[RIVELAZIONI DOPO IL DESSERT]
Charlotte Winterport non aveva l’abitudine di interrogarsi sul perché i fatti accadessero, ma si limitava a preoccuparsi dei fatti quando essi potevano essere immortalati su una tela. Il soggiorno a Sadness Garden non si stava rivelando particolarmente esaltante, né per lei né per il marito Norman, ma ogni anno si recavano presso la villa del cugino di lui, Lord Winterport. Non vi erano ragioni precise per cui ciò accadesse, forse perché era sempre accaduto e non vi erano motivi apparenti per cambiare abitudini. Non si erano mai illusi di potere essere citati tra gli eredi di prima fascia. Certo, si aspettavano di ricevere qualcosa, alla morte del Lord, ma erano convinti di non essere in cima alle sue priorità. Potevano già essere felici del fatto che non si fosse lasciato abbindolare da una spasimante povera, sposandola e rendendola erede universale, oppure del fatto che non fossero sbucati fuori figli illegittimi destinati a divenire i futuri possessori del suo patrimonio.
Lord Winterport non amava parlare di cosa sarebbe accaduto ai suoi averi dopo la sua dipartita, forse convinto che menzionare quel momento avrebbe contribuito ad anticiparlo, ma fino ad allora c’era stato da sperare che vivesse il più a lungo possibile. Certo, bisognava supplicarlo, arrivare ad ammettere che la musica e la pittura non avevano alcuna rilevanza, come il Lord era convinto, ma né Charlotte né Norman si erano mai visti negare il denaro che permetteva loro di fare lunghi viaggi alla scoperta del mondo. Avevano visitato parecchi Paesi, i quali si erano rivelati ricchi di fascino. Charlotte si era appassionata ai pappagalli tropicali e ne aveva dipinti parecchi, nell’ultimo anno, ma aveva convenuto con Norman che fosse giunto il momento di passare oltre. Discutendo con la signorina Alice Byron, avevano dedotto che l’Egitto fosse un’ottima meta per il successivo viaggio. L’obiettivo era menzionare la cosa a Lord Winterport, quella sera dopo la cena. Il Lord se ne fregava altamente delle piramidi, così come di tutto ciò che riguardava l’Egitto antico e moderno, ma Charlotte era certa che non disdegnasse quell’argomento tanto quanto detestava l’arte. Non sarebbe stato complicato ottenere ciò che desiderava.
Dopo avere finito il dessert, guardò con aria complice Norman, il quale si stava accendendo una sigaretta. Gliene passò una e le mise in mano un fiammifero, ricambiando lo sguardo. Charlotte era certa che il marito si sentisse al settimo cielo, proprio come lei. Chissà quando sarebbero partiti per l’Egitto... E poi quel pensiero terminò in un istante, quando Lord Winterport parlò. Le sue parole furono talmente taglienti che a Charlotte andò di traverso il fumo appena aspirato.
«Adesso che tutti avete finito il dessert, credo sia opportuno mettervi a conoscenza di un fatto piuttosto importante» annunciò Lord Winterport, «Che potrebbe avere conseguenze dirette sul vostro futuro. Preparatevi, perché intendo parlarvi di denaro.»
Non era mai stato così diretto. Chissà cosa voleva riferire. Charlotte pensò agli scenari più preoccupanti. Dal momento che non pensava di essere citata tra gli eredi delle quote maggiori, non si agitò particolarmente in relazione al testamento. Sarebbe stato molto più preoccupante se il Lord avesse annunciato di essere fallito e di dovere vendere tutto per saldare i propri debiti, lasciandoli tutti senza alcuna possibilità di scroccare nell’immediato.
Anche Norman doveva essere di quel parere, tanto che azzardò: «L’azienda per caso sta andando male?»
«Oh, no, l’azienda va a gonfie vele» lo rassicurò Lord Winterport. «Non è mai andata meglio ed è un vero peccato che Alfred Smith non sia qui a vedere i miei successi. La sua perdita si fa ancora sentire. Non potrò mai dimenticare come fosse brillante e pieno di iniziativa. Senza di lui, tutto questo non sarebbe mai stato possibile.»
