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Autore: Milly_Sunshine    01/12/2024    2 recensioni
Alysse Mercier è un'affermata giornalista sportiva. Durante un'esperienza come telecronista alla 24 Ore di Le Mans, conosce casualmente i membri della famiglia Forti, titolari di un noto brand di moda sponsor dell'auto numero 101 del team Vertigo guidata dal trio Yannick Leroy, Ryuji Watanabe e Tina Menezes. Convinta che i Forti abbiano a che vedere con la morte di suo marito Alexandre, avvenuta diversi anni prima e attribuita ufficialmente a un suicidio, Alysse decide di coinvolgere in un'indagine privata il collega Oliver Fischer, sentimentalmente legato a Tina e già protagonista di passate indagini su delitti retroattivi. Oltre a loro, entra in scena Dalila Colombari, madre single e vecchia fiamma di Oliver, che nasconde numerosi segreti ed è subito attratta dal più giovane membro della famiglia Forti. A fare da sfondo, una società contemporanea dove anche il totale vuoto di contenuti può essere monetizzato, la fine della carriera della Menezes, ormai vicina alla soglia dei quarant'anni, e un mistero vintage legato alla vita privata di un campione di automobilismo degli anni '80. // L'ambientazione è nello stesso universo de "Il Sussurro della Farfalla" e "Miss Vegas", ma la vicenda è a se stante. 167'000+ parole.
Genere: Romantico, Sportivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Diamond Universe'
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Dentro di me ho sempre saputo che ci sarebbe stato un terzo pseudo-romanzo con Oliver Fischer come pseudo-investigatore, dopo "Il Sussurro della Farfalla" e "Miss Vegas". Così come non era necessario avere letto il primo per leggere il secondo, potete dedicarvi a questa lettura anche se non avete letto i due precedenti. Non ci saranno, inoltre, spoiler relativi alle indagini precedenti, quindi se vorrete dedicarvi in futuro ai due passati episodi (suggerisco in particolare SDF che nessuno si è mai filato neanche di striscio, nonostante sia una delle mie pubblicazioni datate su EFP) potrete farlo tranquillamente senza preoccupazioni.

Accanto a Oliver ci sarà ancora Tina Menezes, come in "Miss Vegas", anche se solo per una parte della vicenda (ma non voglio spoilerare o spiegarvi perché), mentre a fare da co-protagonista (o da protagonista?) ci sarà un altro personaggio femminile, che *non* avrà un coinvolgimento romantico con lui.
Alysse Mercier è già comparsa ne "Il Paradosso del 27", da considerarsi un alternare universe rispetto a questo, in più era comparsa in una mia passata fan fiction pubblicata su Wattpad e poi rimossa (ci sono stati tempi bui, nella mia produzione).
Nonostante il setting inusuale - non siamo nel villone di un Lord inglese negli anni '50, ma nella contemporaneità - l'obiettivo è rendere credibile un omicidio per avvelenamento da cianuro. Non so ancora se ci sarà un momento in cui tutti i sospettati saranno radunati in una stanza e verrà esposta la soluzione del caso, ma il mio obiettivo è scoprirlo in corso d'opera.

Quando non scrivo racconti - o meglio, parallelamente alla loro scrittura - scrivo un blog sulla Formula 1 vintage (non solo, anche contemporanea e altre categorie di automobilismo), quindi non fate troppo caso al lavoro di Alysse e di Oliver. È lo stesso che svolgevano in altri racconti in cui sono comparsi. Per quanto li aiuti a venire in contatto con i sospettati, la vicenda del delitto sarà a se stante.
Nessuno dei due protagonisti ascolta musica trap, ma chissà, magari qualche trashissimo verso trap troverò il modo di infilarlo.

Nessun tè è stato corretto con il cianuro, né con altri veleni, durante la stesura di questa vicenda. L'obiettivo è pubblicare un capitolo ogni cinque giorni, almeno per il momento. Questo significa che, nel mondo ideale, per tutto il mese di dicembre i capitoli usciranno l'1 (oggi), il 6 e in tutte le date che terminano con -1 e con 6. In seguito si vedrà, anche perché nel corso di dicembre se tutto va come deve andare dovrei finire il giallo "Il Giardino della Tristezza" e a gennaio dovrei avere delle ferie, quindi questo potrebbe permettermi di scrivere di più.





Alysse Mercier osservava l'altra donna stando a un'opportuna distanza. Se non fosse stato per la carrozzina che spingeva e le occhiate che lanciava al neonato presente al suo interno, oppure per la signora dai capelli grigi che la accompagnava, avrebbe potuto dare l'impressione della femme fatale appena uscita da un film di spionaggio ambientato negli anni Trenta. Non che Dalila Colombari si vestisse con la foggia di quell'epoca, ma nella mente abituata a catalogare di Alysse vi erano archetipi universali che andavano oltre il tempo. Non vi erano dubbi che la fotografa sarebbe stata perfetta all'interno di un locale malfamato, appestato dal fumo di sigari e pieno di uomini alle prese con bicchieri di superalcolici. C'era solo l'intoppo del proibizionismo, dal momento che, secondo le regole universali dettate dal cinema di Hollywood, tutto accadeva solo ed esclusivamente negli Stati Uniti. Se valeva per gli sbarchi di extraterrestri, doveva essere così anche per le femmes fatales.
Se Dalila Colombari sarebbe stata perfetta in un film ambientato novant'anni prima, ovviamente Alysse sarebbe stata perfetta a scriverne la trama. Aveva la propensione, che sembrava aumentare progressivamente nel tempo, a farsi quantitativi esorbitanti di viaggi mentali su qualsiasi cosa, al punto da arrivare a dubitare delle proprie certezze. Le toccava sempre fare un grosso sforzo e ripetersi: "hai fantasia da vendere, questo sì, e te la cavi alla grande con le parole, ma questo non significa che quello che è reale non lo sia, quelle su Alex non sono mai state tue fantasie e lo devi dimostrare".
