PROLOGO
Fortezza di Alamut
Gennaio 1124
Soffiava un vento secco e arido sulla piana desertica e
sulle colline circostanti, che portava via inesorabilmente la parvenza di aria
più fresca da poco sopraggiunta con l’arrivo, la sera prima, di un inatteso
acquazzone.
Da qualche
settimana, da quando cioè le condizioni di salute del gran maestro della setta
degli Assassini, erano improvvisamente peggiorate, egli, anche dietro suggerimento del suo allievo prediletto, aveva deciso
di lasciare Masyaf, quartier generale dell’Ordine,
per spostarsi nella più tranquilla e riservata fortezza di Alamut,
situata ad un centinaio di chilometri a nord di Teheran, non troppo lontano
dalle sponde meridionali del Mar Caspio.
L’aria secca e
pulita del deserto iraniano aveva migliorato almeno un po’ la sua lenta agonia,
ma ormai tutti nella fortezza sapevano che al nobile Hasan-i Sabbah, padre
spirituale nonché fondatore dei Nizariti,
non rimaneva molto da vivere.
Dal giorno del suo
arrivo alla fortezza non aveva più presenziato ad una
cerimonia religiosa, e recitava le preghiere del venerdì nelle sue stanze,
circondato dagli intimi, a cui profilava, tossendo e gemendo continuamente, i
suoi ormai leggendari sermoni, tanto possenti e vigorosi da risultare taglienti
anche se pronunciati con tanta fatica.
Affacciato dal
torrione più alto della fortezza, con lo sguardo perso all’immensa pianura che
si stagliava dinnanzi a lui, il giovane Kahled-i Kassim si domandava, non
senza un senso di ansia, cosa sarebbe stato di lui dopo la morte del maestro.
Come assassino si
era guadagnato una fama non indifferente, tanto da venire
chiamato Maestro da molti suoi fratelli molto prima di ricevere effettivamente
tale nomina, e malgrado avesse solamente ventidue anni aveva già alle spalle
quasi cento omicidi importanti.
Questo poi senza
tenere conto della grande stima che Hasan-i Sabbah nutriva nei suoi confronti,
ma ogni qualvolta si prefigurava di poterne un giorno prendere
il posto rammentava a sé stesso che c’era qualcun altro, qualcuno di ben più
capace di lui, e questo qualcuno era nientemeno che suo fratello.
Ormai era inutile
farsi delle illusioni: suo fratello, di due anni più vecchio,
era l’unico priore dell’organizzazione, ed era unanimemente riconosciuto come
una leggenda vivente: centocinquanta omicidi, tutti condotti nella più assoluta
discrezione, e mai una volta nessuno che non fosse la vittima lo aveva visto
agire, tanto le sue missioni erano preparate nei minimi dettagli.
A lungo Kahled
aveva cercato di eguagliarlo, ma era chiaro che si trattava di un’impresa
impossibile: agilità, eleganza, perizia con le armi, capacità di previsione,
discrezione; suo fratello era un concentrato di sapere, la summa
dell’assassino, e sicuramente sarebbe stato colui che
avrebbe portato nuovo lustro alla confraternita guidandola verso un periodo
che, a giudicare dal caos che stava iniziando ad imperversare in Terra Santa,
sarebbe stato sicuramente funestato da nuove guerre.
Nati come semplice
congregazione di fanatici religiosi dediti all’omicidio politico, gli Assassini
erano diventati con il tempo una setta di segreti difensori della pace che
uccidendo uomini responsabili di crimini indicibili assicuravano libertà e la
tranquillità al popolo.
Molti erano caduti
per mano loro, governatori di città, dignitari corrotti, mercanti senza
scrupoli, militari spietati, ma la strada per liberare il mondo dalla malvagità
e dalla corruzione era ancora lunga, e fino a quando
ci fosse stato una sola minaccia a gravare sulla gente comune gli Assassini
avrebbero continuato ad esistere.
