CAPITOLO 1 - SCHELETRI NELL’ARMADIO
Maledetta Marta, lei e la sua passione per l'urbex.
Era questo l’unico pensiero che Eloisa riusciva ad elaborare mentre ragnatele decennali le tendevano appiccicose trappole minacciando di avvolgerla ad ogni suo movimento e scricchiolii sinistri ne accompagnavano i passi incerti.
Decine di edifici avrebbero potuto incontrare le esigenze di tre studenti al primo anno del corso di laurea magistrale in Architettura in procinto di preparare l'esame di Restauro, ciononostante Marta era convinta che non ne esistesse uno più adatto allo scopo della vecchia villa abbandonata nella campagna appena oltre il campus universitario.
Suggestiva? Certo.
Interessante dal punto di vista architettonico? Ovviamente.
Strutturalmente stabile? Molto lontana dall’esserlo.
È pur vero che, trattandosi di un progetto di restauro, non potevano sicuramente optare per un edificio in buono stato di conservazione, tuttavia Eloisa riteneva che fra “aver bisogno di qualche intervento” e “essere prossimo al collasso” ci fosse una differenza non irrilevante.
Marta aveva scelto appositamente quella villa perché l'aveva vista in uno dei video dei vari esploratori urbani che seguiva con assiduità ed era rimasta affascinata da tutti gli oggetti che ancora conservava al suo interno, oltre che dalla struttura sicuramente peculiare. Infatti, nonostante il motivo per cui le due ragazze si trovavano lì in quel momento fosse rilevare ambienti e dettagli architettonici, fra una misura e l'altra lei non faceva che perdersi a curiosare fra i vari ninnoli che intasavano l'edificio e rendevano il loro lavoro ancora più complicato. Se ci fosse anche Damiano, pensò Eloisa, di certo la rimetterebbe in riga in tempo zero; invece il signorino, quel giorno, aveva clamorosamente dato buca all'ultimo secondo per motivi alquanto nebulosi.
Ad ogni passo Eloisa insultava mentalmente la collega cercando di schivare le parti di solaio palesemente già in fase di crollo, il tutto mentre tentava di scattare qualche foto e riportare sulle grandi planimetrie strette fra le sue mani le misure che l’altra cinguettava allegramente saltellando da un capo all'altro delle varie stanze con il distanziometro preso in prestito dalla professoressa di Restauro.
- Dai, Isa, un po' di brio! Non sei elettrizzata da questa atmosfera?
- Scusami, sono troppo impegnata a cercare di non morire per godermi l’atmosfera – ribatté, concentrata sul particolare del soffitto a voltini che stava cercando di disegnare nonostante la scarsissima luminosità.
- Puoi farmi luce con la torcia del telefono?
- Tu non sai proprio emozionarti, lo sai? - la punzecchiò Marta, avvicinando il fascio luminoso al disegno in corso d’opera.
- L’unica emozione che mi interessa provare, al momento, è il sollievo di aver terminato il lavoro; ti ricordo che, di quello che ci siamo imposte di finire oggi, manca ancora tutto il primo piano. Se quello stronzo di Damiano si fosse degnato di presentarsi avremmo già finito...
Il lampante disappunto nella sua voce non riguardava solamente il fatto che il collega avesse scaricato su di loro un’importante parte del lavoro: Eloisa sospettava che Damiano, in quel momento, si stesse vedendo con una persona che aveva giurato non avrebbe più fatto parte della sua vita. Anche se non poteva esserne certa, era questo ciò che il suo intuito le suggeriva, intuito che molto raramente sbagliava.
- Se scopro che non è venuto perché doveva rimettersi con Oriana per la diciottesima volta lo meno, dico sul serio! - Marta, a quanto pare, aveva gli stessi pensieri. Eloisa avvertì una stretta al cuore che cercò di ignorare e, soprattutto, di non dare a vedere, continuando il suo disegno a testa bassa senza rispondere.
