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Autore: Dafne_5    21/10/2024    0 recensioni
"La Gemma" si ritrova invischiata in un omicidio in cui è la maggiore sospettata ma anche l'unica che può scoprire la verità.
Pessimi istinti di sopravvivenza, fiumi di whisky e revolver ben alzati sono i suoi compagni di viaggio.
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“Scotch.” Dico al cameriere.
“Ghiaccio?” Dice lui.
“No.”
Mi arriva un bicchierino alto sì e no dieci centimetri con dentro due millilitri circa di quello che pare rum. Fermo con la mano il cameriere che mi ha portato questo scempio.
“Scusa, come ti chiami?” Gli chiedo.
“Tommy.”
“Molto bene Tommy. Oggi ho avuto una giornata pesante anche se sono le otto di mattina e ti posso assicurare che peggiorerà. Non voglio attaccare briga con nessuno, ma posso sapere cosa mi hai portato?”
“S-scotch.” Balbetta il poveretto.
“Mmh… sicuro?”
“Non lo so, me l’hanno dato per questo tavolo.”
“Allora io ti dico che prendi questa miseria di alcool, lo porti al barista e ti fai dare qualcosa di decente sia nel gusto che nella quantità.”
Lui, tremando, afferra il bicchiere e mi guarda.
Genere: Mistero, Noir, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO
“Addio.”
Riconosco subito la voce che mi tormenta il sonno da anni. Non ho bisogno di girarmi per constatare che il timbro stridulo e graffiante proveniva da un uomo alto e secco, probabilmente vestito con una giacca nera, una camicia bianca, un farfallino nero, pantaloni neri e scarpe nere lucide. Continuo a guardare il whisky che ho davanti, ma posso immaginare di avere una pistola puntata contro la schiena, circa all’altezza del cuore. Mi alzo lentamente dallo sgabello su cui sono seduta e butto giù tutto il contenuto del bicchiere che ho in mano. Sorrido amabilmente al barman che sta cercando di nascondersi dietro al bancone tremando come una foglia al vento. Inizio a voltarmi lentamente, come ci si volta per guardare un professore che spiega grammatica all’ultima ora del venerdì pomeriggio. Quando ho davanti l’uomo che aveva parlato, mi riprometto di iniziare a scommettere soldi: è esattamente come l’avevo immaginato. Forse ha i capelli più da damerino e una quantità di gel da far venire i brividi, ma sicuramente avrei guadagnato una fortuna a scommetterci.
“Nessuno ti ha mai detto che vestito così sembri un impresario delle pompe funebri?” Chiedo.
Continua a tenere il revolver ben alzato e la bocca bella chiusa. Gli occhi sono spalancati come se avesse visto un fantasma.
Guardo l’orologio al muro.
“Mi dispiace, devo proprio scappare. Bella chiacchierata però.”
Faccio un passo verso l’uscita e lui mi segue con quella cavolo di pistola.
“Non vai da nessuna parte.” Dice.
“Ah, allora la lingua ce l’hai. Stavo davvero iniziando a dubitare che fossi capace di emettere suoni.”
Torna muto serrando le labbra come se stesse cercando di spezzare una lastra di ferro usando gli incisivi. Il risultato è solo quello di farmi scoppiare a ridere.
“E tu saresti quello per cui mi sono tanto scervellata?”
Silenzio.
“Vedo che sei loquace… Mi dispiace abbandonare la nostra conversazione, ma non stavo scherzando: devo proprio andare.” Dico.
Noto che gli altri sette clienti del bar si sono nascosti sotto i tavoli. Come biasimarli? Se vedi un tizio strambo e dall’aria ubriaca impugnare (male) una pistola, come vuoi comportarti? Peccato che io, quel minimo di istinto di sopravvivenza essenziale non ce l’ho. D’altronde, come fai a fare la ladra professionista, la doppiogiochista esperta e quant’altro se ti fai troppi scrupoli?
Faccio un altro passo verso l’uscita e la pistola mi segue. Mi fermo, abbasso le mani facendole ricadere affianco alle cosce e lo guardo a metà tra il disgustato e l’aria da lesa maestà e forse anche un pizzico di dignità offesa, però poco, non voglio metterlo troppo a disagio.
