Capitolo 1
Era il 3 luglio 2016. Era una di quelle giornate dove il sole ti scotta la pelle e hai voglia di tuffarti in acqua a qualsiasi costo. Una di quelle giornate luminose che riescono a farsi apprezzare anche dalle anime più cupe. Tuttavia io non ero diretta in nessun posto luminoso ed affascinante bensì alla stazione di Brixton, dove avrei preso il treno diretto a Birmingham per raggiungere le mie amiche all'attesissimo concerto dei The Fray, la nostra band preferita.
Il gruppo si sarebbe esibito nelle due tappe consecutive di Birmingham in quei giorni e per nulla al mondo mi sarei persa quel concerto così tanto atteso. Quando mesi prima erano uscite le date del tour eravamo così felici che comprammo i biglietti per entrambe le serate, e questa piccola pazzia si stava rivelando piuttosto utile per me: sarei dovuta partire il giorno precedente insieme alle mie amiche ma in seguito ad un incidente stradale di mio zio mi ero persa il primo evento. Le sue condizioni non si erano rivelate gravi come erano apparse all'inizio, così decisi di raggiungerle comunque, almeno per la seconda serata. Nessuno aveva potuto accompagnarmi data l'agitazione dei parenti ancora in ospedale e viaggiare da sola mi rendeva nervosa.
Arrivai alla fermata degli autobus alle 14:40. Mancavano ancora 5 minuti all'arrivo ma cominciai comunque a farmi prendere dall'ansia. E se avessi mancato la fermata? Se avessi sbagliato autobus? Se fosse stato pieno? Dovevo calmarmi. Non potevo agitarmi sempre per ragioni così futili. Ma ero fatta così.
Mi appoggiai al palo sul quale erano scritti gli orari degli autobus e cominciai ad osservare discretamente le persone sedute sulla panchina in prossimità della fermata. Una mamma spingeva avanti e indietro la carrozzina con il figlio, un uomo sulla quarantina leggeva il giornale e un ragazzo muoveva la testa a ritmo della musica che stava ascoltando con le cuffie. Erano tutti tranquilli tranne me. Per far passare il tempo provai ad immaginare la storia di quegli sconosciuti, dov'erano diretti e che tipo di persone fossero.
Ricordo che mi posi questa domanda: se qualcuno avesse provato a fare il mio stesso gioco, cosa avrebbe pensato di me quel giorno?
Ero una normale ragazza di diciassette anni che viveva in una normale città con una vita altrettanto normale. E quello sarebbe stato un giorno speciale, sì, ma come tanti altri.
Se non avessi incontrato lui.
In quel momento però, appoggiata a quel palo, l'unica cosa che desideravo era poter vivere il concerto. Il mio primo concerto. Nonostante la distanza convincere i miei genitori non si era rivelata un'impresa ardua: essendo figlia unica molte volte mi bastava fare un discorso ben motivato e loro si convincevano; cominciavo a raccontargli che essendo la loro unica figlia avrebbero dovuto lasciarmi fare questo e quello altrimenti sarebbero stati presi dai rimorsi. Sì, potevo essere molto ruffiana. Ma in fondo si tratta solo di avere buoni doti di persuasione.
L'autobus arrivò nell'arco di qualche minuto e mi affrettai a salire, scoprendo purtroppo che una delle mie paure si era verificata: era pieno. L'unico posto libero era in prima fila accanto ad una tizia bionda parecchio alta con la puzza sotto al naso che si dimenava con musica punk nelle orecchie. Forse anche lei stava andando ad un concerto... Lasciai quel posto ad una mamma con un bambino e decisi di proseguire sperando che qualcuno scendesse, finchè notai un posto vuoto in penultima fila accanto ad una ragazza dai lunghi capelli rossi. I miei occhi tuttavia si soffermarono su qualcun altro: dietro di lei c'era James Hall. Non ci potevo credere. Non era reale. Conoscevo lui e il suo gruppo di amici solamente di vista, non ci avevo mai parlato. Era tra i più popolari della mia scuola.
Mi avvicinai nonostante stessero facendo una confusione pazzesca.
-Posso sedermi?- Chiesi sorridendo alla ragazza dai capelli rossi.
-Certo.- Rispose lei togliendo la sua borsa dal sedile.
Mi trovavo dalla parte del corridoio. Bene. Durante le gite scolastiche mi sedevo sempre da quel lato per poter interagire meglio con i compagni cercando di evitare di farmi film mentali guardando fuori dal finestrino, rischiando di sembrare asociale.