- Anzi, sai cosa ti dico? - riprese Marta - Adesso prendiamo giusto le misure principali del primo piano e facciamo qualche foto, poi quello che manca lo verrà a rilevare lui da solo un’altra volta. Così impara a mollarci per le sue stronzate!
Eloisa non avrebbe potuto essere più d’accordo; inoltre iniziava ad accusare il freddo che si era insinuato senza trovare ostacoli nel vecchio edificio privo di coibentazione e ricco di spifferi, perciò non vedeva l’ora di poter lasciare quel posto. Le due ragazze salirono quindi al piano superiore, prestando estrema attenzione ad ogni passo poiché la scala, già di per sé poco stabile, per di più aveva perso il corrimano. Eloisa si chiese come si sarebbe comportata l’Università, nel caso in cui una di loro si fosse ferita. Allontanando quel pensiero dalla mente con un sonoro sbuffo, tornò a concentrarsi sul motivo per cui si trovava lì e nel giro di un’ora l’obiettivo che si erano prefissate per quel giorno fu quasi raggiunto. L’ultima stanza da rilevare era una camera ancora arredata con un letto matrimoniale costituito da due letti singoli dalla struttura lignea accostati, un grande armadio e uno scrittoio a ribalta sul cui piano aperto erano rimasti oggetti di vario genere e fotografie risalenti a diverse decine di anni prima; come nel resto dell’edificio, tutte le superfici erano ricoperte da uno spesso strato di polvere rimasta intoccata da così tanto tempo da essere diventata appiccicosa e scura e le ragnatele insidiavano ogni angolo della stanza.
- Di’ la verità - indagò Eloisa con il tono di chi conosce già la risposta alla domanda che sta per porre - Sei voluta venire qui proprio oggi perché è il 31 ottobre, vero? Volevi farti un’esperienza spooky prima della festa di Halloween di stasera?
Il viso di Marta assunse un’espressione colpevole che cercò subito di dissimulare, agitando una mano in aria con noncuranza.
- Ma no, che dici? L’ho fatto solo perché i giorni scorsi avevamo troppo da fare con gli altri laboratori. Hai idea di quante ore abbia passato a studiare Scienza delle Costruzioni questa settimana?
- Comunque non abbastanza. - rise, consapevole di quanto quella materia mettesse in difficoltà l’amica. C’era poco da ridere, in ogni caso: anche lei temeva quell’esame, tanto che non era più sicura di volerlo tentare al primo appello disponibile. Scosse la testa e riprese a controllare la planimetria, correggendo un dettaglio che solo in quel momento si accorse essere mancante.
- Nella planimetria catastale non è indicata quell’armadiatura a muro. - informò l’amica, dopo che questa le aveva rivolto una boccaccia in risposta alla sua poco garbata osservazione - Aprila, così prendiamo le misure della nicchia.
Marta, annuendo, si avvicinò all’armadio e ancor prima di tentare di aprirlo si accorse del piccolo lucchetto che ne bloccava le ante.
- C’è un lucchetto. - osservò, con tono incuriosito - Cosa ci sarà qui dentro di così importante?
- Probabilmente niente. Riesci a romperlo?
- E come dovrei fare?!
- Sarà lì da decenni, non penso sia così saldo! Prova con un calcio, questo è il momento di far valere tutti i tuoi anni di Muay thai. - la provocò con un’ironia mascherata da serietà.
- Nel caso non l’avessi notato, non sono Jean-Claude Van Damme.
- Tu prova! - insistette, non riuscendo tuttavia a nascondere un sorriso.
