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Autore: Rowena    24/09/2009    3 recensioni
Madonna Lucrezia non riusciva a dormire, nel suo grande letto a baldacchino.
Si agitava come ormai le accadeva da diverse notti, ma senza alcun risultato. Non che le mancasse il sonno, tutt’altro, ma non appena si concedeva di chiudere gli occhi le tornava alla mente quell’orribile visione, un incubo che ormai la tormentava da una settimana almeno. [La Madonna della Ghirlanda]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Personaggi, luoghi e situazioni non appartengono a me. Chiho Saito detiene tutti i diritti. Non scrivo a scopo di lucro e pertanto nessuna violazione del copyright è intesa.
Questa storia è la prima di cinque su un set richiestomi da Ranessa, set incentrato sul quadro di Fussli L'incubo. Il quadro non è dei miei preferiti, ma vincerò la scommessa! ^^ Questa è 1/5.

Ludovico Ariosto non è presente nell'opera originale, ma ho voluto inserirlo perché in diverse sue opere, mi dice wikipedia, decanta Lucrezia Borgia e mi piaceva aggiungere un'altra gloria dell'arte italiana dopo Leonardo e Raffaello. Forse non in simile rapporto d'amicizia, ma sicuramente ha conosciuto la Borgia... poi chissà se le sue lodi erano sincere. Questo è un mistero che lascio volentieri agli storici, a me serviva ed eccoci qua!

 

Madonna Lucrezia non riusciva a dormire, nel suo grande letto a baldacchino.

Si agitava come ormai le accadeva da diverse notti, ma senza alcun risultato. Non che le mancasse il sonno, tutt’altro, ma non appena si concedeva di chiudere gli occhi le tornava alla mente quell’orribile visione, un incubo che ormai la tormentava da una settimana almeno.

Cambiò ancora una volta lato, cercando una posizione più comoda sotto le coltri, ma alla fine rinunciò: non aveva senso torturarsi così, doveva trovare un modo per tranquillizzarsi, e doveva farlo da sola. Suo marito il duca di Ferrara era in viaggio, si era recato in visita a Firenze per discutere con la famiglia de’Medici per un’eventuale alleanza, le sue ancelle sicuramente si erano ritirate da un pezzo.

Se ci fosse stato suo fratello, avrebbe potuto correre nel suo letto, come faceva da bambina… O per meglio dire, come per molti anni aveva fatto senza badare alle leggi degli uomini o di Dio.

 

Suo fratello.

 

Erano lontani da così tanto tempo… Ora da quel che ne sapeva si trovava in Spagna, non troppo lontano dalla loro Valencia, la città dove il loro padre era nato, dove si poteva raccontare che fosse iniziata la storia dei Borgia. Stava combattendo per il suo cognato di Navarra, da quello che aveva sentito riferire a suo marito Alfonso.

Era per lui che non riusciva a riposare, qualcosa dentro di sé gridava colmo d’angoscia: nei suoi sogni era tormentata, come se avesse un peso sul ventre, e sentiva il nitrito di un cavallo come se fosse stato nella sua stanza, il verso di una bestia morente pronta a esalare l’ultimo respiro; una notte le era perfino sembrato di vedere gli occhi di una creatura orribile, un demone dell’inferno venuto a tormentarla, ma era solo un’impressione.

Stanca di quello stato di pena, Lucrezia calzò le sue morbide pantofole, indossò la vestaglia e lasciò la camera. Due passi in giardino le avrebbero fatto sicuramente bene: attraversò i Camerini d’Alabastro, soffermandosi ad osservare l’affresco che ritraeva Enea e Didone. Un altro amore proibito, terminato in modo assai più tragico del suo, ma con cui spesso le piaceva confrontarsi: i colori del Dosso erano appena percettibili alla fioca luce delle candele, eppure la donna non ebbe difficoltà a immaginare la scena, poi riprese il suo cammino.

I giardini degli aranci, finalmente; la brezza di marzo le solleticò la pelle, facendola subito sentire meglio, mentre il profumo di quelle foglie verdi le trasmise serenità. Il giorno in cui era arrivata a Ferrara tutta la città odorava d’arancio, in segno di buon augurio per i novelli sposi, e lei era talmente malinconica da non rendersene conto.