«E quindi, allora» chiese Norman, «Che cosa ti turba?»
«Mi turba il fatto che oggi pomeriggio il mio tè sia stato guastato» affermò Lord Winterport. «Non so come sia stato possibile, chi di voi possa avere cercato di avvelenarmi, ma sono certo che, in un modo o nell’altro, qualcuno di voi abbia commesso una simile azione. E non è la prima volta. Sarei rimasto in silenzio e mi sarei limitato a tenere gli occhi bene aperti, se non fosse un comportamento reiterato. È accaduto circa un mese fa, che qualcuno cercasse di guastare il mio tè. Non c’era nulla dentro la teiera, perché mi fu versato dal maggiordomo Nolan, che ugualmente lo versò anche a tutti i presenti. Nessuno ebbe conseguenze, a parte me. Mi accorsi subito che qualcosa non andava e non ne bevvi che un semplice sorso. Non confidai a nessuno quello che era successo, se non a Nolan, al quale chiesi di fare molta attenzione ai miei ospiti. Non notò nulla e, del resto, non accadde nulla nelle settimane che seguirono, fino a oggi. Solo che, diversamente da quel giorno, stavolta c’era un maggior numero di presenti. Deve essere stato questo, che ha fatto sì che l’avvelenatore agisse indisturbato.»
«Un avvelenatore?» esclamò la signora Alexandra Johnstone. «Dici sul serio, zio? Non vedo come sia possibile!»
«Non lo vedi perché sei una creatura innocente, così come lo è tua sorella Alice» sentenziò Lord Byron. «Nessuna di voi due era presente un mese fa, quindi sono abbastanza convinta che siate due anime pure.»
Charlotte fu scossa da un brivido. Non le sarebbe interessato che Lord Winterport fosse convinto dell’innocenza di Alice e Alexandra, se questo non avesse avuto un significato ben preciso. Anche Norman doveva avere intuito, tanto che sbottò: «Io e mia moglie eravamo presenti già un mese fa! Ma non eravamo i soli! Non starai insinuando che siamo stati io e Charlotte a tentare di avvelenarti! E per quale motivo, poi? Non ci hai mai negato i tuoi prestiti a fondo perduto e, detto sinceramente, l’unica ragione per cui abbiamo qualche contatto con te è proprio questa! Hai ragione, siamo due scrocconi, ma siamo fieri di esserlo! Scrocconi sì, avvelenatori no! Anche perché sappiamo bene chi siano le tue eredi predilette, le figlie della tua povera sorella, con la quale non avevi più alcun rapporto fin da quando te n’eri andato per metterti in società con Alfred Smith e che non hai mai incontrato finché non era in punto di morte! Chissà come, ti sei affezionato alle due ragazze, e sono certo che staresti dalla loro parte anche se ti forzassero a ingurgitare una pasticca di cianuro!»
«Come vi permettete di parlare così di mia moglie?!» intervenne il signor Daniel Johnstone, sbattendo sul tavolo la pipa che poco prima stava per accendersi. «Alexandra non era qui presente quando Lord Winterport afferma di avere subito il primo tentativo di avvelenamento... e poi ve la immaginate, ad armeggiare con cianuro o altri veleni? Come ha detto Lord Winterport, Alexandra è una creatura innocente, e lo è anche sua sorella Alice.»
«Lo sapete che la vostra creatura innocente oggi pomeriggio stava fuori a parlottare con il signor McKay?» ribatté Norman. «Sanno tutti che Gabriel McKay fosse palesemente interessato a lei e abbia cercato di sposarla.»
«Sì, ma Alexandra ha fatto le proprie scelte» replicò il signor Johnstone, «E devo dire che ha scelto il partito migliore.»