Alysse aveva deciso già da un po' di fare il grande passo, anche se le era servito un po' di tempo per capire come muoversi. Aveva avuto chiaro fin dal primo momento chi potesse aiutarla, ciò che non sapeva era come fare ad avvicinarlo. Lo conosceva, ci aveva anche lavorato insieme a qualche pezzo scritto a quattro mani, avrebbe potuto contattarlo in un qualsiasi momento, ma non era convinta che un approccio diretto sarebbe stato apprezzato. Non aveva abbastanza ascendente su di lui, mentre non si poteva dire lo stesso della femme fatale. A proposito, chissà perché si utilizzava una locuzione francese per definire le vamp. C'era qualche convinzione secondo cui le donne francesi fossero le più plausibili in quel ruolo? Alysse lo era per metà, ma di sentiva ben lontana - totalmente opposta - da quello stereotipo.
La "vamp" che stava tenendo d'occhio, nel frattempo, si era fermata e, ben lontana dall'apparire femme fatale, faceva smorfie e linguacce rivolta al proprio bambino. Poi, finalmente, consegnò la carrozzina nelle mani della donna più anziana e, quando questa si allontanò con il neonato, si sedette su una panchina.
Alysse si preparò per entrare in azione. Lasciò a Dalila il tempo di curiosare sullo smartphone, al quale si era attaccata non appena era rimasta sola, ma non gliene lasciò troppo. Attraversò la strada e le si avvicinò, esclamando: «Sei proprio tu?»
Dalila Colombari alzò gli occhi dallo schermo e ribatté: «Sì, sono proprio io. Strano che tu non te ne sia accorta, dato che mi stai fissando da dieci minuti buoni. O forse sei miope? Appartieni ancora a quella vecchia generazione convinta che gli occhiali rendano le donne brutte e poco appetibili? Stai tranquilla. Non sei molto appariscente, ma non saresti inguardabile nemmeno con gli occhiali. Ci sono montature che valorizzano l'aspetto. Non hai bisogno di andartene in giro come una talpa.»
Alysse avvampò, non perché si vergognasse di mostrarsi con gli occhiali - le mancava soltanto una diottria, vedeva discretamente e tendeva a indossarli solo quando guidava o andava al cinema - quanto piuttosto per essere stata colta sul fatto dalla Colombari, che in quanto a commenti sagaci non era seconda a nessuno.
«Sì» ammise, «Effettivamente ti avevo già vista. Eri con tuo figlio?»
«Esattamente, ma ora l'ho affidato a mia madre e mi godo dieci minuti di tranquillità» rispose Dalila, infilando il telefono in tasca. «O meglio, questi erano i piani. Naturalmente la tua presenza non era prevista e ridurrà di gran lunga la mia possibilità di starmene tranquilla.»
«Oppure» azzardò Alysse, «Hai chiesto a tua madre di portare a casa il bambino proprio perché speravi che venissi a raggiungerti. Se ti eri accorta di me, dovevi chiederti cosa ci facessi qui.»
«Il mio tempo è limitato, Mercier» replicò Dalila. «Vorresti avere la decenza di spiegarmi perché sei venuta da me? Perché ovviamente non mi bevo né la storia dell'incontro casuale, né sono convinta che tu sia venuta a trovarmi per una semplice visita di cortesia. Quindi siediti e dimmi cosa vuoi.»
Non si poteva dire che la Colombari non sapesse essere diretta. Alysse si accomodò al suo fianco, sulla panchina, e la informò: «Avrei bisogno di mettermi in contatto con Oliver Fischer per una questione piuttosto delicata.»
«Oh, interessante» osservò Dalila. «Hai pensato di fargli una telefonata o di mandargli un messaggio? Perché di solito questo è il modo più immediato. Oppure, se sai dove abita, potresti presentarti nelle vicinanze di casa sua e fingere che l'incontro sia avvenuto in maniera casuale. Che cosa vuoi da me?»
Alysse le ricordò: «Avete risolto un caso di omicidio insieme.»
Dalila confermò: «Lo so, non c'è bisogno che me lo ricordi.»
Alysse puntualizzò: «Non è il primo che Fischer ha risolto. Se la cava piuttosto bene.»
Dalila sbuffò.
«Diciamo piuttosto che ha la malaugurata abitudine di ritrovarsi invischiato in faccende complicate e pericolose che non lo riguardano. Non essendo capace di badare ai cazzi suoi, finisce sempre per impicciarsi e ritrovarsi coinvolto fino al collo.»
«Sbaglio o sei tu che l'hai coinvolto nel suo ultimo caso?» replicò Alysse. «Si dice che tu avessi una relazione con la vittima.»
«La vittima era ancora viva e vegeta, quando ho contattato Fischer» puntualizzò Dalila. «Non potevo certo immaginare che il mio amico sarebbe stato ammazzato. Anzi, è stato proprio lui a chiedermi di mettere in mezzo Fischer. E poi non è solo colpa mia, è arrivata anche la Menezes... e devo dirlo proprio a te, che Tina porta un sacco di guai?»
Alysse rabbrividì. Quel "devo dirlo proprio a te?" aveva senz'altro un significato e non vi era alcuna difficoltà, per lei, nel comprenderlo.
«Tu sai chi sono, vero?»
«Già.»
«Oh. Capisco. Quindi...» Alysse esitò. «Non...»
Dalila tagliò corto: «Non è così preoccupante, sai? Non è stato difficile identificarti. Quando ho iniziato a leggere i tuoi articoli, ho fatto qualche ricerca su di te. Ero curiosa, volevo scoprire se avessi qualche parentela con Alexandre Mercier, mi aveva colpito la sua storia. Ero arrivata a pensare che potessi essere sua sorella. Però, quando ho visto le tue fotografie e ti ho incontrata dal vivo, mi sei sembrata piuttosto familiare. Mi ricordavo - non so come, doveva essere sepolta in uno dei cosiddetti cassettini della memoria - di Alysse Montanari. Ho fatto delle ricerche anche su di lei, senza trovarne traccia. Al giorno d'oggi è difficile non apparire mai su internet, eppure l'ultima traccia di Alysse Montanari risaliva ai tempi della sua breve carriera agonistica. In compenso, Alysse Mercier sembrava essersi materializzata dal nulla circa dodici anni fa. E allora ho capito tutto.»
Alysse non sapeva più se sentirsi preoccupata o sollevata. Dalila sembrava focalizzarsi sul suo passato lontano, più che sull'altro aspetto.
«Cos'hai capito?»
