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Autore: V a l y    24/09/2009    13 recensioni
Le vicende di quattro storie d'amore attorno a un fiore.
Prima classificata al Fack Contest indetto da Taiga Aisaka
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Tifa Lockheart, Zack Fair
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Dal nulla, glielo trova tra le dita. E' sottile, delicato, con lo stelo finissimo.
“E quel fiore?” gli chiede incuriosito.
“E' un'anemone che ho comprato da una fioraia carina per attaccare bottone con lei,” risponde l'amico, e sorride, quel sorriso lungo e curvo dagli angoli della bocca alti di Zack Fair.
Cloud rotea gli occhi e sospira, con quell'aria un po' stufa e un po' divertita. “Un giorno verrai denunciato per molestie sessuali...”
Zack non lo ascolta, concentra lo sguardo sullo scontrino incartapecorito che sta strappando in tanti minuscoli pezzetti. Non ha preoccupazioni per il futuro e non bada alle conseguenze, ha piccoli brandelli di carta sul banco del bar su cui si sta appoggiando coi gomiti e pensa unicamente a dover centrare quel dannato cestino vicino all'entrata. Dopo tre tiri riesce nell'intento, esulta per un attimo e subito torna a soffermarsi sul presente, lasciandosi dietro il passato appena superato, come tutti i suoi altri passati abbandonato nel tempo, perduto nella dimenticanza.
“Andiamo a farci un giro in macchina,” propone.
“Non posso, ho da fare.”
Zack lo osserva di sottecchi, poi sorride. “Mi stai nascondendo qualcosa,” asserisce divertito.
“Cosa vuoi che ti nasconda?” risponde Cloud con ovvietà. Si confidano tutto, le più intime paure, i più reconditi segreti, ma in fondo anche tra due amici d'infanzia come loro può esistere qualcosa che non è mai stato detto.

 

 

Quel qualcosa è l'altra amica, colei che l'amico d'infanzia non conosce. Cloud è in un altro bar, adesso, meno famoso di quello precedente, più piccolo, ancora un po' dimesso. Entra spingendo l'anta della porta arrugginita e la trova dietro il banco. E' la sua estasi, la sua debolezza, il motivo per cui certe volte Zack lo trova trasognato e distratto. Tifa lo accoglie con un sorriso caloroso, come sempre, e come sempre Cloud glielo ricambia, debolmente, con impaccio.
“Come va col locale?” le chiede dopo essersi seduto su uno sgabello.
“Ormai mancano pochi giorni all'inaugurazione ufficiale, ma ho ancora bisogno di qualche sedia, un tavolo e un nome per il bar.”
Cloud annuisce, poi ordina da bere. Occhieggia le sue dita fini, affusolate, che stringono il panno bagnato che passa sul banco. Pensa, mentre agita il bicchiere di gin tonic, che non c'è niente di più bello che bere il suo cocktail preferito mentre le guarda le mani. Che lei sarà incomparabile a qualunque altra. Sempre.

 

 

Anche se lo ha sempre avuto davanti agli occhi, si accorge della sua presenza in ritardo, perché stava componendo un mazzo di fiori per due clienti. Lui alza la mano e le sorride impertinente.
“Zack, giusto?” fa lei con un arriso a malapena accennato, mentre butta del terriccio dentro un vaso vuoto.
“Direi che ormai ci conosciamo abbastanza da poterci scambiare i numeri di cellulare,” decreta lui con disinvoltura.
“Sei insistente. E' già la decima volta che vieni qua.”
“Non è colpa mia. Sei la fioraia più vicina e mi è appena morta la terza mamma.”
“Smettila di scherzare,” lo apostrofa la ragazza mentre ride, un riso soffice, vellutato, molto femminile.
“Perché non mi hai mai detto il tuo nome? Aeris è un bel nome,” dichiara lui serio, con la voce addolcita. Lei lo guarda sorpresa.
“Come fai a saperlo?”
“Me lo ha detto il fantasma della mia terza mamma.”
Aeris ride di gusto, con spontaneità, ed è questo ciò che gli piace più d'ogni altra cosa.
“L'ho sentito dire dal tuo collega mentre ti portava i vasi, quando me ne stavo nascosto a spiarti,” confessa Zack. “Non pensi che per tanto impegno dovresti almeno premiarmi con un appuntamento?” domanda, e mette in viso quell'espressione da cucciolo smarrito, da ragazzo sfortunato ed imbranato, anche se imbranato in realtà non lo è mai stato.

 

 

“E così ci siamo dati appuntamento domani, davanti al monumento della piazza principale.”
Cloud annuisce e ruota l'indice sul bordo del suo bicchiere di bourbon.
“Che fiore ti ha rifilato, stavolta?” chiede con aria spassosa.
“Si chiama croco,” riferisce Zack, traendo dalla tasca l'ennesimo fiore.
“E' molto bello,” giudica Cloud con sincerità dopo averlo osservato con attenzione, lambendo con le dita lo stelo fine, i petali viola che sfumano nel bianco. E' un fiore che è appena nato, che deve ancora finire di sbocciare.
“Se vuoi te lo do,” afferma Zack facendo spallucce. “Tutti i fiori che ho portato a casa si sono seccati subito, non mi va di vederne morire un altro.”
Chiama il barista con una scrollata esagerata della mano, urlando il suo nome ad alta voce. Tony, Bob, Jim, Murray, lo chiama in tanti modi, un po' perché non ricorda mai il suo nome, un po' perché gli piace abbinarne diversi alla sua faccia da barista sciupato di nicotina e d'alcol, riproponendo i più abusati dei film d'azione commerciali – tanto per ridere, perché per Zack tutto può essere una risata. Nel frattempo Cloud squadra pensieroso il croco tra le dita e si dimentica del suo bourbon. Il ghiaccio si scioglie fino ad annacquarlo del tutto.

 

 

Appena sente la porta cigolare, Tifa alza lo sguardo meccanicamente. “Ehilà,” dice, mentre posa due casse di bottiglie di birra su un tavolo. Ha le maniche rialzate, i pantaloni comodi, una coda di cavallo alta. Si pulisce la fronte madida di sudore e torna a guardarlo sorridendo. Lui si avvicina e le porge il fiore.
“E' un croco,” dice Cloud, “e... è per te.”
Tifa osserva basita il fiore, poi il ragazzo.
“Non sono una persona ricca, e neppure famosa, ma spero che questo ti faccia capire che io...” e le parole si rompono così, risucchiate nella gola, intrappolate dal timore. Finalmente la guarda, con esitazione, e la vede sorridere imbarazzata, arrossata, lieta. “Mi sei sempre piaciuta tantissimo,” soggiunge.
Tifa allunga una mano per prendere il fiore e con l'altra gli tocca le dita per intrecciarle con le sue, delicatamente. Le loro labbra si schiudono in un bacio timido, indulgente, come se per entrambi fosse il primo.