«Su questo non sono del tutto d’accordo» obiettò Lord Winterport, a sorpresa. «Voglio dire, avrei preferito che mia nipote sposasse un Lord, piuttosto che un dipendente della mia azienda. Quando all’inizio mi opposi alla sua frequentazione con il signor McKay, non avrei pensato che mi sarei ritrovato nella stessa situazione. Alla fine, però, ho accettato la sua scelta e, per dimostrarlo, ne ho tenuto conto nel mio nuovo testamento. L’ho stilato tre settimane fa, poco dopo il primo tentativo di avvelenamento, e sono convinto di avere fatto la cosa giusta. Non preoccuparti, Norman, ho lasciato a te e a tua moglie la mia argenteria e alcuni soprammobili. La casa, il denaro e l’azienda verranno tuttavia ereditate in parti eguali dalle mie nipoti Alexandra e Alice. Qualora vengano a mancare senza avere generato dei figli, la loro eredità andrà ai rispettivi mariti, a meno che non siano stati, direttamente o indirettamente, responsabili delle loro morti. Se Alice dovesse venire a mancare prima di essersi sposata, anche la sua parte andrà ad Alexandra. Non ho voluto essere catastrofista: esiste anche la possibilità che muoiano entrambe, così come il marito di Alexandra, ma ci penserò qualora dovesse accadere. Ci tenevo che foste tutti qui presenti, anche i miei dipendenti, per darvi questa comunicazione, convinto che interesserà in prevalenza al signor McKay. Immagino che sarà dispiaciuto di essersi giocato la possibilità di divenire mio erede.»
Il signor Gabriel non proferì parola, così come nessun altro dei presenti. La maggior parte si accesero sigari o sigarette e si misero a fumare in silenzio. Anche Charlotte non disse nulla. Era stata una serata terribile: la partenza per l’Egitto era molto più lontana di quanto non lo fosse prima della cena.
***
Alexandra era stata la prima a uscire dalla sala da pranzo, comunicando che si sarebbe recata in biblioteca. Daniel avrebbe voluto raggiungerla, ma venne coinvolto in una partita a scacchi dalla cognata Alice.
«Sei molto brava» osservò Daniel, che invece aveva molte difficoltà a portare avanti quella partita.
«Ho imparato da una grande maestra» convenne Alice.
«La signora Green?»
La cognata annuì.
«La signora Green.»
«Come vi siete conosciute?»
«È stato diverso tempo fa. Volevo recarmi a visitare l’Egitto, ma non desideravo viaggiare da sola. La signora Green faceva al caso mio. Era vedova e sola ed era la compagna di viaggio perfetta. Siamo divenute grandi amiche e da allora la porto sempre con me.»
«E cosa succederà quando prenderai marito? La signora Green sarà un terzo incomodo tra di voi?»
In quel momento Alice fece scacco matto.
«Preoccupati del tuo matrimonio» gli suggerì, «Non del mio.»
«Non ho niente di cui preoccuparmi» ribatté Daniel, «E non mi piacciono certe insinuazioni poco gradevoli.»
«Conosco mia sorella. Era innamorata di Gabriel McKay. Avrebbe tanto desiderato sposarlo, se lo zio non si fosse opposto. Ancora non capisco come abbia fatto ad acconsentire che fossi tu a sposarla. Provieni dallo stesso ceto sociale di McKay e facevi anche lo stesso lavoro. Che cos’hai tu in più di lui?»
«Ci sarà anche stato un tempo in cui Alexandra era innamorata di Gabriel, ma quell’epoca è passata» chiarì Daniel. «Alexandra voleva sposarsi con me e per tale ragione ha insistito tanto con Lord Winterport, tanto che ha acconsentito. Questo è il motivo per cui adesso siamo marito e moglie, non ce ne sono altri.»
Alice puntualizzò: «Dovresti scoprire il motivo per cui Gabriel McKay non si trova nella sala da pranzo. Dov’è adesso?»
Daniel si guardò intorno.
«Non ne ho idea.»
«Magari si sta preparando per un incontro clandestino» suggerì Alice.
Daniel rabbrividì, di fronte a quell’allusione, ma non si scompose: «Credo che dovresti occuparti della tua vita privata, non della mia, o di quella di Alexandra, o di quella di Gabriel. Mia moglie in questo momento si trova in biblioteca per dedicarsi alla lettura. Dovresti fare la stessa cosa anche tu. Non hai un libro sulle piramidi da metterti a sfogliare? Sarebbe la cosa giusta da fare a quest’ora per conciliare il sonno.»
