenso a quelle parole mi chiedo dove
ho trovato la forza di pronunciarle, forse non ho mai detto delle bugie tanto
grosse in vita mia come quelle. Vivere senza di lui… senza poterlo
toccare… baciare… mi sembra una cosa assurda, non impossibile,
assurda per quanto lontanissima dalla verità!”
Bulma sorrideva, tenendo
la mano di Vegeta. Era felice di aver potuto risolvere la situazione in quel
modo. Non aveva sofferto nessuno. Ora Vegeta doveva soltanto riprendersi.
“Ora, amore mio, ti
prego svegliati… Ho bisogno di sentire la tua voce, il tocco delle tue
labbra… Ti prego, svegliati!” gli chiedeva in silenzio.
Ma i giorni passavano e
Vegeta non accennava a svegliarsi. I medici lo visitavano ogni giorno,
controllavano i monitor, gli facevano flebo, ma lui non si svegliava.
“Perché non
ti svegli, Vegeta?! Devi svegliarti! Non puoi lasciarmi sola, non puoi,
maledetto stronzo, non osare farmi questo!”
Bulma pregava
silenziosamente, seduta al capezzale di Vegeta. Lui non accennava a svegliarsi,
ormai le condizioni fisiche erano in via di guarigione, ma lui non sembrava
volersi svegliare. I medici continuavano a dire a Bulma che era normale, ma di
giorno in giorno, la sicurezza dal loro volto e dalle loro parole diminuiva, non era normale. Per giusto, si sarebbe
dovuto svegliare. Nessuno le aveva detto quella parola, nessun medico, eppure
si affacciava sempre più prepotentemente nella mente di Bulma. Coma.
Non essendo medico, le
veniva in mente solo quella parola per spiegare il mancato risveglio di Vegeta.
E le mancava il coraggio di chiedere a qualcuno competente se i suoi sospetti
fossero fondati, non ci riusciva. In fondo, cos’è meglio tra una
dolorosa realtà e un persistente dubbio? Cosa può alleviare
meglio l’animo? Cosa?
I suoi pensieri furono
interrotti: qualcuno bussava alla porta. Bulma alzò lo sguardo verso la
porta e le sue labbra s’incresparono in una specie di sorriso. Lei non
ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva sorriso, era passato troppo
tempo.
Chichi, avanzando nella
stanza, controllò i monitor di Vegeta per poi sospirare. I valori erano
normali, erano statici. Nessun peggioramento, ma neanche nessun miglioramento.
Era come in una continua fase di stallo, in cui non puoi muoverti e non puoi
essere mosso. La tua volontà e la volontà altrui si annullano. E,
nonostante cerchi un’uscita, non ne trovi. Benché cerchi una
torcia per il buio che ti avvolge, continui solo a vedere nero, come se le tue
pupille distinguessero ormai unicamente quel colore, come incapaci di vedere le
sfumature dell’arcobaleno. Bulma guardò Chichi: da quando si era
messa insieme a Goku e con l’incidente di Vegeta, si erano avvicinate
molto. Nessuna delle due guardava l’altra con rancore, né la
moglie, né l’amante. E mentre Chichi stava per uscire dalla stanza
Bulma decise di rischiare, il dubbio la logorava troppo. Alzò il viso
verso Chichi e le fece la domanda che da giorni le premeva sul petto.
- E’ in coma, vero?
– disse ostentando sicurezza.
Chichi si girò per
guardarla e Bulma non lesse nei suoi occhi pena o compassione, ma soltanto
un’infinita voglia di voler dire una cosa, ma di doverne dire
un’altra.
- Nessun medico dice mai
esplicitamente questa parola, ma è questo che voi pensate, giusto? -
ripetè Bulma.
Chichi tentennò,
poi decise di dirle tutta la verità, anche se sapeva che le avrebbe
procurato dolore.
- Sì. Vegeta
è in coma. Però Bulma, non devi allarmarti, Vegeta si
riprenderà, ha bisogno di tempo, il suo non è un coma
irreversibile. Dovrei usare termini medici specifici per spiegartelo esattamente,
ma non potresti capire. Quello che devi capire è che Vegeta si
sveglierà presto e tornerà esattamente quello di prima – la
rassicurò dolcemente Chichi.
Bulma la fissò
triste. Erano vere quelle parole? O erano solo mere parole di consolazione in
cui neanche lei credeva?