 

 

Tifa dà al locale il nome del loro fiore. Per i clienti il Croco è un bar un po' curioso, un po' nascosto, piccolo, economico, pittoresco, con degli arazzi color porpora attaccati alle finestre. “E' stato inaugurato da qualche giorno, è il bar della mia ragazza,” gli dice lungo la strada.
Zack lo fissa esterrefatto e strabuzza gli occhi. “Non lo sapevo.”
Il semaforo diventa verde, ma ci mette un po', lui, a spingere l'acceleratore della macchina. “Me l'hai proprio fatta, biondo!”

 

 

Non ricordano di chi fosse stata l'idea, ma quella sera di circa tre mesi dopo si incontrano tutti e quattro insieme per la prima volta. La lunga coda di Aeris ondeggia in aria, dolcemente, mentre attaccata al braccio di Zack le dice: “è un locale davvero carino. Il croco è anche uno dei miei fiori preferiti.”
E' messo lì, sulla mensola alta, in un bicchiere d'acqua che Tifa cambia ogni giorno e che ogni giorno posa sul davanzale della finestra sotto la luce del sole. Se ne prende cura come una cosa preziosa, qualcosa che quando morirà non potrà mai più rinascere.
“Ti ringrazio,” le dice imbarazzata.
Cloud è in un angolino del locale con Zack, parlano di moto, gare e cilindrate.

 

 

Mentre passeggiano, Zack la stringe con veemenza ed affetto, le fa una battuta che ha a che fare con i polli, i pollai e il manifesto appeso sul muro vicino. Aeris ride e lo bacia, quei baci caldi che fremono di passione. Dietro le loro spalle, a qualche passo, Cloud e Tifa camminano mano per la mano e li guardano stralunati e curiosi. Pensano: “Noi ci siamo già detti ogni cosa in questi anni, loro hanno ancora da potersi dire tutto.”

 

 

Quella sera è un fine settimana, c'è più clientela del solito, Tifa è dietro il banco che sta stappando una bottiglia di birra. Li adocchia tutti e tre seduti a un tavolo lontano. Zack ha un modo di gesticolare impetuoso ed eccessivo, Cloud invece è sempre fermo e calmo, parla solo con la bocca, a malapena con gli occhi, un po' con le espressioni. Aeris si mantiene la testa con le mani sotto il mento, sembra una bambina curiosa che ascolta due adulti.
“Ma guarda come ride Cloud, si sente fino a qua,” pensa Tifa con invidia mentre versa del rum per l'uomo già un po' alticcio seduto sullo sgabello davanti, che lo tracanna con divoro.
“Lo vedo dai tuoi occhi, bambina, ti stai scazzando un casino! La vita è proprio una noia, vero?” esclama con voce malferma.
“Almeno tu puoi bere,” gli risponde Tifa con un sorriso mesto.

 

 

Chiacchiera con voce fioca, eppure in modo chiassoso per quel silenzio innaturale della notte nei vicoli del Croco. Gli racconta dell'ubriaco di prima, di quanta gente sta sempre più venendo al suo bar, di come, probabilmente, sarà sempre così e sarà più difficile rimanere soli. Non lo sente rispondere, così si volta verso di lui.
“Che hai?” gli chiede prendendogli la mano per richiamarlo. Cloud si riscuote e sorride in modo quasi impercettibile.
“Niente, Tifa, sono solo un po' stanco,” le risponde con rassicurazione. “Domani mi passerà.”

 

 

Ma il giorno dopo, tra le lenzuola sfatte, lui è ancora così. E' seduto sul bordo del letto, ha i gomiti appoggiati alle gambe e le mani che mantengono la testa abbandonata in avanti. Pensa che lei stia dormendo, ma invece è sveglia a guardargli con rammarico la schiena incurvata. Sembra la schiena malandata di chi sta reggendo un peso più grande di sé.

 

 

Quel cruccio silenzioso esplode, improvvisamente. “Lo avevo programmato da tanto tempo questo viaggetto in Cina, ricordi?” le dice con voce ansiosa mentre piega i vestiti e li ripone nel borsone.
“Ma così, all'ultimo momento... potevi dirmelo prima!” lo riprende Tifa dal corridoio, fuori la stanza.
“Scusami,” sa dire solo lui. Lei sospira e aggrotta la fronte.
“E' da due settimane che fai così,” gli rammenta, “sei più freddo e hai un problema di cui non mi vuoi parlare...”
“Non c'è nulla che non va,” la interrompe Cloud.
“Sei un bugiardo.”
Lui assottiglia gli occhi, come a trattenere una lacrima, o forse della collera.
“Pensa quello che vuoi,” le mormora infine, prima di varcare la soglia della porta d'ingresso. “Tornerò presto.”
Tifa si affaccia alla finestra della palazzina e lo scorge camminare sul marciapiede. “Cloud!” urla, e ancora: “Cloud! Cloud!”
Ma lui non si volta neanche una volta.

 

 

Entra con irruenza, sbattendo l'anta della porta. Al bar si girano tutti a guardarlo per un attimo, poi tornano sui propri bicchieri e le proprie chiacchierate. Lui non si accorge di nulla, si siede subito al banco.
“Brenda!”
Brenda, la chiama. Tifa si gira attonita e lo vede con in mano il portafoglio aperto, le monetine già gettate sul tavolo. “Whisky, grazie.”
“Ciao, Steve,” lo chiama la mora, semplicemente.
“Mi chiamo Zack.”
“E io mi chiamo Tifa,” afferma lei con ironia, riempendo il bicchiere di whisky.
Lui ridacchia sommessamente. “Mi ricordi un altro barista, un certo... oddio, non ricordo... non siamo mai diventati grandi amici. Ma noi due ci conosciamo, per fortuna, così quando mi ubriacherò e mi sfogherò con te sarò meno patetico di quei trinconi che alla prima occasione parlano della propria vita ad un barista che neppure ricorderanno.”
Trangugia il suo bicchiere e subito ne ordina un altro. Tifa incrina l'angolo delle labbra e stappa un'altra bottiglia. “Ne ho già per me, di problemi, e me ne bastano,” gli riferisce.
“E' questa la condanna dei baristi,” continua a dire lui con enfasi, “ma sappi che non sono venuto a romperti i coglioni apposta, speravo di scassarli a Cloud.”
Un altro bicchiere è già finito, è già proteso in avanti per un'altra riempita. “A proposito, dov'è il biondo?” le chiede.
“Non ti ha detto nulla?” domanda sorpresa Tifa. Zack la guarda stralunato.
“Cosa?”
“E' andato a farsi una vacanza all'estero.”
Ma lui, al quarto bicchiere, ha già smesso di ascoltarla.

 

 

Non le parla, neppure una volta. Scruta il riflesso del proprio viso amareggiato sul liquido color ambrato del whisky con la speranza di comprendersi meglio, di trovare risposta alle sue stesse domande. Adesso beve e non riesce a fare altro che immedesimarsi in quel bicchiere vuoto. Lo fissa ancora per un po', stavolta senza intenti, solo per distrazione, per non dover pensare.