Alice non replicò. Daniel ritenne che fosse il momento giusto per uscire dal soggiorno e dirigersi verso la biblioteca. Si aspettava - ne era assolutamente certo - di trovare la moglie in completa solitudine, ma si sbagliava. Aprendo la porta, udì subito delle voci, che riconobbe come quella di Alexandra e quella di Gabriel, che esclamava: «Avanti, ammettilo, un po’ te lo aspettavi!»
«Oh, no, non me lo aspettavo affatto! Devo dire che la cosa mi sorprende un po’. Mia madre non aveva nessun rapporto con il fratello da più di vent’anni, al momento della sua morte. Non credevo che lo zio potesse rendere me e Alice le sue eredi universali.»
«E di quello che ha detto a proposito del signor Norman e della signora Charlotte?»
«Non ha detto nulla, in realtà.»
«Ha affermato che qualcuno ha tentato di avvelenarlo e che non potete essere state né tu né tua sorella, perché non eravate presenti. Questo restringe di gran lunga il campo. Certo, mi è parso di capire che il signor Norman e la sua consorte non fossero i soli ospiti di Lord Winterport, in quel periodo, ma sono gli unici due che c’erano sia allora sia oggi.»
A quelle parole, Alexandra rimase lungamente in silenzio. Daniel si chiese se fosse il momento giusto per manifestare la propria presenza, ma preferì attendere ancora qualche istante. Fu la scelta corretta, dal momento che sua moglie, infine, replicò: «Sei un uomo pragmatico, Gabriel. Non ho idea di come tu non abbia pensato alla spiegazione più semplice.»
«Ovvero?»
«Ovvero che non abbiamo alcuna prova del fatto che qualcuno abbia cercato di avvelenare mio zio, né allora né oggi.»
Gabriel obiettò: «Per quale motivo dovrebbe fingere che sia avvenuto un fatto così grave?»
«È molto semplice» ribatté Alexandra. «L’hai sentito anche tu. Voleva cambiare il testamento, o almeno sostiene che così sia stato. Non mi fido di lui. Potrebbe essersi inventato tutto, e magari avere lasciato tutto alla parrocchia.»
«Perché, tuo zio è un uomo religioso?»
«Non che io sappia. Ma sarebbe in grado di lasciare tutto alla parrocchia solo per il gusto di non lasciare niente a noi parenti.»
«E vi sta bene tutto questo?»
«Non so agli altri, ma a me sì. Non dico che il denaro non sia allettante, ma porta con sé delle grosse seccature. Ricordi quando ci frequentavamo? Lo zio disse chiaramente che poteva accettare l’idea che andassimo al cinema insieme, oppure a teatro, ma che non mi avrebbe mai concesso di sposarti. Se non fossi stata la nipote di Lord Winterport, avrei potuto fare quello che desideravo, senza subire pressioni.»
«Quindi avresti sposato me, invece di Daniel?»
«Non dico che avrei sposato te, ma che avrei fatto quello che volevo, senza preoccuparmi di cosa ne pensasse un vecchio zio che non aveva fatto parte della mia vita finché mia madre non era morta. Anche per sposare Daniel ho dovuto insistere, e non poco. Però Daniel mi è rimasto accanto finché lo zio non si è convinto, e questo lo rende un marito migliore di quello che saresti potuto essere tu, devi riconoscerlo.»
Era commovente sentire parlare Alexandra a quel modo. Rimanere accanto a lei anche quando non c’era ragione alcuna per ipotizzare che Lord Winterport si sarebbe fatto più accomodante era stata la strada giusta. Era diventato ricco, non aveva più bisogno di lavorare e, alla morte di Winterport, sua moglie avrebbe ereditato la metà del suo patrimonio. Era sistemato a vita e non ci sarebbe più stato nulla di cui preoccuparsi, se avesse preso le dovute accortezze. Una di queste accortezze consisteva nel non lasciare Alexandra da sola insieme a Gabriel troppo a lungo. Aveva l’assoluta certezza che McKay non fosse innamorato di Alexandra e che anche sua moglie l’avesse ormai dimenticato, ma era meglio evitare che potessero esserci allusioni compromettenti.
Fece il proprio ingresso trionfale, trovando Alexandra seduta, mentre Gabriel era in piedi accanto a lei. Daniel si avvicinò alla moglie e, accarezzandole i corti capelli scuri, le chiese: «Cosa leggi, cara?»
