Tessa fece un passo indietro, sconvolta dalle parole che aveva appena sentito. Si sentì girare la testa, colta da vertigini così violente che dovette appoggiarsi a terra: nella sua mente rivide le lacrime di sua madre, il viso sconvolto dal dolore di suo padre e gli occhi senza vita di Ferruccio, con il sangue ormai rappreso sulla gola e il petto. Guardò in faccia Vahla, quasi aspettandosi di trovarci crudeltà, vittoria o quant'altro: invece vi trovò colpevolezza e rammarico. Si asciugò velocemente le lacrime, scuotendo la testa: «Era solo un ragazzo, come hai potuto?»
La donna incrociò le braccia, serrando le labbra in una linea sottile: «E tu eri solo una bambina. Ma è normale che le tue memorie siano confuse. Permettimi di farti ricordare».
La ragazza la guardò di sguincio, sospettosa: «Come faccio a sapere che non sia una scusa per manipolarmi, come l’altra voce?»
Vahla si lasciò scappare un ringhio: «Non osare paragonarmi a quella bestia». Scrollò il capo, ricomponendosi, quindi le si rivolse con un tono più pacato: «La scelta è tua: continuare a vivere una bugia di circostanza o fare pace col tuo passato» disse, tendendole la mano.
Tessa la guardò con timore, indecisa sul da farsi. Si avvicinò con circospezione e, piano piano, appoggiò la mano su quella più ossuta dell’altra. Vahla gliela strinse, mentre impose l’altra mano sulla fronte della giovane: «Perdonami per il dolore che rivivrai» furono le sue ultime parole, prima che la mente di Tessa fosse inondata di luce.
*****
Nella piccola radura dove si trovavano le due donne era calato un silenzio inquietante, interrotto solo dal verso lontano di qualche uccello notturno.
Tessa riemerse dal ricordo boccheggiando, come se fosse rimasta sott’acqua per un tempo indefinito, e spalancando gli occhi di colpo. Tremò con violenza, ancora sconvolta dai ricordi, e appoggiò con forza le mani sul terreno freddo, mentre le lacrime le scendevano copiose.
Vahla si chinò di fronte a lei, mettendole una mano sulla spalla per consolarla: «Mi dispiace, bambina.»
La giovane singhiozzò, incredula: «Era mio fratello... Come ha potuto...»
La veggente sospirò: «Chi lo sa. Gelosia, superbia, oppure semplice cattiveria. Gli esseri umani sono creature complicate, ma salvarti è stata la scelta giusta» la confortò.
Tessa si asciugò le lacrime, tirando su col naso. Aspettò che la donna continuasse, stringendosi nel mantello.
«Ti ho salvato perché eri solo una bambina, ma non solo. Nell'istante in cui ti vidi capii che saresti stata la chiave per aiutare Bran» spiegò. Allargò le braccia, piegando la testa all’indietro; i suoi occhi scintillarono, somigliando a stelle ardenti, e dalla sua bocca uscì una misteriosa cantilena:
"Quando il sangue del tradimento sarà versato
dall'estremo sacrificio che l'ha provocato,
le dolci parole d'eterna promessa
ridaranno la libertà ch'è stata repressa"
Vahla emise un rantolo e si piegò su sé stessa, come se avesse fatto uno sforzo sovrumano. Respirò rumorosamente un paio di volte per riprendersi, poi si alzò con lentezza, tremando leggermente.
«Stai bene?» chiese Tessa, avvicinandosi a lei.
La veggente rise con amarezza: «Un altro regalo di quel figlio di un cane, nemmeno da morta mi lascia in pace...» commentò.
«Cosa?!» esclamò, credendo di aver sentito male. Avrebbe voluto chiederle altre informazioni, perché stava aiutando Bran e qual era il loro rapporto, ma in quell’istante vide, con un certo orrore, che le mani di Vahla stavano diventando trasparenti.
La donna l’afferrò con urgenza, guardandola con occhi forsennati: «Ricorda queste parole, e che la salvezza di Bran dipende solo dalla tua scelta!»
La principessa le prese le mani, come se avesse voluto trattenerla: «Che cosa vuol dire? Cosa devo fare? Io non sono niente...»