- Chichi ma tu ci credi in
quello che dici? Oppure lo dici per abitudine, così, senza esserne
veramente convinta – disse Bulma diretta incrociando i suoi occhi con
quelli di Chichi. Lei sospirò e prese le mani di Bulma, fissandola con
comprensione. Sapeva bene cosa stava passando, anche lei provava la stessa
ansia, anche se ovviamente in misura minore. Vegeta era solo un amico, e poi la
relazione con Goku attenuava la sua preoccupazione. Ritrovarsi la sera fra
quelle braccia forti le faceva dimenticare le inquietudini che, quotidianamente,
le occupavano la mente. Goku, almeno fino a che la situazione con Vegeta non si
fosse risolta, sarebbe rimasto a casa di Chichi, mentre al lavoro faceva anche
le veci per sua “moglie” che ovviamente aveva preso un lungo
periodo di stacco. Chichi era felicissima di quella sistemazione, perché
tornare la sera e ritrovarsi a guardare quel dolce sorriso era una sensazione
meravigliosa. Quasi come in un sogno, dove sei sicuro che quello che vedi sia
troppo bello per essere reale, dove ti spaventi che tutto possa svanire da un
momento all’altro, e poi, alla fine, capisci che non è un sogno e
ti chiedi se di felicità e di amore il cuore può scoppiare.
Chichi provava quelle sensazioni ogni sera e si chiedeva quando cavolo si
sarebbe abituata a tutto. E se da una parte sperava presto, dall’altro
sperava che quelle sensazioni l’accompagnassero a vita.
- Certo che ci credo,
Bulma. Certo. Non potrei non
crederci, io so che Vegeta si riprenderà. Se non credessi in quello che
dico, non potrei fare questo lavoro. No, non potrei. Io credo nella medicina,
ci credo quando dico alle persone che, un giorno, si sentiranno meglio, che il
dolore passerà. Vegeta non fa eccezione anzi: io credo di più per
lui – rispose Chichi seria e quasi commossa dal suo discorso. Bulma si
sentì profondamente rincuorata da quelle parole, l’assoluta
certezza che sprigionava Chichi la rasserenò moltissimo.
- Ora, scusami, ma devo
andare. Ho gli altri pazienti che mi aspettano. Tranquilla, si sveglierà
presto – disse Chichi lasciando la stanza.
Bulma guardò
Vegeta, prese la sua mano e desiderò con tutto il cuore che la sicurezza
che provava Chichi contagiasse anche lei.
Gohan si era ristabilito
abbastanza bene dopo l’incidente. Quel giorno lo avrebbero dimesso, non
vedeva l’ora di poter finalmente lasciare l’ospedale. Almeno questo
pensava i primi giorni. Ora questo desiderio così forte era scemato,
sostituito da quello più forte di continuare a vedere Videl. Già,
ecco il sempre più crescente sogno che da giorni animava Gohan:
continuare a guardarla, continuare a vedere i suoi teneri sorrisi, continuare a
immergersi nei suoi occhi, continuare a tentare di sfiorare le sue mani. Ormai
Videl gli faceva visita costantemente, anche per esigenza mediche, ma Gohan
credeva, o almeno sperava, che lo facesse anche per qualcosa di più e
non solo per il suo dovere di dottore. Sperava che avessero superato la soglia
paziente/dottore e fossero diventati, perlomeno, amici. Lui sapeva benissimo
che provava un sentimento che andava oltre l’amicizia, un sentimento che
aveva iniziato a provare sin da quando avevano ballato alla discoteca, sin dal
loro primo piccolo bacio. A volte, arrivava a ringraziare l’incidente che
gliel’aveva fatta rivedere, ma appena lo faceva il dolore provocatogli
dagli ematomi gli faceva cambiare idea. Però era felice lo stesso, non
aveva mai avuto una convalescenza migliore di quella.
Poco dopo, l’oggetto
dei suoi pensieri apparve interrompendo tutti i suoi pensieri.
- Buongiorno! Come stai
oggi? – chiese Videl che provava gli stessi sentimenti contrastanti di
Gohan. Da una parte era felice che stesse bene, ma dall’altra l’idea
di non rivederlo più la rattristava molto.
- Ormai sto bene, Videl.
Ti ricordo che oggi mi dimettono –
- Lo so, infatti sono
venuta a vedere se hai preparato la tua roba o se volevi una mano – in
realtà aveva dovuto litigare con un’infermiera visto che quello
non era compito di un dottore, difatti l’infermiera sosteneva che fosse
compito suo e che la dottoressa dovesse farsi “gli affari suoi” e
non impicciarsi dei compiti delle infermiere. Fortunatamente Videl aveva
placato la rabbia della “dolce” infermiera ed era potuta andare da
Gohan.