Col tempo, aveva imparato ad amare quelle piante, che l’aiutavano a sopportare i dispiaceri. Neanche la sua nuova casa si risparmiava dagli intrighi, aveva scoperto presto, e neanche gli Este erano dei santi: due dei suoi cognati erano rinchiusi nelle segrete del castello da quasi un anno ormai, per aver attentato alla vita del duca e del cardinale Ippolito. E riguardo alle altre emozioni…

Le sfuggì un singulto, commossa, al pensiero del suo Alessandrino, il figlio che due anni prima aveva dato alla luce e che non era sopravvissuto alla febbre. Per Alfonso era stato terribile, tanto che ancora non avevano avuto altri bambini; lei era ancora cagionevole di salute, una nuova gravidanza avrebbe potuto indebolirla fino ad ammalarsi di nuovo, avevano detto i medici. Eppure presto Ferrara avrebbe richiesto un erede, soprattutto visto che i primi due in lista di successione ora erano rinchiusi nei sotterranei della Torre del Leone.

Si avvicinò ad una delle panchine di marmo, ancora assorta in pensieri tanto cupi, quando un’ombra si mosse nel buio.

«Madonna Lucrezia, siete voi?»

Sentendo quella voce, Lucrezia si rasserenò: Ludovico Ariosto, uno degli uomini più singolari che le era capitato di incontrare da quando era arrivata a Ferrara. Poeta incompreso e indigente, costretto a servire il cardinale Ippolito d’Este per provvedere alla propria famiglia, era uno dei pochi che le avevano offerto amicizia fin da subito, senza curarsi del suo passato e dei pettegolezzi – fondati, si ritrovò a pensare – sulla sua condotta a Roma.

«Ludovico», mormorò la donna affrettandosi ad asciugarsi gli occhi. «Cosa fate qui?»

«Sono venuto qui in giardino per ammirare la luna, così tonda e argentea è uno spettacolo meraviglioso» e con un cenno del capo indicò alla donna il disco lunare che brillava sulle loro teste.

 Lucrezia sembrò non capire, ma osservò per un istante l’astro e vi cercò un sorriso. Anche con Cesare guardava spesso il cielo notturno, dopo aver condiviso il letto e il peccato… «Il cardinale vi ha mandato di nuovo a discutere con mio marito? È in viaggio, in questo momento, mio cognato dovrebbe saperlo meglio di altri».

«Ha ritenuto ugualmente opportuno che io venissi qui ad attenderlo, o almeno a lasciare alcune carte perché se ne occupi al suo ritorno. Inutile alzarsi dallo scranno se si ha un cortigiano così miserabile da impiegare in queste faccende», fu la risposta poco cauta del poeta. «Intendo meglio cosa soleva dirmi mio padre nel criticare le mie scelte, ora che una famiglia dipende da me… Ma non voglio annoiarvi con queste sciocchezze, Madonna, con le mie amarezze. «Tutt’altro, Ludovico», rispose gentilmente Lucrezia, accennando un sorriso. «Vorrei aiutarvi e permettervi di abbandonare un padrone così poco interessato ai vostri talenti, ma mio cognato non ammette interferenze nella gestione dei suoi sottoposti e non è disposto a cedervi perché io abbia un nuovo divertimento, ha detto. Peccato, vorrei che riusciste a dedicare più tempo alla vostra penna, che correre di qua e di là dove Ippolito ha faccende da sbrigare».

«Non occorre che vi prodighiate così, Madonna: ho intenzione di dare presto una svolta alla mia condizione».

Lo sguardo di Ludovico era colmo di determinazione, un fuoco di ardore brillava come se davvero avesse di fronte un bivio unico e irripetibile di fronte a sé. Per questo Lucrezia gli domandò subito cosa avesse in mente, senza neanche concedergli il tempo di fare una pausa.

Lo scrittore si sedette accanto a lei, approfittando della pace che vigeva in quell’ala del palazzo: non erano di fronte alla corte, e in quelle occasioni potevano essere quasi amici, condividendo un destino forzato. «Si sono sentite voci su ciò che succede a Roma, Giulio II comincerebbe a mostrare i cedimenti della vecchiaia, e si fanno già scommesse sul suo successore. Beh, il favorito sembra essere Giovanni de’Medici, un mio caro amico. Se davvero queste previsioni si avvereranno, mi recherò a Roma per offrirgli i miei servigi, anche se il cardinale Ippolito non vorrà concedermi un simile favore. Se ciò avvenisse, Giovanni farebbe di me un uomo libero da questa condizione di cortigiano senza dignità, finalmente, e nella possibilità di scrivere e comporre i suoi versi».

