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Autore: Carlos Olivera    19/09/2009    3 recensioni
Cosa può spingere un uomo a rinnegare tutto ciò che ha sempre creduto, abbandonare i precetti che hanno governato la sua esistenza e rendersi partecipe di crimini innominabili?
Dolore, rabbia, frustrazione, odio, invidia. Tutto ciò può condurre all'abisso del male, e una volta che vi si è entrati la caduta è inesorabile.
Anno 1124
Due giovani assassini vengono incaricati dal loro maestro ormai morente di compiere un'ultima missione per le affollate strade di Baghdad, un paradiso di cultura e di conoscenza su cui alberga però un'ombra minacciosa. Nessuno sarà risparmiato, e l'unica cosa che attende loro, come molti altri, è il dolore, il dolore in tutte le sue più crudeli e terribili forme.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO

PROLOGO

 

 

Fortezza di Alamut

Gennaio 1124

 

Soffiava un vento secco e arido sulla piana desertica e sulle colline circostanti, che portava via inesorabilmente la parvenza di aria più fresca da poco sopraggiunta con l’arrivo, la sera prima, di un inatteso acquazzone.

  Da qualche settimana, da quando cioè le condizioni di salute del gran maestro della setta degli Assassini, erano improvvisamente peggiorate, egli, anche dietro suggerimento del suo allievo prediletto, aveva deciso di lasciare Masyaf, quartier generale dell’Ordine, per spostarsi nella più tranquilla e riservata fortezza di Alamut, situata ad un centinaio di chilometri a nord di Teheran, non troppo lontano dalle sponde meridionali del Mar Caspio.

  L’aria secca e pulita del deserto iraniano aveva migliorato almeno un po’ la sua lenta agonia, ma ormai tutti nella fortezza sapevano che al nobile Hasan-i Sabbah, padre spirituale nonché fondatore dei Nizariti, non rimaneva molto da vivere.

  Dal giorno del suo arrivo alla fortezza non aveva più presenziato ad una cerimonia religiosa, e recitava le preghiere del venerdì nelle sue stanze, circondato dagli intimi, a cui profilava, tossendo e gemendo continuamente, i suoi ormai leggendari sermoni, tanto possenti e vigorosi da risultare taglienti anche se pronunciati con tanta fatica.

  Affacciato dal torrione più alto della fortezza, con lo sguardo perso all’immensa pianura che si stagliava dinnanzi a lui, il giovane Kahled-i Kassim si domandava, non senza un senso di ansia, cosa sarebbe stato di lui dopo la morte del maestro.

  Come assassino si era guadagnato una fama non indifferente, tanto da venire chiamato Maestro da molti suoi fratelli molto prima di ricevere effettivamente tale nomina, e malgrado avesse solamente ventidue anni aveva già alle spalle quasi cento omicidi importanti.

  Questo poi senza tenere conto della grande stima che Hasan-i Sabbah nutriva nei suoi confronti, ma ogni qualvolta si prefigurava di poterne un giorno prendere il posto rammentava a sé stesso che c’era qualcun altro, qualcuno di ben più capace di lui, e questo qualcuno era nientemeno che suo fratello.

  Ormai era inutile farsi delle illusioni: suo fratello, di due anni più vecchio, era l’unico priore dell’organizzazione, ed era unanimemente riconosciuto come una leggenda vivente: centocinquanta omicidi, tutti condotti nella più assoluta discrezione, e mai una volta nessuno che non fosse la vittima lo aveva visto agire, tanto le sue missioni erano preparate nei minimi dettagli.

  A lungo Kahled aveva cercato di eguagliarlo, ma era chiaro che si trattava di un’impresa impossibile: agilità, eleganza, perizia con le armi, capacità di previsione, discrezione; suo fratello era un concentrato di sapere, la summa dell’assassino, e sicuramente sarebbe stato colui che avrebbe portato nuovo lustro alla confraternita guidandola verso un periodo che, a giudicare dal caos che stava iniziando ad imperversare in Terra Santa, sarebbe stato sicuramente funestato da nuove guerre.