«Ho capito che, dopo avere lasciato le competizioni, la Montanari ha verosimilmente preso una laurea in giornalismo e adesso scrive, da molti anni. I primi articoli risalgono a dodici anni fa, firmati Alysse Mercier. Se il suo cognome è Montanari, forse scrive sotto pseudonimo? No, c'è una spiegazione molto più semplice. Alysse, tu non sei una parente di Alexandre Mercier. Sei sua moglie.»
Un brivido gelido scosse Alysse.
«Perché hai indagato su di me?»
Dalila replicò: «È una parola troppo grossa per essere vera. Diciamo che, quando qualcuno mi incuriosisce, faccio le mie ricerche. Proprio nell'ambito di quelle ricerche, ho scoperto peraltro del tuo incidente con la Menezes. È vero che ti sei ritirata per quel motivo?»
«Non avevo sponsor. Non potevo continuare. Quello che è successo con la Menezes ha solo peggiorato la situazione e reso tutto più immediato. Però sarebbe finita lo stesso. Non ho rimpianti. La mia adolescenza è stata un continuo inseguire un obiettivo, ed ero costretta a sessioni di training allucinanti. Stare seduta a una scrivania e digitare parole, facendo quello che mi pare per tutto il resto del tempo, è molto più rilassante. È questa la mia vera vita e non la cambierei.»
«Ci sta. Per quanto riguarda tuo marito, invece...»
Alysse interruppe Dalila sul nascere: «Bada ai cazzi tuoi. Alexandre non ha niente a che vedere con te.»
«Ma con Fischer sì, oserei dire» dedusse la Colombari. «Magari speravi che non lo capissi, ma sei stata proprio tu ad aprirmi gli occhi. Mi hai parlato di casi di omicidio risolti da Oliver e, se ben ricordo, tuo marito è morto in circostanze misteriose.»
«Si è suicidato, ufficialmente.»
«Sì, ma immagino che per te siano circostanze misteriose. Vuoi che Fischer ti aiuti a scoprirne qualcosa e che io ci metta una buona parola, giusto?»
Alysse abbassò lo sguardo. Non riusciva a credere di essere così prevedibile. Non vi era alcun dubbio: non c'era confronto, tra lei e Dalila Colombari.
Quest'ultima insisté: «Con me puoi parlare. Tutto ciò che è misterioso mi intriga. Penso che tu l'abbia capito, ormai. Sono anche piuttosto brava a scoprire i fatti altrui, quindi io stessa potrei esserti d'aiuto. Penso che Fischer abbia altro a cui pensare, negli ultimi tempi, anche se non posso sbandierare gli affari suoi ai quattro venti. Non sarebbe felice, se facessi certe rivelazioni.»
«Fammi capire» obiettò Alysse. «Per caso mi stai proponendo di essere tu stessa a indagare sulla morte di mio marito? Di non coinvolgere Oliver?»
«Non lo so, diciamo che per ora questa storia mi intriga. Sono passati parecchi anni, ormai, dal presunto suicidio di Alexandre Mercier. Direi che è trascorso più di un decennio, se non ho sbagliato i miei calcoli. Eppure, per tutto questo tempo, te ne sei stata buona in disparte, senza dare segno di volere ribaltare il mondo per arrivare alla verità. Come mai questo improvviso cambiamento? È successo qualcosa, per caso?»
«Sì e no.»
«La tua risposta non chiarisce i miei dubbi, Mercier. Potresti darmi una spiegazione degna di questo nome?»
Messa di fronte alla richiesta di Dalila, Alysse replicò: «Non so se posso fidarmi di te.»
La Colombari puntualizzò: «Nessuno può fidarsi fino in fondo di qualcun altro, ma bisogna fare delle scelte. Se è capitato qualcosa, non deve essere così scabroso ed epocale, altrimenti qualcuno ne avrebbe parlato. Quindi te lo chiedo un'altra volta: è accaduto qualcosa di nuovo, che ti ha spinta a cambiare atteggiamento?»
«Ho incontrato persone che avevano a che fare con Alexandre» rispose Alysse, «E Oliver Fischer avrebbe modo di interagire con loro senza destare sospetti.»
«Molto interessante» convenne Dalila. «Si tratta dei figli di Emilio Forti, immagino. Ho sentito dire che frequentavi Yannick Leroy. Li hai incontrati insieme a lui?»
«Yannick Leroy non ha niente a che vedere con questa storia e deve restarne fuori.»
«Non gli hai detto che sei stata sposata con Mercier?»
«Non sa nemmeno chi sia. Gli ho detto che sono stata sposata, in passato, ed è tutto quello che sa. Ha ipotizzato che fossi divorziata e gliel'ho lasciato credere. È molto più semplice così. Non avevo ragioni per parlargli di Alexandre e del fatto che non credo nel suo suicidio.»
«Quanti, oltre a te, non ci credono?»
«Non abbastanza. Messi di fronte al fatto compiuto, tutti l'hanno accettato, alla fine, o danno segno di averlo fatto.»
«Perché non lo accetti anche tu?»
Nonostante avesse temuto osservazioni ben più innocue, Alysse non fu per niente intimorita da quella domanda. Sapeva perfettamente cosa dire e lo fece senza alcuna esitazione: «Perché i fatti compiuti possono essere studiati ad arte proprio per apparire tali. Dovresti saperlo anche tu. È successo anche con il tuo amico, o amante, o qualsiasi cosa fosse. Sbaglio o si parlava di omicidio avvenuto in concomitanza con una rapina? Eppure la verità era molto diversa.»
Dalila le ricordò: «Si partiva comunque dal presupposto che un omicidio ci fosse stato. Non mi pare sia andata così, nel caso di tuo marito.»
«Conoscevo Alexandre meglio di chiunque altro» insisté Alysse, «E sono certa che non si sarebbe mai suicidato, e di certo non l'avrebbe fatto quel giorno. Non può avere fatto quello che dicono, ne sono sempre stata certa. Eppure, messa di fronte ai fatti, ho dovuto arrendermi e piegarmi a volontà imposte dall'alto. Adesso, però, qualcosa è cambiato.»
Dalila sbuffò.