Alexandra alzò il libro aperto, per poi richiuderlo e mostrargli la copertina.
«Amleto.»
«Essere o non essere» sibilò Gabriel, lanciando a Daniel un’occhiata penetrante. «Possiamo essere davvero noi stessi o siamo costretti a non essere?»
Daniel puntualizzò: «Non era questo che intendeva Shakespeare. Dopo avere avuto l’apparizione del fantasma del padre, si interrogava sul fatto che ci fosse o non ci fosse qualcosa dopo la morte. Ora, per cortesia, lasciami solo con mia moglie. Non hai altro da fare, se non stare in mezzo a noi? Alice ha detto che ti sei allontanato dalla sala da pranzo in gran fretta, come se avessi qualcosa di importante da fare.»
Alexandra ribatté: «Cosa vuoi che ci sia di importante da fare, qui a Sadness Garden?»
Gabriel, tuttavia, era già pronto per congedarsi.
«Vado a prepararmi per andare a dormire. Anche a me piace dedicarmi alla lettura, ma lo farò nella mia stanza.»
«Io, invece, come Alexandra ben sa, non riesco ad addormentarmi presto» rispose Daniel, «Quindi penso che farò la mia consueta passeggiata in giardino.»
Alexandra sospirò.
«Proprio non riesco a capirla, questa tua abitudine. Andartene in giro per il giardino al buio, al freddo!»
«Non importa che il corpo sia freddo, se è calda l’anima» concluse Daniel. «Non hai nulla di cui temere. Pare che ci sia un avvelenatore, a Sadness Garden, e che sia in casa, non in giardino. Non mi succederà niente, ne sono certo.»
Alexandra sorrise.
«Ma certo che non ti succederà niente. Chi potrebbe mai farti del male, caro?»
Durante il loro scambio, Gabriel si ormai era diretto verso la porta. Daniel ricambiò il sorriso della moglie, preparandosi a seguirlo. Era giunto il momento di lasciarsi andare al suo piccolo segreto, di cui Alexandra non avrebbe mai dovuto sapere nulla, in nome del patrimonio di cui lo stesso Daniel un giorno sarebbe divenuto co-proprietario... o addirittura proprietario, se sua moglie fosse morta, ma si augurava che Alexandra potesse vivere il più a lungo possibile. Sarebbero stati ricchi per tutta la vita e avrebbero generato figli destinati a divenire ricchi. Era molto più di quanto Daniel avesse sognato prima di conoscerla.
***
Rimasta sola, Gloria Green rifletteva. Aveva parlato del presunto avvelenamento con Miss Crystal proprio prima di cena, avanzando l’ipotesi che Lord Winterport avesse inventato tutto e che la sua trovata finisse per ritorcersi contro di lui. Non ne era più tanto sicura. Il fatto che un caso analogo fosse capitato - così il Lord raccontava - anche un mese prima, quando la maggior parte dei suoi ospiti non erano presenti, era un colpo di scena che non si era aspettata. Le era difficile fare ipotesi sui possibili sviluppi e avrebbe tanto desiderato che la signorina Alice Byron le chiedesse di andare via. Non avrebbe avuto altre possibilità, se non quella di accontentarla. Certo, poteva scegliere di andarsene in completa autonomia, ma sarebbe stato diverso. Si era prefissata dei piani ben precisi e sarebbe stato difficile accantonarli.
Alice, nel frattempo, era rimasta sola. Suo cognato Johnstone si era allontanato, forse per andare a raggiungere la moglie, forse per dedicarsi a chissà cos’altro. La cosa non la toccava minimamente, l’unico dettaglio era l’opportunità di raggiungere Alice alla scacchiera. Era diventata una buona giocatrice, forse una delle migliori presenti a Sadness Garden. Anche Miss Crystal non se la cavava male, mentre la maggior parte degli ospiti erano negati. Prima che potesse fare alcunché, tuttavia, vide a sorpresa il signor Albert Harris dirigersi al cospetto della signorina Byron. Dal loro modo di fare, risultava piuttosto credibile che il dipendente di Lord Winterport stesse chiedendo ad Alice di fare una partita insieme. Chissà se quell’uomo era celibe, non aveva mai parlato della propria vita privata. In tal caso, doveva essere rimasto positivamente impressionato dal fatto che il futuro marito della signorina Alice, se mai ne fosse esistito uno, avrebbe avuto un trattamento di favore nelle disposizioni testamentarie del Lord. Passare dall’essere un impiegato di quest’ultimo al divenire marito di una delle sue nipoti doveva essere un salto di qualità non indifferente, per uno come lui, che avrebbe avuto la possibilità di lasciare il lavoro e di avere comunque una fonte di reddito di cui vivere.
