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Autore: MelKaine    23/09/2009    23 recensioni
Un incantesimo crudele, un avversario impossibile da uccidere. Quando fuggire è l'unica soluzione Merlin si trova da solo con la propria magia e due Pendragon da proteggere.
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Uther
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The enemy within III
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Secondo capitolo delle avventure del povero Merlin... a pochissimi giorni dall’uscita del primo episodio della seconda stagione mi sento vagamente ispirata, che dire, devo mettermi sotto, ho moltissime fic da continuare e non intendo abbandonarne nessuna, sono piuttosto possessiva con le mie creature... ^___^
Capitolo abbastanza lungo, come da pronostico, oh cielo, vedere Uther in tutta la sua fainaggine mi ha reso felice, certe cose non cambiano mai... XDDDDDDDDDDDD

Un bacio e tutti coloro che mi hanno ringraziata per Segrete, sono commossa ç.ç grazie a voi!!!

Mel Kaine


 



 

The enemy is within, everywhere
and with him the light, soon they will be here
go now, my lord, while there is time
(War of wrath - Blind Guardian)

 

 

 

Capitolo II




Merlin galoppava veloce come il vento stesso, abbassato sul collo del suo cavallo, gli occhi che saettavano dalla strada davanti a sé all’anello incandescente e soffocante attorno al suo dito e di nuovo alla strada.
Poteva intravedere finalmente i torrioni oltre le cime degli alberi.
Era sembrato un viaggio eterno anche se non poteva essere durato che un paio di misere veglie.
Merlin era nei campi quando per la prima volta l’anello si era stretto attorno al suo dito. Il giovane mago aveva lanciato un gemito di sorpresa ed aveva lasciato andare il covone di grano che stava trasportando. Un bacio a suo madre ed era partito subito. Sarebbe potuta anche essere una sciocchezza, ma il suo istinto continuava a gridare e anche se fosse stata una cosa da nulla era impensabile restare un’altra notte ad Ealdor mentre l’anello di Arthur annunciava che il principe era in difficoltà. E così era partito subito e adesso ne era grato oltre ogni possibile parola. Poco dopo la stretta si era fatta da tenue a decisa e quindi opprimente. L’anello si stava stringendo attorno al suo dito con forza ed era innaturalmente caldo.

Presto.
Presto, si disse, lanciandosi al galoppo nel fitto della foresta.

Il ponte era abbassato, le guardie non erano al loro posto.
Pessimo segno.

La piazza sembrava gremita.

Il fiato spezzato, i capelli scompigliati dai rami e dal vento, gli occhi pieni di paura.
Merlin si fermò non visto a lato della piazza grande e sentì il cuore mancargli un paio di battiti.

Arthur.
Sul patibolo.
Arthur.
In pericolo.
Uther.
Legato.
Arthur.
In ginocchio accanto al boia.
Arthur.

La scena lo colpì in tutto il suo orrore un istante dopo, mentre un uomo dava fuoco alle fascine ai piedi di Uther ed il boia sollevava l’ascia.
L’anello pulsò dolorosamente un’ultima volta e da lontano Merlin poté vedere le labbra di Arthur schiudersi e pronunciare qualcosa.
Un brivido fortissimo lo percorse, quando sentì nella testa il proprio nome.

Senza domandarsi niente e senza pensare a nulla che non fosse la salvezza dell’uomo che amava Merlin stese la mano. Neanche le sussurrò le parole che gli servirono. Le gridò nella propria mente e scatenò un inferno di sabbia e vento.

La tempesta si levò da terra, davanti alle zampe del suo cavallo e come fumo si sparse nella piazza accecando i suoi nemici, accecando tutti tranne Arthur, spegnendo le fiamme ai piedi del re.

Un altro incantesimo e la corda attorno alle mani del principe si sciolse. Egli si alzò dunque in piedi in un istante e disarmò il boia, derubandolo della spada. Poi si volse. E si guardarono.

Nel mezzo di quella tempesta magica, ad un soffio dalla morte, si guardarono ed Arthur gli sorrise.
Ed il suo sorriso significava fiducia. E amore.