James e il ragazzo con i ricci a fianco a lui frequentavano il mio istituto, stavano per terminare l'ultimo anno.
Avevo sempre notato James, fin da quando, tre anni prima, avevo cominciato le lezioni nella scuola affianco alla sua. I cortili dei due edifici confinavano e io lo osservavo sempre mentre rideva con i ragazzi del suo gruppo. Il suo sorriso era il più bello del mondo.
Era la prima persona che cercavo entrando e uscendo da scuola; anche solo vederlo mi migliorava la giornata, mi rendeva più rilassata.
Capii di essere innamorata quando ogni volta che leggevo frasi romantiche o qualcuno parlava d'amore io sorridevo pensando a lui. In realtà il concetto di "amore" non l'avevo mai capito fino in fondo: i sentimenti non si dividono in amore e odio. Ci sono troppe sfumature in mezzo che ancora non mi erano chiare.
Io ero un esempio perfetto di come l'amore fosse strano: mi innamorai di una persona che non sapeva della mia esistenza, che non mi aveva mai nemmeno parlato.
Che cosa aveva fatto sì che io, tra tutte le persone che avevo incontrato nella mia vita, vedessi lui come avvolto in una luce dorata? Come poteva essere una situazione così bella e così triste allo stesso tempo?
Speravo sempre che alla mattina, quando passava con il suo skateboard davanti al bar dove facevo colazione, entrasse e in qualche modo mi notasse, invece non si era mai fermato e non mi aveva mai notata, nemmeno per sbaglio.
E nonostante questo, per tutti quegli anni, era stato l'unico ragazzo a cui avessi mai pensato.
Ero sempre stata così: mi intrigavano gli amori platonici e quelli per i quali era necessario lottare. Anche se, arrivato il momento di mettersi in gioco, la paura aveva in genere la meglio: non avevo mai avuto il coraggio di dirgli niente, nemmeno di avvicinarmi al suo gruppo. Eravamo troppo diversi. O almeno questo era quello che pensavo io.
Non sapevo se la rossa di fianco a me li conoscesse. Sembrava molto impegnata al cellulare così decisi di tirarlo fuori dalla borsa anche io per controllare per la milionesima volta l'orario.
Sarei dovuta arrivare alla stazione di Birmingham alle 15:10.
Assurdo come quell'anno i The Fray non fecero tappa a Londra: abitando nel quartiere di Brixton sarebbe stato perfetto per noi. Era una cittadina semplice, ma tutto sommato mi piaceva. Brulicava di parchi e strade con negozi ma la maggior parte del tempo io lo trascorrevo in palestra e a scuola, la quale sarebbe terminata dopo tre giorni. Sapevo già che sarei stata promossa, anche se quell'anno era stato veramente difficile per me. Era stato in un certo senso diverso dagli altri. Tutto si era rivelato più complicato del previsto: le materie, gli insegnanti, e non da ultimo il rapporto con le mie due attuali migliori amiche. Le adoravo, anche se negli ultimi tempi avevo notato dei comportamenti insoliti in loro. Ma d'altronde la scuola aveva stressato tutti... Con l'inizio dell'estate le cose sarebbero di certo migliorate.
Ero assorta nei miei pensieri e sui possibili ritardi del treno quando da uno dei cinque posti in fondo al pullman dietro di me partì un urlo che sovrastò gli altri e mi fece sobbalzare.
La rossa si voltò bisbigliando a James. -Dai! Spaventate le persone ad urlare cosi, smettetela!-
-Ma dillo a loro, cosa cazzo c'entro io!- Le rispose lui.
Li conosceva. Sorrise e tornò a voltarsi.
Con la scusa di essermi girata per ascoltare quello che aveva detto la ragazza mi soffermai a guardare il sorriso bellissimo e gli occhi azzurri di James. La sua voce poi. Era la prima volta che l'ascoltavo da vicino. Nonostante avesse detto solamente sette parole, tra cui una era anche un’imprecazione, in quel momento decisi che sarebbe stato il suono che più preferivo al mondo. A scuola faceva spesso battute stupide alle quali tutti ridevano ed era sempre e solo con quelli del suo gruppo, per questo alcuni pensavano se la tirassero, perchè stavano sempre per conto proprio.
Al contrario di quanto aveva appena detto James era uno di quelli che stava facendo più confusione sull'autobus.
