16.
Ed attesero, con pazienza, fino ad agosto.
Era una notte blu, stellata, calda e profumata quella in cui, finalmente, giunse il mandato di custodia per il senatore Farlocchi, il secondo, ma questa volta effettivo e autenticato da un giudice veramente competente ed incorruttibile.
Il commissario, che aveva trascorso gli ultimi tempi a sognare spietate ritorsioni nei confronti del giudice Abbondanzio Dalla Via, le quali gli avevano pure tolto il sonno, e che si divertiva a condividere con Passamonte quando si ritrovavano insieme per una partita a carte, si precipitò ad arrestare il Farlocchi; era suo dovere e diritto, dopotutto, esercitare quel privilegio.
Ma, come già detto all’inizio di questa triste storia, trovò solo la bellissima villa, oramai vuota ed abbandonata persino dai fantasmi, sempre che ci fossero mai stati davvero; cercò a lungo, ma non trovò nulla e vi vagò tutta la notte e poi all’alba, guardando la luce che entrava dalle finestre e dalle vetrate, disegnando magnifici mosaici che si proiettavano sui pavimenti di marmo, senza però vederli.
Si chiedeva dove fosse in quel momento il senatore. Era quello, adesso, il suo pensiero fisso.
In Libano? O in Kenya? Oppure in Brasile? O in altri luoghi ancora?
Di una cosa era certo, però: quell’uomo stava certamente già acquistando con i soldi rubati agli italiani una nuova casa magnifica, ancora più bella di quella in cui aveva vissuto fino al giorno prima, probabilmente litigando con superstiziosi personaggi che giuravano che quell’abitazione fosse infestata dagli spettri o da altri esseri soprannaturali tipici della tradizione folkloristica del paese d’adozione.
Vagava sconsolato, maledicendo il giudice e, quasi, complimentandosi con il Farlocchi, per essere stato tanto furbo da riuscire a subodorare il pericolo e, di conseguenza, riuscire a fuggire prima che le cose precipitassero del tutto; perché difficilmente, con un giudice onesto, anche il suo grande avvocato avrebbe durato molta fatica a salvarlo.
Furbo, quel signor Farlocchi.
Furbo, come molti.
O come molto pochi, i quali riescono tuttavia a combinare tanti e tali guai, sempre a discapito degli altri, ovviamente, da sembrare moltissimi.
«È un paese di furbi, questo» si disse perentorio il commissario Pancrazio Del Pollaio, «Non so se sia un complimento, anzi sono quasi sicuro del contrario, ma di certo è questo il termine corretto. Chi è furbo si salva e ce la fa a farla franca, in barba alla giustizia ed alla legalità; gli altri, invece, pagano per sé e per i furbi, ed in una semplice frase se lo prendono allegramente nel culo.»
Pensò proprio questo, il commissario Del Pollaio, e non ne fu stupefatto, perché gli sembrava di averlo sempre saputo, né si scompose per quel linguaggio tanto scurrile che certo non gli si addiceva.