Kahled e suo
fratello avevano più di un motivo per voler essere partecipi di questa campagna
di purificazione: figli di un illustre dignitario del califfo di Damasco, avevano assistito davanti ai loro occhi
all’uccisione dei genitori dopo che questi avevano portato allo scoperto le
malefatte di un capitano dell’esercito denunciandolo al sovrano, e sarebbero
sicuramente morti anche loro se gli Assassini non fossero intervenuti,
uccidendo gli aggressori e salvando loro la vita.
Da quel momento, quella
stessa vita era stata interamente votata alla setta e ai suoi principi; il
maestro li aveva accolti amorevolmente, facendo di loro i suoi allievi
personali e portando alla luce le abilità latenti di ognuno di loro: se Kahled
si era rivelato un grande spadaccino, suo fratello aveva valorizzato e
sviluppato al massimo la sua incredibile agilità, diventando capace nel giro di
pochi anni di compiere acrobazie al limite delle
possibilità umane.
Hasan-i Sabbah era
un maestro severo, rude, a volte spietato, ma sapeva come ricompensare i suoi
allievi per i loro progressi, e oltre che nell’abilità di uccidere li aveva
istruiti anche nella cultura, insegnando loro le sacre scritture cristiane e
musulmane, il che li rendeva sicuramente i candidati più probabili alla
successione.
Una cosa che
Kahled aveva imparato durante i suoi anni di assassino, e in cui credeva
fermamente, era che la giustizia era un’ideale superiore, e lo stesso pensava
suo fratello, anche se bisogna dire che su questo
argomento avevano schemi di pensiero discordanti.
Kahled era immerso
nei suoi pensieri, quando una voce famigliare lo richiamò.
«Eccoti
finalmente. Ti ho cercato dappertutto».
Era lui, suo
fratello, e anche per chi non li avesse conosciuti
sarebbe stato facile scorgere il legame di sangue che li univa: stessi occhi
neri e penetranti, stessi capelli corvini, più lunghi nel fratello maggiore,
stessa carnagione scura temprata dal sole, e solo una leggera differenza di
altezza.
«Altair.»
«Ero
certo di trovarti qua. Avanti, il maestro vuole vederci.»
«Per quale motivo?»
«Non me l’hanno
detto, ma sospetto si tratti di una missione».
I due fratelli
entrarono dunque nell’edificio principale della fortezza e salirono al secondo
piano, fermandosi davanti ad una porta più appariscente delle altre; bussarono
leggermente, e quasi subito una voce gli disse di entrare.
All’interno della
stanza, disteso sul suo letto, stava il loro maestro, Hasan-i Sabbah, ma
nessuno, vedendolo in quello stato, avrebbe mai pensato che un tempo era stato
il fondatore degli Assassini; alla soglia dei novant’anni, non era nient’altro
che l’ombra di sé stesso, un corpo vecchio e malmesso
in cui la vita continuava a stento ad albergare. Il volto, unica parte del
corpo che emergeva dalle coperte di lino, era scavato orribilmente dalle rughe
e parzialmente nascosto sia dalla lunga barba bianca sia dal copricapo che il maestro indossava per nascondere la calvizie.
Appena entrati, e
facendo finta di non rimanere sconvolti dall’orribile spettacolo che avevano
davanti, i due fratelli chinarono il capo.
«Maestro.»
dissero.
Lui, che
probabilmente gravitava tra il sonno e la veglia, aprì gli occhi, ma dovette
fare ricorso all’aiuto del suo medico per riuscire a mettersi seduto, poggiando
la schiena sui cuscini e guardando i due ragazzi dritti in volto: anche se
vecchio e morente, quell’uomo conservava ancora quello sguardo glaciale che lo
aveva reso così famoso.
«Altair.
Kahled.» disse con voce terribilmente catarrosa e affaticata «Avete fatto
presto.»