Mi soffermai a guardare gli altri suoi amici: da vicino erano ancora più belli. Il ragazzo riccio nell'angolo aveva gli auricolari nelle orecchie, la testa appoggiata al finestrino e guardava fuori dal vetro appannato con i suoi grandi occhi verdi e malinconici. Lui era Nathan. Da quel poco che avevo scoperto osservandoli avevo capito che Nathan era dolce e molto timido; era gentile con tutti e per questo era simpatico alla maggior parte della scuola. C'era anche chi diceva di odiarlo, ma è questo che accade quando si è troppo belli: aveva un sorriso e uno sguardo dolcissimi e a chiunque sarebbe venuta voglia di toccargli i ricci. Spesso a scuola si guardava intorno con aria persa e molti si domandavano a chi o a cosa stesse pensando, se avesse per caso una misteriosa ragazza nella testa...
Dall'altra parte accanto a James c'era un ragazzo castano, con il ciuffo sugli occhi e il cappello con la visiera al contrario. Era Chris, il figlio della compagna del padre di Noelle, una delle mie due amiche che mi aspettava a Birmingham, ma l'avevo visto pochissime volte. Era pieno di tatuaggi, indossava dei jeans neri attillatissimi e una semplice canottiera nera senza maniche. Rideva, ma aveva comunque uno sguardo minaccioso. Non so perché ma ebbi la sensazione fosse pericoloso mettersi contro di lui. I suoi occhi azzurro ghiaccio sembravano nascondere un passato difficile, ma queste erano solo mie supposizioni.
Urlava cori da stadio e altre cose che io non capivo insieme al ragazzo moro seduto al suo fianco, anche lui pieno zeppo di tatuaggi e con i piercing alle orecchie: Jaden Castillo, chiamato da tutti J.C.. Anche lui non aveva un'aria molto amichevole a primo impatto, anche se... aveva un fascino misterioso, quasi da cattivo ragazzo. Non aveva proprio una bella reputazione, tuttavia io non lo conoscevo, se non di fama. L’ultimo era Thomas, se ne stava tranquillo al cellulare massaggiando; era robusto e secondo me aveva qualche anno in più dei suoi amici, infatti credo stesse quasi per terminare l’ultimo anno di college. Alla fine delle lezioni passava insieme agli altri a prendere James e Nathan, gli unici che ancora frequentavano la scuola, poi partivano su due macchine, ma nessuno sapeva dove andassero.
Notai che non era presente il ragazzo alquanto bizzarro dai capelli rossi che a volte era con loro. Lo si notava poco a causa del suo carattere riservato.
Erano tutti esageratamente belli. Questo l'avevo sempre pensato. A scuola chiunque li guardava perché davvero avevano qualcosa di misterioso e bellissimo. Sembravano un po' la famiglia Cullen di Twilight.
In quel gruppo l'unico legame di sangue era quello tra J.C. e Thomas: erano cugini. Ne ero a conoscenza grazie ad una ragazza dell’ultimo anno alla quale avevo chiesto informazioni.
Davanti ai loro, nella corsia dell'autobus opposta alla mia, c'erano le due ragazze del gruppo, ovvero Marina Campbell, la fidanzata di J.C., la quale doveva avere circa ventidue anni, e la sua amica bionda di cui non ricordavo il nome.
Marina era adorata da tutti i miei compagni nonostante la si vedesse solamente nei cinque minuti in cui si fermava a parlare davanti alla scuola: era solare, divertente e anche lei bellissima, con i suoi lunghi capelli biondi, il piercing al naso e un gran bel fisico. Noelle diceva che avrebbe potuto fare la modella ma io le rispondevo sempre che anche lei avrebbe potuto, dato che erano simili di aspetto. Cominciavo a sospettare che lo continuasse a ripetere solo per sentirsi dare questa risposta.
L'amica di Marina era anch'essa bionda e con un bel sorriso, ma era più timida, perciò meno conosciuta.
Avevo da sempre voluto conoscerli e infatti mi stupì non poco quando Marina, smettendo all'improvviso di darsi lo smalto, si voltò verso di me. -Ehi, come mai non ci sono le tue due amiche con te?- Mi chiese con un gran sorriso.
Ci misi un attimo a risponderle, tanto ero sorpresa che mi avesse rivolto la parola. Non pensavo sapesse con chi passavo il tempo a scuola e non pensavo nemmeno sapesse della mia esistenza.