«Tu sei tutto, bambina mia! Ha già perso troppe persone care, ha sofferto troppo a lungo. Tu sei la sua salvezza» ripeté con voce sempre più flebile: la nebbia avanzò di nuovo, avvolgendo completamente le due donne, e quando si disperse la veggente era sparita.
La ragazza la chiamò a gran voce, più e più volte, ma senza ottenere risposta. Si guardò intorno terrorizzata, realizzando di essere completamente sola.
“E adesso cosa faccio?” pensò con ansia. Diede le spalle al burrone e iniziò a camminare nella direzione opposta. Grazie alla luce della luna riuscì a trovare un ramo piuttosto robusto, da usare sia come sostegno che come arma da difesa, e s’inoltrò nel bosco pregando la Dea di guidarla sulla strada giusta.
Appoggiandosi a un tronco, la ragazza rifletté su cosa le convenisse fare: «Tentare di tornare indietro con questo buio sarebbe da pazzi» disse fra sé e sé, decidendo di trovare un rifugio per la notte. Strinse i denti, ripensando all’inganno di cui era stata vittima, maledicendosi per la propria ingenuità. E come se non fossero bastate le domande che già infestavano la sua mente, adesso se ne erano aggiunte delle altre ancora più inquietanti: di chi era la voce che l’aveva raggirata? Cos’era successo a Vahla? Era un fantasma? E da cosa avrebbe dovuto salvare Bran?
Uno stridio la fece arrestare sul posto, facendola trasalire. Tese le orecchie per captare altri possibili movimenti, sperando che non fosse qualche bestia feroce. Si guardò intorno, socchiudendo gli occhi, e solo in quel momento notò qualcosa di insolito: una luce fioca e calda che avanzava lentamente, e alcune voci che parlavano sommessamente fra di loro.
“Briganti?” si domandò, allarmata. Lasciò il sentiero che stava percorrendo e s’infilò in un gruppo di alberi e cespugli, nascondendosi dietro il tronco della pianta più grossa. Sporse appena il capo, avvertendo le voci avvicinarsi sempre di più, e vide un gruppo di tre uomini passare proprio per quella via: ognuno di loro portava una lanterna e osservavano con frustrazione una mappa.
«Sei sicuro che sia da queste parti?» chiese il primo con voce stridula. Si era rivolto a un uomo imponente con la barba scura, armato con un paio di scoppietti, che grugnì con fastidio: «Se non chiudi quella boccaccia ti faccio saltare tutti i denti!»
«Basta, voi due!» li rimproverò il terzo uomo, probabilmente il capo di quel terzetto. Si grattò la barba ispida, studiando a fondo la mappa, poi si rivolse ai suoi compari: «Secondo le indicazioni che siamo riusciti a recuperare, dovrebbe essere appena più a sud».
Il primo alzò gli occhi al cielo, mostrando segni di impazienza: «E non possiamo aspettare il giorno?! Facile per quello lì, dirci di trovare un dannato castello mentre le sue chiappe sono al calduccio!»
A quelle parole Tessa si sporse ancora di più, resa inquieta da quelle parole. Cambiò posizione per seguire i tre uomini, che soprannominò Stridulo, Barba e Capo, ma inavvertitamente spezzò dei rametti coi piedi.
«Cos’è stato?» tuonò l’omone, alzando la lanterna verso di lei e illuminandola in pieno. La ragazza si bloccò sul posto stringendo il bastone tra le mani, mentre il cuore le batteva con forza nel petto.
Il capo le si avvicinò di un paio di passi, con le mani alzate: «Tranquilla, signorina. Non vogliamo farti del male. Tu piuttosto, cosa ci fai a quest’ora da sola?»
Tessa arretrò, puntando il ramo contro l’uomo: «Non vi avvicinate!» esclamò, anche se non riuscì a nascondere la paura.
Barba la squadrò per qualche secondo, poi s’illuminò in volto: «Capo, è lei! È la principessa!»
Stridulo ghignò, rivelando denti storti e giallastri: «Che brava gattina! Ci hai risparmiato un sacco di fatica!» gongolò, fiancheggiandola.
