Corri, corri.
Non c’è nessun passo nemico dietro
di te, eppure continui a correre, a saltare di ramo in ramo, a voltare la testa
a destra e a sinistra.
Hai occhi di una bestia braccata che
disperatamente cerca di sfuggire alla caccia e si dimena, si dimena.
Corri lontano dalle tue catene.
Corri spinto alla fuga dalle catene
che ti hanno imbrigliato per anni, quelle stesse catene che ti hanno spinto a
sterminare la tua famiglia.
Corri lontano da quella corda, da
quella persona, cui hai amato essere legato.
Dimmi
Itachi che cosa dei tuoi vanagloriosi sogni di cristallo ti resta?
Ti fermi, immobile, e posi una mano
contro il tronco di un albero.
La pioggia ti ha inzuppato i vestiti
benché non ti abbia lavato via il sangue, che rimane aggrumato a macchiare la
divisa di un ANBU rinnegato e un pessimo, pessimo figlio. Le nuvole sono
gonfie, scaricano un impetuoso acquazzone, e sotto la terra è trasformata in
un’enorme pozzanghera fangosa.
Il vento ti colpisce con una
sferzata e sei costretto a socchiudere gli occhi, quando li riapri la solita
iride sanguigna puntellata ti illumina sinistramente lo sguardo.
Che cosa
ti resta, Itachi, stella perduta?
La prima fase del tuo piano è stata
portata a termine con successo: hai eliminato la zavorra inutile, ti sei
lasciato dietro terra bruciata, ti sei liberato delle tue pesanti catene.
Sai che con la fase due le cose non
solo saranno più difficili, ma anche più pericolose. Giocherai con il fuoco con
qualcuno che del fuoco è maestro.
Eppure è necessario. Lo sai bene.
Tutto per Naruto.
Ecco,
che cosa ti resta.
Una promessa.
Estorta dal cuore, pregna di
lacrime, siglata con la morte dei tuoi consanguinei, accompagnata da inganni e
bugie.
Una promessa, la tua unica verità.
Ti
prometto che troverò un modo per liberarti dal demone.
E per adempiervi sei costretto a
costruire una nuova ragnatela di menzogne e intrighi. Sarai costretto a legarti
ancora una volta a catene indesiderate.
Tutto, per Naruto.
*
Capitolo
XIV – Terra bruciata
Le
giornate senza Itachi erano lente a trascorrere.
Aveva
passato intere notti avvolto in una coperta di fronte alla sua finestra aperta,
impaziente e speranzoso nella vana attesa di un ritorno.
Itachi, però,
non era mai tornato.
Notti ad
attenderlo e giornate sotto la pioggia, ad allenarsi, per diventare più forte,
per essere pronto quando Itachi sarebbe tornato a prenderlo.
Da
quando questi era partito, il sole non aveva più rischiarato il cielo di Konoha:
era come se la fitta coltre di nubi avesse deciso di oscurare il villaggio dal
giorno dello sterminio degli Uchiha.
Un
monito, credeva Naruto, un monito a tutti gli abitanti: la loro stella più
brillante, più promettente, quella cui tutti avevano guardato con più speranze,
si era spenta.
Il
villaggio, però, non la pensava come il bambino. Naruto conosceva bene l'animo
delle persone, sapeva di cosa erano in grado di fare, di quanto potessero odiare, anche per una colpa che nessuno aveva
commesso.
Effettivamente,
in questo frangente, Naruto avrebbe
potuto odiare Itachi, avrebbe dovuto
odiarlo.
Itachi
non gli aveva mai mentito e neppure quella volta lo aveva fatto, non importava
quanto fosse doloroso e pesante il fardello che si era deciso di portarsi dietro.
Eppure, per la prima volta nella sua vita, Naruto avrebbe preferito che l’amico
gli avesse detto solo menzogne. Solo per non sentirle distorte dalla bocca di
altri.
Era
accaduto per caso, mentre stava comprando ramen istantaneo, in uno dei tanti
negozietti vicino al suo appartamento. La rabbia e il dolore erano stati tali
da fargli lasciare lì la spesa e correre a perdifiato per riuscire a scaricare
l’adrenalina negativa accumulata.
Parole
come "assassino", "nukenin" e "sterminio"
rimbombarono nella testa del bambino per i giorni seguenti.
Insieme
alla nausea.
Sapere
che cosa era successo quella notte, sapere che lo stesso eroico protagonista
dei suoi ideali, Itachi, era il responsabile di una strage famigliare…
Perchè, Itachi?
Doveva odiarlo, eppure, nei suoi pensieri,
nei suoi sogni, nella sua testa, Itachi era quello di sempre, silenzioso,
orgoglioso, suo unico amico.