  Nati come semplice congregazione di fanatici religiosi dediti all’omicidio politico, gli Assassini erano diventati con il tempo una setta di segreti difensori della pace che uccidendo uomini responsabili di crimini indicibili assicuravano libertà e la tranquillità al popolo.

  Molti erano caduti per mano loro, governatori di città, dignitari corrotti, mercanti senza scrupoli, militari spietati, ma la strada per liberare il mondo dalla malvagità e dalla corruzione era ancora lunga, e fino a quando ci fosse stato una sola minaccia a gravare sulla gente comune gli Assassini avrebbero continuato ad esistere.

  Kahled e suo fratello avevano più di un motivo per voler essere partecipi di questa campagna di purificazione: figli di un illustre dignitario del califfo di Damasco, avevano assistito davanti ai loro occhi all’uccisione dei genitori dopo che questi avevano portato allo scoperto le malefatte di un capitano dell’esercito denunciandolo al sovrano, e sarebbero sicuramente morti anche loro se gli Assassini non fossero intervenuti, uccidendo gli aggressori e salvando loro la vita.

  Da quel momento, quella stessa vita era stata interamente votata alla setta e ai suoi principi; il maestro li aveva accolti amorevolmente, facendo di loro i suoi allievi personali e portando alla luce le abilità latenti di ognuno di loro: se Kahled si era rivelato un grande spadaccino, suo fratello aveva valorizzato e sviluppato al massimo la sua incredibile agilità, diventando capace nel giro di pochi anni di compiere acrobazie al limite delle possibilità umane.

  Hasan-i Sabbah era un maestro severo, rude, a volte spietato, ma sapeva come ricompensare i suoi allievi per i loro progressi, e oltre che nell’abilità di uccidere li aveva istruiti anche nella cultura, insegnando loro le sacre scritture cristiane e musulmane, il che li rendeva sicuramente i candidati più probabili alla successione.

  Una cosa che Kahled aveva imparato durante i suoi anni di assassino, e in cui credeva fermamente, era che la giustizia era un’ideale superiore, e lo stesso pensava suo fratello, anche se bisogna dire che su questo argomento avevano schemi di pensiero discordanti.

  Kahled era immerso nei suoi pensieri, quando una voce famigliare lo richiamò.

  «Eccoti finalmente. Ti ho cercato dappertutto».

  Era lui, suo fratello, e anche per chi non li avesse conosciuti sarebbe stato facile scorgere il legame di sangue che li univa: stessi occhi neri e penetranti, stessi capelli corvini, più lunghi nel fratello maggiore, stessa carnagione scura temprata dal sole, e solo una leggera differenza di altezza.

  «Altair.»

  «Ero certo di trovarti qua. Avanti, il maestro vuole vederci.»

  «Per quale motivo?»

  «Non me l’hanno detto, ma sospetto si tratti di una missione».

  I due fratelli entrarono dunque nell’edificio principale della fortezza e salirono al secondo piano, fermandosi davanti ad una porta più appariscente delle altre; bussarono leggermente, e quasi subito una voce gli disse di entrare.

  All’interno della stanza, disteso sul suo letto, stava il loro maestro, Hasan-i Sabbah, ma nessuno, vedendolo in quello stato, avrebbe mai pensato che un tempo era stato il fondatore degli Assassini; alla soglia dei novant’anni, non era nient’altro che l’ombra di stesso, un corpo vecchio e malmesso in cui la vita continuava a stento ad albergare. Il volto, unica parte del corpo che emergeva dalle coperte di lino, era scavato orribilmente dalle rughe e parzialmente nascosto sia dalla lunga barba bianca sia dal copricapo che il maestro indossava per nascondere la calvizie.

  Appena entrati, e facendo finta di non rimanere sconvolti dall’orribile spettacolo che avevano davanti, i due fratelli chinarono il capo.

  «Maestro.» dissero.