“Allora?! Ti devo insegnare tutto? Partiamo dalle basi. Numero uno: se hai una pistola, assicurati almeno che la sicura sia tolta.” Dico mentre mi avvicino di qualche passo a lui. “Numero due: se sto per scappare, o spari o mi lasci andare senza troppe cerimonie.” Sono vicinissima e mi sono spostata di lato. Lui, preso dalla conversazione, si è dimenticato di puntarmi la pistola addosso e quindi sono arrivata vicino al lato sinistro della sua faccia senza che un revolver mi ostruisse il passaggio. “Numero tre: mai farti abbindolare da futili chiacchiere.” A quel punto, sull’ultima “e” di chiacchiere, gli tiro un pugno sulla mascella, afferro la pistola e, con un calcio al ginocchio, lo faccio cadere a terra tra gemiti di dolore. Un rivolo di sangue gli gocciola dal labbro superiore e la caviglia è in una posizione che credo abbastanza innaturale per un essere umano.
“Sai, se non fossi il mio ex fidanzato mi faresti pure pena.” Dico.
Punto la pistola contro di lui e mi allontano indietreggiando. Arrivata alla porta mi limito a prendere la mira, sparare un colpo alla sua gamba impedendogli di raggiungermi, e correre in strada.
Fuori dal bar imbocco una delle vie laterali che portano nei quartieri più malfamati e arrivo davanti ad una palazzina cadente che da tanto tempo chiamo “casa”.
Entro nel mio appartamento al terzo piano e sbatto la borsa di cuoio che avevo appeso alla cintura sul tavolo. Ed eccomi qui: seduta sul divano con una bottiglia di whisky in una mano, il portafogli che ho rubato a uno dei clienti del bar nell’altra e una pila di libri accanto. Casa dolce casa.
Non sono uno sbirro come non sono un investigatore o tutta quella robaccia lì. Sono una ladra, e anche in gamba, sono una doppiogiochista e fantastica falsificatrice. Un lavoraccio. Però mi viene bene.
In particolare, quello che aveva cercato di uccidermi con una pistola che non sapeva usare, era il mio ex fidanzato. Avevamo una relazione fantastica: lui era uno sbirro e io una ladra. Lui non sapeva niente di me e io sapevo tutto di lui. Insomma, quando ero in giro nei vari bar, lui pensava che fossi nel mio “ufficio” a “lavorare”. Mi ha lasciata quando ha pensato bene di ficcare il naso nella mia vita e scoprire tutti i miei segreti. Come? Mah, probabilmente gli è capitato per caso. Poi, dato che non voglio che persone come lui sappiano troppo di persone come me, gli ho “rovinato la vita”, per così dire. Gli ho fatto perdere il lavoro come sbirro (fuori la possibilità che mi faccia finire in carcere) e ho fatto in modo di metterlo a tacere per qualche anno (fuori la possibilità che facesse la spia). Quando l’ho reinserito in società, nessuno gli credeva più perché cosa vuoi dire a uno che si è fatto cacciare dalla polizia ed è pure sparito dalla circolazione? Da quel felice giorno, lui ha deciso che mi vuole morta. Non è il primo e non sarà neanche l’ultimo che mi punta il mirino contro. Oggi, bravo lui, è quasi riuscito ad avverare il suo più grande desiderio, peccato che sia un completo incapace.
Molto velocemente, svuoto il bicchiere che ho in mano e lo sbatto sul tavolino davanti a me. Prendo il giornale appoggiato per terra e lo fisso compiaciuta: sono di nuovo in prima pagina.
“FURTO AL MUSEO DI ARCHEOLOGIA
SOSPETTATA ‘LA GEMMA’
LA POLIZIA È GIÀ AL LAVORO
RIUSCIRÀ A PRENDERE LA FAMOSA LADRA QUESTA VOLTA?

‘La Gemma’ ruba una tavoletta d’argilla risalente al 2635 a.C.
Dettagli sul caso disponibili a pagina 3.”
“Ops, devono avere scoperto che quella che ho piazzato nella teca è un falso. Peccato, ci ho messo mesi a lavorarla.” Dico sovrappensiero rivolta a me stessa. Vado a pagina 3 e controllo se le informazioni su di me e sul mio colpo sono vere (la maggior parte delle volte sono ricostruzioni errate e sminuenti).
“Il commissario che lavora al caso, Drake Copson, afferma che La Gemma non è una minaccia per la polizia. ‘La tavoletta verrà ritrovata!’ Dichiara nell’intervista. ‘La Gemma non può aver compiuto un colpo così ben organizzato e privo di pericoli, però può averlo commissionato a qualcuno.’ Il commissario avrà ragione? Il caso rimarrà aperto fino al ritrovamento dell’oggetto scomparso.”