Non
aveva diritto di dare un’opinione sulla faccenda, non ebbe nemmeno l’ipocrisia
di giustificarlo, ma Naruto non lo avrebbe odiato. Personalmente, credeva che
per nessuna ragione al mondo l’avrebbe odiato.
Inspirò
pesantemente, sentendo tutti i muscoli dolergli per il prolungato sforzo cui
erano stati sottoposti. Odiava ammetterlo, ma la stanchezza aveva reso i suoi
ultimi movimenti lenti e la precisione fallace.
Devo mangiare…, pensò con imbarazzo. Si concesse
qualche secondo per riprendere fiato, lasciando che la pioggia gli scendesse
lungo il corpo donandogli un sollievo temporaneo.
Le notti
insonni, le giornate intense cominciarono a farsi sentire sottraendogli sempre
più forze, tanto che era una sofferenza persino respirare. Avrebbe voluto che
Itachi fosse al suo fianco a spronarlo a dare il massimo o semplicemente a
ispezionare il suo allenamento con occhio vigile.
Quasi
con anticipazione, Naruto si voltò verso l’albero di glicine presso il quale
Itachi soleva appoggiarsi e osservarlo. Era vuoto, naturalmente, e il bambino
sentì il cuore stringersi di delusione.
Dove sei? E io? Io che posso fare
senza di te?
Il
bambino piegò all’indietro la testa, in modo che la pioggia battesse
direttamente contro il viso. Io sono qui,
Itachi. Anche senza di te andrò avanti. Quando sarò forte, sarò io a salvarti
come hai fatto con me quando ci siamo conosciuti. Sarò forte, abbastanza da
poter camminare con te fianco a fianco. Te lo giuro.
Aprì gli
occhi, lasciando che l’acqua glieli ferisse.
Sì. Te lo giuro Itachi.
Tornò a
osservare davanti a sé, sollevò le mani e le dispose per un jutsu.
Lentamente, lentamente, avviamoci verso
il punto che separa paradiso da inferno.
Qualche
ora dopo, Naruto riconobbe di essere arrivato a un punto di non ritorno. O si
sarebbe riposato e rimpinzato, o la pioggia lo avrebbe seppellito.
Fece una
breve sosta nel suo appartamento – anche se chiamarlo “appartamento” era
decisamente troppo – per raccattare una felpa e constatare di non avere più
provviste. Controvoglia, si diresse da Ichikaru, troppo svogliato per andare a
comprare il ramen e cucinarselo.
Normalmente,
avrebbe adorato Ichikaru, ma anche il ramen aveva perso parte della sua
attrattiva ai suoi occhi.
Il
proprietario del chiosco lo salutò distrattamente, impegnato in una
conversazione con un altro cliente e il bambino non potè che dirsi felice di
quell’arrangiamento. Per una volta non aveva voglia di parlare con nessuno,
grazie tante.
Si
arrampicò in uno degli alti sgabelli, accanto a due chuunin che parlavano
concitatamente fra loro. Poco dopo gli fu recapitata una ciotola di ramen
fumante e vi si fiondò, ammettendo a se stesso che era veramente affamato.
Non fece
caso ai discorsi degli altri avventori se non quando captò improvvisamente la
parola “Uchiha”, a quel punto aguzzò le orecchie, attento.
- …
Uchiha! Da quanto mi ha detto Sabaru, non parla con nessuno dal giorno in cui
si è risvegliato. Non che prima fosse particolarmente loquace ma adesso…
rifiuta chiunque gli si avvicini –
- Come
dargli torto? È l’unico sopravvissuto alla strage della sua famiglia a causa
del suo aniki –
- Pensa
che Itachi Uchiha l’ha persino mandato in coma! Sembra sia stato un qualche
jutsu legato allo sharingan… -
-
Rimarrà segnato a vita… -
- Già,
povero Uchiha Sasuke –
Un forte
stridio, passi lanciati a corsa e una ciotola di ramen fumante sul bancone
furono gli unici indizi che attestavano la presenza di Naruto Uzumaki, prima
che questi corresse via.
Come
aveva potuto dimenticarsi di Sasuke?
Non se
ne capacitava.
Era
stato così preso dai suoi allenamenti, dalla perdita e dall’attesa di Itachi da
non ricordarsi che c’era qualcun altro, un sopravvissuto, un’altra persona che
era stata lasciata indietro, con la terra bruciata tutto attorno.