«Stai indietro!» ordinò lei, oscillando il bastone per allontanarli e colpendolo sulla mano. Tentò di allontanarsi, ma Barba la raggiunse subito, e dimostrando un’agilità sorprendente per la sua stazza l’afferrò per le braccia e se la caricò sulle spalle, facendole perdere il ramo. Tessa lo colpì con pugni e calci, ma l’uomo sembrava indifferente ai suoi colpi; anzi, minacciò di darle una botta in testa se non l’avesse piantata di infastidirlo.
Capo si fregò le mani soddisfatto, guardando con cupidigia la principessa: «State serena, Altezza. Il nostro signore sarà molto felice di vedervi, e noi molto felici di ricevere la nostra ricompensa...» sogghignò.
Tessa gridò, dimenandosi ancora di più. Stridulo le si avvicinò con un sacco di tela, deridendola, ma all’improvviso cacciò un urlo di terrore.
Un ammasso nero si era precipitato sul bandito, stridendo con furia. Tessa venne buttata a terra senza tante cerimonie e ne approfittò per recuperare il bastone. Si girò verso i briganti e vide cosa stesse succedendo: un enorme gufo nero si stava accanendo su Stridulo, colpendolo con becco e artigli. E non appena vide le sue iridi argentate il suo cuore si riempì di sollievo.
Si portò dietro il furfante e lo colpì alla testa, mettendolo fuori combattimento. Lo stregone intanto evitò una schioppettata da parte di Barba e, sotto gli occhi atterriti dei due banditi, mutò in un grosso orso nero. Si alzò sulle zampe posteriori, ruggendo e ringhiando, e con un colpo della zampa anteriore scagliò lo schioppo contro un albero. Barba fuggì terrorizzato, abbandonando i suoi compari e scappando nella foresta, urlando come un ossesso.
Tessa lo guardò fuggire, ma in quell’attimo di distrazione l’ultimo malvivente aveva sguainato un coltellaccio e, con orrore, vide che stava per avventarsi su di lei.
Bran si mise in mezzo, prendendo una coltellata sulla spalla destra. Ruggì per il dolore, ma reagì con prontezza: colpì con la zampa Capo, lanciandolo a terra. Si issò nuovamente su due zampe e caricò tutto il peso su quelle anteriori, schiantandosi sul petto del furfante.
La principessa si portò le mani alla bocca, soffocando un grido: il bandito urlò un rantolo di dolore, e un agghiacciante rumore di ossa rotte lo accompagnò negli ultimi istanti della sua vita.
Ancora sconvolta dagli ultimi eventi, Tessa respirava affannosamente. Guardò con orrore i due uomini davanti a sé e distolse velocemente lo sguardo dagli occhi vitrei del malvivente morto. Tonfi pesanti e strascicati attirarono la sua attenzione: Bran le si era avvicinato di qualche passo e la stava osservando con premura. La ragazza si inginocchiò, lasciando che lo stregone si avvicinasse ancora di più fino a sentirne il respiro sul volto. Gli cinse il muso, stringendolo tra le sue braccia, e si lasciò andare a un pianto liberatorio. Affondò il viso nella pelliccia nera e spessa, soffocando i singulti: «Grazie Bran, mi hai salvato la vita...» singhiozzò.
Si allontanò un poco per asciugarsi le guance, e grazie alla luce delle lanterne abbandonate a terra vide un riflesso sulla sua spalla. «Sei ferito!» esclamò, ricordandosi della coltellata destinata a lei. Rabbrividì al pensiero, poi si sollevò appena la gonna e strappò una lunga striscia di stoffa dalla sottoveste; e mentre ricavava una benda di fortuna, Bran si era voltato dall’altra parte.
Tessa bendò velocemente l’arto leso, ignorando a fatica l’enorme chiazza di sangue che si formò al contatto. Fece parecchi giri e infine la fissò con uno dei nastri che portava ai capelli. «Non sarà un granché, ma è sempre meglio di niente» commentò. Bran brontolò, poi si avvicinò ai due uomini e mosse col muso la mappa che stavano studiando. Tessa la prese e scoprì un disegno raffazzonato che rappresentava la foresta di Selvardita. In basso si trovavano la città di Lacusilva e uno scarabocchio che avrebbe dovuto rappresentare il castello della sua famiglia, dal quale partiva una linea segmentata che puntava nella zona dei boschi, terminando in un grande punto di domanda.