Il discorso così pieno di speranze colpì la duchessa, ma non come Ludovico si aspettava: lei aveva conosciuto bene la corte del Vaticano, non era poi così diversa da Ferrara, se non in peggio, e sapeva che un artista doveva davvero prostituirsi per sperare di fare colpo sul Papa. Le cose erano sicuramente cambiate da quando suo padre sedeva sul trono del Re dei Re, ma Giuliano della Rovere non era di certo un benefattore senza secondi fini, né lo sarebbe stato il suo successore; tuttavia, Lucrezia temeva che il poeta si sarebbe scottato con un mondo ben diverso da quello che si aspettava.

Qualcosa nel suo sorriso obliquo mise tuttavia il cortigiano in allarme: «Qualcosa che ho detto vi ha turbato, Madonna Lucrezia?»

«Stavo solo pensando a quante cose sono cambiate dalla morte di mio padre», mentì lei per non deluderlo. «Ancora mi sembrano passati solo pochi giorni da quando ha abbandonato questo mondo, eppure già altri due Papi si sono susseguiti sul suo scranno».

E uno di questi era donna, pensò, senza ricordarlo ad alta voce. Il ricordo di Leonora e del suo breve ma intenso passaggio nella sua vita di nobildonna ancora la tormentava. Suo fratello, suo fratello l’aveva venduta agli Este per assicurarsi un’alleanza di più e nello stesso tempo essere libero di soddisfare le sue voglie con quella ragazzina.

La gelosia ancora una volta la sconvolse, sebbene fossero passati quattro anni.

Ludovico non si accorse di tutti questi pensieri, anzi, commentò tra sé e sé quanto le parole appena pronunciate da Lucrezia sembrassero davvero sincere. Alzò di nuovo lo sguardo sul volto bellissimo della donna che aveva sposato il duca di Ferrara: per quanto fossero fini e delicati i suoi lineamenti, incantevole l’azzurro degli occhi e splendido l’oro che brillava nei suoi capelli, quello splendore celebrato in tutta l’Italia gli sembrò spento, offuscato da una malinconia che nessuno in città sapeva sconfiggere. Qualcuno l’aveva imputato alla morte del primogenito di Alfonso, Alessandro, piegato da una terribile malattia subito dopo la nascita, eppure l’Ariosto aveva notato quella velata tristezza fin dall’arrivo della donna nella casa del suo sposo, sei anni prima.

Esperta nell’apparire, lei aveva cercato di nascondere i suoi sentimenti, si era prodigata a mostrare un buon carattere, doti di moglie esemplare, saggezza e giustizia adite a una duchessa. Non le era stato facile farsi amare dalla gente di Ferrara, ma col tempo il suo passato di Borgia era stato dimenticato; eppure, lui aveva sempre notato quella strana infelicità che non sembrava darle pace.

«In questi giorni sembrate molto cupa, Madonna», sussurrò appena, come a invitarla a confidarsi con lui. «Qualcosa vi turba?»

Poteva fidarsi di lui? Ludovico Ariosto non era un cortigiano meschino, obbediva al suo signore solo per poter mantenere un qualche status a Ferrara, e dunque non l’avrebbe tradita. Non avrebbe potuto capire quanto davvero fosse turbata, in ogni modo. «Nulla di nuovo, Ludovico, nulla di nuovo», sospirò con aria laconica. «Con la morte di mio padre quel poco che rimane della famiglia Borgia ha perso molto in fretta il suo potere. La mia fortuna è stata questo matrimonio, che mi ha posto al sicuro dal caos in cui è crollato il nostro mondo… Ma non posso negare di essere in pena per mio fratello».

 

Ancora l’incubo. L’essere demoniaco mi parla di Cesare e mi confida che è morto, che non tornerà da me, e io urlo, urlo…

Non pensarci.

 

«Vostro fratello?», ripeté l’uomo con pazienza, permettendo alla sua signora di proseguire nel suo racconto. Cesare Borgia, un nome che aveva fatto tremare tutta la penisola italica e che sembrava ora destinato a crollare nella polvere, privo del sostegno papale e costretto a combattere contro l’esercito del Re di Castiglia al soldo del cognato sovrano di Navarra.

Ludovico Ariosto non aveva un’opinione molto alta delle mire espansionistiche del giovane Borgia, e con la scia di morte che aveva lasciato in Italia con l’arma velenosa progettata per lui da Leonardo da Vinci non avrebbe potuto che essere così, eppure Madonna Lucrezia sembrava molto affezionata al fratello. Non avrebbe potuto essere diversamente, in fondo.