Sapeva
dove trovarlo, spesso Sasuke s’isolava lì, al ponticello, e, sedendosi tra le
aste lignee, osservava le acque placide del fiume, in solitudine, con la fronte
aggrottata come se cercasse di trovare in quella superficie sempre in movimento
le risposte a complicati enigmi.
Naruto
trovava la cosa abbastanza buffa.
Eccolo
lì, infatti, con le gambe a penzoloni, la schiena fasciata dalla solita maglia
nera, inzuppata dalla pioggia.
Mentre
arrestava la sua corsa e riprendeva fiato, Naruto sentì una stretta all’altezza
del petto nel notare quanto Itachi e Sasuke fossero così simili e diversi allo
stesso tempo.
Itachi
era un amante della quiete del bosco – misteriosa, avvolgente, imprevedibile –
mentre Sasuke preferiva la placidità del fiume, con il suo corso
unidirezionale, con quel solido ponte ad attraversarlo, appiglio sicuro nei
giorni di tempesta, quando il letto s’ingrossava, premendo l’alveo scavato.
Itachi
era prontezza, acutezza, sicurezza. In un bosco poteva capitare qualsiasi cosa
e Itachi l’avrebbe affrontata con la stessa meticolosa perfezione di sempre.
Sasuke
era la sensibilità di un fiume, qualsiasi cosa nascondesse nel fondo del suo
animo e del suo cuore esso rimaneva sigillato sotto l’acqua. Allo stesso modo
di un fiume, la sua vita scorreva unidirezionale, senza deviazioni, lungo un
alveo che altri prima di lui avevano scavato.
Seppure nelle
loro molteplici differenze, Itachi e Sasuke erano estremamente simili. Troppo
simili.
Così tanto che fa paura…
Lo
raggiunse in pochi secondi e, immobile alle sue spalle, completamente ignorato
dall’altro: solamente quando lo chiamò per nome, questi si girò.
Gli
occhi erano gli stessi del fratello, onice profonda e penetrante, la
pettinatura sbarazzina era afflosciata lungo il volto pallido, appesantita
dall’acqua piovana.
Lo sguardo dei suoi occhi.
Naruto
conosceva bene quello sguardo perché prima di conoscere Itachi, allo specchio,
un bambino furioso con il mondo lo osservava con gli stessi occhi.
Sasuke
non disse niente, si limitò a fissarlo con astio poi si voltò a fissare
trucemente la superficie sconvolta dell’acqua, come se invece di rimandare l’immagine
di se stesso fosse deformata.
Anche tu ti accorgi quanto simile
sei a Itachi? Vorresti cancellare quell’immagine, distruggerla, farla a pezzi?
- Che
vuoi? – domandò il bambino irritato.
Odiava
ricevere quel tipo di attenzione ovunque andasse, odiava essere oggetto di
pietà, di sguardi commiserevoli e stupide frasi di circostanza.
Itachi
lo aveva fatto piombare in un inferno in cui i visi imbrattati di sangue dei
genitori si alternavano in una cacofonia di immagini, ricordi e illusioni. Più
e più volte era stato costretto a ripercorrere con la mente quello che era
successo quella maledetta notte tanto da desiderare di non dormire mai più.
Anche se
l’effetto del Mangekyou Sharingan si era annullato, gli incubi lo avrebbero
perseguitato per sempre.
Era così arrabbiato con tutti gli abitanti
di Konoha e la loro pietà viscida, era così
stanco di essere osservato con lo stesso sguardo da “Povero, povero
Sasuke”, avrebbe voluto così tanto
far pagare a Itachi tutto ciò che aveva perduto. Famiglia, onore, orgoglio.
Quando avrai i miei stessi occhi,
vienimi a cercare, gli aveva detto.
E Sasuke lo avrebbe cercato e ucciso.
-
Lasciami stare – aggiunse sprezzante, rivolto al bambino biondo che sostava
ancora alle sue spalle.
Improvvisamente
sentì delle braccia cingergli la vita da dietro, la schiena premuta contro il
petto dell’altro e una massa di fili biondi a sfregargli contro la guancia. Non
ci furono parole, non ci fu nemmeno pietà. Niente compassione, solo
condivisione.
Di colpo
sentì qualcosa incrinargli il cuore e un dolore bruciante gli bloccò la gola,
annaspò, per poi chinare il capo, sconfitto, sopraffatto e strinse le labbra
per non lasciarsi sfuggire nemmeno un singhiozzo. Solo lacrime silenziose.
Per la
prima volta da quando Itachi se n’era andato Naruto dormì senza attenderlo.
Dormì
sotto le coperte, con la finestra chiusa, lasciando la pioggia sferzante fuori,
cullato dal caldo abbraccio scambiato con Sasuke.