  Lui, che probabilmente gravitava tra il sonno e la veglia, aprì gli occhi, ma dovette fare ricorso all’aiuto del suo medico per riuscire a mettersi seduto, poggiando la schiena sui cuscini e guardando i due ragazzi dritti in volto: anche se vecchio e morente, quell’uomo conservava ancora quello sguardo glaciale che lo aveva reso così famoso.

  «Altair. Kahled.» disse con voce terribilmente catarrosa e affaticata «Avete fatto presto.»

  «Servirvi è un onore, maestro.» rispose il maggiore

  «In nome del cielo. Mi sembra solo ieri quando entraste a far parte della nostra grande famiglia. Ricordo ancora il giorno in cui arrivaste a Masyaf, ormai quasi quindici anni fa. Tu, Altair, tenevi la mano di tuo fratello, e da allora non l’hai mai lasciata.

  Voi due siete stati sempre uniti, e con il vostro operato avete portato gloria alla confraternita, contribuendo alla causa della pace. Prima che io lasci questo mondo, però, ho un ultimo incarico per voi.»

  «Comandateci, e ubbidiremo.»

  «Dovete uccidere… Jahal Alì Falahda

  «Il califfo di Baghdad!?» esclamò Kahled non senza stupore

  «Sì, Kahled. E voglio anche che recuperiate il manufatto maledetto di cui è venuto in possesso, la Parola di Allah.»

  «Non ne ho mai sentito parlare, maestro.» disse Altair «Di che si tratta?»

  «È il male. Il male nella sua più abbietta forma. Un potere che può spingere qualsiasi uomo a macchiarsi di crimini terribili per averlo, e ad altri ancor peggiori una volta venutone in possesso.

  Un potere divino, che trascende l’umana comprensione, e che per questo non deve mai e poi mai finire nelle mani di un uomo, soprattutto in quelle di un tiranno assetato di potere.»

  «Quand’è così, maestro, forse sarebbe più prudente distruggerlo.»

  «No. Ti sbagli Altair. L’oggetto in possesso di Alì Falahda è solo uno dei tanti. Anche se lo distruggessimo, gli altri rimarrebbero, pronti a scatenare l’inferno in terra.»

  «E allora che cosa si può fare, maestro?» domandò Kahled

  «Quei manufatti maledetti sono tutti collegati. Possederne uno significa possedere la chiave d’accesso anche per tutti gli altri. Per questo dovete recuperarlo. Quando sarà in nostro possesso, potremo scoprire dove si trovano i suoi simili, così da liberare l’umanità dalla loro demoniaca presenza.

  E poi, Jahal sa che l’Occhio di Allah non è l’unica fonte di potere di questo mondo, e presto, molto presto, cercherà di impossessarsi anche degli altri, in modo da soddisfare la sua ambizione. Deve essere fermato prima che possa farlo, ed è per questo che dovete ucciderlo. Anche se gli toglieste il suo tesoro, si limiterebbe a cercarne un altro».

  La storia che il maestro raccontava era davvero strana, soprattutto se si pensava che lui aveva tenuto sempre un atteggiamento alquanto scettico in merito a reliquie ed altri oggetti di natura divina, che egli considerava come niente più di mere invenzioni umane per dare forza e credibilità alla propria fede.

  Tuttavia, la convinzione e la forza che albergavano nei suoi occhi lasciavano intendere che credeva davvero a ciò che stava dicendo, e che le sue parole non potevano per nulla essere attribuite ai vuoti vaneggiamenti di un vecchio alle soglie della morte.

  «Questa è l’ultima missione che vi affido. Portatela a termine, e vi sarete guadagnati tutto il mio rispetto.»

  «Sarà fatto, maestro.»

  «Ho già inviato un messaggero a Baghdad per avvertire il Rafik del vostro arrivo. Dovrete compiere questo incarico in fretta, prima che questo mio vecchio cuore smetta di battere, e allora diverrete depositari delle mie volontà sul futuro sia vostro che della confraternita».

  Nel sentire quelle parole Kahled non riuscì a non percepire una sorta di messaggio di sfida rivolto ad entrambi.

  Era una prova!