«Il risveglio delle coscienze contro i poteri forti. Mi dispiace, ma le teorie del complotto non mi interessano, specie considerato che si va giorno dopo giorno sempre più sul ridicolo. Passi per lo sbarco sulla Luna girato a Hollywood, ma ci rendiamo conto che esiste gente che parla degli uomini lucertola che dominano il mondo? Posso capire l'insinuare che a Hollywood sarebbero in grado di girare uno sbarco sulla Luna anche se questo non fosse mai avvenuto nella realtà, ma che ci siano in giro tra di noi mutaforma capaci di trasformarsi da lucertoloni a umani e viceversa va oltre ogni senso logico.»
«Ti sto dicendo che mio marito non si è avvelenato da solo, non sto parlando dell'allunaggio o di lucertole mutaforma» replicò Alysse. «Non sai un cazzo né di me né di lui, non puoi darmi della visionaria. Non ti sto chiedendo di credermi, ma solo di fare da intermediaria tra me e Fischer. Se ci sei di mezzo tu, non riuscirà mai a dirti di no. Tu sai di me e Leroy, io so di te e Fischer.»
«È una vecchia storia.»
«Il bambino è suo?»
Dalila rise.
«No, certo che no! Se non ci credi, puoi chiederglielo. Mio figlio è stato concepito quando Fischer stava già insieme alla Menezes.»
«Non è affare mio» ammise Alysse. «Posso contare su di te? Mi metterai in contatto con lui?»
«Perché io e non la Menezes?» obiettò Dalila. «Ha messo indirettamente fine alla tua poco promettente carriera di pilota. Dovrebbe sdebitarsi con te, in un modo o nell'altro.»
Alysse scosse la testa.
«Tina Menezes si è già sdebitata con me molto tempo fa. Non so che fine avrei fatto, se non fosse stata per lei. È stato lo stesso giorno in cui poi ho conosciuto Oliver Fischer.»
Dalila si girò a fissarla, con gli occhi spalancati.
«Racconta!»
«Credimi, non è così interessante.»
«Ormai mi hai messo la pulce nell'orecchio.»
Alysse sospirò.
«Una volta sono stata aggredita da dei tifosi ignoranti di Rocket Boy.»
«Di chi?»
«Era il soprannome di un noto campione di motociclismo molto in voga negli anni duemila. Loro lo definivano così, figurarsi abbassarsi a riferirsi a lui chiamandolo per cognome.»
«Oh, hai ragione, Rocket Boy» confermò Dalila. «Cos'è successo? E cosa c'entra la Menezes?»
Non c'era scampo. La Colombari pretendeva un resoconto dettagliato degli eventi. Lo avrebbe avuto. Tutto ciò che poteva condurre al risultato finale - collaborare con Oliver Fischer - doveva essere messo in pratica senza esitazione alcuna.

***

Gli schiamazzi degli appassionati del motomondiale, radunati in un bar non troppo lontano dall'autodromo di Misano in un'ordinaria domenica di fine ottobre, seduti al tavolo accanto erano esattamente il tipo di distrazione che serviva ad Alysse Montanari in un momento come quello: era il giorno della gara finale del campionato di Formula Junior, quella a cui non poteva prendere parte per i danni riportati il giorno precedente nel contatto con una vettura fuori controllo. Era tutto finito: niente più pezzi di ricambio, niente più sponsor, il tutto mentre un attimo prima dell'incidente occupava, a due giri dalla fine, l'ottava posizione, quella che le avrebbe garantito di partire dalla pole position nella sprint race, nella quale vi era una reverse grid parziale.
Ripensarci il giorno dopo faceva male: aveva solo diciassette anni e la sua carriera poteva considerarsi già terminata. Non che classificarsi in ottava posizione nella gara del sabato potesse stravolgere la situazione, ma se non altro qualcuno si sarebbe accorto della sua esistenza, nel vederla partire dalla prima casella della griglia di partenza. Probabilmente non le avrebbe garantito una sponsorizzazione, ma le avrebbe fatto raggiungere almeno per un attimo l'apice del successo.
Alysse non si era mai illusa: sfondare non sarebbe stato facile e, con tutta probabilità, nessuno avrebbe mai inneggiato a lei nella maniera in cui quelli del tavolo - seppure appassionati di due ruote anziché quattro - accanto idolatravano il loro pilota preferito. Non che il loro atteggiamento, a lungo andare, si rivelasse molto saggio e costruttivo.
Di colpo si sollevò un coro di imprecazioni e qualcuno scagliò in aria un bicchiere di plastica. Conteneva birra, a giudicare dall'odore che Alysse sentì quando le arrivarono addosso alcuni schizzi. Scoccò un'occhiata di fuoco al quartetto del tavolo accanto - tutti uomini sulla quarantina - aspettandosi che qualcuno le chiedesse scusa. Invece no, uno le domandò: «Che cos'hai da guardare, brutta vacca? Non te ne importa proprio niente, eh?» Indicava qualcosa di imprecisato sul televisore acceso. «O magari sei anche una di quelle stronze che tifano contro a Rocket Boy, perché pensano di essere più fighe. Rassegnati, tu sarai sempre una nullità, utile solo quando sei sdraiata su un letto a gambe aperte.»
Un altro rise.
«Ci scommetto che le piacerebbe provare. Dà l'idea di essere una di quelle che nessuno si fila.»
Un altro osservò: «È una delle due ragazze della Formula Junior, c'era la sua foto sul volantino del circuito! Ieri lei e quella tizia sudamericana si sono buttate fuori a vicenda.»
Non era andata proprio così e Alysse si riteneva assolutamente non colpevole dell'accaduto, e peraltro la direzione gara che aveva squalificato l'altra ragazza dalla gara della domenica, ma discutere con quella gente non avrebbe avuto alcun senso, dato che la stavano insultando senza una ragione ben precisa. A giudicare dalla loro età, erano tutti uomini di cui avrebbe potuto essere figlia, il che peggiorava una situazione già assurda.
Soltanto uno non sembrava interessato a lei e urlava contro il televisore: «Quel pezzo di merda che in teoria avrebbe dovuto aiutarci, dov'è andato a finire? La volta scorsa ha fatto il suo dovere, buttando fuori lo stronzo che sta per portare via il campionato a Rocket Boy, non capisco perché non si ripeta! Non può permettere che il mondiale ci venga rubato!»
