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Autore: Glenda    24/12/2024    2 recensioni
In un mondo in cui la magia è rara e con un grande peso politico, ed i maghi figure temute e inquietanti, Heze, un giovane viaggiatore dal cuore limpido e il carattere solare, viene ingaggiato da uno di loro perché lo accompagni fino alla capitale a consegnare un messaggio segreto. Ma la persona con cui si trova ad affrontare questa avventura è completamente diversa dalle aspettative che si era costruito: svagato, onesto, gentile e smaccatamente vulnerabile, Yèlveran diventa per Heze un mistero da svelare, e finisce per legarsi a lui al punto di farsi trascinare in un complotto che potrebbe costare la vita a entrambi...
Storia di avventura con una componente politica, ma principalmente focalizzata sulla relazione tra i personaggi (a cui sono affezionatissima e dei quali ho volentieri indugiato nel descrivere i pensieri). Un bel po' di bromance e molto drama.
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Meirem aveva smesso di sperare in un’occasione simile.

Da quando era arrivata in città aveva sorvegliato l’enclAve, ma Yèlveran era sempre stato al fianco del Primo Addestratore di Ricordi, e Iruvàn era stato molto chiaro: non avrebbe dovuto per nessuna ragione avvicinarsi a lui. Se per qualche malaugurato caso fosse caduta nelle sua mani, sarebbe stata una catastrofe: per un uomo come quello, leggere la sua mente sarebbe stato come sfogliare un libro da due soldi. Nessuno aveva un’abilità pari alla sua, nemmeno – aveva ammesso con una smorfia di disprezzo – Luxei. Tuttavia era proprio Àtsuran che doveva cercare e seguire, se voleva avvicinarsi al suo bersaglio, perché Iruvàn era certo che Yèlveran, una volta a Feuzte, avrebbe chiesto di incontrarlo.

E così era stato.

Poi, però, li aveva visti uscire dall’Enclave una sola volta, ed anche quando si erano separati Yèlveran era sempre stato sotto scorta: precauzione più che ragionevole, se aveva rivelato ciò che sapeva… E se effettivamente lo aveva fatto, che senso aveva, a quel punto, ucciderlo? Non sarebbe stato più sensato usare le sue energie energie per correre ai ripari, modificare il piano, evitare di farsi catturare? Di certo Iruvàn aveva le proprie ragioni, lui pensava sempre una mossa avanti agli altri, lui non impartiva ordini che non avessero motivazioni solide: ma la verità era che quell’ordine lei non avrebbe mai voluto riceverlo. La verità era che quell’occasione aveva sperato di non averla. La verità – che non aveva detto ad Iruvàn e non voleva ammettere nemmeno a se stessa – era che Yèlveran le era piaciuto fin da subito, inesorabilmente, e le era piaciuto sempre di più ogni volta che si erano parlati: ogni frase che aveva pronunciato era stata una speranza e una ferita. Si poteva essere una Maledizione e non odiare? Si poteva essere un Persuasore e non essere odiabile? Si poteva credere, dopo aver visto la propria vita esplodere, dopo essere stato esiliato, sfruttato, rapito, torturato, manipolato, che una soluzione da qualche parte dovesse esserci? E lo si poteva dire con quel sorriso e con quegli occhi? Aveva conquistato Xau, aveva confuso lei, e forse era stata proprio la sua naturale gentilezza a causare il tradimento di Luxei: non faceva fatica a crederlo.

C’era stato un giorno in cui si era dichiarata pronta ad uccidere per Iruvàn, se lui lo avesse chiesto.

Anzi, aveva quasi desiderato che glielo chiedesse.

Che stupida.

Adesso avrebbe solo voluto rimangiarsi quella promessa, tornare indietro e cancellare ogni cosa.

Seguì i passi di Yèlveran ed Heze mentre si aggiravano circospetti per la città: dal modo in cui si muovevano sembravano loro stessi dei fuggitivi. Perché si erano sbarazzati degli uomini preposti a proteggerli? Cosa stavano facendo? Doveva smettere di farsi domande, e soprattutto di indugiare sull’espressione di lui per capire cosa gli stesse passando per la testa: più cercava di comprenderlo, più sperava di trovare una ragione per mettere in dubbio l’ordine ricevuto, più tutto sarebbe stato difficile. Lei amava Iruvàn, e certamente Yèlveran lo aveva appena denunciato alle autorità di Feuzte: era questo il pensiero a cui doveva rimanere aggrappata per non crollare.

