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Autore: Tetide    21/09/2009    3 recensioni
Questa fic è dedicata alle vittime del contingente Italiano a Kabul: la triste sorte dei sei caduti, nelle parole di una lettera di un immaginario caporale alla famiglia. Onore ai caduti per la Libertà!
Genere: Triste, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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... E DOPO, IL NULLA … E DOPO, IL NULLA
(Fic dedicata ai caduti Italiani nell’attentato a Kabul)


Cari genitori, caro Marco,
vi scrivo mentre qui, su Kabul, sta sorgendo l’alba, un’altra alba. E’ assolata e buia come tutte le altre, qui.
Un gruppo di miei compagni si sta preparando ad un giro di ricognizione, come ogni giorno; in realtà, oggi, niente è come ogni giorno.
E’ il 17 Settembre 2009, un giorno che la Folgore e l’Italia intera ricorderanno a lungo. Oggi, un’altra Nassirya.
Avrete saputo, immagino; ed avrete anche ringraziato Dio che il vostro Claudio, il vostro figlio maggiore, non fosse con loro. Ma questo non può avere attutito la vostra pena nell’unirvi al dolore delle famiglie dei miei compagni, così come non ha attutito la mia.
Compagni, sì; o meglio più che compagni: fratelli. Fratelli in un unico nome, sotto ad un’unica bandiera, in uno stesso credo: LIBERTA’.

I talebani non hanno avuto pietà alcuna. Mai si era visto un regime così disumano, così spietato, così feroce; la condizione di schiavitù in cui sono tenute le donne ne è un emblema evidente: sono considerate alla stessa stregua di animali da riproduzione, ne muoiono a decine.
Ed i bambini non stanno meglio. Affamati, laceri, sporchi: crescono nella polvere, la respirano ogni attimo. Diventa parte di loro, dei loro polmoni, delle loro anime.
Noi avevamo portato a questa gente la prospettiva di un’altra vita, di un altro futuro: un futuro senza guerre, né violenza, né odio. E’ questa la nostra missione.
Li abbiamo nutriti, protetti; abbiamo sofferto delle loro pene e gioito delle loro gioie. Le piccole grandi gioie che tante volte ho letto sul viso di un bambino che prendeva dalle mie mani una razione di cibo o nel sorriso di una donna liberata da quella prigione di stoffa che è il burqa. Le gioie di chi torna a sperare perché vuol tornare a vivere.
Ma loro tutto questo non lo vogliono. Vogliono che non cambi niente.
Ed ancora una volta, hanno usato la logica, così assurda, della violenza, dell’odio, contro questi stranieri “diversi”.
Erano in dieci, su due mezzi “lince”: quei mezzi tanto ben fatti che tanti eserciti stranieri ammirano. Sono usciti come sempre, tranquilli nella abituale pericolosità di una missione uguale a tante altre.
Tutti giovani, tutti pronti a dare la propria esistenza per aiutare quella altrui.
Tutti che credevano nella pace.
Tutti al servizio di una Patria tanto lontana, quanto amata.
Tutti con qualcuno che li attendeva a casa.
Sembrava un giorno come gli altri.
Ma non sono più tornati.
Avevano fatto del coraggio e dell’abnegazione una parte del loro essere: un organo pulsante e vivo del loro corpo, dal quale non era più possibile separarsi.
La loro missione: portare il bene, là dove non c’era. Portare il futuro dove si poteva vedere soltanto il passato, un passato fatto di rovine e distruzione.
Nel cuore, valori ed ideali cristallini, ma forti, come un diamante.
Libertà, Patria, Giustizia, Uguaglianza.
Gli ideali di chi nasce eroe.
I LORO ideali. I NOSTRI ideali.

Volti sorridenti, motti scherzosi, e tanto impegno, come sempre.
Sono saliti sui loro mezzi.
Procedevano tenendosi vicini, con il cuore rivolto alla Patria lontana.
Un attimo solo, e sono stati separati. Un attimo solo, ed un mucchio di tritolo si è frapposto tra di loro. Tra i loro due blindati. Tra i nostri cuori ed i loro. Fra i loro cuori e l’Italia.
Un boato. Un’esplosione.
Dopo, il nulla.



  
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