Mentre Gloria era presa da queste riflessioni, non si accorse di qualcuno che le si avvicinava, almeno finché non ne udì la voce.
«Vi vedo piuttosto pensierosa, signora Green.»
Gloria sussultò.
«Lord Winterport! Scusatemi, non mi ero accorta della vostra presenza!»
Si girò lentamente a guardarlo, sforzandosi di non assumere espressioni compromettenti. Perché avrebbe dovuto parlarle? Di solito Winterport se ne stava per i fatti propri, a meno che non volesse lamentarsi con qualcuno per qualsivoglia motivo. Dal momento che Gloria non era una sua parente, non dipingeva e non suonava il violino, se l’era sempre cavata venendo trattata con una sorta di accogliente indifferenza.
Il Lord le domandò: «Siete forse turbata?»
Gloria scosse la testa.
«N-No» esitò. «Perché dovrei esserlo?»
«Per quello che ho detto dopo la cena» azzardò Lord Winterport. «Non preoccupatevi, so badare a me stesso, non mi succederà niente. Chiunque voglia farmi del male, senz’altro è meno furbo di me. Ho occhi ovunque.»
«Eppure» osservò Gloria, «Non avete la possibilità di dimostrare che qualcuno abbia tentato di avvelenarvi. Scusate se sono invadente, ma avreste dovuto conservare la tazza con le tracce del presunto veleno. Mi è giunta voce che, invece, l’abbiate fatta lavare, dopo avere fatto versare il contenuto restante giù per il lavello.»
«L’avvelenatore si incastrerà con le proprie mani» sentenziò Lord Winterport. «Ve lo ribadisco, non ho niente da temere, e nemmeno voi. Dovreste preoccuparvi, piuttosto, di questioni di maggiore importanza.»
«Del tipo?»
«Mia nipote Alice.»
«Oh, ma io mi occupo di lei, nel migliore dei modi.»
«Non capite cosa intendo. Alice ha trentadue anni. È ancora in tempo per sistemarsi.»
Gloria non si aspettava una simile considerazione.
«Mi state dicendo che dovrei convincerla a prendere marito?»
«Credo che Alice sia spaventata dal modo in cui mi opposi al matrimonio tra sua sorella Alexandra e il signor McKay» ammise Lord Winterport. «Sono fermamente convinto che non fosse un buon partito e che fosse necessario allontanare Alexandra da lui, anche se lo amava.»
«Vi assicuro che la signorina Alice non ha paura del giudizio altrui, nemmeno del vostro» gli assicurò Gloria. «Se non ha ancora dato segno di volersi sistemare, come dite voi, è perché o la cosa non le interessa, oppure non ha ancora incontrato l’uomo giusto.»
«Appunto, come stavo dicendo io, temo che possa essere condizionata dal modo in cui decisi di comportarmi con Alexandra. Vedete, era molto giovane, aveva dieci anni di meno di quanti non ne abbia Alice al momento, e voleva sposarsi con McKay solo nell’euforia del momento. Ero certo che quella sbandata le sarebbe passata, e infatti pochi mesi più tardi iniziò a frequentare il signor Daniel Johnstone. La vedevo più matura e convinta, quindi decisi di accettare l’idea che non sposasse un nobile, ma un semplice impiegato. Se Alice è convinta che il cosiddetto “uomo giusto” debba essere necessariamente un Lord, si sbaglia. Accetterò qualunque decisione prenda. Anche se dovessi scoprire, un giorno, che si è sposata in gran segreto con un uomo di bassa estrazione sociale, per me resterebbe sempre una delle mie eredi designate. Anzi, lasciate che ve lo dica, senza nulla togliere ad Alexandra, resterebbe la mia erede prediletta. È quella che mi ricorda di più la mia defunta sorella, alla quale volevo molto bene, anche se ci eravamo molto allontanati, negli ultimi decenni.»