- Sei pazza, se rovino l’armadio e quel maledetto prete lo va a dire all’Ordine, i vecchi massoni mi fanno il culo. - Marta sembrava preoccupata dall’eventualità che l’Ordine religioso cavalleresco di San Michele Arcangelo, che possedeva l’edificio da quando era stato ad esso ceduto tramite un lascito dal precedente proprietario, avrebbe potuto scoprire la sua involontaria malefatta. Era stato don Achille Gennari, parroco della basilica che costituiva la sede dell’Ordine, a fornire ai tre studenti le chiavi della villa abbandonata e tutto il materiale che la riguardava. Nonostante all’apparenza fosse un adorabile anziano signore con la cataratta, Marta sembrava nutrire un’avversione particolare per lui; probabilmente i suoi ricordi infelici legati all’ambiente catechistico-ecclesiastico avevano un ruolo, in questo.
- Ai “vecchi massoni” certamente non importa nulla di quell’armadio... Comunque stavo scherzando, scema. Dai, cerchiamo qualcosa qui intorno con cui si possa aprire quello stupido lucchetto; se siamo fortunate, magari troviamo la chiave in uno dei cassetti.
Le due ragazze si misero d’impegno per scovare un qualunque oggetto che potesse anche solo vagamente fare al caso loro, non sembrava possibile che in un edificio ancora così gremito di chincaglierie di vario genere non ci fosse anche qualcosa di utile al loro scopo. Eloisa rovistò nello scrittoio, trovando solo vecchissimi documenti e qualche matita; Marta, invece, emise un gridolino di giubilo nel momento in cui, in un cassetto alla base dell’armadio, rinvenne una piccola pinza.
- Per quale motivo c’è una pinza nell’armadio di una camera da letto?! - domandò Eloisa, sgranando gli occhi. Per quanto si sforzasse, non le riuscì di immaginare un uso appropriato che si potesse fare di un simile oggetto in quella stanza.
- C’è anche del materiale per il fai-da-te, forse chi abitava qui coltivava il suo hobby in questa camera. Che ti importa? Non farti troppe domande e sii grata che l’ho trovata, ora spostati che con questa lo apro sicuramente!
Detto, fatto: in pochi minuti il lucchetto saltò sotto la morsa della pinza e le ante lignee dell’armadio cigolarono aprendosi istantaneamente di pochi millimetri.
- Ah! Guarda che roba! - si vantò Marta, voltandosi verso la collega - È venuto via in neanche cinque minuti! Certo che ne dobbiamo fare, di assurdità, per questo esame... Scommetto che nelle altre facoltà non si trovano in situazioni--
- Marta, spostati! - Eloisa la interruppe con un grido, atterrita alla vista delle ante che si aprivano gradualmente sempre di più pur senza l’ausilio di forze esterne, rivelando un ammasso informe in procinto di cadere addosso alla collega. Questa si pentì immediatamente di essersi voltata verso l’armadio invece di ascoltare l’amica: in un istante venne investita da uno scheletro avvolto da polvere e ragnatele che le rovinò addosso con un inquietante tintinnio di ossa strappandole un urlo terrorizzato. Agitando le mani in aria cercò di liberarsi da quell’abbraccio inatteso e ancor meno desiderato, senza riuscire però a spostarsi da quel punto, come se il panico le avesse paralizzato le gambe sul posto. Solo quando Eloisa, facendo appello a tutto il suo sangue freddo, l’afferrò per il cappuccio del giubbotto trascinandola verso di sé, Marta riuscì finalmente a disfarsi dello scheletro.
- CHE CAZZO CI FA UNO SCHELETRO QUI?! - strillò Marta con la voce più acuta che le fosse mai uscita dalla gola.
- Non lo so, ma dobbiamo chiamare Sergio. Lui saprà cosa fare. - la voce di Eloisa tremava, proprio come le sue gambe, ciononostante si impegnò a fondo per rimanere lucida e pensare alla cosa più logica da fare in quel momento. Di certo contattare Sergio, Ispettore capo della Polizia di Stato ormai da quattro anni nonché amico d’infanzia, era la scelta migliore.