L'uomo che aveva riconosciuto Alysse convenne: «Concordo, questo è l'evento più scandaloso della storia del motomondiale! È tutto un complotto per far vincere uno di quegli altri incapaci, quando sappiamo chi sia l'unico che sa guidare una moto lì in mezzo! Se non ce la fa, è tutta colpa di questa puttanella.» Si alzò di scatto dal tavolo e si piazzò davanti ad Alysse. «Sei tu che gli hai fatto io malocchio, vero, brutta stronza? Perché non ti ammazzi?»
Alysse rabbrividì. Lo fissò per un attimo senza proferire parola, poi iniziò a balbettare qualcosa.
«I-io non... n-non so di cosa... di cosa stai parlando.»
L'uomo scattò verso di lei e la afferrò per i capelli, facendola ribaltare dalla sedia e stramazzare a terra.
«Ehi, calmatevi!» sbottò il barista, mentre Alysse riceveva un calcio in un fianco.
L'uomo che l'aveva aggredita insisteva: «Chiedici subito scusa per le tue gufate, lurida troia, altrimenti ti facciamo a pezzi. Poi violentiamo tua madre e le diamo fuoco. È quello che ti meriti! Quelli che non tifano Rocket Boy dovrebbero essere condannati a morte!»
«Questo è vero» dichiarò il barista, con una risata, «Però non voglio spargimenti di sangue nel mio bar. Hai capito, bimba? Alza il culo da terra, prendi i tuoi stracci e vai a buttarti in un pozzo! Perché non te ne vai a casa a studiare, se proprio non sai cosa fare? Non ci vai più, a scuola?»
Alysse cercò di alzarsi, aggrappandosi alla sedia.
Il suo aggressore la immobilizzava.
«Chiedi scusa, piccola scrofa, e togliti la maglietta, che vogliamo vedere se le tue tette sono vere o se usi il reggiseno imbottito. Fallo subito, così saremo gentili con te.»
Dal tavolo qualcuno commentò: «Sei un grande! Falla pure spaventare a morte, quella zoccoletta che gufa Rocket Boy e gli fa il malocchio! Poi magari convincila a venire in bagno con noi, così ci divertiamo tutti.» Si rivolse direttamente ad Alysse: «Ti piacerebbe, vero, brutta cessa? Ci scommetto che nessuno vuole niente da te. A nessuno interessano le ragazzine che corrono in macchina. Anzi, le ragazzine non dovrebbero correre in macchina.»
«Perché no?» obiettò un altro. «Quei sacchi di spazzatura non sanno guidare, quindi si ammazzeranno tutte. Non abbiamo bisogno di loro, specie se tifano per qualcuno di quegli stronzi rinnegando i veri eroi.»
Oh, giusto, quella era la ragione per cui Alysse era paralizzata a terra, colta di sorpresa incapace di qualsiasi reazione, immobilizzata da un uomo che aveva il doppio dei suoi anni che non aveva mai visto prima di quel giorno, mentre altri la insultavano e sostenevano di volere abusare di lei: non aveva seguito con attenzione le peripezie di un pilota di MotoGP che si sarebbe sicuramente vergognato di avere dei simili tifosi e aveva provato indifferenza nel vedere con la coda dell'occhio una sua caduta nell'ultima gara del campionato.
Per fortuna il suo aggressore le lasciò un po' di tregua. Le diede la possibilità di rialzarsi, mentre Alysse fu accusata dal barista: «Hai rovinato il pomeriggio ai miei clienti! Vattene subito e non farti più vedere.»
Non se lo fece ripetere due volte. Cercando di non mettersi a correre, guadagnò l'uscita. Aprì la porta e, quando la sentì richiudersi alle sue spalle, tirò un sospiro di sollievo. Era finita.
Prese fuori il cellulare che teneva in tasca e controllò se qualcuno l'avesse cercata. Aveva ricevuto soltanto un MMS con una pubblicità del suo gestore telefonico. Un'immagine confusa a tema vagamente natalizio faceva da sfondo a una scritta che le ricordava come, di lì a poche settimane, avrebbe potuto attivare una promozione per l'inverno con mille SMS gratis fino al 31 dicembre. Quel messaggio le parve la cosa più rassicurante del mondo. Poi, alle sue spalle, qualcuno la assalì spingendola a terra. Era ancora il tizio del bar, che le urlò contro, mentre Alysse lasciava cadere il cellulare a terra e, appena in tempo, attenuava con le mani l'impatto con il suolo: «Tu tifavi per quel coglione che è passato in Superbike, vero? Da una testa di cazzo traditrice dei valori universali come te non mi potrei aspettare altro!»
«Valori universali? Superbike?» ebbe il coraggio di ripetere Alysse, recuperando il telefono e infilandolo nella tasca della felpa. «Tu sei pazzo.» Si tirò su e si girò verso di lui, trovando la forza di guardarlo negli occhi. «Sei completamente fuori di testa.»
«Rocket Boy aveva già vinto il mondiale» fu la replica dell'uomo. «Era andato tutto così bene, la scorsa gara, il suo rivale era stato messo a terra. È arrivato all'ultima gara con un buon vantaggio in classifica. Aveva la vittoria in tasca e invece adesso è ultimo, è caduto per colpa dei suoi detrattori e delle loro gufate. Tu sei una di loro. Ammettilo e ti lascio stare.»
Fece per avvicinarsi e Alysse fece d'istinto un passo indietro, replicando: «Devi lasciarmi in pace. Guardo le gare di MotoGP solo di tanto in tanto. Ho altre cose da fare.»
«Tipo schiantarti su una monoposto di Formula Junior?»
«Tipo schiantarmi su una monoposto di Formula Junior, se è così che la vuoi vedere. Ora, per cortesia, torna dentro al bar e lasciami in pace.»
«Non ho più niente da fare dentro al bar, dato che chi merita il campionato non può ottenere ciò che gli spetta.»
Alysse scosse la testa.
«Non è così che funziona. Nel motorsport nulla ti spetta. Non puoi prendertela con gli altri. In fondo è stato Rocket Boy, come lo chiami tu, a cadere.»