«So che può sembrare sciocca questa mia malinconia, avrei potuto scrivergli in questi sei anni, dal giorno delle mie nozze di procura non ci siamo scambiati neanche una lettera! Eppure…»

Eppure il legame che era sempre esistito tra loro difficilmente si sarebbe potuto spezzare; da bambini avevano compreso che potevano contare solo uno sull’altro, nel mondo che il potere del loro padre aveva aperto per due figli di Papa, da giovinetti quel sentimento tra loro era diventato ben più forte e dannato dell’amore fraterno.

Si erano separati tante volte: Cesare aveva sposato la principessa Carlotta di Navarra, mentre lei era stata data in matrimonio ben due volte prima di convolare a nozze con Alfonso d’Este.

 

Nostro padre può concedere sua figlia a chi desidera per una nuova alleanza, Lucrezia, ma io verrò sempre a prenderti.

 

Così aveva detto Cesare, e se il primo dei suoi mariti, Giovanni Sforza, si era salvato firmando una dichiarazione d’impotenza che era andata ad annullare il loro matrimonio, il secondo non era stato altrettanto fortunato. Povero Alfonso di Bisceglie, era morto per mano del cognato, che non aveva avuto per lui alcuna pietà.

Avrebbe fatto di tutto per riaverla al suo fianco; nel giorno del suo terzo matrimonio, Cesare aveva pronunciato le stesse parole, come sempre, eppure Lucrezia aveva subito compreso che non avrebbe mai mantenuto la sua promessa.

Negli occhi aveva già Leonora, solo la sua Italia, e lei era diventata uno scomodo impiccio che escludeva il Valentino dalla grazia di Dio agli occhi di quella dolce e innocente fanciulla.

Lucrezia invidiava molto Leonora, ogni giorno di più: da semplice figlia di nobili decaduti aveva assunto i panni della Madonna della Ghirlanda, una sorta di santa scesa in Terra per miracolare la povera gente, fino a sfidare le leggi millenarie del pontificato diventando addirittura Papessa.

Era l’essere più potente al mondo… E tuttavia aveva gettato tutto alle ortiche, solo per amore: perché di certo Sua Santità non era morta per lo sgomento nel vedere rubare il Leone di Smeraldo, come il Cardinale della Rovere aveva sostenuto, non se anche il Re di Napoli era scomparso nello stesso periodo.

Su cosa fosse accaduto davvero, Lucrezia non aveva dubbi: quei due erano insieme, magari vivevano in condizioni d’indigenza ma tuttavia felici e pazzi d’amore. Potevano anche essere passati a Ferrara, forse in occasione del Palio, e lei non lo avrebbe mai saputo.

La Madonna della Ghirlanda era andata dimenticata molto rapidamente, e una nuova Leonora stava vivendo il suo sogno d’amore senza più preoccuparsi di questioni politiche.

Anche lei, Lucrezia Borgia, avrebbe potuto avere tutto questo? Forse, se Cesare non fosse stato così ambizioso, se lei avesse osato rimanergli accanto malgrado il loro peccato…

I più avevano detto che allontanarsi dall’influenza di Cesare le aveva fatto bene, che il suo buon matrimonio era destinato ad essere stabile e felice, che presto avrebbe riempito il castello di figli così da perpetuare la linea degli Este. Forse era vero: Alfonso era stato frigido con lei nei primi tempi, pur trovandola molto bella non osava avvicinarla per le dicerie sul suo conto, ma col tempo aveva imparato ad amarla.

Di se stessa non poteva dire altrettanto: il legame con il suo sposo era molto solido, si fidava perfino a lasciarle la sovrintendenza del ducato quando si allontanava da Ferrara, eppure il suo cuore apparteneva ancora a Cesare.

Dopo il matrimonio aveva atteso pazientemente il suo arrivo, aveva sognato che si recasse in visita al suo nuovo cognato e che la portasse via, riconducendola di nuovo a Roma, o in qualunque altro posto avrebbero potuto stare insieme, ma nulla. Nemmeno una lettera, ripeté a se stessa con amarezza, nulla.

L’aveva odiato, sì, aveva persino pensato di lasciarsi morire per macchiarlo di un’altra terribile colpa che lo trascinasse all’inferno, tutto per quell’amore proibito e di colpo perduto… Inutilmente. Allora si era scossa, e aveva così scoperto di poter vivere anche senza Cesare, ma sempre per lui: lei aveva in mano le carte per garantirgli una solida alleanza con gli Este, in modo che anche nel peggiore dei casi potesse avere una città amica pronta a concedergli un rifugio in caso di bisogno.

Neanche questo Cesare aveva capito: era corso a Napoli, l’aveva tradita ancora una volta scegliendo Napoli come prima meta dopo la sua fuga dalla prigione dei papi, la stessa città che aveva cercato di schiacciare pur di umiliare il principe Falco fino alla fine.