Anche
Sasuke dormì per la prima volta senza avere inquietanti incubi, custodito con
dolcezza dalla presenza del corpo caldo di Naruto stretto a sé.
Non sei più solo.
*
L’alba
pigra li svegliò con una novità: le nuvole plumbee si erano allontanate e per
la prima volta un timido sole cercò di farsi largo nel cielo mattutino.
Sasuke si
guardò attorno sorpreso, accorgendosi in un secondo momento di essere
abbracciato al suo coetaneo biondo. Non aveva mai dormito a nessuno in passato
e il senso di calore umano che racchiudeva quel contatto fin troppo intimo lo
faceva sentire protetto.
I
rapporti con Naruto non erano mai stati idilliaci: il loro naturale spirito
competitivo, unito alla gelosia istillata dalla predilezione di Itachi per il
biondo, li aveva sempre tenuti lontani, senza alcun punto in comune.
Eppure
quella mattina, Sasuke si rese conto che qualcosa da condividere lo avevano.
Mentre
fissava il viso dell'altro bambino, si accorse per la prima volta di quegli
strani baffetti che aveva sulle guance, allungò una mano per toccarglieli ma
prima di riuscirvi un paio di occhi azzurri si schiusero.
-
Buongiorno Sas'ke! -
Il moro
fece una smorfia a quella storpiatura: - Sasuke - disse fermamente - Sasuke -
ripetè.
Naruto
lo guardò senza capire.
Sasuke
indicò i baffetti sulle guance di Naruto: - Come ti sei fatto quelle cicatrici?
-
Naruto
distolse lo sguardo: - Non lo so, le ho sempre avute, credo... - mentì. Sasuke
non lo conosceva bene da saper fiutare una bugia. Sasuke non era Itachi. Gli
occhi gli si velarono di tristezza a quella constatazione.
Sasuke
si mise sulla schiena, osservando il soffitto: - Vivi da solo? -
- Sì -
- Dove
sono i tuoi genitori? -
- Non ho
nessuno -
Sasuke
spalancò gli occhi, sentendosi improvvisamente in colpa. Non aveva mai saputo
che Naruto non aveva nessuna famiglia. Non si era mai posto la domanda. L'unica
cosa che gli interessava era che stesse lontano dal suo aniki. Non aveva mai
pensato che Naruto avesse solo Itachi. E ora Itachi se n'era andato.
-
Anch'io adesso non ho nessuno - ammise con voce incolore.
- Hai
Itachi -
Sasuke
balzò a sedere, lanciandogli un'occhiata furibonda: - No. E' morto per me -
Naruto
si morse il labbro, impedendosi di replicare, capendo che il dolore di Sasuke
di aver perso la sua famiglia era troppo bruciante, troppo intenso, e non c'era
speranza di perdono.
Lo
sguardo di Sasuke si ammorbidì e aggiunse: - Ha tradito anche te -
Naruto
sentì un nodo stringergli alla gola: non ebbe la forza di negare, in una certa
maniera Itachi lo aveva davvero tradito.
- Mi
prenderò io cura di te - promise con voce seria Sasuke.
Le
stesse parole di Itachi...
Anche
Naruto si sedette e allungò il mignolo, chiudendo le altre dita in un pugnetto:
- Prendiamoci cura l'uno dell'altro -
Sasuke
si abbandonò a un sorriso. Accennato, ma pur sempre un sorriso, il primo dalla
Tragedia.
Allungò anche
il suo mignolo, siglando la promessa.
Insieme,
per affrontare l'oscurità.
*
Alla fine sei giunto.
Il luogo è angusto e puzza di chiuso
e umido. Non sei solo, ci sono altre persone e tutte stanno guardando te.
Infine uno di loro parla: -
Benvenuto all’Akatsuki, Uchiha Itachi –
TBC
Noticina
personale: Grazie a tutti coloro che hanno prontamente risposto al mio dubbio,
lo scorso capitolo. Ci tengo comunque a precisare che non era da sindacare
l’incontro Naruto-Sasuke con le loro reazioni, come successo in questo
capitolo, la domanda riguardava piuttosto il DOPO. In ogni caso le vostre
opinioni mi sono state di enorme aiuto. ^^
Non ho
ancora un’idea precisa di cosa scegliere, ho scritto due versioni del XV… XD
Grazie a
tutti coloro che hanno commentato! Incredibile, ci sono persino delle new entry
XD
Naiad26,
Karrina, Kira Hashashin, miiki, Em, Noctumbrial, Trinh89, Astaroth, tori_93, ron1111, Heris,
kagchan, lucy6, Princess of The Rose.
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