  Una prova per decidere il futuro capo spirituale dei Nizariti. Sicuramente il Rafik, a incarico ultimato, avrebbe informato Hasan-i Sabbah del rendimento dei due fratelli, e quello che si fosse imposto maggiormente avrebbe preso il posto del maestro alla guida della confraternita.

  Di colpo, Kahled sentì rinascere la speranza, la speranza di poter eguagliare se non superare suo fratello, malgrado questo non pregiudicasse in alcun modo l’attaccamento e l’affetto che provava nei suoi confronti; anche lo stesso Hasan-i Sabbah volle mettere subito le mani in avanti, onde evitare spiacevoli atti di individualismo.

  «Che queste mie parole non vi distolgano dal vostro obiettivo, figli miei. La vostra forza sta nell’aiuto e nella collaborazione che vi siete sempre offerti l’un l’altro per portare a termine una missione, e deve essere così anche questa volta.

  Non dubitate che questo sarà l’incarico più difficile e rischioso di tutta la vostra vita. Jahal ha imparato a controllare quasi alla perfezione i poteri della Parola di Allah, e li userà su di voi se ne avrà l’opportunità. Fate attenzione, e non date niente per scontato.»

  «Lo faremo, maestro.» rispose Altair «Grazie dei vostri preziosi consigli.»

  «Andate, ora».

  Dopo aver fatto un ultimo inchino i due fratelli lasciarono la stanza, dirigendosi subito verso le stalle.

  «Non sei contento, Kahled?» domandò Altair mentre sellava il proprio cavallo

  «Eh, cosa!?» rispose il ragazzo come cadendo dalle nuvole

  «Siamo diretti a Baghdad. Potrai rivedere Mira. La cosa dovrebbe renderti felice.»

  «In effetti. Anche se ormai sono anni che non ci vediamo. Per quello che ne so, potrebbe anche aver conosciuto un altro uomo.»

  «Io non ne sarei tanto sicuro.» rispose Altair montando in sella «Deve ancora nascere l’uomo che riuscirà a domare quella tigre.»

  «Grazie, mi sei davvero di conforto.»

  «A parte te, ovviamente».

  Ben presto però l’argomento girò sulla missione che i due stavano andando a compiere.

  «Tu cosa ne pensi di questa storia della Parola di Allah?» chiese Kahled

  «A noi Assassini viene imposto di vedere il mondo per quello che è davvero, e questa realtà è densa di segreti. Ci sono molte cose in questo mondo che l’uomo non sa spiegare, o che sceglie di ignorare per paura.»

  «Pensi che sia vero?»

  «Il suo sguardo e il suo terrore erano più eloquenti di qualsiasi parola. Forse si è lasciato un po’ trasportare, ma il cuore della questione è sicuramente reale.»

  «Sì, non posso darti torto. Indubbiamente c’è della verità in ciò che ha detto.»

  «Dobbiamo fare attenzione, però. Spesso, troppo spesso, argomenti come questo sollevano più polvere di quanta dovrebbero, e la prima cosa da fare in questi casi è necessario separare la paglia dal grano.»

  «È per questo che ti ammiro, fratello. Riesci a scorgere la realtà e la verità dietro ad ogni cosa».

  Altair si girò verso di lui, guardandolo enigmaticamente e con severità.

  «Niente è reale. Tutto è lecito.»

  Kahled sorrise.

 «Il credo dell’assassino.» disse, e insieme superarono al galoppo i cancelli della fortezza, scendendo lungo il sentiero e dirigendosi verso sud-ovest.

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Assassin’s Creed è uno dei videogame che mi hanno maggiormente colpito, sia per giocabilità e storia in generale sia per i contenuti, e sono in febbrile attesa di procurarmi entrambi i sequel.

Questa storia, come è facile intuire dalla data, si colloca quasi settant’anni prima degli eventi narrati nel primo episodio, ma non voglio anticipare nulla sulla correlazione che dimostrerà di avere con esso.

I capitoli in tutto saranno 4, escluso questo prologo.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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