- No, grazie, ho
già sistemato tutta la mia roba nel borsone. Non che ne avessi molta in
effetti – rispose Gohan.
Videl guardò la
stanza ed effettivamente vide il borsone chiuso e la stanza perfettamente
sgombra dagli effetti personali di Gohan. Lui era seduto sulla sedia, con jeans
e giacca. Il suo aspetto casual lo rendeva, agli occhi di Videl, più
affascinante di quanto già non fosse.
- Bene – disse lei
di rimando, non sapendo più cosa dire.
- Bene – ridisse
lui, nel più totale imbarazzo. Voleva dirle qualcosa prima di lasciarla
e rivederla chissà quando, ma non trovava il coraggio.
- Io, allora, vado. Ci
vediamo Gohan, sono molto contenta di averti conosciuto meglio, anche se avrei
preferito un’occasione migliore – disse Videl con
un’espressione un po’ delusa. Voleva che la fermasse, che non si
salutassero così.
Gohan si alzò per
risponderle: - Okay, grazie di tutto Videl, spero… di rivederti presto
– replicò esitante. Lei sospirò e fece per uscire dalla
stanza.
Gohan la guardò e
si disse che forse era l’ultima volta che la vedeva. L’ultima. E
una vocina nella sua testa magicamente si accese continuando a mandare la frase
“Ma che cavolo stai facendo?!
Sbrigati e fermala!”
E, finalmente, decidendosi
a seguirla si sporse verso Videl e la tirò per una mano. Lei si
girò sorpresa, ma trepidante.
- Ma che diavolo stiamo
facendo? – chiese Gohan più a se stesso che a lei.
Videl rise: - Non lo so,
una cavolata è possibile? –
Gohan annuì e poi
la baciò. Fu un bacio più lungo di quello che si erano scambiati
alla discoteca, guidato forse più da un momento di follia. Questo fu
più intenso, più emozionante e più dolce, come di chi di
separarsi non ne vuole proprio sapere.
Videl sorrise, finalmente!
Aspettava questo momento dall’istante stesso che avevano finito di
baciarsi quella sera ed era quasi sicura che anche Gohan provasse le stesse
sensazioni e le stesse bramosie.
Quando si staccarono
entrambi avevano la faccia arrossata e Videl anche gli occhi lucidi.
Con il fiato corto Gohan
tentò di dire una frase più o meno articolata.
- Videl… io non so
come sia potuto succedere. In così poco tempo, oltretutto. Non so darti
una spiegazione razionale, però so che… mi sono innamorato di te.
Fino a poco tempo fa se qualcuno mi avesse detto che avrei vissuto un colpo di
fulmine non ci avrei creduto, eppure è questo che è successo! Io
credevo che l’amore sbocciasse dopo una lunga conoscenza fra due persone
ma con te è stato totalmente diverso. E’ da quella sera che provo
questo sentimento per te, eppure non ti conoscevo per niente. Non credevo di
poter provare quelle e queste sensazioni, tu sei stata e sei una variabile
impazzita che ha sconvolto il mio destino. La variabile più bella che
esista -
Videl, in silenzio,
fissava Gohan estasiata. Mai parole più belle le erano state rivolte,
mai di parole così dolci era stata la destinataria. Una piccola lacrima
le scivolò fuori dagli occhi, sembrava tutto un sogno bellissimo.
- Gohan… Non sai
quanto ho desiderato queste parole, quanto ho voluto questo momento. Anche io
sono innamorata di te – rispose Videl emozionantissima.
Gohan sorrise pensando che
stava per perderla. Per perdere quella bellissima ragazza entrata così
follemente nella sua vita.
La baciò di nuovo,
desiderando altri mille baci, poi altri cento e ancora mille. E Videl fu
felicissima di accontentarlo.
Era ormai tramontato il
sole quando Bulma si affacciò dal balcone della terrazza dell’ospedale.
Era andata lassù per prendere un po’ d’aria, erano giorni
che non usciva dall’ospedale. Non voleva lasciare Vegeta da solo, tranne
che per brevi periodi, e quindi stava sempre lì con lui.
Il vento le sbatteva in
faccia facendole lacrimare gli occhi, anche se quelli erano giorni che
piangevano sempre. Varie mattine si era pure alzata con gli occhi umidi,
nonostante prima di addormentarsi, li avesse asciutti.