Un attimo ancora e Arthur saltò giù dal patibolo e corse verso suo padre per liberarlo.
La folla lottava contro la sabbia, ma la magia di Merlin non poteva durare in eterno.
Arthur afferrò suo padre per un braccio e tentò di portarlo via.
Erano circondati, il vento si stava placando, già qualcuno si stava muovendo per catturarli nuovamente.
Arthur tentò di raggiungere la prima cerchia muraria, in una corsa verso una qualsiasi delle postierle che avrebbero potuto condurre lui e suo padre alla bassa corte.
Ma la folla bloccava le possibili vie di fuga anche in quella direzione ed il principe fu costretto a ripiegare, guidando il re dentro al castello.
Si volse un ultimo istante, per vedere ancora Merlin, per chiedergli di restare salvo mentre Arthur compiva il suo dovere e portava via il loro sovrano, per chiedergli con lo sguardo di seguirlo, di raggiungerlo. Perché egli lo avrebbe aspettato, sempre.
Merlin comprese ogni parola non detta di quel dialogo di sguardi e quindi annuì.
Un battito di ciglia dopo li vide sparire dentro al castello.
 

+†+


Insieme padre e figlio si mossero veloci attraverso gli anditi vuoti, oltre la corte interna, oltre la grande sala, verso la sala del trono.
L’unica sala con porte robuste, l’unica che poteva accoglierli, nasconderli. Ma Arthur sapeva bene che stavano correndo verso una trappola. Rinchiusi come topi poteva immaginare il suo stesso popolo dare fuoco alle porte, bruciarli dentro il loro stesso castello, accanto al trono.
Ma non v’era altra scelta, non adesso.
Continuare a fuggire senza meta avrebbe segnato la loro rovina e combattere il suo stesso popolo, Morgana, i suoi cavalieri, era semplicemente impensabile.
Raggiunsero le porte, ne sbarrarono una, ma quando Uther fece per chiudere completamente anche l’altra Arthur lo fermò.
Il viso severo del re chiese silenziosamente una spiegazione per quella follia.
Arthur rispose con la verità.
“Sto aspettando Merlin”.
Uther sbuffò, incredulo.
“Il tuo servo non è al castello”.
“E’ tornato” disse Arthur, scrutando ansiosamente i corridoi. Sentiva voci piene d’odio avvicinarsi, gridare il nome della sua casata, giurare morte e vendetta.
Uther fece un passo avanti, per esercitare tutta la sua autorità e porre fine a quell’insana testardaggine.
“Se anche fosse sarà impazzito, come tutti gli altri. Non ti riconoscerà”.
Nel crescendo irato della folla che avanzava Arthur si volse, un sorriso calmo sul viso pallido, un sorriso pieno di fiducia.
“Merlin mi riconoscerà, padre. Mi riconosce sempre”.
E nuovamente si dispose ad attendere.
 

+†+


Merlin correva per i corridoi, gli occhi dorati, le mani alzate davanti a sé a protezione.
In qualche modo, pensò, avrebbe dovuto immaginarlo.
Dopo la morte di Nimueh avevano beneficiato di un relativo periodo di pace.
Niente epidemie misteriose, niente bestie immortali, nessun cavaliere risorto, nessun calice avvelenato.
Ma Merlin si rimproverò una volta in più la propria ingenuità.
La morte di un singolo nemico, per quanto temibile e potente, non è mai la fine di tutti i mali.
In verità sì, avrebbe dovuto aspettarselo.
La magia, in quanto essenza a se stante poteva essere combattuta, un mostro demoniaco poteva essere reso vulnerabile, un’epidemia poteva essere fermata, un cavaliere poteva essere ucciso di nuovo, al veleno si poteva trovare un antidoto, ma come poteva la sua magia o qualsiasi altra cosa, fermare quella follia?

Oltre le spesse mura di pietra del castello ed in ogni angolo dell’intera Camelot risuonavano le urla inferocite del popolo.


“A morte i Pendragon! A morte i Pendragon!”


Le porte erano state aperte dalle stesse guardie che adesso avanzavano minacciose brandendo le loro alabarde. I servi e le serve cercavano impazziti ogni stanza, fra di loro Gwen, la buona, pacifica Gwen che rivoltava letti e strappava tende nella speranza di trovare il principe ed il re ed ucciderli. Lady Morgana avanzava decisa con una spada, Gaius seguiva i cavalieri, armato di bastone.
Il loro mondo era totalmente fuori controllo.

Era magia.
Merlin poteva sentirla.
Magia potente che aveva creato, questa volta, un nemico che Uther e Arthur Pendragon non potevano imprigionare o arrestare o decapitare.