Ripiegò la mappa e se la mise nella tasca interna del mantello, ancora turbata dagli ultimi eventi. «È meglio se torniamo indietro» disse a Bran, che stava fiutando i due uomini. Lei recuperò una delle lanterne e, dopo aver dato un’ultima occhiata ai suoi aggressori, seguì lo stregone sulla via del ritorno. Tentò più di una volta di guardarlo in faccia, ma lui continuava a camminare dritto davanti a sé, ignorandola. Sospirò, ben sapendo che fosse arrabbiato con lei.
*****
Stava ormai albeggiando quando raggiunsero il castello, e non appena attraversarono la barriera Bran riprese sembianze umane. Si strinse la spalla ferita, soffocando un gemito, ed entrò subito nel maniero, dove venne accolto dai miagolii e dai gracchi preoccupati dei suoi famigli.
«Bran, aspetta» lo chiamò Tessa. Lui si girò e la fulminò con lo sguardo, senza dire nulla. Salì le scale e se ne andò nel laboratorio, sbattendo con forza la porta.
Quinn e Caoimhe alternarono occhiate allarmate tra la stanza chiusa e la ragazza, che aveva seguito il loro signore. Quest'ultima scosse la testa, avvertendo un crescente senso di colpa in sé: «Ho fatto una cosa molto brutta...» mormorò, respirando a scatti. Il corvo non reagì, mentre il gatto le si avvicinò e si strofinò sulla gonna, producendo fusa profonde.
«Sei troppo buono con me, Quinn» disse, abbassandosi per accarezzarlo. Si avvicinò poi alla porta, appoggiando la mano sul legno massiccio.
«Bran, posso entrare?» domandò. Attese lunghi secondi, che diventarono minuti, ma dall’altra parte non giunse nessuna risposta. Tessa decise di andarsene, sentendosi sconfortata, quando un cigolio la fece fermare sul posto. Si voltò e vide uno dei due battenti che si era aperto, ma lei non si mosse.
Caoimhe storse la testa, poi zampettò all’interno del laboratorio. La ragazza si avvicinò, tendendo l’orecchio e sentendo lo sbattere delle ali del corvo, e dopo pochi secondi il volatile tornò indietro e aprì ancora di più la porta. Deglutì con forza, espirando lentamente, e infine varcò la soglia dello studio magico.
Camminò appoggiando prima la punta del piede, cercando di fare il minor rumore possibile. Si guardò in giro osservando i vari strumenti ordinati sui tavoli, i contenitori di erbe sulle mensole e alcuni libri fuori posto; puntò lo sguardo verso l’alto e vide che la nebulosa aveva assunto una sfumatura più fredda, forse riflettendo l’umore del suo creatore.
Un lamento sommesso, al di là di alcuni alambicchi, rivelò la posizione di Bran. Tessa si avvicinò, camminando abbastanza forte da farsi sentire, e lo raggiunse. Lo stregone le stava dando le spalle e stava premendo sulla ferita un panno impregnato di una strana sostanza verdastra. Rimosse la pezza di stoffa, scoprendo un taglio rosso vivo, e lo immerse un’altra volta in una bacinella lì accanto.
La ragazza distolse lo sguardo, ma con la coda dell’occhio continuava a guardarlo: Bran aveva sbottonato la camicia quel tanto che bastava per scoprire la spalla, lasciando coperta la maggior parte del petto e delle braccia.
«Posso aiutarti?» propose, con un lieve tremito nella voce.
Bran continuò a medicarsi, evitando di guardarla in faccia: «Hai già fatto abbastanza» rispose con durezza. Lei sospirò, sentendo il senso di colpa aumentare. Guardò il re richiamare con la magia alcune garze, che cominciarono ad avvolgere l’arto ferito, e solo allora scoprì delle cicatrici sulla sua pelle chiara simili ad artigliate.