Vegeta… Non poteva
perdere anche lui, lo amava con tutta l’anima. Il solo pensiero di
perderlo le faceva mancare l’aria. Aveva già perso troppo. La
morte dei suoi genitori era ancora fresca e vivida nella sua memoria e nel suo
cuore.
Si asciugò gli
occhi e scese dal terrazzo, cominciava a sentire fresco. Arrivò davanti
alla stanza di Vegeta e l’aprì lentamente. Guardò dentro
esitante, sperando che si fosse svegliato.
Ma la realtà le
piombò addosso come un macigno, era sempre lì in quella
posizione. Nessun movimento, niente di niente. Vegeta non accennava a
svegliarsi.
- Ti prego, perdonami. Io
non avrei mai voluto dirti quelle cose terribili. Mi manchi da morire, ho
bisogno di te. Ho rotto con Goku, ho rotto con il mio matrimonio. Perdonami per
averti ferito, ma ti prego, torna da me. Non ce la faccio più. Ti amo,
Vegeta. Svegliati, per favore. – finì in lacrime avvicinandosi a
lui. Gli prese la mano stringendola. Possibile che non riuscisse a sentirla?
- Non hai bisogno di
nessun perdono, Bulma. –
Bulma alzò il viso
con gli occhi sbarrati, aveva sentito veramente quella voce? Oppure era stato
solo uno scherzo della sua fantasia?
- Vegeta, sei tu? –
disse incredula avvicinandosi a lui.
- Fai sempre domande
sceme. – le rispose aprendo finalmente gli occhi.
Bulma si ritrovò a
fissare quelle pozze così scure e profonde con la testa che le stava per
scoppiare. Si era svegliato, si era svegliato…
- Non sto sognando, vero?
Dimmi ancora che sono scema, dimmi tutto quello che vuoi! – finì
con le lacrime che le stavano di nuovo salendo. Solo che stavolta erano lacrime
di gioia.
- Anche tu mi mancavi. –
le disse Vegeta debolmente. Era molto stanco ma felice di essere riuscito e
tornare. Felice e soddisfatto di se stesso. Bulma si accorse della sua stanchezza,
ma non riusciva smettere di guardarlo. Era tornato.
- Vado a chiamare i
dottori! – ed uscì dalla stanza.
Poco dopo tornò con
il dottor Tensing che, sorridente, visitò Vegeta.
- Stai benissimo, stupido
che non sei altro! Però, anche sei ha dormito abbastanza, devi riposarsi
e non fare sforzi. La ferita alla gamba è guarita e quindi, tra qualche
settimana potrai tornare a casa e poi potrai tornare a lavoro! - scherzò
Tensing contento che Vegeta si fosse ripreso.
- Insomma non
c’è giorno che io non possa fare a meno di vedervi! –
rispose lui.
- Esattamente. Ora vado, in
ogni caso sono felice che ti sia ripreso, lo sapevo che avevi la pelle dura.
–
Tensing uscì dalla
stanza e Bulma guardò con le lacrime agli occhi Vegeta. Lo
abbracciò desiderando di non staccarsi più. Lui la strinse a
sé, felice di non averla persa. Quando si era risvegliata e
l’aveva sentita aveva capito di amarla profondamente. Non ricordava nulla
di quanto successo dopo che quel rapinatore gli aveva sparato. Ricordava un
dolore terribile e di aver perso i sensi in pochissimi istanti. E poi
frammenti. Per lo più voci, e quella che ricordava più spesso era
quella della sua Bulma. La sua voce, le sue suppliche e le sue lacrime. Quando
la sentiva desiderava con forza tornare da lei ma non ci riusciva, era come
bloccato. Tentava con tutto se stesso ma non c’era verso, i suoi occhi
non ne volevano sapere di aprirsi.
Però quando aveva
sentito quella voce così addolorata e quelle parole, quel “Ti
amo” qualcosa si era sbloccato ed era riuscito a svegliarsi.
Aveva ricominciato a
sentire ed avere percezione del mondo che lo circondava.
E finalmente aveva potuto consolare
la sua donna. Ormai poteva gridarlo al mondo, lei era sua e non se la sarebbe
mai fatta scappare.
La baciò per poi
sorriderle. Solo a lei dedicava quei sorrisi, a lei e a nessun altro.