«Servirvi è un
onore, maestro.» rispose il maggiore
«In
nome del cielo. Mi sembra solo ieri quando entraste a far parte della nostra
grande famiglia. Ricordo ancora il giorno in cui arrivaste a Masyaf, ormai quasi quindici anni fa. Tu, Altair, tenevi la
mano di tuo fratello, e da allora non l’hai mai lasciata.
Voi due siete
stati sempre uniti, e con il vostro operato avete
portato gloria alla confraternita, contribuendo alla causa della pace. Prima che
io lasci questo mondo, però, ho un ultimo incarico per voi.»
«Comandateci, e
ubbidiremo.»
«Dovete uccidere… Jahal
Alì Falahda.»
«Il califfo di
Baghdad!?» esclamò Kahled non senza stupore
«Sì,
Kahled. E voglio anche che recuperiate il manufatto maledetto di cui è venuto
in possesso,
«Non ne ho mai
sentito parlare, maestro.» disse Altair «Di che si tratta?»
«È
il male. Il male nella sua più abbietta forma. Un potere che può spingere
qualsiasi uomo a macchiarsi di crimini terribili per averlo, e ad altri ancor
peggiori una volta venutone in possesso.
Un potere divino,
che trascende l’umana comprensione, e che per questo non deve mai e poi mai
finire nelle mani di un uomo, soprattutto in quelle di un tiranno assetato di
potere.»
«Quand’è così,
maestro, forse sarebbe più prudente distruggerlo.»
«No.
Ti sbagli Altair. L’oggetto in possesso di Alì Falahda
è solo uno dei tanti. Anche se lo distruggessimo, gli altri rimarrebbero,
pronti a scatenare l’inferno in terra.»
«E allora che cosa
si può fare, maestro?» domandò Kahled
«Quei
manufatti maledetti sono tutti collegati. Possederne uno significa possedere la chiave d’accesso anche per tutti gli altri. Per
questo dovete recuperarlo. Quando sarà in nostro possesso, potremo scoprire dove si trovano i suoi simili, così da liberare l’umanità
dalla loro demoniaca presenza.
E poi, Jahal sa
che l’Occhio di Allah non è l’unica fonte di potere di questo mondo, e presto,
molto presto, cercherà di impossessarsi anche degli altri, in modo da soddisfare
la sua ambizione. Deve essere fermato prima che possa farlo, ed è per questo che dovete ucciderlo. Anche se gli toglieste il
suo tesoro, si limiterebbe a cercarne un altro».
La storia che il
maestro raccontava era davvero strana, soprattutto se si pensava che lui aveva tenuto sempre un atteggiamento alquanto scettico in
merito a reliquie ed altri oggetti di natura divina, che egli considerava come
niente più di mere invenzioni umane per dare forza e credibilità alla propria
fede.
Tuttavia, la
convinzione e la forza che albergavano nei suoi occhi lasciavano intendere che
credeva davvero a ciò che stava dicendo, e che le sue parole non potevano per nulla essere attribuite ai vuoti vaneggiamenti di un vecchio
alle soglie della morte.
«Questa
è l’ultima missione che vi affido. Portatela a termine, e vi sarete guadagnati
tutto il mio rispetto.»
«Sarà fatto,
maestro.»
«Ho
già inviato un messaggero a Baghdad per avvertire il Rafik del vostro arrivo. Dovrete
compiere questo incarico in fretta, prima che questo mio vecchio cuore smetta
di battere, e allora diverrete depositari delle mie volontà sul futuro sia
vostro che della confraternita».
Nel sentire quelle
parole Kahled non riuscì a non percepire una sorta di
messaggio di sfida rivolto ad entrambi.
Era una prova!
Una prova per
decidere il futuro capo spirituale dei Nizariti. Sicuramente
il Rafik, a incarico ultimato, avrebbe informato Hasan-i Sabbah del rendimento dei
due fratelli, e quello che si fosse imposto maggiormente avrebbe
preso il posto del maestro alla guida della confraternita.