Una volta bendato si rivestì, ma continuava a ignorare lo sguardo della ragazza: «Ti avevo detto di stare lontana dai sotterranei» disse con tono d’accusa.
Tessa asciugò i palmi delle mani sulla gonna, togliendosi il sudore della pelle. Sapeva di avere la coscienza sporca, ma si sentì montare la rabbia dentro di sé: «Potevi anche dirmi che lì dentro c’è uno spettro» replicò.
«Ma certo, quale futura moglie non desidererebbe sapere di convivere con un fantasma vendicativo. Figuriamoci il suocero...» borbottò, incrociando le braccia.
«Cosa c’entra mio padre, adesso?»
Invece di risponderle, Bran tirò fuori un pezzo di carta dalla tasca e lo sbatté sul tavolo. La ragazza vide che si trattava dell’ultima lettera di suo padre, quella che suggeriva di fuggire per annullare il fidanzamento.
«Sei entrato in camera mia?!» esclamò indignata.
«Cosa avrei dovuto fare? Quinn è entrato nella mia stanza nel cuore della notte, miagolando come un dissennato e con un pezzo del tuo mantello tra i denti. Pensavo ti fossi sentita male, e invece non ti ho trovato da nessuna parte! Poi ho visto quella lettera e...»
Le parole gli morirono in gola, bloccate da un nodo. Respirò a fatica, mentre gli occhi diventavano sempre più lucidi: «Mi odi così tanto da rischiare la morte?»
Tessa impallidì. Scosse la testa, portandosi le mani alle tempie: «No... non ti odio, Bran. Non potrei mai...»
«E allora perché te ne sei andata?» l’accusò.
Si sentì ribollire il sangue nelle vene: «Perché avevo paura per la mia famiglia! Perché quella voce mi ha fatto vedere mia cognata in una bara! Perché ha detto che tu...»
«Cosa!»
La ragazza scoccò allo stregone un’occhiata dura: «Che tu l’hai ucciso» terminò.
Bran alzò le mani al cielo, ridendo con amarezza: «Certo, fidiamoci di una voce misteriosa che ti promette di tutto e di più e non di chi deve averci a che fare ogni giorno della sua vita!»
«Come faccio a fidarmi di te, se mi tieni nascosto tutto!» gridò, esasperata.
Un silenzio tombale, carico di tensione, calò sui due giovani. Rabbia, dolore, confusione erano le sensazioni che provava la principessa in quei momenti concitati. Si asciugò velocemente gli occhi, sapendo che stava per raggiungere il limite: «Non ce la faccio più a vivere tra mille segreti...»
«Allora vattene».
Quelle due parole furono come una pugnalata, dure e taglienti come una lama. Tessa alzò il volto, guardando dritto negli occhi lo stregone con espressione incredula.
Bran stringeva i pugni con forza, mentre parlava a denti stretti: «Vattene da questo posto maledetto, torna da tuo padre e sposa quel bellimbusto del principe di Gran Monte, così lo farai felice! E io non dovrò più sopportare i suoi sguardi carichi di disgusto».
Tessa tentò più volte di rispondergli, fallendo ogni volta. Si tappò la bocca, mascherando il singulto che rischiava di sfuggirle dalle labbra, e si precipitò fuori dal laboratorio. Corse nella sua stanza, sbattendo la porta dietro di sé. Respirava a scatti, in modo irregolare, e si sentiva tremare da capo a piedi. Si lasciò cadere a terra, avvertendo con fastidio le pietre fredde del pavimento. Si premette le mani sul viso e pianse forte, singhiozzando e gemendo, lasciando libero sfogo al dolore che le opprimeva il petto e la mente. Tremò ancora, si conficcò le unghie nello scalpo graffiandosi la pelle, per poi stringersi tra le braccia e piegarsi su sé stessa.
Non sapeva quante tempo fosse passato quando, finalmente, smise di piangere. Sentiva ancora una morsa al petto, ferita dalle parole dello stregone. E temeva che quella scintilla, quel sentimento che era nato fra di loro fosse ormai giunto a un punto di rottura impossibile da salvare.