Fisso quelle cinque righe con puro disgusto, quasi cercando di trasmettere il mio odio al maledetto e incapace commissario usando il giornale come intermediario. Come si permette quel pallone gonfiato di darmi dell’incapace in questo modo e pubblicamente?! Guardo il nome e quando mi accorgo che lo conosco mi sento le guance bruciare e le unghie conficcarsi nel foglio. Il tipo ha già seguito miei casi prima d’ora e non li ha mai conclusi, semplicemente archiviati. Forse insultarmi così è il suo modo per sopprimere la frustrazione che deve provare. Ora mi fa quasi pena. Quasi. Prendo le forbici e ritaglio l’articolo. Il titolo in prima pagina e il paragrafo sul caso li appendo ad un cartellone dove attacco tutte le notizie dei colpi ben riusciti ma mal pubblicati, mentre la foto del commissario dei miei stivali la posiziono in bella vista sulla parete delle persone a cui devo rovinare la vita. La maggior parte di questa parete è composta da sbirri e la metà sono già riuscita a metterli fuori gioco come il mio incompetente ex fidanzato. Mi considero una persona abbastanza vendicativa.
Prendo la borsa di cuoio e ne tiro fuori una bellissima tavoletta d’argilla che, su per giù, dovrebbe essere del 2635 a.C. Calcolo che, se il furto l’ho fatto questa mattina (tra l’altro è stato semplice: sicurezza schifosa), gli sbirri sono stati più veloci del solito a trovare l’inganno. Di solito passavano almeno tre giorni  in cui mi potevo preparare psicologicamente a tornare in prima pagina e affrontare mentalmente le insinuazioni del commissario di turno, ma così… Sospiro. È sera e non ho niente da mangiare. Amen, non ho fame. Penso che il whisky riuscirà a saziarmi, poi domani rivenderò la tavoletta, ci guadagnerò una fortuna e pranzerò al ristorante più lussuoso della città. Oppure potrei sempre inviare un riscatto al commissario firmato “La Gemma” che faccio prima e forse ci guadagno anche di più in vendetta personale. Povero illuso, pensa di potermi prendere.
La notte dormo profondamente senza sogni o altro. Quando mi sveglio sono vicino a qualcuno e, cosa più importante, non conosco quel qualcuno.
Davanti a me, seduto sul bordo del letto, c’è uno sbirro che mi guarda attentamente. Ha il cappello calato sugli occhi e non riesco a vedere bene il volto, ma sembra gentile. Mai fidarsi di uno sbirro. Lo fisso per circa tre secondi, poi sbircio l’ingresso del mio appartamento e vedo che la porta è aperta: devono aver forzato la serratura. Noto anche che hanno distrutto la mia povera cucina. Forse cercavano oggetti rubati, ma ne dubito perché nessuno sa la vera identità della falsificatrice per eccellenza “La Gemma”.
In quel momento un altro maledetto poliziotto esce dal mio bagno. Sono due, io sono una: non è alla pari!
Ieri sera, dopo quattro bicchieri di whisky, sono andata a letto vestita, quindi non ci metto molto a alzarmi di scatto e catapultarmi fuori dalla camera. Devo aver stupito gli sbirri perché restano fermi come statue a fissarmi boccheggiando. Sicuramente non si aspettavano un tentativo di fuga. Approfitto del momento per afferrare la borsa di cuoio su un mobile (dove loro incoscientemente non hanno guardato) e imbocco il corridoio. Sento due spari che beccano lo stipite della porta o il muro, ma non mi fermo e arrivo in strada. Se la fortuna esiste, la ringrazio di cuore. Sono uscita dalla porta della palazzina, sono arrivata alla fermata dell’autobus e cosa passa? Indovina, indovinello… un autobus. Salgo più veloce che posso e mi metto in fondo in modo che nessuno possa chiedere il biglietto. Dal finestrino vedo i due agenti ficcanaso che mi cercano disperati. So che non mi riescono a sentire, ma gli insulti li sillabo comunque. Non mi piace chi ficca il naso negli affari degli altri, soprattutto se lo ficcano nei miei. Una donna anziana seduta affianco a me si fa il segno della croce al solo sentire le “brutte parole” che sto pronunciando. Poveretta, le farò venire un infarto se continuo così. Davanti a me c’è un bambino che mi fissa a occhi spalancati come un pesce lesso. Gli faccio cenno di girarsi, ma mi sembra pietrificato nella stessa posizione. La sua mamma gli sussurra che non si fissano le persone e lui cosa fa? Continua a fissarmi. Sto seriamente iniziando a pensare di avere l’aspetto di una matta quando scorgo una volante che è ferma al semaforo di fianco l’autobus. Mi acquatto più che posso e solo ogni tanto alzo la testa per controllare se i poliziotti stanno salendo chiedendo di me. Quando vedo che stanno davvero facendo cenno all’autista di aprire le porte per poco non mi strozzo da sola. L’autista non collaborativo li fa salire. Passi che si fanno largo tra la gente. Un omaccione in divisa blu si ferma vicino a me. Lo guardo con aria di sfida. Lui afferra il braccio del signore che mi sta dietro e lo prende in consegna senza troppi complimenti. Trattengo il respiro finché non sento le porte richiudersi e il veicolo ripartire.