- Ma siamo sicure che sia vero? Non è che si tratta solo di uno stupido scherzo di quel prete? - una volta ripreso a respirare e decelerato il ritmo del proprio cuore, Marta iniziò a nutrire sospetti sullo scheletro che l’aveva “aggredita” balzando fuori dall’armadio. Prima di coinvolgere la polizia sarebbe stato meglio, in effetti, essere certe che quelli sparsi sgraziatamente sul pavimento polveroso di fronte a loro fossero veramente i resti di una persona da lungo tempo non più in vita.
- Perché mai don Achille avrebbe dovuto farci uno scherzo simile? E poi non è che mi sembri un gran burlone, a vederlo... - mentre parlava, Eloisa si avvicinò non poco titubante allo scheletro. Pur non avendone mai visto uno vero prima di allora, non ebbe dubbi: il tempo aveva in gran parte corroso i tessuti ma i vestiti e i rimasugli di pelle semi-mummificata su alcune delle ossa facevano capire chiaramente che si trattava di quello che un tempo era un essere umano. Diede uno sguardo all’interno dell’armadio, dal quale si accorse solo in quel momento che proveniva un tanfo di morte, nonostante fosse ampiamente attenuato dai vari anni che probabilmente erano trascorsi dall’ultimo istante in vita di quella persona ad allora. Si accorse della presenza di un grosso tappeto completamente sporco di quelli che, pensò, fossero i liquidi persi dal cadavere in fase di decomposizione, ormai secchi e scuri. Dovette farsi quasi violenza fisica per riuscire a non rimettere.
- Non c’è dubbio, Marta, quella è una persona. O almeno la era... - detto questo si allontanò per cercare nella rubrica del telefono il numero di Sergio e avviò la chiamata con mano tremula.
- Ancora voi due! - sospirò esasperata la PM Irene Abelli, sollevando stancamente una mano a strofinarsi la fronte. Sergio, al suo fianco, rivolse alle ragazze uno sguardo dolce e rassicurante per stemperare i modi bruschi della donna.
Eloisa e Marta avevano già avuto modo di fare la conoscenza del pubblico ministero, due anni prima. Ironicamente anche in quell’occasione la colpa era da attribuire alla preparazione di un esame universitario: avevano il compito catalogare alcuni fabbricati, fra cui la procura. Quando Marta fotografò l’edificio senza preoccuparsi del fatto che poco al di là del portone di ingresso, in quel momento aperto, fossero presenti alcuni agenti, immediatamente lei ed Eloisa erano state fermate e portate dentro per essere identificate. Apparentemente, quell’atto era ritenuto qualcosa di sospetto, seppur non strettamente illegale. La PM ancora ricordava il panico negli occhi delle studentesse, almeno fino all’arrivo di Sergio che, pur mantenendo la sua inconfondibile pacatezza, aveva aspramente rimproverato i colleghi per aver fermato due ragazze che chiaramente non avevano cattive intenzioni ma stavano semplicemente svolgendo il lavoro richiesto dal loro professore.
- Dottoressa, noi non abbiamo fatto niente! - esordì Marta con le mani alzate - Stavamo rilevando una stanza al primo piano, quando--
- Di questo parlatene con Palumbo - la interruppe, indicando Sergio con un gesto del capo - A me e alla scientifica serve solo sapere in quale stanza avete trovato il corpo.
- Chiamarlo “corpo” è un po’ eccessivo... - si lasciò sfuggire Eloisa, per poi mordersi un labbro subito dopo e affrettarsi a rispondere - ...È l’ultima camera a destra del vano scala, al primo piano.
- Bene. Palumbo, senti le ragazze e quando arriva Ferraguti raggiungimi con lui al primo piano.
- Certo, dottoressa.
Non appena fu sicuro di essere fuori dal campo visivo della PM, Sergio si lanciò verso Eloisa per abbracciarla affettuosamente.
- Lelo, devi proprio cambiare facoltà! - mormorò, accarezzandole i lunghi capelli castani resi crespi dall’umidità, con l’intenzione di tranquillizzarla dopo lo shock causato dal ritrovamento - Ve la sentite di raccontarmi quello che è successo?