La magia perfetta, rise cupo fra sé e sé il giovane mago.
La magia che in un colpo solo aveva spogliato Uther di tutto il suo potere. Che cosa è un re se non un uomo comune quando non ha nessuno su cui regnare? Un re può ordinare perché qualcuno eseguirà, può arrestare perché arriveranno delle guardie e può decidere della vita e della morte perché il popolo si lascerà convincere che egli ha il diritto di farlo. Ma quando non v’è più nessuno il re non è un re e l’ordine naturale delle cose è perso per sempre.
L’inizio della fine.

Merlin corse. Corse come se avesse la Nera Signora alle spalle.
Doveva raggiungere Arthur prima di tutta Camelot o sarebbe stato troppo tardi.
Conosceva la morale del principe, la sua abnegazione e la sua totale devozione verso il popolo. Arthur non avrebbe ucciso nessuno di loro e si sarebbe lasciato trafiggere dalle spade dei suoi stessi cavalieri piuttosto che levare la lama su di loro. E Uther? Probabilmente avrebbe combattuto con più caparbietà e meno considerazione, ma se il suo prossimo avversario avesse avuto il viso di Lady Morgana anch’egli sarebbe caduto.


No.
Non poteva permetterlo.


Arthur era la sua ragione d’esistenza e tutta la sua priorità.
Lo avrebbe raggiunto e lo avrebbe protetto, a costo della vita, come ogni volta, come sempre.

Quando lo vide, quando vide la sua testa bionda contro lo stipite della porta della sala del trono il suo cuore batté una volta di più.
Lo stava aspettando.
Come si erano promessi.
Mai dove non é l’altro.
Questo si erano giurati prima di ogni battaglia e questo continuavano a fare, sempre.
Il suo Arthur.
I suoi occhi azzurri fissi su di lui, il suo mezzo sorriso, così arrogante, era la cosa più bella che avesse mai visto in quei momenti di angoscia, in quella follia di volontà piegate.
Fece per raggiungerlo quando vide un gruppo di guardie scorgerli, correre verso di loro.
I polmoni bruciavano già, ma Merlin scattò in avanti con tutta l’energia che gli era rimasta e le sue dita strinsero quelle di Arthur un attimo prima che tutto finisse ed il principe lo tirò dentro, chiudendo la porta contro le lance che erano state scagliate nella loro direzione.

Per un attimo l’unico suono fu il respiro affannoso di Merlin.

“Arthur…”

Il rumore di ferro sguainato li fece volgere.
Uther aveva preso la spada da cerimonia che teneva abitualmente presso il proprio trono e adesso la brandiva contro Merlin, sfidandolo a commettere una qualsiasi mossa falsa.
Per tutta risposta il giovane mago lo ignorò.
Cercò gli occhi di Arthur e li lasciò solo per guardare tutto il suo corpo alla ricerca di qualche ferita. Soddisfatto si perse nuovamente in quell’oceano limpido.

“Arthur, stai bene…” ed il sollievo in quell’affermazione era più che evidente.
Il principe annuì, scrutando a sua volta la sua figura in cerca di rassicurazioni sulla sua salute.
“Hai fatto presto… per una volta… ”
Merlin sorrise, quasi divertito ed abbassò lo sguardo verso la propria mano, dove finalmente l’anello aveva smesso di stringere.
“Ha funzionato…”

Prima che Uther potesse interrompere quell’insensato dialogo il suono di pugni e ferro battuti contro il legno li fece trasalire.

Il volto di Merlin si fece serio e senza colore.
“Camelot è come impazzita. Raccontami cosa è accaduto…”

Arthur scosse la testa.
“Non lo so, quanto è vero Iddio, non lo so. Il giorno prima tutto era come sempre e poi un istante dopo il popolo è venuto a cercarci, hanno invaso il castello e ci hanno catturati. Hanno espresso chiaramente le loro intenzioni quando ci hanno portati verso il patibolo”.

“E’ senz’altro opera di una stregoneria” ponderò Uther.

Merlin si trovò ad annuire con serietà e ciò bastò a confermare i sospetti di Arthur, al di là dei pregiudizi di suo padre.

Il legno della grande porta cigolò sinistramente sotto i colpi del popolo. Le urla se possibile si fecero più alte.
Dovevano fuggire, dovevano lasciare Camelot e nascondersi nei boschi.
Merlin sapeva tutto ciò, ma ne conosceva anche il prezzo.
L’unica porta naturalmente non era da considerarsi una possibile via di fuga e tre delle quattro pareti erano di pietra solida. La quarta era un’immensa distesa di ferro battuto e vetro.