L’intero gruppo si era zittito per ascoltare la mia risposta.
-Le sto raggiungendo a Birmingham per un concerto, perché ho avuto dei problemi a casa e quindi io le raggiungo oggi.- Le risposi balbettando e ripetendomi.
James si sporse sul sedile e strappando una strana caramella coi denti mi rivolse per la prima volta la parola. -Quale concerto?-
-Dei The Fray.- Dovevo stare calma.
-Ah capito, sono forti loro.- Continuò James.
-Siii io adoro Ben!- Intervenne Marina.
-Chi sono questi qua?- Chiese J.C., già infastidito.
Mi fece sorridere la sua così evidente gelosia.
-Niente amore, una band che non conosci, lascia stare. Come ti chiami?-
Perchè Marina era interessata a me?
-Aria.- Le risposi.
-Ah si, ti ho vista, sei al penultimo anno vero?- Mi chiese il ragazzo dagli occhi di ghiaccio. Aveva una voce strana e acuta ma semplicemente stupenda.
-No. Cioè si. Cioè devo cominciare l'ultimo a settembre.-
-Ma sei nell'altra scuola vero?- Mi domandò Nathan con un sorriso, staccandosi dal vetro e togliendosi una cuffietta.
-Sì, è del linguistico, l'ho vista nel giardino.- Rispose Marina anticipandomi. Lui annuì.
Ci fu un momento di silenzio imbarazzante in cui tutta l’attenzione era ancora concentrata su di me. Cercai una domanda.
-Beh come vi chiamate voi?-
-Come se non lo sapessi.- Bisbigliò J.C. sogghignando.
Marina lo guardò malissimo.
Con altrettanto tono scocciato replicai. -Non di tutti.-
Ok, praticamente tutta la scuola e non solo sapeva il loro nome, non saprei nemmeno bene spiegare perché, a volte si diventa conosciuti senza ragione, ma poteva risparmiarsi di credersela in modo così evidente.
-Beh io sono Marina, piacere.- Disse porgendomi la mano.
La sua amica si chiamava Payson e la rossa era Taisse, aveva origini belghe.
-E voi dove state andando?- Volevo continuare a parlare con loro.
Quel momento sarebbe stato da raccontare e sapevo già che le mie amiche sarebbero state decisamente invidiose. Io lo sarei stata.
-Non si può dire tesoro.- Mi rispose James, appoggiato con le braccia al mio sedile.
James Alexander Hall mi aveva appena chiamata tesoro.
Probabilmente lo usava come intercalare con tutte le ragazze.
Già dal fatto che sapessi tutti i suoi tre nomi si poteva capire quanto lo stalkerassi.
-Ma finiscila.- Lo zittì Marina. -Stiamo andando a vedere il Manchester ad Hastings. Prima però facciamo sosta sulla spiaggia.-
-Wow, figo.- Le sorrisi.
Mi misi ad ascoltare quello che James stava dicendo a Nathan: -Ricordami domani che registro quel coglione di fisica così poi vediamo chi ride per ultimo quando mi darà tre e io avrò le prove che non me lo merito!-
-Ma tu ti meriti tre.- Gli fece notare l’amico.
-Grazie del sostegno! Hai visto come mi guarda quello? Mi detesta!-
-Ma no, è solo che fai molto casino.- Tentò di nuovo il riccio alzando gli occhi al cielo.
-No, lo odia proprio- Intervenni io.
-Visto!? Visto!?- Cominciò a urlargli nelle orecchie James.
-Aspetta, stai calmo. Perché dici così?- Mi domandò Nathan, tentando di scrollarsi di dosso James.
-Perché abbiamo lo stesso prof. e un giorno è entrato in classe parecchio incazzato dicendo che "quel cretino biondo della 4A", sue parole, gli aveva rotto i coglioni.- Sperai che nessuno mi domandasse come facevo a sapere che era anche il suo insegnante.
-Che eleganza questo tizio.- Commentò Taisse.
-Guarda giuro che lo asfalto domani mattina!- James aveva ricominciato ad urlare.
-Con uno skateboard fai ben poco.- Era intervenuto Thomas.
Marina mi spiegò che il padre di James non gli aveva più permesso di usare la bicicletta da quando l'aveva distrutta schiantandosi ubriaco contro un palo della luce.
Più venivo a conoscenza di cose su di lui più mi sembrava fuori di testa.