“Ehi tu!” Mi dice il bambino.
Io lo fisso scandalizzata.
“Sto parlando con te.” Dice.
“Tua madre non ti ha detto che non si parla agli sconosciuti?” Rispondo secca.
“Ma sì, ma lei dice tante di quelle robe che uno come fa a sapere quali sono vere e quali no?”
Non ha tutti i torti il petulante.
“Perché sei vestita così?” Continua la pulce.
Mi guardo e vedo il mio solito abbigliamento: jeans scurissimi, felpa nera con citazioni di vari scrittori sopra, collane in acciaio al collo e stivali neri alti borchiati.
“Così come, di grazia?” Chiedo in tono scocciato.
“Così.” Torna a dire lui. Poi sorride pure la peste.
Sua mamma lo volta e gli mette una mano sulla bocca.
“Lo deve scusare, non sa tenere a freno lo lingua.” Mi dice.
“Sarà meglio che impari.” Rispondo.
Lei mi guarda scandalizzata. Oh, forse si aspettava un “non si preoccupi” o “i bambini sono fatti così”. No, non direi mai una roba del genere. Soprattutto alla madre che non conosco di un bambino pestifero che non conosco e che non fa altro che rompermi le palle su un autobus dove sono passati gli sbirri. Mondo crudele.
Alla prima fermata scendo e mi dirigo verso il bar più vicino.
“Scotch.” Dico al cameriere.
“Ghiaccio?” Dice lui.
“No.”
Mi arriva un bicchierino alto sì e no dieci centimetri con dentro due millilitri circa di quello che pare rum. Fermo con la mano il cameriere che mi ha portato questo scempio.
“Scusa, come ti chiami?” Gli chiedo.
“Tommy.”
“Molto bene Tommy. Oggi ho avuto una giornata pesante anche se sono le otto di mattina e ti posso assicurare che peggiorerà. Non voglio attaccare briga con nessuno, ma posso sapere cosa mi hai portato?”
“S-scotch.” Balbetta il poveretto.
“Mmh… sicuro?”
“Non lo so, me l’hanno dato per questo tavolo.”
“Allora io ti dico che prendi questa miseria di alcool, lo porti al barista e ti fai dare qualcosa di decente sia nel gusto che nella quantità.”
Lui, tremando, afferra il bicchiere e mi guarda.
“Avanti.” Dico. “Vuoi una spinta?”
Lui scuote violentemente la testa e fila via a passo sostenuto verso il bancone del bar. Dopo un minuto torna con un calice di scotch.
“Molto gentile.” Gli dico. Non coglie l’ironia, gonfia il petto con orgoglio come se gli avessi dato una medaglia al valore e sta lì. Mi sto innervosendo.
“Ti vuoi muovere o resti impalato finché non ti tiro un pugno?” Dico.
Lui corre via.
Finito di bere roba schifosa vado dal mio compratore. L’insegna luminosa del suo negozio recita:
“DA HUNTER DOVE I VOSTRI SOGNI DIVENTANO REALTÀ”
‘Sotto forma di cianfrusaglie.’ Aggiungo mentalmente.
Entro e vado sul retro dove c’è Hunter (proprietario nonché mia fonte di guadagno) che svuota vari scatoloni contenenti robaccia da due dollari l’una. Mi vede con la coda dell’occhio e mi saluta.
“Qual buon vento?” Dice.
“Ciao Hunter. Ho una cosetta per te.”
Tiro fuori la mia tavoletta d’argilla del 2635 a.C. e gliela mostro.
“Quanto?” Chiede lui.
“Duemila dollari.”
“Ma sei matta?!”
“Non credo. O duemila o niente.”
“Millecinquecento.”
Scuoto la testa.
“E va bene.” Cede lui esasperato. Tira fuori un assegno e scrive la cifra. Lo prendo dalle sue mani con fare cerimonioso e, con un cenno del capo, me ne vado.
Non so cosa se ne faccia lui di tutta quella roba che gli scarico addosso, però paga bene.
Guardo la strada trafficata e penso che di tornare a casa adesso non se ne parla, sarebbe come consegnarsi direttamente in commissariato con un cartello ‘sono io La Gemma” al collo. Magari ‘sta notte gli sbirri si saranno levati dalle palle e mi faranno prendere le mie cose in santa pace.
Mi sa che aspetterò mezzogiorno (momento del pranzo di duemila dollari nel ristorante di lusso) con piccoli furti di portafogli negli autobus affollati e roba da rivendere nei negozi di cianfrusaglie come quello di Hunter.
   
 
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