 

 

L'insegna del Croco abbaglia a sprazzi come una lucciola morente, prima di spegnersi. Tifa chiude la porta a chiave e abbassa la saracinesca imbrattata di murales. Zack è qualche passo più in là che avanza barcolloni con la mano appoggiata ad una parete per reggersi, poi incespica in uno scalino in prossimità di un portone. La ragazza lo agguanta in fretta per il braccio, mantenendolo saldamente per bilanciarlo. Lui la fissa e sorride ebbro.
“Adesso ti meriti proprio una mancia, barista,” le dice, sfilando dalla tasca il portafoglio.
“Vado a chiamarti un taxi,” gli informa Tifa con serietà, abbandonandolo al muro.
“Ehi... no, vado a piedi... farò un viaggio come lo facevano i nomadi di una volta, senza mezzi, senza meta...”
Lei non lo sente, è già lì al ciglio della strada a parlare ad un tassista appena giunto. “Dove abiti?” chiede poi voltandosi verso Zack.
“Pennsylvania Avenue, 1600, Washington. Vivo nella Casa Bianca,” le risponde con un sorrisetto birbante. La mora gli ruba il portafoglio dalle mani ed estrae la carta d'identità per leggere il suo indirizzo.
“Lollard Street, 32. Ti accompagno a casa, non voglio ritrovarti la mattina dopo a dormire per strada nudo, o ancor peggio nella cronaca nera di qualche giornale.”
“Per tanta apprensione nei miei riguardi, ti darò il doppio della mancia,” le rivela onorato Zack con un gruzzoletto di banconote non contate tra le dita. Tifa prende i soldi senza troppi indugi e lo guarda perentoria.
“La mancia la dai al tassista.”

 

 

“Benvenuta nel Palazzo dei Fair, costruito nel 1342, data confermata dalla presenza di un rudimentale affresco bizantino che rappresenta il ritratto della famosa Regina Dalamberta di Cornovaglia, qui nelle sue più umili spoglie,” scherza Zack indicandole una stilizzata donna nuda disegnata sulla parete della palazzina. Tifa lo ignora e comincia a salire le scale tenendolo sottobraccio, attenta a non farlo cadere. Arrivata al portone d'ingresso, gli sfila le chiavi dalla tasca e prova ad inserirne un paio nella serratura.
“E davanti ai suoi occhi vi è la prima porta del paradiso,” asserisce Zack con voce instabile ed ampollosa. “Si narra che venisse sorvegliata da San Pietro, ma sfortunatamente quest'ultimo perse subito le chiavi e quindi Dio gli ricostruì altrove una nuova porta del paradiso. Pietro era un tipo un po' distratto e perdeva facilmente le cose, è per questo motivo che nei suoi mazzi c'è sempre più di una chiave,” soggiunge solennemente mentre sente cigolare i cardini arrugginiti.
Nel buio, Tifa accende la luce a tentoni e percorre il corridoio stretto, ancora affiancata dal ragazzo.
“Perché non mi parli? Pensi che sia un eretico?” le chiede amareggiato. “Io non sono un eretico, dico solo verità pericolose, ed è per questo che sono venuto direttamente a conoscenza di una segreta organizzazione clericale istituita per assassinare quelli come me, che sanno troppo. Non immagini quanta paura possono fare delle suore armate di crocifissi acuminati, e questa cicatrice sul viso ne è la prova!”
“Smettila di fare lo spiritoso,” lo ammonisce Tifa con un sospiro mentre lo fa stendere sul letto.
“E qui davanti a lei vi è il giaciglio che testimonia l'esistenza del santo Graal, poiché nei vangeli apocrifi viene raccontato che Gesù e Maria Maddalena vi si recavano per...”
La mora gli dà un leggero pizzicotto sul braccio che lo fa zittire immediatamente. “Ti ho appena salvato da un assalto di suore,” gli dice con ironia.
Zack ride ed agisce senza più pensare. Quando Tifa si ritrova sdraiata con il naso schiacciato sull'incavo del collo di lui, avvolta in un abbraccio prepotente, e percepisce sulla pelle il suo fiato caldo e grosso, si divincola subito e gli tira un pugno in faccia.
Poco dopo, Zack sente la porta chiudersi con un tonfo e la guancia che pulsa di dolore. In un attimo di lucidità riesce anche a maledirsi, prima di sprofondare in un sonno lungo e senza sogni.

 

 

Quella sera, stranamente, è tentennante mentre varca la soglia del Croco. Si avvia a piccoli passi silenziosi, confondendosi tra la gente. Tifa, da dietro il banco, appena lo adocchia non riesce neppure a sforzarsi di sorridere.
“Volevo scusarmi per l'altra sera...” si affretta a dire Zack.
Lei non risponde, si guarda le mani che asciuga con uno straccio spiegazzato. Così è lui ad avvicinarsi, sedendosi su uno sgabello.
“Quando bevo un sacco non ho più controllo, soprattutto in presenza di femmine...” spiega esitante. “Certe volte le confondo anche. Una sera ho aiutato una ragazza ad attraversare la strada, mentre ad una vecchietta ho chiesto come si chiamava e se mi dava il suo numero di cellulare.”
Tifa lascia uscire un risolino leggero, intrattenuto, e lui, sollevato, ricambia sorridendole debolmente, riconoscente.
“Sei la donna del mio migliore amico, non ci proverei mai con te. Ma si sa, le peggiori stronzate vengono fuori da ubriachi, Tifa.”
La mora alza finalmente gli occhi e sorride rasserenata. “Almeno ricordi il mio nome.”

 

 

Le racconta che quella sera ha sperperato un mucchio di banconote senza accorgersene, che la mattina seguente aveva un'emicrania incredibile e si era ritrovato un calzino in una mano. “Non mi ubriacherò mai più,” promette solennemente.
Tifa lo scruta incuriosita e perplessa. “Perché dovresti ubriacarti?”
“Per smaltire un po' di tristezza, come tutti i trinconi. Si fa così, no?”
“Lavoro qui da mesi, ma non ho mai visto neppure un ubriaco uscire più felice dal Croco di quando è entrato.”
“E' vero,” ammette Zack facendo scorrere il dito sul bordo del ripiano del banco. Poi svela tutto. “Aeris mi ha lasciato.”

 

 

In quel periodo dell'anno, il prato del giardino di Aeris è sempre pieno di soffioni. A Zack piace toccarne le corolle, danno quella strana sensazione di formicolio ed inconsistenza, come quando lambisce i suoi capelli castani, lunghi e setosi. Ma Aeris, quel pomeriggio, non risponde alle sue carezze.
“Cosa c'è?” le chiede preoccupato.
“Mi dispiace,” gli dice subito, “quello che sto per dirti non ti piacerà.”
Gli spiega che è confusa, che non sa più cosa prova, che le serve allontanarsi da lui per un po' e che l'indomani ha un volo già prenotato; che forse quando tornerà avrà fatto chiarezza su tutto.
“Sembra quasi che tu mi voglia lasciare,” riesce ad affermare lui dopo una manciata di silenziosi secondi.
“Non voglio rovinare nessuna amicizia...”
“Se è questo che ti preoccupa tanto, ti assicuro che non smetteremo mai di essere amici, qualunque cosa accada, quindi non arrivare a conclusioni affrettate e non fare cose sconsiderate solo perché hai paura di questo.”
Lei fa cenno di dissenso con il capo ed abbassa lo sguardo, nascondendo gli occhi lucidi sotto la lunga frangia. “E' tardi,” dice. Prende la borsa da terra e se ne va. Il rossetto chiuso male cade da una tasca e rotola sul prato fino ai piedi di lui. E' un pugno nell'occhio in mezzo a tanto verde.