I vicoli attorno al porto fluviale erano bui e vuoti: a quell’ora della sera non partivano battelli, gli approdi erano chiusi e nei dintorni si aggiravano solo poche figure sparute, barcaioli che si erano attardati, uomini di fatica che avevano appena finito di scaricare e incassato il guadagno di un lavoro a giornata, ubriachi, accattoni… un luogo ideale per aggredire qualcuno.

Osservò i movimenti dei due, previde la loro direzione e si appostò ben nascosta dove il vicolo che stavano percorrendo si piegava a gomito. Aveva poco tempo: il suo potere non era in grado di agire contemporaneamente su entrambi, dunque doveva prima di tutto liberarsi di Heze. Balzò su di lui da dietro la curva, incurante del grido di spavento di Yèlveran: tanto in quel luogo, e a quell’ora, nessuno sarebbe intervenuto.

Meirem maledisse di nuovo la propria fortuna.

 

Yèlveran barcollò all’indietro, colto di sorpresa, e la torcia gli cadde di mano. Qualcuno piombò addosso ad Heze, lui reagì, e tutto diventò un movimento confuso di corpi, ombre e rumori.

Forse fu un odore, o il ricordo del contatto prolungato delle loro mani, ma fu certo di riconoscere l’aggressore.

“Meirem!” la chiamò; poi sforzò la vista nell’oscurità e vide Heze piegarsi sulle ginocchia e crollare di lato, senza il tempo di ammortizzare con le braccia la caduta.

Sapeva perfettamente cosa era appena successo: aveva provato quel potere sulla propria pelle.

“Lascialo stare!” la pregò “Non fargli del male!”

“Non gli faccio proprio niente.” disse lei, con voce roca “Si sveglierà presto, e lo sai bene. Non è per lui che devi preoccuparti.”

La donna lo guardò.

Il suo viso sembrava svuotato, come se la sua bellezza fosse fuggita via insieme alla rabbia che l’aveva tenuta in piedi fino ad allora: erano passati pochi giorni, e la persona che aveva di fronte non era più la stessa.

“Mi dispiace.” mormorò, e mentre ancora le sue labbra si muovevano lo afferrò per i polsi.

Yèlveran sentì scivolare dentro di sé quella sensazione al tempo stesso terrificante e dolce: una specie di svuotamento del corpo, di debolezza infinita, ma senza dolore.

Non voglio morire, pensò. Non voglio ucciderla, pensò anche. E i due pensieri non potevano mettersi d’accordo, perché il suo solo modo di difendersi non comportava la salvezza di entrambi.

Voleva restare vivo, voleva rivedere Luxei, voleva tornare a casa, ma la sua unica via d’uscita era un’arma di morte.

“Lasciami andare… ” la implorò “Lasciami andare, non costringermi a… ”

Gli occhi di Meirem si riempirono di lacrime.

“… a uccidermi? Fallo, e proteggi te stesso. Perché io ho ben due possibilità: uccidere te o morire. L’unica scelta che non ho è tradirlo.”

Yèlveran pensò che, se non avesse reagito, quelle lacrime sarebbero stata l’ultima cosa che avrebbe visto, e c’erano molte cose che avrebbe voluto guardare nell’ultimo istante della sua vita, ma tra quelle non c’era il pianto di nessuno.

“L’unica scelta che non hai…” fece eco, cercando in quelle parole una specie di speranza, o di opportunità “Perché tu vuoi fare felice Iruvàn, è questa la tua unica intenzione.”

Concentrò tutto se stesso su quel singolo pensiero.

La tua unica intenzione.

Riusciva a percepirla, quella volontà così disperata: riusciva persino a visualizzarla. Poteva vedere il cuore di Meirem, poteva leggere le sue emozioni, perché anche lui aveva conosciuto la devozione e l’amore, e soprattutto conosceva bene il dolore di sentirsi in trappola e non poterne uscire senza fare del male.

Lentamente, cominciò a sentirsi di nuovo stabile sulle proprie gambe: il corpo tornò forte, la vista chiara, le sue mani non tremavano più.

A tremare erano quelle di lei.

“Cosa… stai facendo?”

Yèlveran non rispose. Non poteva permettersi alcun cedimento: non doveva guardare Meirem, non doveva pensare ad Heze, non doveva ascoltare i suoni della città o percepire il freddo umido della sera penetrargli nelle ossa. Doveva continuare a seguire i contorni di quell’immagine così nitida nella sua mente: la felicità di Iruvàn al di là di ogni ragionevolezza, sopra ogni cosa, dappertutto.

“Cosa stai facendo?!” gridò lei, divincolandosi dalla sua presa con forza e spingendolo indietro.