Merlin venne improvvisamente strappato ai suoi pensieri dall’improvviso odore acre di fumo. Lente volute biancastre presero ad insinuarsi sotto la porta e così come Arthur aveva temuto si stava avverando.
Li avrebbero bruciati vivi o forse, prima ancora, li avrebbero stanati per poi giustiziarli.

Indietreggiarono fin dietro il trono.
Il fumo saliva, inesorabile.
Le loro gole iniziavano a bruciare e l’aria andava rarefacendosi.

Arthur si volse.
Cercò con gli occhi il re.
Uther Pendragon era in piedi accanto al proprio trono, la spada sguainata, ma lo sguardo sperso e, forse per la prima volta da quando il principe aveva memoria, realmente atterrito.
Il re di Camelot.
Atterrito.
Niente, come quel momento, aveva mai mostrato al principe la natura umana dell’uomo austero e crudele che egli stesso riteneva invincibile da sempre.
Vedere la paura nei suoi occhi ed assistere ai suoi futili tentativi per nasconderla gli fece quasi male.
In fondo avrebbe dovuto saperlo.
Tutti gli uomini, per quanto potenti, non sono altro che uomini.
E come tutti provano dolore, come tutti hanno paura e come tutti muoiono.
Possibile fosse quella la loro fine?

Impercettibilmente si spostò di fianco al suo servitore. Il calore di Merlin era sempre stato in grado di calmarlo. Dopo le missioni fallite, dopo i rimproveri di suo padre, prima di un torneo, prima di una battaglia incerta.
Sempre.
E adesso Merlin era accanto a lui.
Unica costante di una vita che era davvero degna di essere vissuta, finalmente.

No, non si sarebbe arreso, non così.
Non senza combattere.

Bruciare come un topo in trappola non era il modo in cui un Pendragon se ne andava.

Eppure, in quegli attimi durante i quali la sua determinazione si rafforzava, la speranza veniva portata via dal fumo che empiva la sala, salendo denso da ogni fessura.
Come potevano fuggire?
Come potevano salvarsi?

Poi sentì delle dita sfiorare le sue, appena.
Un attimo fugace, finito subito e si volse.
Merlin.

Il giovane mago interruppe l’atterrito silenzio un momento dopo. Benché si rivolgesse ad entrambi i Pendragon i suoi occhi guardavano Arthur, supplicandolo.

“Dovete fuggire, adesso”.

Ed il pesante significato nascosto dietro le sue parole, dietro le sue mani che si alzavano davanti a sé bastò a fermare il cuore del principe.

“No, no” mormorò Arthur con veemenza.

Era una follia, era un errore.
Non glielo avrebbe permesso.
Uther, il re, era lì. Li stava osservando.
Avrebbe visto.
Avrebbe capito.

Ma gli occhi di Merlin lo pregavano.
Le sue iridi così blu, decise e leali.
Il suo sguardo morbido tinto di dolore, di rassegnata accettazione.

Ma Arthur non desiderava ascoltarlo, non desiderava scendere a patti con la sua improvvisa pazzia, con il suo incombente, inutile sacrificio.
Gli afferrò le mani, abbassandole, senza badare al sospetto che già si faceva strada sul volto del re.

“No, Merlin. Troveremo un’altra soluzione, troverò un modo”.

“Arthur, non abbiamo tempo…”

“E’ un ordine del tuo principe, Merlin. No”.

Le loro mani si strinsero l’un l’altra, invano.
Merlin scosse la testa.
Un sorriso impertinente sul viso.

“Sapete bene che non sono solito obbedirvi, Sire”.

Uther alzò un sopracciglio, sconvolto da tanta irriverenza.
Se mai fossero sopravvissuti si ripromise di punire la lingua lunga di quel servo.

“Merlin…” sussurrò Arthur, ma più che un rimprovero suonava come una preghiera, ormai.

Il giovane mago scostò le sue mani e liberò i polsi dalla sua stretta gentile.
Fece un passo indietro e guardò verso la vetrata, studiando l’obliquità della luce.
Il sole della terza veglia diurna brillava tenue attraverso le decorazioni.
Se quella era la direzione del tramonto allora era vero che dalla parte opposta solo una parete li divideva dalle postierle est e dal bosco dietro di esse.
Fronteggiò quindi l’altissimo muro di pietre e tese le mani.

Eos lift / fiar / uha tah / essumemé / eos akstànas / essumemé / ikanstànas to bretàn / essumemé!