Il tizio del bar rimase immobile sulla propria posizione: «Il mondiale è truccato, non può essere diversamente, e tu non ne capisci un cazzo. È meglio che lasci perdere. Non conosci qualche ragazzino a cui darla? O magari qualche uomo adulto.» Prima che Alysse potesse allontanarsi, scattò verso di lei e la afferrò per il collo. «Ti confesso che l'idea di scoparmi una ragazzina che tifa contro Rocket Boy mi attizza più delle sottovesti di pizzo che si mette ogni tanto mia moglie.»
Quindi era sposato? La sua consorte lo sapeva che, oltre a importunare una minorenne con allusioni sessuali, trascorreva il proprio tempo a minacciare di morte persone che, a suo dire, non devolvevano la propria esistenza al divenire ultrà di un pilota motociclismo che veniva rigorosamente tifato in qualità di vincente?
Allungò un braccio per spingerlo via, ma l'aggressore fu più rapido di lei e le diede un vigoroso pizzicotto sul seno.
«Avanti, piccola, fammi vedere se hai già imparato qualcosa o se ti devo insegnare tutto io.»
A quanto pareva era intenzionato ad insistere. Era un vero peccato che quel giorno non piovesse. Alysse era certa che, se avesse avuto a disposizione uno degli enormi ombrelli che utilizzava d'abitudine, sarebbe riuscita a tenerlo sotto controllo con un colpo ben assestato. Invece era sereno, quindi le toccava farlo ragionare.
«Ho appena diciassette anni» disse, cercando di mantenere la calma. «Potrei quasi essere tua figlia.»
«Ma non lo sei» ribatté l'altro, con una risata.
Fece per avvicinarsi di nuovo e metterle ancora le mani addosso, ma in quel momento accadde un miracolo. Somigliava un po' alle scene stereotipate di romanzi e telefilm adolescenziali, quelle in cui il principe azzurro accorreva dal nulla come un deus-ex-machina a salvare la protagonista da ogni genere di difficoltà. L'unica differenza era che non si trattava del principe azzurro, ma di una ragazza dai lunghi capelli neri sbucata fuori da chissà dove.
Allontanò da Alysse l'uomo del bar e, con quella cantilena tipica degli accenti sudamericani, gli intimò: «Stai lontano da lei, vecchio porco! Non vedi che è una ragazzina?»
La sua comparsa era stata una sorpresa anche per lui, che tuttavia replicò senza scomporsi: «E tu chi cazzo sei? Un'altra bimbaminchia che pensa di conoscere le dinamiche del campionato di motociclismo? No, perché questa cretina si è messa a insultarci tutti e...»
Alysse stava per ribattere che non aveva insultato nessuno, ma non ne ebbe il tempo. La "deus-ex-machina" puntualizzò: «Non me ne intendo di moto, ma solo di auto. E secondo me, di moto non capisci un cazzo nemmeno tu. Del resto, non c'è una gara di MotoGP in questo momento? Se ti interessa così tanto, perché non sei davanti alla televisione a guardarla in religioso silenzio, invece di importunare le ragazzine?»
Il tizio del bar ribatté, sprezzante: «Tu, invece, non hai niente da fare? Sei carina. Perché non prendi in considerazione l'idea di reinventarti come escort?»
«Potrei prenderti in considerazione l'idea di tirarti un calcio nelle palle, invece.»
«Figurati, non credo che ne avresti il coraggio.»
La ragazza con i capelli neri non replicò. Passò all'azione e fece ciò che aveva detto, mettendo a terra l'ultrà delle due ruote. Per la prima volta, Alysse sentì una certa ammirazione nei suoi confronti.
«Wow, bel colpo.»
L'altra la afferrò per un braccio.
«Forza, andiamocene di qui.»
«Dove?»
«In un posto dove questo stronzo non venga a tormentarti.»
Alysse la seguì senza fare storie, nonostante tutto. Solo quando furono molto lontane, sedute sulla panchina di un parco, le domandò: «Perché l'hai fatto?»
«Perché ho fatto cosa?»
«Perché sei intervenuta? Dopo quello che è successo ieri...»
L'altra ragazza la interruppe: «Sono intervenuta perché ho visto che eri in difficoltà e che non sapevi come cavartela, con quel tizio. Ti stava importunando e la cosa mi faceva venire il voltastomaco. Quello che è successo ieri che importanza ha? Ho tentato un sorpasso e mi è andata male. La direzione gara ha esagerato. Avrei dovuto essere al volante, oggi pomeriggio. Invece sono qui, in giro, perché non ce la facevo a stare in autodromo sapendo di non potere scendere in pista.»
«Anch'io avrei dovuto essere al volante» replicò Alysse, con freddezza, «Ma tu hai rovinato tutto. Guarda al lato positivo: tu non sei a bordo di un'auto oggi pomeriggio, io potrei non salire mai più su una monoposto. Avrebbe potuto andarti molto peggio.»
«Adesso vedi tutto nero, ma le cose cambieranno, ne sono certa.»
«Io invece sono certa del contrario. Penso che ormai non ci sia più molto da fare, per me.»
«Non essere così negativa.»
«A volte non ci sono altre possibilità: essere negativi è l'unica opzione possibile. Bisogna semplicemente inventarsi qualcos'altro, per andare avanti. E ti assicuro che qualcosa me lo inventerò. Sentirai di nuovo parlare di me, prima o poi.»

***

Dalila Colombari ascoltò la prima parte del racconto con un certo interesse, cercando di ricostruire l'accaduto.
«Me lo ricordo vagamente, quel finale di stagione. Il cosiddetto "Rocket Boy" era arrivato alla gara finale da favorito, ma poi è caduto. Il suo avversario diretto non è riuscito a vincere, ma mi pare che abbia concluso sul podio. I punti conquistati erano sufficienti per la vittoria del titolo. Mi sfugge il nome. Era australiano, o forse americano? Non ricordo. Aveva un nome anglofono. Ho letto che è morto qualche anno fa.»
«Mhm» borbottò Alysse. «Quella è un'altra storia.»
«In che senso?»
«Parlo di un articolo che ho scritto ai tempi della sua morte e che, sul momento, mi ha dato un sacco di problemi. Però quei problemi mi hanno portata dove sono ora, quindi non mi posso lamentare troppo.»