 

 

“Non mi sono mai sentito così triste per una ragazza in vita mia,” le racconta impugnando saldamente un bicchiere vuoto lasciato dall'uomo che gli sedeva vicino. “Aeris è diversa, credo che con lei sia stato vero amore.”
Tifa gli prende il bicchiere dalle mani per sciacquarlo, meccanicamente, mentre l'attenzione e gli occhi sono rivolti a lui.
“Quella sera le ho telefonato. Era più calma e mi ha parlato con chiarezza, ed io, a mia volta, sono riuscito ad ascoltarla meglio di qualche ora prima. Mi ha ripetuto le stesse cose di quel pomeriggio. Non ho contrariato e non l'ho costretta a fare nulla, era giusto così. Forse m'illudo, ma spero che al suo rientro tutto torni come prima.”
“Mi dispiace.”
Zack sorride e fa spallucce. “Magari la Cina la rinsavirà.”
A Tifa scivola il bicchiere dalle mani. Il moro si alza per aiutarla, ma lei, già accucciata, lo ferma scuotendo la mano.
“Non importa, sono solo tre pezzi,” lo rassicura raccogliendo i frammenti, riponendoli su un fazzoletto di carta, uno sopra l'altro. Se un cuore si spezzasse concretamente, pensa lei, ecco, sarebbe così.

 

 

Non era difficile capirlo, in fondo. Cloud, Aeris, lo stesso comportamento, lo stesso viaggio, la stessa meta. Tifa se ne rende effettivamente conto all'una di notte, dopo aver buttato delle bottiglie di birra vuote in un cassettone della spazzatura. Si accascia lì vicino rannicchiandosi come una barbona infreddolita e piange senza più trattenersi.
Nessuno la sente, tanto, a parte un gatto curioso che la guarda qualche metro più in là con le iridi screziate.

 

 

Non si era mai soffermato sull'ambiente, ha sempre gettato gli occhi nei bicchieri. Ma ora che non beve, ora che non serve, alza lo sguardo oltre le spalle di Tifa e adocchia subito il fiore.
“Quello è il croco che ha dato il nome al bar?” chiede.
“Sì,” risponde Tifa.
“L'ultimo fiore che ho comprato da Aeris era un croco. E' il simbolo della giovinezza e dell'esuberanza, mi diceva che stava a pennello con la mia personalità, per questo me lo ha dato.” Sorride per un attimo, addolcito, nostalgico. “I crochi rappresentano anche l'amore e la passione fin dai tempi degli antichi greci, che li usavano nei talami nuziali. Me lo ha raccontato Aeris il giorno prima del nostro appuntamento...”
“Se per te è un così bel ricordo, ti regalo il croco,” afferma Tifa con semplicità.
“Come?” chiede Zack esterrefatto.
“Non lo sto curando più come una volta, ho poco tempo, e potrebbe seccarsi da un momento all'altro.”
Da una parte è così, dall'altra Tifa se ne vuole liberare, un po' perché è giusto e un po' per dimenticare. Prende il bicchiere dalla mensola alta in punta di piedi e lo posa sul banco. Alla mente di Zack riaffiorano tutti i ricordi preziosi. “Grazie,” mormora assorto. “Me ne prenderò cura per dimostrarle quanto tengo a lei, e al suo ritorno la lascerò di stucco quando mi vedrà all'aeroporto con il croco in mano!” esclama ritornando ottimista ed esibendo quel suo sorriso di una volta, lungo e curvo, dagli angoli della bocca alti.
Tifa, certe volte, rimane commossa da tanta sua sicurezza e coraggio. Lei non è impavida come lui, si nasconde in se stessa e piange, per questo lo invidia. Ma talvolta prova anche una forte vergogna.
“Male che vada, c'è Cloud a sostenermi. E' una fortuna che esistono gli amici, c'è sempre una consolazione per tutto,” sostiene Zack con un sorriso.
Ed eccola, quella vergogna, che riemerge dalle viscere di Tifa ed arriva a toccarle la gola, fino a seccarla.
“Quando torna il biondo?” le chiede Zack interessato.
“A breve,” risponde lei senza rispondere.

 

 

Diventa un'abitudine cominciata senza che loro neppure se ne accorgano. Zack va a trovarla al Croco tutti i fine settimane, qualche giovedì e qualche martedì; Tifa lo aspetta davanti al suo sgabello preferito, quello accanto al quadro di Degas appeso vicino alla finestra, con il bicchiere di cherry già pronto che lui ordina sempre, solo per un assaggio dolce, per una carezza al palato, senza più l'intenzione di ubriacarsi.
“L'ingresso di questo bar è la porta del paradiso,” le dice con un complimento un po' ricercato. A discapito della reazione che si aspettava, Tifa comincia a ridere di gusto.
“Che ho detto?” chiede lui confuso.
“Mi hai ricordato la notte che ti ho accompagnato a casa, dicevi un sacco di scemenze su una porta del paradiso all'ingresso del tuo appartamento,” gli spiega divertita.
“Non ricordo niente di quello che ho detto, ma posso immaginare le stronzate che ho sparato...” ammette lui un po' imbarazzato.
“Non avevo mai visto un ubriaco improvvisarsi guida museale così bene come te.”
“Come si suol dire, c'è sempre una prima volta per tutto!”
“Questo è un bene.”
Lui aggrotta le sopracciglia e la guarda confuso. “Perché?”
“E' un po' complicato... Penso che per dimenticarsi di una brutta situazione e non rimuginarci sopra bisogna ricominciare da capo, e per arrivare davvero a ciò bisogna fare qualcosa di mai fatto prima.”
“E' un periodaccio anche per te, eh?”
“Già.”
“Forse questo metodo è pure più funzionale di quello del parlare dei propri problemi...” riflette Zack concentrato con la mano sul mento e la fronte corrugata. “Vai a casa a piedi dopo aver chiuso il bar?”
“Sì, abito qui vicino. Saranno sì e no cinque minuti di camminata.”
Lui sorride, un sorriso misterioso, un po' diverso. “E' comunque abbastanza.”