«Fatemi indovinare» azzardò Gloria, senza preoccuparsi della propria impertinenza. «Per caso aveva sposato un uomo di basso rango e non approvavate la sua unione?»
Lord Winterport sospirò.
«Ho una reputazione che mi precede, vero? Però, sappiate, non succederà nulla del genere con Alice. Ho commesso degli errori, in passato, e credo sia giunto il momento di riparare ai miei sbagli. Dite a mia nipote che deve sentirsi libera e che, se qualche uomo affascinante le fa la corte, non deve preoccuparsi del fatto che possa non piacermi. Si vive una volta sola ed è giusto che Alice possa vivere.»
Gloria annuì.
«Glielo riferirò. Non sono comunque convinta che lo scopo di Alice sia il matrimonio.»
«A meno che, ovviamente, io non vincoli l’eredità al fatto che decida di prendere marito» osservò Lord Winterport. «In quel caso, non ho dubbi, provvederebbe immediatamente a conformarsi alle mie aspettative. Non importa che tutti i miei parenti dicano di no, che a loro non importa, ma vengono spinti in primo luogo dal desiderio di accumulare denaro. Alice non fa la differenza, non perché sia avida, ma perché il mio patrimonio potrebbe consentirle di levarsi tutti i suoi sfizi. Vuole visitare le piramidi? Allora ecco che arrivo io a pagarle un viaggio. Vuole degli abiti su misura di foggia dell’antico Egitto? Nessun problema, anche gli abiti vengono prodotti a mie spese... e così via, per tutto ciò che desidera. Parlatele. Ditele che intendo lasciare tutto a lei e ad Alexandra e che spero che un giorno i loro rispettivi figli dirigano la mia azienda. Sono certo che vi starà a sentire, vi tiene in grande considerazione.»
Gloria fece per replicare, ma non le fu possibile. Lord Winterport fu rapido a voltarle le spalle e ad allontanarsi. Uscì addirittura dalla sala da pranzo, dopo avere chiesto qualcosa al maggiordomo, che in quel momento stava sparecchiando, probabilmente di andare a preparare la sua stanza da letto per la notte, dato che Nolan mise un vassoio carico di stoviglie in mano alla governante, per poi uscire a propria volta dal salone.
Gloria attese con pazienza che Alice rimanesse da sola, ma partita a scacchi con il signor Harris fu oltremodo lunga. Poté vederla soltanto un’ora più tardi, quando erano ormai pronte per andare a letto. Bussò alla porta della sua stanza e Alice aprì, forse scambiandola per una cameriera della quale era in attesa.
«Oh, sei tu, Gloria» mormorò. «Come mai sei qui? Non mi sembra il caso di...»
Gloria la mise a tacere: «Tuo zio è venuto a parlarmi. Sembra convinto che tu debba prendere marito.»
«Mhm» borbottò Alice. «Sembra quasi che sappia cos’è successo.»
Da quando era arrivata, Alice aveva ricevuto già tre diverse lettere anonime, in cui un uomo che preferiva restare senza nome le aveva confessato di amarla. Le missive erano lunghe e dettagliate, contenenti anche qualche particolare piccante che alla Byron non era affatto dispiaciuto. Le avevano lette insieme, lei e Gloria, per poi bruciarle proprio come l’autore supplicava.
«Credi che voglia metterti alla prova?» le domandò Gloria.
«Non so cosa si sia messo in mente» rispose Alice, «Ma la cosa non mi fa stare per niente tranquilla. Quell’uomo è diabolico.»
Gloria annuì.
«Già, hai ragione. Se fossimo in un romanzo poliziesco, ci sarebbero dei buoni motivi per temere che venga davvero avvelenato. Gli assassini, nei libri, sono sempre piuttosto competenti in materia di veleni. Hai mai letto di una vittima che riusciva a scamparla?»