«Ti chiederei di essere più chiara, ma ammetto che mi interessa di più Oliver Fischer e il suo ruolo in tutto questo» ribatté Dalila. «Siamo rimasti a Tina Menezes che si lamenta per la squalifica e che se ne va a zonzo comparendo in modo provvidenziale. A proposito, è stata la sua unica partecipazione al campionato italiano di Formula Junior, quell'anno. Non era impegnata nella Formula 3 brasiliana o qualcosa di simile? Credo che un suo sponsor l'abbia voluta fortemente all'evento di Misano...»
Alysse la interruppe: «Non so perché fosse presente, ma era una guest driver e non l'avevo mai incontrata prima. Forse sarebbe stato meglio non incontrarla affatto, ma non voglio recriminare, come ho già detto. Sono felice che la mia carriera di pilota sia finita là.»
«Perché ti firmi con il cognome di tuo marito?»
«Perché non voglio essere collegata ad Alysse Montanari, kartista nei primi anni duemila e poi impegnata per una stagione in Formula Junior. Voglio essere giudicata per quello che scrivo. Se i miei lettori sapessero chi sono, magari andrebbero a scomodare i miei risultati e direbbero che devo stare zitta.»
«Lettori o lettrici?» replicò Dalila. «Ti ho seguita per anni e spesso ho avuto l'impressione che scrivessi rivolta a un pubblico di sole donne. Anzi, nello specifico, rivolta a un pubblico di sole donne appassionate di motori certe che ciò che le identifica come appassionate sia l'essere donne. Sono convinte di essere creature superiori, sia alle altre donne in quanto appassionate di motori, sia agli altri appassionati di motori in quanto donne. Sai, quelle che urlano "girlpower" a ogni soffio di vento, e che ritengono di essere speciali perché, a loro dire, ribaltano gli stereotipi di genere in una società che altrimenti non permetterebbe loro di essere libere. La libertà, ovviamente, consiste nello scrivere millemila post inutili sui social e ottenere i doverosi like. Questo vale sia per gli uomini sia per le donne. Se non ricevono like e condivisioni, ovviamente si inventano regimi dittatoriali che esistono solo nella loro testa.»
«Quindi che soluzione proponi? Usare i social solo per questioni di primaria importanza?»
«Per questioni di importanza, immagino che tu ti riferisca a post tipo: "accendete un like per tutti i bambini che muoiono a causa delle guerre". Ovviamente corredati da considerazioni tipo: "lo sai che i bambini che nascono in paesi in guerra vengono educati all'odio? Ti stai commuovendo per bambini che hanno sicuramente detto cose brutte e che, di conseguenza, meritano di morire sotto le macerie di un palazzo bombardato". No, grazie. È molto meglio parlare di k-pop. Oppure parlare di qualsiasi altro argomento leggero con lo stesso tono con cui lo farebbero delle quindicenni pazze per il k-pop.»
«Scusami, Colombari, il succo del tuo discorso quale sarebbe?»
«Che scrivi per un pubblico di disagiate, quindi non dovresti preoccuparti troppo di quello che pensano di te.»
Alysse obiettò: «Non scrivo più per quel tipo di pubblico, ho fatto grossi salti di qualità negli anni recenti. Ho anche lavorato come telecronista durante la stessa edizione della 24 Ore di Le Mans. È stata una bella esperienza e spero che possano capitarmi altre occasioni simili.»
«Hai rivisto la Menezes?» volle sapere Dalila.
«Eccome se l'ho vista» rispose Alysse. «Ho anche pranzato insieme a lei, un giorno. Non eravamo sole. C'erano anche Yannick Leroy e Ryuji Watanabe.»
«La line-up della 101 al gran completo» osservò Dalila. «Cosa ci facevi con loro?»
«È capitato che andassimo a pranzo insieme, tutto qui» spiegò Alysse. «Ho raccolto qualche pettegolezzo che poi ho riportato in telecronaca. Stavo facendo il mio lavoro.»
«E Fischer?»
«Immagino fosse a casa a lavorare, oppure a badare ai fatti suoi.»
«Voglio dire, avremmo dovuto parlare di Fischer. Stiamo andando fuori contesto, mi pare.»
«Non per colpa mia. Sei tu che hai iniziato a parlare dei miei articoli e perfino dei bambini che muoiono in guerre non ben specificate. Cosa vuoi sapere? Ti ho già raccontato quasi tutto.»
«Quasi, appunto. Hai conosciuto Fischer quel giorno, hai detto. Siccome i mezzi tecnologici non erano all'avanguardia come quelli attuali - anche se i messaggi dei gestori telefonici con lo sfondo rosso e i fiocchi di neve ci sembravano il meglio del meglio, almeno finché non ci rendevamo conto che ci avevano addebitato venti centesimi per mandarceli - posso immaginare che quell'incontro sia avvenuto in presenza e non dietro a uno schermo. O vi siete conosciuti via SMS? Considerando che Fischer non viveva in Italia, ai tempi, un simile modo di restare in contatto doveva essere molto costoso. Non si potevano mandare messaggi gratis all'estero, entro il 31 dicembre. Lo specifico, entro il 31 dicembre alle 23.30 o giù di lì, perché poi le linee erano intasate e non si riusciva a mandare messaggi minimo fino alle due di notte. Ed essendo già gennaio si pagavano. Era così terribile quando un anno finiva. Era...»
«Sai una cosa, Colombari?» la interruppe Alysse.
«Dimmi.»
«Parli troppo.»
«Non...»
«Abbi almeno la decenza di stare zitta quando ti viene fatto notare! Vuoi sapere di come ho conosciuto Fischer?»
Dalila annuì e incrociò due dita sulla bocca, come a indicare che, da quel momento in poi, avrebbe taciuto. Alysse sperò che fosse vero, ma non contava troppo. La Colombari, tuttavia, riuscì a sorprenderla in positivo, permettendole di completare il proprio racconto a proposito dei fatti di diciotto anni prima.

***

Stava scendendo la sera e, se Alysse non si fosse decisa a correre in stazione, avrebbe perso il treno. Non che le importasse qualcosa: se fosse arrivata tardi, o addirittura l'indomani mattina, avrebbe potuto saltare un giorno di scuola. Non disprezzava lo studio, ma non aveva alcun desiderio di entrare in classe e sentirsi porre domande sul fine settimana appena trascorso.
Si avviò, svogliata, nella direzione che riteneva corretta, salvo poi essere fermata all'improvviso da un ragazzo biondo che poteva avere sui vent'anni.