Le due studentesse raccontarono per filo e per segno gli avvenimenti di quel pomeriggio, non senza essere scosse da qualche brivido al ricordo dello scheletro improvvisamente evaso dalla sua bara a muro.
- Dev’essere stato uno shock! - esclamò il poliziotto con voce bassa e flemmatica - Tranquille, fra poco potrete andare a casa a riposare. Vi sentite bene, adesso? Non siete ferite, giusto?
Le ragazze scossero la testa, liete di aver potuto parlare con Sergio invece che con la PM. Proprio in quel momento un’auto parcheggiò inchiodando poco distante dal trio, facendo sussultare Marta ancora turbata dall’accaduto; ne scese un uomo sulla trentina, i capelli di un biondo piuttosto chiaro pettinati all’indietro senza tuttavia risultare impomatati e uno sguardo glaciale, nonostante il caldo color cioccolato delle sue iridi attente.
- È arrivato... - sospirò sconfortato Sergio.
- Palumbo! - tuonò l’uomo, subito dopo aver chiuso l’auto ed essersi guardato intorno, studiando l’ambiente - Allora, dov’è il morto?
- Buonasera, dottore. - soffiò - I resti si trovano al primo piano, la dottoressa Abelli si trova già lì insieme alla scientifica. Mi segua.
Sergio fece per avviarsi, ma si bloccò dopo qualche passo tornando a voltarsi in direzione delle ragazze.
- Pazientate ancora un po’, quando anche il dottor Ferraguti avrà visionato i resti sarete libere di andare. - il suo tono di voce carezzevole e dal volume basso riuscì a tranquillizzare le studentesse al punto che Eloisa se ne uscì con una richiesta inaspettata.
- Posso salire anch’io?
L’agente la fissò per un momento con i suoi grandi occhi azzurri spalancati in un’espressione sorpresa; prima che potesse rispondere fu Ferraguti a prendere la parola.
- Non abbiamo bisogno di un’ochetta ficcanaso che gioca a fare la detective. Tu resterai qui a dare supporto psicologico a quell’altra lagnosa, che mi sembra ne abbia bisogno.
- Ehi! - proruppe Marta, sentendosi offesa.
- Dottore! - Sergio cercò di riprendere l’uomo, tuttavia la sua voce non era fatta per comunicare autorevolezza - In verità, dovresti essere tu a salire un attimo con noi, Marta: visto che lo scheletro ti è caduto addosso, la scientifica vorrà controllare se ti è rimasta qualche traccia importante sui vestiti.
La ragazza impallidì: non aveva alcuna voglia di tornare in quella stanza, a differenza dell’amica. Non che avesse scelta, dal momento che era un poliziotto a chiederglielo. Dovette quindi arrendersi al suo volere e, con un sospiro pesante, mosse qualche passo verso di lui, che si rivolse nuovamente a Eloisa parlandole ad un volume ancora più basso di prima.
- Mi dispiace, ma è meglio se tu resti qui. Ah, e non prendetevela troppo per il dottor Ferraguti: lui è fatto così; non sapete quante volte ha rivolto anche a me epiteti poco lusinghieri.
- Ma questo non è un abuso sul posto di lavoro? - chiese Eloisa, accigliata.
- Ma no, non lo fa con cattiveria. È il suo modo di rapportarsi con le persone, per quanto poco piacevole...
- Palumbo, io sono un uomo impegnato, non come voi cagnolini della PM. - si spazientì Ferraguti. Sergio, allora, non ebbe altra scelta che guidarlo nel luogo del ritrovamento, non prima di aver rivolto alle studentesse un’espressione rassegnata da martire.
- Oh, bene, finalmente è arrivato anche l’antropologo forense! - la dottoressa Abelli accolse con queste parole e un frettoloso gesto della mano il dottor Ferraguti.
- Irene. - salutò laconico, senza sprecarsi a degnare di uno sguardo gli altri presenti.