 

 

L'aspetta fuori dal Croco. Ha le mani nelle tasche del giubbotto di pelle, le gambe un po' divaricate, la schiena dritta. Lo vede così nella cortina di vapori che esce da un magazzino lì accanto, sotto l'illuminazione fioca di un lampione malridotto.
“Ti accompagno a casa, e intanto mi dici la prima cosa che ti viene in mente che non hai mai fatto,” afferma.
“Qualunque cosa?”
“Certo. Si può fare tutto, Lockheart. Si può sempre fare tutto.”
“Non ho mai ucciso una persona.”
Zack rotea gli occhi e fa una piccola smorfia. “Ok, diciamo che si può fare tutto a parte uccidere.”
La ragazza ridacchia e guarda in basso con fare pensante. “Non ho mai cantato.”
“Mai cantato?” chiede scandalizzato lui.
“Cioè, con gli amici nei karaoke o a casa sì, ma mai per la strada.”
“Mh. Be', neanch'io.”
Lui fa schioccare le dita a ritmo e mugola sottovoce una melodia. Lei lo segue a ruota, riconosce subito il ritornello di Radio Ga Ga. Cantano, Zack si porta un microfono invisibile alla bocca imitando le movenze di Freddy Mercury e Tifa batte le mani a tempo, come nella canzone.
“E' l'una di notte passata, la gente a quest'ora dorme!” urla dopo qualche minuto un uomo affacciato ad una finestra.
“E lei perché non dorme?” chiede Zack sornionamente.
“Perché qualche coglione mi ha svegliato cantando cazzatine pop a squarciagola!”
“Se lo spettacolo le è piaciuto al punto di svegliarsi e doversi affacciare alla finestra, può dare un contributo a me e questa bella signorina lanciandoci qualche monetina,” fa Zack sorridente, irremovibile, con quell'atteggiamento provocatorio di sempre.
“Ti do qualche pallottola se non la finisci, stronzo!” sbraita l'uomo cacciando un fucile e puntandolo in direzione sua.
Il ragazzo sobbalza, prende l'amica per mano e scappa imboccando una strada a caso. Dopo svariati minuti di corsa sfrenata si fermano al marciapiede di una via principale ancora trafficata, un punto di salvezza pieno di gente e luce, e si appoggiano ad una macchina parcheggiata.
“E' la prima volta che uno psicopatico mi punta un fucile addosso,” le dice Zack stancamente. “Uno pensa che gliene son capitate tutte, e invece...”
“Aggiorniamo la lista dei tabù e diciamo che si può fare tutto a parte uccidere e cantare Radio Ga Ga a notte fonda...” mormora Tifa col fiato pesante.
Zack ride, riflettendo sul fatto che è la prima volta che nel farlo prova tanto dolore, ma gli piace. Fa male perché ha il fiato corto e non riesce a respirare, pensa, o forse perché non ne era più abituato da tanto tempo.

 

 

“Di' il primo giorno della settimana che ti viene in mente.”
Tifa alza gli occhi e fa una leggera smorfia con la bocca. “Mercoledì.”
“Hai pensato al mercoledì perché è il tuo giorno libero, vero?” fa lui con asserimento.
“No, ho pensato al mercoledì perché mi piace la parola mercoledì.”
Zack sorride come a dire me l'hai fatta. “Io sono libero il martedì e il giovedì. Qual è il giorno più adatto per te?”
“Adatto per che cosa?”
“Per testare il nostro esperimento, quello di provare qualcosa mai fatto prima per ricominciare da capo e dimenticarci dei problemi,” spiega lui. “Per te suona meglio 'martedì è il giorno dell'esperimento' o 'giovedì è il giorno dell'esperimento'?”
“Mi suona meglio quando sono libera, ossia solo il giovedì.”
Zack annuisce animatamente. “Suona decisamente meglio, lo penso anch'io.”

 

 

Il giorno dell'esperimento si incontrano vicino alla stazione, al centro della città. Alla luce del sole si accorgono che è la prima volta che si vedono di pomeriggio, e ciò fa un po' strano. Girano per le strade, fermandosi poi in un negozio che vende articoli da carnevale. Zack prende un paio di baffi finti e li mantiene con le dita sotto il naso.
“Ti stanno davvero bene,” scherza Tifa. Lui si leva da dosso i baffi e li appoggia sul prolabio dell'amica.
“Stanno meglio a te.”
Poco dopo Tifa esce dal negozio con i baffi già indosso, affiancata da Zack che tiene in mano un rossetto rosso fuoco.
“Oggi sarà il giorno dell'esperimento in cui ci metteremo nei panni dell'altro sesso per avere una visuale più aperta del mondo,” fa lui con tono serio.
“Ti stai mettendo male il rossetto,” gli informa Tifa con spasso prendendogli il mento con una mano e pulendo la sbavatura rossastra sotto la bocca con l'altra.
“Com'è difficile essere donne...” mormora lui con un sospiro volutamente appesantito.
“E' difficile anche essere maschi. Non so come facciano i baffuti, ogni volta che parlo mi entra un pelo sintetico in bocca.”
“E che dire degli uomini che mi stanno guardando, allora?” enuncia lui stizzito, con la voce da ochetta. “Non hanno un minimo di pudore, mi fissano come se fossi un alieno. E' sempre così quando un maschio palesa interesse fisico nei confronti delle donne?”
“Non saprei dire, la gente mi sta guardando più ora che prima.”
Zack sospira, di nuovo. “Siamo nati coi sessi sbagliati. Sarei stata un'attrice famosissima, bellissima e nonostante tutto brava, mentre tu saresti stato un qualche artista miliardario sempre pieno di modelle che posano gratis per te, ovviamente nude.”
“Alla faccia!” esclama Tifa.
“Guarda quella donna, non ti leva gli occhi di dosso!” le riferisce Zack con spasso, tirandole leggere gomitate sul braccio. L'amica aggrotta le sopracciglia e si fa seria, stavolta per davvero.
“Uhm... non credo che quella sia una donna, non totalmente. E credo anche che invece stia guardando te.”
Zack trasecola, strabuzza gli occhi e riesce solo a dire un bisbigliato ed incerto: “Oh.”

 

 

“Non è poi tanto strano mangiare in un ristorante,” insiste lei.
“Sì, ma non avevo mai mangiato in questo ristorante,” precisa lui.
“Ad ogni modo, non è che sia una cosa che si può definire del tutto nuova...”
Colloquiano di questo il secondo giorno dell'esperimento, mentre sono seduti ad un tavolo di un ristorante in cui Zack ha voluto entrare unicamente per la presenza di un gigantesco dipinto di un asino di discutibile gusto estetico sull'insegna.
Il cameriere giunge per dare il conto e Tifa, nel leggere tanti zeri, spalanca gli occhi.
“Questo è uno scherzo,” afferma timorosa mentre mostra lo scontrino a Zack. Lui fischia forte, con eloquenza.
“Hai abbastanza soldi dietro?” le chiede.
“Sì, e tu?”
Il ragazzo annuisce, poi, poco dopo, ampliando ben bene quel sorriso lungo e curvo dagli angoli della bocca alti, le domanda: “Hai mai ordinato qualcosa in un ristorante accorgendoti in ritardo di non avere il portafoglio?”
Alla risposta negativa della ragazza, la conseguenza viene da sola. Zack chiama il cameriere e si scusa in modo garbato e fintamente intimorito, riferendogli che entrambi non hanno il portafoglio perché erano convinti che offrisse l'altro. Il cameriere continua a sorridere, seppure stavolta in modo incerto, ed informa che avrebbe parlato della cosa al capo cuoco. Quello esce dopo meno di un minuto con ancora in mano il mestolo sporco di zuppa, la fisionomia stranamente identica a quella dell'asino dell'insegna.
“Credete di farmela, ragazzacci?!” sbraita infuriato, battendo il mestolo sul tavolo, facendo voltare tutta la clientela. “Non la passerete liscia! Chiamerò la polizia!”
“La prego, faremo qualunque cosa per riparare il danno,” gli assicura Tifa a voce bassa, sorridendo spaurita e dispiaciuta.
Il cuoco si zittisce, alza un sopracciglio e fa uno strano verso a labbra contratte tanto simile ad un raglio.