Solo in quel momento Yèlveran si rese conto di averle stretto i polsi a sua volta per tutto il tempo.

“Che stregoneria è? Chi accidenti sei? Che cosa mi hai fatto?”

Cosa aveva fatto.

Aveva fatto quello che aveva desiderato saper fare da tutta la vita.

Aveva confinato una Maledizione.

Guardò Meirem, stordita e sconfitta, con quella domanda rimasta sospesa nelle pupille dilatate; guardò se stesso, le sue mani sospese a mezz’aria, ma solide e sicure, e i suoi piedi ben piantati a terra. Guardò la meraviglia di quello che era appena successo, e tutto ciò che comportava per il futuro. Il suo. Quello di tutti.

Meirem si riscosse e portò la mano al pugnale.

“Aspetta, aspetta, aspetta!” esclamò Yèlveran “Ho la soluzione!”

“Che cazzo dici?!”

“Ho la soluzione! La soluzione alternativa per proteggere tutte le Maledizioni! Devi dirlo a Iruvàn, devi dirglielo subito, se lui mi aiuta, forse… ”

Non poté finire la frase che un grido li interruppe.

“Posa l’arma e non muoverti!”

Alle spalle di Yèlveran erano sbucati tre uomini armati, uno dei quali si era chinato a soccorrere Heze, e dietro di loro, coperto da un mantello scuro, in vesti non ufficiali, c’era Àtsuran.

“Va tutto bene,” provò a spiegare “non è come sembra.”

Invece era esattamente come sembrava: se l’erano svignata eludendo la protezione, erano stati aggrediti, lui stesso aveva rischiato di essere assassinato, ed era inutile fingere che Meirem non fosse una nemica e non costituisse un pericolo.

“Posa quell’arma e allontanati da lui.” ribadì Àtsuran, senza una sola alterazione della voce “Se ti azzardi a toccarlo, sarai morta prima di riuscirci.”

Meirem strinse il pugnale con entrambe le mani e tese le braccia in posizione di difesa: in un lampo uno degli armati balzò tra loro.

“Prendetela.” ordinò Àtsuran “Se cerca di scappare, uccidetela.”

A Yèlveran bastò uno sguardo per capire che Meirem non si sarebbe arresa. Forse non aspettava altro che questo: l’occasione di farsi ammazzare per amore di Iruvàn, l’occasione di uscire dalla propria stessa trappola una volta per tutte.

“No!” gridò “No e no! State fermi! State fermi tutti!!!”

Cosa sperava di ottenere? Era solo una creatura minuscola che cercava di sbarrare la strada ad una tragedia, piccolo e impotente come Heze nelle fauci della frattura, eppure testardamente lì, perché era quella l’unica cosa che gli riusciva, l’unica che poteva: esserci.

Si sarebbe gettato inutilmente in mezzo, avrebbe fatto di nuovo il poco che poteva fare, come a Pedimonte quella notte, come le tante altre volte in cui si era sentito inutile e impotente…

Ma Àtsuran lo sorprese.

“Fermatevi!” ordinò “Fate come dice lui.”

Per un attimo tutto sembrò bloccarsi.

“Yèlveran, stai calmo. Non morirà nessuno. Ti prego, mantieni il controllo. Non fare sciocchezze.” e la sua voce monocorde per la prima volta tremò.

Àtsuran aveva paura di lui.

Fino a quel momento, non se ne era davvero reso conto: il Persuasore aveva negli occhi la stessa paura di quella notte, quando aveva accompagnato nel salone Luxei, ed era rimasto lontano, così lontano che lo aveva sentito solo dire: Aspetta, non avvicinarti. Non sappiamo a che distanza agisca una Maledizione del genere.

Yèlveran non aveva mai desiderato incutere timore, ma il terrore che vedeva sul volto del Primo Persuasore di Ricordi – un uomo tanto influente da gestire le trame politiche dell’intero paese – era la misura del potere che aveva tra le mani.

Rivolse un rapido sguardo a Meirem, che ricambiò con un impercettibile cenno del capo e fuggì.

 

Heze aprì gli occhi sballottato dal movimento di una carrozza, che amplificò il suo senso di vertigine. Mosse le dita delle mani, come a riprendere possesso dei propri movimenti, e le portò al viso, che massaggiò vigorosamente.

Poi gli ultimi ricordi lo raggiunsero.

“Yèlveran…?”

Riconobbe la voce dell’amico: stava parlando con qualcuno e il suo tono era quello di sempre, pacato e dolce. Non aveva idea di come, ma l’emergenza doveva essersi in qualche modo risolta.