-Vado in skateboard perché mi piace!- Ribattè.
-Certo.- Rise Thomas.
James gli fece il dito medio fingendosi offeso.
-Io dico solo che se stasera il Manchester non vince parto a dare calci nel culo a tutti quanti loro.- Annunciò J.C. cambiando discorso ma continuando ad urlare, come volesse far sapere a tutti che era tifoso del Manchester. Ebbi la strana sensazione che lui sperava in un'opposizione da parte di qualcuno per poter fare a botte.
Mi chiesi se anche le ragazze erano così accanite di calcio o se andavano con loro alle partite solo per farli contenti. Forse con il tempo si erano abituate.
In quel momento mi vibrò il cellulare nella tasca.
-Pronto mamma dimmi.- Per un attimo pensai ci fossero brutte notizie dall'ospedale. Il mio solito ottimismo.
Fortunatamente non era successo niente, anzi mio zio si stava riprendendo piuttosto bene, ma mia madre mi informò che a causa di un deragliamento di un treno merci sarebbero stati sospesi tutti i trasporti verso varie città, tra cui anche Birmingham.
No. Non era possibile. Ci tenevo da matti a quel concerto. Lo aspettavo da sette mesi. Cosa avrei fatto adesso? Sarei dovuta tornare a casa... Pensavo potesse essere una giornata fortunata dato che avevo incontrato il gruppo di James sull'autobus e invece... Ma la fortuna virò nuovamente verso di me quando Marina, che evidentemente aveva seguito la telefonata, esclamò -Puoi venire con noi!- Guardò gli altri per ottenere una conferma, ma nessuno le rispose veramente. Nathan e James annuirono un po’ stupiti, Payson e Taisse sorrisero.
Non poteva essere. Non stava accadendo a me.
Qualsiasi persona per non disturbare o per non sentirsi indesiderata avrebbe rifiutato cortesemente. Ma io no.
E James Hall mi stava guardando.
-Ehm... Non so, siete sicuri? Cioè mi dispiace imbucarmi così.- Avrei dato qualsiasi cosa pur di passare una giornata con lui e i suoi amici.
Marina rise. -Guarda che è normale per noi! In questo momento hai bisogno di un'avventura alternativa e sei stata fortunata: hai trovato noi! E noi siamo esperti di avventure! E guarda che ci si diverte lì! Altrimenti non ci andremmo.-
Marina sembrava convinta e addirittura pensava che il mio problema fosse il luogo in cui andavano. Se gli altri non mi volevano avrebbero dato in seguito la colpa a lei.
-Ok allora, grazie.- Ritornai al telefono. -Mamma ho incontrato degli amici sull'autobus, mi hanno invitato con loro, va bene? Andiamo ad Hastings al mare, torno stasera. Sì, sì li conosco. Dai mamma fidati! So perfettamente chi sono, siamo nella stessa scuola! Già non vado al concerto almeno così passo una bella giornata! Sì. Certo. Ok non ti preoccupare. Ciao.-
Ovviamente mi aveva fatto l'interrogatorio e io ci avevo un po' calcato nel rispondere, in fondo non li conoscevo veramente, ma quando praticamente le attaccai il telefono in faccia lei non richiamò. Avevo evitato di dirle che sarei andata in uno stadio altrimenti avrebbe cominciato una paternale infinita. Glielo avrei detto a cosa fatta; Hastings non era lontana e comunque non avrei accettato un no come risposta.
Sorrisi soddisfatta.
Durante il viaggio continuai a parlare con Marina e gli altri di cose senza importanza, ma io ero contenta anche così.
Marina era decisamente quella più socievole: mi raccontò del suo lavoro di aiutante estetista e dei suoi aneddoti divertenti. James e Nathan scherzarono da subito con me normalmente, e di questo gli fui immensamente grata.
Avvisai le mie amiche che non le avrei raggiunte, senza specificare cosa mi era capitato: quello lo avrei fatto domani, con più calma.
Fu così che conobbi le persone che, in un certo senso, mi cambiarono la vita.
Per una strana coincidenza del destino mi ero ritrovata a scendere da quell'autobus, quel venerdì pomeriggio, diretta alla meravigliosa spiaggia di Hastings con il ragazzo di cui ero innamorata da quasi tre anni.
D'altronde sono anche questo genere di cose che non ti aspetti, su cui sbatti contro e ti colgono di sorpresa, a dare alla vita qualcosa per cui vale la pena essere vissuta.