Ed i suoi occhi si riempirono di oro fuso, luminoso e denso.
Le sue labbra si schiusero attorno a parole della religione antica, traendone il mezzo per dirigere il suo potere verso l’immensa parete di pietra.
Quando la nube di fitta polvere si spense ai loro piedi, assieme al rumore assordante della roccia che franava, luce e aria pulita li inondarono.
Le mura del lato est erano ben visibili attraverso l’ameno cortile posteriore.

Merlin si volse.

Un istante d’intenso silenzio occupò lo spazio fra loro.

Mentre sensazioni diverse avvolgevano i tre uomini, cominciando a dipingersi sui loro volti.
Rassegnato coraggio, inerme disperazione, odio profondo.

“Tu… lo sapevo… lo sapevo che qualcosa in te non andava, ragazzo… come ho potuto essere così cieco… tu, dannato traditore…” proferì la voce di Uther, tremante di rabbia.

La sua mano corse nuovamente all’elsa della spada mentre egli avanzava minaccioso.
Ancora una volta le voci della folla inferocita distolsero la loro attenzione.

L’immensa porta di legno stava cedendo, entro breve sarebbe crollata in un cumulo di braci.
Il fumo sciamava fuori dalla stanza molto più lentamente di quanto stesse entrando.
Non avevano tempo per dichiarazioni di odio e promesse di morte.

Gli occhi di Merlin si fecero d’oro ancora una volta, proprio ad un passo dal re, mentre egli lo guardava come fosse il peggiore verme che avesse mai strisciato sulla faccia dell’intera Albion.

Il giovane mago tese la mano un istante e la spada lasciò le dita di Uther, trascinata via da una forza magica inarrestabile. Merlin l’afferrò e senza volgersi ne offrì l’elsa ad Arthur.

Poi, semplicemente, li guardò.
Con fermezza, con supplica scritta negli occhi, con lealtà e coraggio e forza.
Mentre la porta principale tremava e cadeva a pezzi e visi inferociti comparivano dietro il legno spezzato.

“Il nemico è ovunque, presto sarà qui, andate adesso che ve n’è ancora il tempo, andate adesso miei signori, fuggite”.

Arthur strinse la spada che Merlin gli aveva porto.
Cos’era quel tono? Cos’erano quelle parole scelte?

‘Andate’ aveva detto… e lui?
Lui cosa avrebbe fatto?
Dove sarebbe andato?

In un attimo fu chiaro che si sarebbe offerto come esca, che avrebbe rallentato i loro inseguitori a costo di essere circondato dalla folla e ucciso.
Arthur scosse la testa.

“Merlin…” una nota di avvertimento nel suo richiamo, rotta, contusa…

Ma Merlin sapeva cosa faceva, sapeva cosa desiderava sopra ogni altra cosa e ripeté quanto detto prima, con ancora più fermezza, con ancora più autorità.

“Andate adesso, dannazione, fuggite, cercate rifugio nei boschi, ad est. Fuori Camelot sarete al sicuro”.

E Arthur sentì che rifiutarsi adesso sarebbe stato disonorevole. Che avrebbe sprecato l’enorme sacrificio che Merlin aveva compiuto, che avrebbe sporcato la sua lealtà, che avrebbe reso tutto vano e l’amava troppo per recargli un torto simile, anche se lo amava troppo anche per lasciarlo lì. Ma non aveva più scelta.
Era tardi ormai e molto era già perduto.

Afferrò suo padre per la spalla, guardò Merlin.
“Hai promesso, Merlin e sei vincolato alla tua parola. Nei boschi, ad est”.

“Ad est” mormorò Merlin mentre la porta si schiantava al suolo ed il popolo entrava ed egli si gettò contro di loro, gli occhi in dorata tempesta, le mani che erigevano un muro invalicabile, invisibile.
Uno sguardo dietro di sé, uno solo, per vedere la schiena di Arthur lasciarlo, così come aveva chiesto, così come desiderava.
Sapere il suo principe incontro alla salvezza era ciò che serviva a scaldargli il cuore.

 

 

Continua...

 

 

 

Note del capitolo:

Le parole dell’incantesimo di Merlin sono le stesse che Nimueh usa nell’episodio 4 per far cadere il pezzo di roccia, l’ho trascritte così come le ho capite, quindi non saranno affatto giuste, ma fanno figura uguale *.* no?

 

   

   

   
 
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