 

 

Trascorrono tre ore e sono ancora lì, nel reparto cucina di quel ristorante a lavare pile di piatti sporchi.
“E' proprio un classico da film,” dice Zack mentre prende le stoviglie insaponate che gli passa Tifa.
“Sempre meglio di venire arrestati,” decreta lei appena prima di udire un piatto sfracellarsi sul pavimento. Si volta verso l'amico, trovandolo con le mani vuote per aria ed un'espressione agghiacciata. Lo sente sussurrare a denti stretti un mal trattenuto merda.
“Hai reso il classico ancora più classico,” afferma l'amica con ironia mentre raccoglie con lui i frammenti. “Per fortuna il capo cuoco non ci ha visti.”
Zack sputa un altro merda, stavolta più dolorosamente. “Mi sono tagliato il dito,” afferma alzando l'indice insanguinato.
Tifa gli lancia un'occhiata materna un po' preoccupata e un po' come a dire sei sempre il solito.
“Non è niente,” la rassicura lui, poi ridacchia. “Certo che ora stiamo proprio rasentando i cliché. Adesso ci vorrebbe una graziosa fanciulla che mi bacia il dito e mi ci mette sopra un cerotto coi cuoricini.”
“Questo cliché esiste?”
“Cara Lockheart, non conosci gli harmony! La dolce donzella apparirà dietro la mia schiena sotto una luce bianca e brillante e mi dichiarerà il suo amore con voce soave!”
“Non gingillate, lavorate!” urla il capo cuoco da lontano, ritornando poi a concentrarsi sui conti dei soldi nella cassa.
“Non è stata un granché come voce soave...” mormora Zack deluso.
“Se può consolarti, ho dei cerotti di Winnie the Pooh a casa,” scherza Tifa.
“E anche una bella bionda che mi aspetta seduta sul letto?”
La mora gli tira la schiuma di sapone addosso e sorride. “Cambia cliché, il tuo è troppo sofisticato.”

 

 

Perdono il conto dei giorni degli esperimenti passati insieme, quel giovedì. Piove forte, il cielo è plumbeo, righettato da tante lame d'acqua affilate. Lei guarda un lampione oltre il finestrino chiuso della macchina ferma nel traffico e non dice nulla.
“Sei strana, stai bene?” chiede Zack lasciando il volante e inserendo il freno a mano.
“Sono un po' stanca, la pioggia mi fa sempre questo effetto.”
“E per il resto, in generale, come stai?”
Tifa si gira a guardarlo un po' sorpresa. “Bene,” risponde, colta alla sprovvista.
“Se hai un problema puoi parlarmene. Non voglio che ti confidi per forza con me, anche se io l'ho fatto con te... ora che ci penso un po' troppe volte... Spesso sembra che il mondo giri intorno a me, ma non sono il solo Pel di Carota o Paperino della Terra.”
Sorride alla sua stessa affermazione, ma quando si gira verso di lei la coglie di nuovo con la mente da un'altra parte. Si trova a qualche mese prima, sempre vicino ad un lampione, sotto la pioggia, di fronte ad un chiosco di panini. Adesso Tifa vede lui, nitidamente, coi ciuffi biondi bagnati, leggermente pencolanti ed appiccicati alla fronte, mentre mette allo stereo una canzone sconosciuta e giocherella con la sua mano che non lascia mai, a parte quando deve cambiare marcia. Lo ricorda mentre dice che c'è un sacco di traffico e che non gliene importa nulla, perché rimarrà più tempo con lei. Tifa sfoggia un sorriso commosso e agrodolce, con le labbra al sapore di tè che si erano mischiate a quelle di spezie di lui poco prima, dopodiché le dice che non è mai stato così felice in vita sua e che sente che non lo sarà mai.
“Presumo che dovremo saltare il nostro giorno dell'esperimento,” afferma Zack riportandola alla realtà. “Le macchine non si muovono e piove a dirotto. Potremmo fare poche cose nuove in queste condizioni, per esempio cantare sotto la pioggia, proprio come quel film... quel classico che s'intitola... s'intitola...”
“Cantando sotto la pioggia,” gli risponde Tifa sottovoce.
“Già, che strano,” scherza lui, e si volta. Si pietrifica quando la trova con le lacrime intrattenute, già scese, e stavolta per lei non c'è nessun sapore agrodolce, il pianto è amaro e a malapena salato.
Tifa si china in avanti pulendosi gli occhi, Zack le posa una mano sulla spalla e la trasporta in un abbraccio delicato. Con la voce spezzata tra le pieghe della sua maglietta, Tifa gli confessa, a tratti inaspettatamente toccata: “E' la prima volta che piango sulla spalla di qualcuno.”

 

 

Quel giovedì sera lei trova il coraggio di affrontare Cloud. Lo chiama al cellulare e lui risponde al secondo tentativo.
“So tutto di te ed Aeris,” gli riferisce Tifa atona. Al silenzio prolungato dell'altro, lei continua: “Quando Zack mi ha detto che anche Aeris andava in Cina ho capito tutto.”
Attraverso la cornetta non passano più rumori. Tifa si morde il labbro e Cloud abbandona la testa in avanti, massaggiandosi la fronte.
“Zack lo sa?” chiede lui.
“No, è giusto che glielo dica tu.”
“Non è successo niente con lei, Tifa...”
“Ma l'hai seguita e questo dice tutto. Perché non mi hai lasciato?”
Lui sospira. “Volevo farlo di persona, non via telefono...”
“Non ce n'è più bisogno, ti lascio io, adesso.”
Non si sente risposta, di nuovo. Nel silenzio l'aria diventa troppo gravosa, sembra irrespirabile per entrambi.
“Torno tra qualche giorno, mentre Aeris vuole rimanere in Cina ancora per qualche settimana,” le fa sapere.
“D'accordo, ma per un po' non voglio vederti,” gli dice Tifa con freddezza, ma è calcolata, è solo ostentata, e il tremolio sulle labbra che lui non può vedere lo dimostra.
“Mi dispiace,” sa dire solo lui.
Il click della cornetta telefonica è come una riposta non data. A questo, in fondo, non esiste mai risposta.