- Non hai portato il tuo tirocinante?
- Oggi aveva un seminario. E io che speravo di poter mollare interamente a lui questo caso...
L’uomo si chinò sullo scheletro, ignorando l’occhiataccia della dottoressa, e iniziò ad osservare attentamente ogni dettaglio di qualunque tipo, ogni benché minimo segno presente sulle ossa.
- Dario, cosa ne pensi? - gli chiese la PM, dopo diversi secondi.
- Femmina, bianca, altezza circa un metro e sessantacinque, età compresa fra i diciotto e i vent’anni. È morta certamente da molti anni, direi almeno venti. Il particolare clima di questo luogo ha fatto in modo che il suo corpo si mummificasse, ma solo in minima parte. Per il momento non riesco a vedere traumi mortali, solo microfratture alla sesta e alla settima costa... - alzò lo sguardo per un momento verso i membri della polizia scientifica, che stavano esaminando Marta - Avete già notato queste macchie sui suoi vestiti?
- Quali macchie?
Ferraguti storse le labbra sottili in una smorfia eloquente; sul suo viso si poteva leggere chiaramente ciò che stava pensando in quel preciso momento: “Con che razza di incompetenti mi tocca avere a che fare!”.
- Queste macchie. - ribatté, seccato, indicando alcune impercettibili tracce sui jeans della vittima - Analizzatele insieme a tutto il resto e fatemi avere questo scheletrino bello impacchettato nel mio laboratorio al più presto, così sarò in grado di dare informazioni più precise e attendibili e identificare la causa della morte.
Era difficile impressionare Irene Abelli, eppure lui ci riusciva ogni volta con le sue osservazioni puntuali e immediate. Sergio, dal canto suo, si sentiva sempre piuttosto a disagio accanto all’antropologo forense: non si trattava solo di un genio che finiva ogni volta per instillargli dentro un senso di inferiorità, era anche un uomo particolarmente poco portato per il contatto con le persone. Diversamente da quanto aveva detto alle ragazze, non era del tutto vero che il suo atteggiamento verso gli altri non fosse guidato dalla cattiveria: Dario Ferraguti godeva nell’essere oltremodo intelligente e preparato nel proprio lavoro e, soprattutto, nel farlo pesare a chi aveva davanti. Sergio era semplicemente troppo puro e di buon cuore per riuscire a riconoscere il marcio nel prossimo, a meno che non si trattasse di un sospettato.
- Va bene, qui abbiamo finito. Possiamo andare tutti a casa! - Sergio informò Eloisa con un sorriso, affiancato da Marta, mentre uscivano dalla villa.
- Tu no, Palumbo - intervenne la PM, gelandolo sul posto - Devi venire con me a redigere il verbale. Inoltre dobbiamo fare una ricerca sui proprietari dell’immobile dall’epoca della morte a oggi, rintracciarli e interrogarli.
- In verità, dottoressa, - intervenne Eloisa - Noi siamo già in possesso delle informazioni che cerca. Don Gennari ci ha fatto avere tutta la documentazione riguardante l’edificio, fra cui la visura catastale storica; possiamo inviarvi tutto via mail.
- Don Achille Gennari? Il parroco della basilica di Santa Maria dei Servi?
- Sì, la villa è attualmente di proprietà dell’Ordine di San Michele Arcangelo e lui ci ha fatto da tramite per ottenere i documenti e accedere alla villa.
- Molto bene. Inoltrateci al più presto tutto quello che avete. Andiamo, Palumbo.
Sergio sospirò, poi rivolse uno sguardo intenerito a Eloisa e Marta e si allontanò per seguire la dottoressa Abelli in auto dopo aver salutato le ragazze con un cenno della mano.
Eloisa sentì vibrare con insistenza la tasca del giubbotto; dopo avervi infilato stancamente una mano ne estrasse il telefono sul cui schermo compariva il nome dell’ultima persona che avrebbe voluto sentire in quel momento.
Damiano Dallatana.