«Alysse Montanari, vero?» le chiese, parlando in italiano con un accento straniero non ben identificabile. «Mi è dispiaciuto per te, ieri. La colpa dell'incidente è stata dell'altro pilota. Non ho capito come si chiami, credo Menezes. Non ha preso parte alle altre gare della stagione.»
Quindi era un esperto di Formula Junior? Alysse non se lo aspettava. Ci tenne comunque a precisare: «Altra, non altro. Si chiama comunque Menezes. Sono d'accordo con te, la colpa è stata sua. Ma, sono curiosa, come fai a saperlo? Segui la Formula Junior?»
Il ragazzo accennò un lieve sorriso.
«Non proprio. Diciamo che, per motivi che non sto a spiegarti, le corse automobilistiche mi hanno sempre affascinato. È quello di cui vorrei scrivere, un giorno.»
«Aspirante giornalista?»
«Già. Sono in vacanza in Italia e ho deciso che volevo vedere dal vivo un evento motoristico, per la prima volta nella mia vita, e magari scriverci per il mio blog.»
«Sei un blogger, quindi» osservò Alysse. «Hai tanti follower? Sei famoso?»
«Sei follower. A me sembrano tanti, ma non sono sicuro che sia così.» Il ragazzo rise. «Chissà, magari se tu mi concedessi un'intervista, potrei pubblicarla e sperare in un incremento delle visite. Potrei tradurla in più lingue.»
«Veramente ho un treno da prendere» obiettò Alysse. «Mi dispiace.»
Il ragazzo sospirò.
«Pazienza. Cercami in internet. Mi chiamo Ollifish86.»
«Come?»
«O. L. L. I. F. I. S. H. 8. 6.»
«Nickname curioso. Come te lo sei inventato?»
La risposta fu un po' deludente, essendo segno di poca fantasia: «Mi chiamo Oliver Fischer e sono nato nel 1986.»
«Di conseguenza» dedusse Alysse, «Se fossi una blogger dovrei chiamarmi Alymont89.»
«Suona bene» osservò Oliver. «Pazienza, per la mancata intervista. Sarebbe stato bello, ma apparentemente non era destino.»
«Cosa volevi chiedermi?» azzardò Alysse. «Devo ammettere che l'idea di essere intervistata non mi dispiacerebbe. Non mi è mai successo prima d'ora e forse non mi succederà mai.»
«Chi può dirlo?»
«Ne sono abbastanza sicura. Purtroppo non ho grandi prospettive di carriera. Cadrò nel dimenticatoio molto prima di quanto tu possa immaginare. Allora inizierai a pensare di esserti risparmiato una grossa perdita di tempo.»
Oliver scosse la testa.
«No, non è affatto una perdita di tempo. Anzi, mi è venuta un'idea.» Si mise a rovistare nello zaino che portava sulle spalle. Ne prese fuori un blocco per appunti e una penna. Alysse lo vide scrivere qualcosa, prima di passarle il foglio. «Questo è il mio indirizzo e-mail. Contattami. Ti mando la lista delle domande e tu mi rispondi. Poi, prima di pubblicare, ti mando l'intervista e controlli che sia tutto a posto. Ci stai?»
Se Oliver Fischer non fosse stato un bel ragazzo, probabilmente Alysse non lo sarebbe nemmeno stato a sentire. Però quel blogger aveva un certo fascino, anche se molto probabilmente non l'avrebbe incontrato mai più.
Prese il foglio, lo ripiegò e se lo mise in tasca.
«Ti contatterò» gli assicurò. «È stato un piacere conoscerti.»
«Il piacere è tutto mio» rispose Oliver. Prese fuori il cellulare. «Posso farti una foto? La metterei nel post con l'intervista.»
Alysse acconsentì.
Oliver osservò: «È venuta molto bene.»
Le mostrò un'immagine piuttosto buia, in cui si intravedeva la figura di Alysse. Per essere stata scattata da un telefono di un modello neanche troppo recente, di una di quelle marche i cui acquirenti si consideravano alternativi, salvo poi iniziare a lamentarsi di non avere comprato un cellulare del marchio leader di mercato, si trattava effettivamente di un risultato apprezzabile.
Alysse e il blogger Ollifish86 si salutarono. Dispiaciuta di avere rimandato l'intervista, ma felice di avere un recapito di quel ragazzo, si diresse verso la stazione. Arrivò nell'ingresso proprio nel momento in cui veniva annunciata una partenza per Bologna Centrale. Corse lungo il sottopassaggio, diretta verso il binario interessato, e per poco non dimenticò di timbrare il biglietto.
Aveva il fiatone. Si lasciò sprofondare sul sedile e attese qualche istante prima di fare una telefonata.
Suo padre, che le aveva trasmesso la passione per i motori, non l'aveva accompagnata a Misano, quel fine settimana, sostenendo che fosse grande abbastanza per cavarsela da sola. Ci sarebbe stato tutto il team, insieme a lei, le aveva detto. Si era perso la sua ultima gara, ma del resto non si era perso più di tanto.
Rispose quasi subito.
«Alysse, quando arrivi a Torino?»
«Non lo so» gli rispose. «Adesso sono sul treno per Bologna, non so a che ora ci sarà la coincidenza.»
«Arriverai tardissimo» osservò suo padre. «Va bene, non fa niente. Qualsiasi ora sia, chiamami e ti vengo a prendere in stazione.»
«Sì ti chiamo. Ci sentiamo più tardi.»
Alysse riattaccò ed esaminò il telefono. Nonostante la caduta di quel pomeriggio, non aveva nemmeno un graffio. Era resistente, come spesso capitava quando si sceglievano marche e modelli dall'alta reputazione. Chissà se il cellulare di Ollifish86 avrebbe avuto la stessa tenuta, se fosse volato a terra.
Quel pensiero si perse nella sera di ottobre. Anche l'indirizzo e-mail di Oliver Fischer andò perduto e Alysse non vi pensò più. L'intervista non ci fu mai, né il blog del ragazzo venne mai visitato. Tuttavia Alysse aprì il proprio, gettando le basi per il suo futuro. Non poteva immaginare che un giorno si sarebbe rivolta a Oliver Fischer per indagare sull'omicidio del proprio marito.

 

   
 
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