 

 

Lui non avrebbe mai voluto che accadesse, ma accade, avviene nello stesso inaspettato modo in cui riesce ad essere subito e totalmente se stesso con lei. A Cloud questo non accade mai, ci mette un po' ad aprirsi con gli altri, e quasi mai del tutto. Con Aeris è stato diverso, sembra una donna e anche una bambina, lo sfida e lo affascina, lascia uscire lati del carattere che Cloud stesso credeva di non possedere.
L'amore confonde, inebetisce. E' come con Tifa, ma in un modo differente.

 

 

“Vado a pisciare,” dice Zack ai due alzandosi dalla sedia. Rimangono soli lì al tavolo del Croco lontano dal banco, ma non se ne accorgono tanto sono immersi in discorsi interessanti. Aeris, a cui piace giocare con le cose che trova sottomano, prende un fazzoletto dal contenitore sul tavolo e fa un origami a forma di cappello. Se lo mette in testa, fa una faccia buffa e ride dicendo che dovrà sicuramente sembrare stupida. “No,” risponde Cloud, seriamente, ammaliato, “sei sempre bella.”
Non sa neppure lui come abbia potuto dirlo, ad ogni modo lei capisce che non era una presa in giro o un complimento dovuto, e qualcosa cambia, li scombussola entrambi.
Aeris sobbalza sentendo improvvisamente il tocco di qualcuno sulle proprie spalle.
“Ehi, tranquilla, mi sono lavato le mani,” scherza Zack. Lei sorride per un attimo, dopodiché non spiccica parola per tutta la serata.

 

 

Da quella sera hanno paura di parlarsi. Non si dicono mai niente, ma si guardano da lontano, e qui il sentimento scotta di più perché si fa largo con gli occhi, arrivando alla mente, suscitando la fantasia. Forse diventa persino più sporco.

 

 

All'aeroporto se lo trova improvvisamente davanti con in mano il borsone chiuso male. Ha il respiro pesante, il giubbotto aperto e gli indumenti un po' dimessi.
“Che cosa ci fai qui, Cloud?” chiede Aeris scombussolata.
“Vengo con te,” le dice semplicemente.
“Me ne sono andata proprio per non rovinare l'amicizia tra te e Zack.”
“Voglio solo starti accanto, mi va bene anche come amico.”
“Non voglio essere ingiusta...”
“Mi fa più male starti lontano.”
Le si avvicina, le accarezza la guancia e le posa dolcemente la testa sulla propria spalla. “Non vuoi?”
Lei trattiene il fiato e reprime una risposta mentre gli cinge il busto con le braccia esili.
“La Cina sarà piena di fiori.”

 

 

Cloud entra al Croco con esitazione. Guarda Tifa oltre il banco, poi l'amico girato di schiena. Appena si sente chiamare, Zack si volta già contento, avendo subito riconosciuto la voce.
“Biondo, sei tornato!” urla con entusiasmo, prima di alzarsi dallo sgabello ed abbracciarlo. Cloud ricambia debolmente, sfiorandogli la schiena coi polpastrelli.
“Devo dirti una cosa,” gli riferisce. Zack si stacca da lui per potergli osservare il viso, trovandolo senza sorriso, senza una minima gioia accennata. E' smorto, arreso, con una punta di amarezza negli occhi.
“Sono appena tornato dalla Cina,” gli dice Cloud. Il moro trasecola facendosi serio, una serietà accompagnata da un brutto presentimento. “Ci sono andato per stare con Aeris.”
Zack rimane pietrificato, stira un sorriso un po' forzato, innaturale.
“Che dici, Cloud...?”
“Mi sono innamorato di lei.”
Il moro gli tira un pugno in faccia, facendolo capitombolare a terra. Tutti si voltano spaventati a guardare i due. Tifa li chiama più volte a voce alta e preoccupata, ma entrambi non l'ascoltano.
“Alzati,” gli intima Zack, ma il biodo resta a terra senza muoversi dalla posizione innaturale in cui si è trovato alla caduta. “Hai messo gli occhi sulla mia ragazza, dovresti vergognarti,” lo riprende il moro con una strana calma, prima di lanciargli un calcio sullo stomaco.
“Zack, basta!” urla Tifa, afferrandolo per il braccio per cercare di allontanarlo.
“Avanti, Cloud, picchiami, ti sto aspettando!” lo provoca Zack allargando le braccia, attendendo una reazione, una risposta, però non arriva niente. Così gli lancia un altro calcio, stavolta sul viso. “Perché non mi picchi?!” continua a ripetere Zack, ma Cloud subisce rimanendo zitto, incassando i colpi come una sacca da box, anche dopo che il sangue comincia ad uscirgli dalle labbra e dal naso, sforzandosi di non provare il dolore lancinante che gli attraversa la gabbia toracica.
La polizia arriva poco dopo. Uno di loro soccorre Cloud, gli altri due bloccano Zack e lo inchiodano al muro.
“Ti calmerai i bollori stando una notte al fresco,” si sente dire Zack da dietro le spalle mentre viene ammanettato.

 

 

“Ciao, Tifa,” la saluta fiaccamente Zack da dietro le sbarre, nella penombra di una notte non ancora finita, seduto su una brandina con la schiena appoggiata alla parete. “E' la prima volta che vengo arrestato, e oggi non è neppure il giorno dell'esperimento,” soggiunge ironicamente, cercando di trarre dall'affermazione un sorriso divertito, ma risulta solo artificioso, un po' storpiato.
Lei china il capo mesta. “Sono andata a spiegare all'ufficio di polizia quello che è successo. Domani sarai fuori,” gli informa sommessamente.
“Grazie,” mormora Zack, poi chiede un po' esitante: “Come sta Cloud?”
“Un po' meglio.”
Il moro sorride sollevato.
“Perché lo hai picchiato così forte? Non sembrava un raptus di rabbia...”
“Volevo che fosse lui a picchiarmi.”
Tifa si avvicina confusa a lui circondando con una mano una sbarra fredda ed usurata. “Perché?”
“Perché me lo merito.”
“Non incolparti troppo,” lo incoraggia dolcemente Tifa, “Cloud è tuo amico e saprà perdonare il tuo gesto, così come tu saprai perdonare lui.”
A Zack scappa una risata divertita ed irrisoria e Tifa aggrotta le sopracciglia, un po' risentita.
“Non è Cloud che devo perdonare, ma me stesso. In fondo, non sono tanto diverso da lui, visto che io stesso mi sono invaghito della ragazza del mio migliore amico...”
Tifa blocca il respiro nella gola e spalanca gli occhi stupita.
“Già, sorpresa!” scherza lui poco convinto allargando le braccia. “Sappi che è una sorpresa anche per me, è la prima volta che mi dichiaro in una cella, ma immagino che anche per te sia la prima volta che ricevi una dichiarazione da un carcerato...”
E' sempre stato bravo, lui, a sdrammatizzare nelle situazioni più onerose, ma per la prima volta si trova in difficoltà, perché lui stesso non riesce a trarci divertimento. Si guarda le mani, tanto per fare qualcosa, ma anche avesse alzato la testa nella direzione di Tifa, il buio del corridoio ne avrebbe fatto scorgere solo la sagoma. Non poterla vedere lo aiuta ad essere più chiaro, più distante, meno spaventato.
“Ho smesso anche di pensare ad Aeris stando con te...” le confessa titubante, “non per quegli assurdi giovedì degli esperimenti o per quel pazzo psicopatico che mi aveva puntato il fucile, ma solo perché sapevo che quei giorni vedevo te...”
Il poliziotto apre la porta ed incita Tifa ad uscire posandole una mano dietro la schiena. Lei esce e tutte le parole di conforto, dispiacere o scusa che pensava di dire a Zack, accavallate l'un l'altra nella mente in modo confusionario, non vengono proferite.
La verità è che neanche lei sa cosa voler dire.