Di colpo, Kahled
sentì rinascere la speranza, la speranza di poter eguagliare se non superare
suo fratello, malgrado questo non pregiudicasse in alcun modo l’attaccamento e
l’affetto che provava nei suoi confronti; anche lo stesso Hasan-i Sabbah volle
mettere subito le mani in avanti, onde evitare spiacevoli atti di individualismo.
«Che
queste mie parole non vi distolgano dal vostro obiettivo, figli miei. La vostra
forza sta nell’aiuto e nella collaborazione che vi siete sempre offerti l’un l’altro
per portare a termine una missione, e deve essere così anche questa volta.
Non dubitate che
questo sarà l’incarico più difficile e rischioso di tutta la vostra vita. Jahal
ha imparato a controllare quasi alla perfezione i poteri della Parola di Allah,
e li userà su di voi se ne avrà l’opportunità. Fate attenzione, e non date
niente per scontato.»
«Lo faremo, maestro.» rispose Altair «Grazie dei vostri preziosi
consigli.»
«Andate, ora».
Dopo aver fatto un
ultimo inchino i due fratelli lasciarono la stanza,
dirigendosi subito verso le stalle.
«Non sei contento,
Kahled?» domandò Altair mentre sellava il proprio cavallo
«Eh, cosa!?» rispose il ragazzo come cadendo dalle nuvole
«Siamo
diretti a Baghdad. Potrai rivedere Mira. La cosa dovrebbe renderti felice.»
«In
effetti. Anche se ormai sono anni che non ci vediamo. Per quello che ne so,
potrebbe anche aver conosciuto un altro uomo.»
«Io non ne sarei
tanto sicuro.» rispose Altair montando in sella «Deve ancora nascere l’uomo che
riuscirà a domare quella tigre.»
«Grazie, mi sei
davvero di conforto.»
«A parte te,
ovviamente».
Ben presto però l’argomento
girò sulla missione che i due stavano andando a compiere.
«Tu cosa ne pensi
di questa storia della Parola di Allah?» chiese Kahled
«A noi Assassini viene imposto di vedere il mondo per quello che è davvero, e
questa realtà è densa di segreti. Ci sono molte cose in questo mondo che l’uomo
non sa spiegare, o che sceglie di ignorare per paura.»
«Pensi che sia
vero?»
«Il suo sguardo e
il suo terrore erano più eloquenti di qualsiasi parola.
Forse si è lasciato un po’ trasportare, ma il cuore della questione è
sicuramente reale.»
«Sì,
non posso darti torto. Indubbiamente c’è della verità in ciò che ha detto.»
«Dobbiamo
fare attenzione, però. Spesso, troppo spesso, argomenti come questo sollevano più polvere di quanta dovrebbero, e la prima cosa
da fare in questi casi è necessario separare la paglia dal grano.»
«È per questo che
ti ammiro, fratello. Riesci a scorgere la realtà e la
verità dietro ad ogni cosa».
Altair si girò
verso di lui, guardandolo enigmaticamente e con severità.
«Niente
è reale. Tutto è lecito.»
Kahled sorrise.
«Il credo dell’assassino.»
disse, e insieme superarono al galoppo i cancelli della fortezza, scendendo
lungo il sentiero e dirigendosi verso sud-ovest.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Assassin’s Creed è
uno dei videogame che mi hanno maggiormente colpito,
sia per giocabilità e storia in generale sia per i contenuti, e sono in
febbrile attesa di procurarmi entrambi i sequel.
Questa storia, come è facile intuire dalla data, si colloca quasi settant’anni
prima degli eventi narrati nel primo episodio, ma non voglio anticipare nulla
sulla correlazione che dimostrerà di avere con esso.
I capitoli in tutto
saranno 4, escluso questo prologo.
A presto!^_^
Carlos Olivera