- Mi mancavi, Donna. -
- Mi chiamo Bulma! Quante
volte dovrò dirtelo?! –
- Credo per sempre, se
vorrai. –
In modo strano ma quello
che le stava facendo Vegeta era una dichiarazione, le chiedeva implicitamente
se voleva restare con lui per sempre.
- Sì, anche dopo. -
Chichi quando andò
al lavoro la mattina dopo trovò la bellissima sorpresa. Felice
abbracciò Vegeta che, imbarazzato, ricambiò.
- Scusami per quello che
ti dissi quanto ti vidi con Bulma, non capii allora e ti dissi cose che non
pensavo. -
- Tranquilla Chichi, non
preoccuparti. –
Anche se battibeccavano e lui
continuava a dire quanto fosse isterica le voleva bene, era una sua amica. Goku
lo salutò calorosamente e cominciarono a darsi del tu.
Bulma e Goku quel
pomeriggio stesso andarono dall’avvocato Cesare che non fu poi
così sorpreso di rivedere Goku. Purtroppo un divorzio è un procedimento
lungo, però visto che erano consenzienti entrambi la cosa sarebbe stata
più veloce.
Dopo qualche giorno Vegeta
potè uscire dal lavoro per rientrarci dopo una settimana! Però
stavolta come dottore e non come paziente.
Quando uscì Bulma
organizzò una festeggiamento che fu molto intimo. Aveva invitato solo
Goku e Chichi in un bellissimo ristorante.
Si divertirono moltissimo,
persino Vegeta si lasciò scappare qualche risata alla battute sceme di
Goku!
Poi arrivò il
momento del brindisi. Bulma alzò il suo calice per farlo.
- All’amore
ritrovato. In tutti i sensi. -
- All’amore
ritrovato! – esclamarono in coro gli altri tre.
Un amore trovato in un
ospedale. Un luogo solitamente triste e sconfortante, ma dove si provano anche
delle gioie indescrivibili. Quando entri lì che stai male ma sai che quando
uscirai starai bene. Quando aspetti ore in un saletta d’attesa con il
cuore che batte come impazzito, con la mente che non sa cosa fare, con la
speranza che il medico che esca ti dica: - E’ andato tutto bene. –
Il problema è che a volte il medico esce e poco dopo ti ritrovi con un
dolore che ti schiaccia e non ti fa respirare. Ospedale: un luogo dove si
provano le gioie e i dolori più intensi.
Goku e Bulma lì
hanno ritrovato l’amore, quello che ormai avevano perso da tempo.
Vegeta e Chichi si sono
innamorati realmente forse per la prima volta.
E sono felici. Mentre si
guardano, si baciano, mentre fanno l’amore.
Ad ogni bacio, ad ogni carezza ne seguiranno sempre altri, così tanti
che formeranno un conto infinito che, loro lo sanno bene, non cesserà
mai.
Da mi basia mille, deinde centum, dein mille
altera, dein secunda centum, deinde usque altera mille, deinde centum.
Dein, cum milia multa fecerimus, conturbabimus
illa, ne sciamus, aut ne quis malus invidere possit, cum tantum sciat esse
basiorum.
Dammi mille baci, poi cento, poi mille altri, poi
ancora cento, poi sempre altri mille, poi cento. Poi, quando ne avrem fatti
molte migliaia, li mescoleremo, per non sapere, o perché nessun malvagio
possa invidiarli, sapendo esserci tanti baci.
Catullo, Carme V.
Fine.
Non ci posso credere, l’ho
finita!!!! Ho concluso questa storia!!!! E’ stata la mia prima long-fic
ed è stata davvero sofferta da parte mia. La data della creazione
è stata il 3 Giugno 2007 e sono riuscita a finirla solo oggi. Questo è
tutto dire, due anni.
Spero che vi sia piaciuta
e che lascerete qualche piccolo commentino, anche per linciarmi visti i tempi
di attesa interminabili tra un aggiornamento e l’altro, soprattutto verso
i capitoli finali.
Però mi piace
questa fic perché posso osservare quanto sia cambiata nel tempo, se
leggo il primo e l’ultimo capitolo mi sembrano completamente diversi come
stile! Però, forse, è solo un’impressione.
Gli ultimi versi sono presi
dal Carme V di Catullo “Vivamus mea Lesbia”.
Spero di non avervi
annoiato e ringrazio tutti coloro che hanno commentato e le 11 persone che l’hanno
messa fra i preferiti =)!
Baci.
Marty De Nobili.