 

 

Lei pensa che è bene non vedersi per un po', poi per un po' diventa un tempo lungo, senza che neppure se ne accorgano. Così trascorrono due mesi e Cloud, Zack e Tifa s'incamminano nelle loro strade senza incrociarsi mai.

 

 

S'incrociano un mercoledì d'inizio Aprile. Tifa si sveglia sentendo bussare alla porta, la apre e con grande sorpresa se lo trova davanti che la saluta incerto senza guardarla, sorridendo con le labbra lunghe, non tanto curve, gli angoli della bocca un po' appesantiti.
“E' da te Cloud? Non so dove cercarlo, l'ho chiamato più volte ma non risponde, e a casa non c'è,” le dice subito.
“No...” risponde lei sommessamente, ancora un po' stupita. Zack annuisce, abbassa lo sguardo e comincia a contrarre il volto per trattenere un pianto.
“Cosa c'è?” chiede preoccupata Tifa posandogli una mano sulla spalla. Zack scoppia a piangere e lei, d'istinto, lo abbraccia per confortarlo.
“Aeris...” le mormora tra i singhiozzi, “Aeris è morta.”

 

 

Al funerale ci sono un sacco di persone. Aeris era sempre stata amata da molti e Tifa, da lontano e distanti tra loro, scorge i due ragazzi che lo hanno fatto in modo totalmente opposto, nella dolcezza più incontaminata e nel silenzio più colpevole. Zack cerca di contenersi, ma ha gli occhi lucidi e arrossati. Cloud, invece, sembra un bambino che non si vergogna di piangere dopo essersi fatto male, lascia trapelare il suo dolore con lamenti quasi gridati, mentre si piega in avanti e si nasconde gli occhi. Zack lo osserva da lontano e poco dopo si allontana velocemente dalla folla. Tifa lo segue e lo trova nascosto dietro ad un albero.
“Ah... Tifa...” borbotta lui appena la vede, strofinandosi gli occhi con le dita. “Lo hai visto, vero...?” le chiede con la voce che trema. “Cloud è sempre stato chiuso e poco impulsivo, e adesso sta piangendo più di me, sta piangendo più di tutte le persone del funerale messe insieme! Lui l'amava davvero, ed io l'ho soltanto trattato male e... non l'ho ascoltato...”
Stavolta è lui che, di sua volontà, si lancia addosso a lei. Tifa lo racchiude tra gli arti per sostenerlo, affonda la testa nell'incavo del suo collo e sente che la sua maglietta sa del pianto di quella lontana sera in macchina sotto la pioggia, odora ancora delle bolle di sapone che lei gli aveva schizzato addosso, profuma di fiducia, gioia e di quell'attesa delle sere al Croco con il bicchiere di cherry già sul tavolo, fatte di quell'ansia indefinita, spaventosa e rassicurante. L'amore si fa largo, anche così, in quella situazione del tutto impensabile, e lei si mette in punta di piedi per dargli un bacio a fior di labbra. Zack la fissa frastornato, per un attimo, poi è lui a baciarla, stavolta con più irruenza, stringendola forte. Le guance di lei si bagnano delle sue lacrime, respira il suo respiro ancora irregolare e continuano a baciarsi anche dopo che la bara viene depositata sotto terra, anche dopo che il prete dice la messa e la cenere diventa cenere e la polvere diventa polvere.

 

 

Il sabato sera di due giorni dopo entra al Croco facendosi strada tra la folla tanto è pieno di gente. Occupa subito il solito sgabello, quello all'angolo sotto il quadro di Degas, vicino alla finestra.
“E allora? Dov'è il mio cherry?” le chiede Zack con naturalezza, sorridendo. Tifa, ancora un po' stupita, gliene versa subito un po' nel bicchiere. Lo guarda mentre lo beve, con lentezza, come aveva imparato a fare da un po' per gustare appieno l'aroma dolciastro dello cherry. Non le riesce parlargli, anche se vorrebbe dirgli tante cose.
“Oggi ho fatto pace con Cloud,” informa improvvisamente Zack. “Tra poco mi vedrò fuori con lui. Non vuole entrare qui, pensa che ce l'hai ancora con lui, ma gliel'ho detto tante volte che non è così.”
Tifa sorride rasserenata. “Digli di venire al Croco domani, e digli che sono stata io ad invitarlo, e se non viene comincerò seriamente ad avercela con lui.”
“Sissignora!” fa Zack mettendosi sull'attenti. “Mi versi un altro po' di cherry?”
“Non vorrai mica ubriacarti per festeggiare?” domanda Tifa sospettosa. Zack ridacchia.
“Questo è il giorno in cui metterò in chiaro ogni cosa.”
Lei ride e versa lo cherry nel bicchiere. “Sembra quasi che tu debba uccidere qualcuno...”
Si gira per posare la bottiglia sulla mensola, e quando si volta di nuovo lui non c'è più. E' rimasto solo il bicchiere ancora pieno, un fiore al suo interno e qualche spicciolo sul banco. Tifa alza confusa il bicchiere e trova un bigliettino piegato in quattro, lo prende e lo apre.
Scommetto che è la prima volta che qualcuno ti regala un croco in un bicchiere di cherry.












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Via, è ufficiale, questi due insieme mi piacciono, senz'altro di più delle Zack/Aeris o delle Cloud/Tifa. xD
Come avete notato, questa storia lascia spunti per spin-off di qualunque genere e pairing vogliate, dal CloTi al Clorith. In più non è un caso che poi Aeris sia andata in Cina: là incontrerà Tseng, membro di un clan mafioso, ed avranno una passionale e contrastatissima storia d'amore, che qualcuno sta già scrivendo...
Vero, qualcuno? xD
Ma accomodatevi anche in tanti, se vi va... *occhi dolci*
Non potevo fare meno di esternare il mio lato Tserith, sebbene (e questo, badate, è davvero tantissimo) abbia scritto così tanto Clerith e soprattutto Zerith, coppia che non mi ha mai suscitato poi così tanta curiosità.

Grazie a tutti per aver letto fino a qui, il concorso mi è piaciuto tantissimo. Ringrazio anche Taiga Aisaka per questo. <3
  
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