“Heze, ti sei ripreso?” lo sentì chiedere, mentre rimetteva fuoco la vista.

Yèlveran era seduto accanto a lui, e di fronte stava l’uomo di nome Àtsuran, il destinatario del messaggio. Quest’ultimo gli sorrise con cordialità, ma nel suo sguardo c’era anche altro: sembrava che lo stesse studiando, e ad Heze balenò in mente il timore che potesse star leggendo i suoi pensieri. Il solo sospetto gli mise i brividi e subito cercò di concentrarsi su qualcosa di stupido e banale, ma le parole dell’amico lo riportarono al presente.

“La testa ti fa male? Dove ti ha colpito?”

Colpito? No, non era andata così: lei lo aveva solo toccato e… E Yèlveran stava mentendo spudoratamente a quello che tutti ritenevano il più grande Persuasore di Ricordi! La ragione era ovvia: il potere di Meirem doveva restare nascosto; paradossalmente, essere una Maledizione restava una colpa peggiore rispetto ad aver cospirato contro il Consiglio dei Nove. Ma come poteva riuscire, lui, a reggergli il gioco? Lo sguardo di Àtsuran divenne all’improvviso insostenibile.

“No so… non ricordo bene…” incespicò.

“Pare che tu non sia ferito.” constatò il Persuasore “Ma poiché fare da guardia del corpo non mi risulta essere il lavoro per cui sei pagato, né, francamente, qualificato, ti prego di evitare, d’ora in avanti, di assecondare simili iniziative.”

“È stata una decisione mia, l’ho detto e lo ripeto.” sentenziò Yèlveran, con inaspettata sicurezza “Se ritieni che la mia posizione nei confronti dei congiurati sia in qualche modo dubbia, prendi i provvedimenti che credi. Altrimenti, sono un uomo libero ed un tuo pari: sono profondamente grato della tua preoccupazione, ma non accetto che il tuo biasimo si riversi sui miei amici solo perché non osi rivolgerlo a me.”

Qualcosa in quello sguardo sicuro vacillò.

“Dannazione!” disse, portando la voce ad un sussurro “Ti rendi conto della situazione in cui mi trovo? Ho appena lasciato fuggire un possibile attentatore, per…”

“Per paura della mia potenziale reazione.” completò pacatamente lui “E adesso sospetti che io l’abbia lasciata fuggire non semplicemente per un atto di pietà ma perché sono in qualche modo complice. Invece non è né una cosa né l’altra: io desidero come te, e come Luxei, che questa congiura fallisca. Desidero che nessuno dei Nove muoia. Ma desidero anche, ancora più di questo, rimuovere le condizioni che hanno permesso ad una congiura simile di esistere, e per provarci ho bisogno di un enorme sforzo da parte tua.”

“Sto già facendo tutti gli sforzi del mondo per coprire la tua posizione: non posso continuare a manipolare i ricordi di tutti coloro che entrano in contatto con te!”

“Lo so, ma mi serve di più, mi dispiace.”

La calma svanì del tutto dal viso di Àtsuran.

“Che cosa ti serve, Yèlveran? Che cosa altro ancora ti serve?”

Yèlveran abbozzò un sorriso opaco.

“Mi serve un salto nel vuoto. Ho un piano che può funzionare e, se funziona, neppure tu dovrai più temere che qualcuno un giorno sappia che hai lasciato in vita una Maledizione.”

Àtsuran avvicinò le sopracciglia.

“Attento a ciò che dici. Sembra quasi tu mi stia minacciando.”

Già. Anche ad Heze sembrava. Era possibile? Lo aveva sentito una volta minacciare qualcuno di ucciderlo in trentatré ore, ma lo aveva fatto perché sapeva che non poteva…

“Mm, no… ” il sorriso di Yèlveran si affievolì fino a sparire, lasciando posto ad una profonda stanchezza “O almeno, non lo vorrei… Ma Luxei lo ha indirettamente fatto, è così? È per questo che ha potuto mandarmi da te e svelarti il suo progetto prendendosi la libertà di non svelarti i nomi dei suoi compagni. Non venendo personalmente si è messo nella posizione di poter ottenere la tua collaborazione alle sue condizioni. Io credo… di poter fare meglio, però, perché Luxei sta solo procrastinando. Quello che sta cercando di impedire adesso, accadrà ancora, prima o poi, in un futuro forse più prossimo di quanto pensiamo, perché lui ha ragione, Àtsuran, c’è un errore nel sistema: un errore immenso che hai riconosciuto anche tu nel momento stesso in cui mi sono presentato qui come Persuasore di Confini. Io sono umano.”

  
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