Tutto per cercare Leonora, lei ne era sicura.

«Madonna Lucrezia, ho detto qualcosa che non è di vostro gradimento?» domandò preoccupato l’Ariosto notando l’espressione cupa della donna.

Forse ma non aveva sentito nulla. Solo i suoi pensieri contavano, sì, e la consapevolezza di essere stata tradita e abbandonata dal solo uomo che avrebbe mai potuto amare.

«Perdonami, Ludovico, ma non ho ascoltato le tue parole», si ritrovò a confessare Lucrezia, le mani dalle dita affusolate che ormai tremavano sul suo grembo. «Sono molto stanca, è meglio che ritorni nei miei appartamenti; avrei però piacere di rivederti domani a corte, così potrai declamare qualche altro dei tuoi scritti».

Ludovico intese il messaggio: il cardinale non sarebbe stato presente, alle prese con la Quaresima e molti altri impegni, perciò non avrebbe impedito che sfoggiasse la sua vera natura di poeta. Non aveva nulla di nuovo da presentare alla duchessa e al suo seguito, solo i suoi soliti carmi vecchi di anni, ma di certo la sua signora non avrebbe avuto nulla da obiettare.

«Ne sarei lieto, sua signoria», rispose grato dell’opportunità. Ancora qualche anno e avrebbe potuto essere un uomo di lettere senza che nessuno gli impedisse di comporre i suoi versi, si disse, il suo sogno sarebbe diventato realtà. «Vi auguro un buon riposo, Madonna Lucrezia».

Lei ringraziò e rispose allo stesso modo, pur sapendo che per lei il sonno sarebbe stato tutt’altro che tranquillo. Nulla avrebbe potuto rinfrancarlo, neanche l’arguto spirito di Ludovico Ariosto: era troppo distante dal suo amore per essere tranquilla, e Cesare era in una situazione troppo pericolosa perché lei potesse essere serena. Aveva paura, paura per lui, e quell’incubo terribile non faceva che peggiorare le cose.

Tornata nella sua camera da letto, Lucrezia si distese lentamente e tirò su le coltri fino al mento: era ritta e rigida come una morta, come se quel talamo che aveva visto consumare il suo terzo matrimonio fosse stata la sua bara.

Chiuse gli occhi, e si ritrovò a fissare ancora una volta il volto orribile di quel demonio.

 

Ti aspettavo, Lucrezia, tu sai che messaggio ti porto, sembra dire quel ghigno terrificante.

 

Il cavallo alle mie spalle nitrisce in modo orrendo, ghiacciandomi il sangue. Non c’è riposo per me, neanche questa notte.

 

*

 

Il mattino dopo, il volto di Lucrezia non lasciava trasparire nulla: né la mancanza di riposo, né la sua angoscia, né la solita malinconia. Si era imposta di mostrarsi forte, per i voti fatti al marito, perché lei era una donna forte e doveva dimostrarsi degna del potere che Alfonso le aveva affidato.

Scelse il vestito azzurro con i disegni dorati, un vecchio abito realizzato con uno splendido tessuto inviatole da suo fratello molto tempo prima: Cesare aveva sempre avuto buon gusto, e sapeva come mettere in risalto la sua bellezza.

Non aveva indossato molto quella veste, per paura di rovinarla, ma quel giorno voleva essere splendida, esorcizzare il suo incubo mostrando alla corte la sua forza.

Le lunghe trecce dorate vennero raccolte dalla sua ancella preferita sulla nuca, e fermate con spille d’oro ricevute in dono da suo padre per il suo primo matrimonio.

«Come siete bella, Madonna», commentò estasiata la fanciulla, «dovreste indossare quest’abito anche per vostro marito!»

Lucrezia sorrise: non l’avrebbe mai fatto, ma non poteva certo spiegare il motivo a quella sciocchina.

«La corte si sarà già riunita, andiamo» disse in risposta alzandosi dallo sgabello su cui si era seduta per farsi pettinare.

Quel giorno i cittadini di Ferrara potevano portare le loro rimostranze alla duchessa, per lo più si sarebbe trattato di commercianti in disputa per uno spazio al mercato o per dei pagamenti mancati.

L’uomo che andò a inginocchiarsi ai piedi della donna una volta che questa ebbe preso posto sul suo scranno, tuttavia, aveva aspetto ben differente. Le sue vesti da viaggio e l’aria stanca che mostrava on lasciavano presagire nulla di buono.

«Sua signoria, porto una lettera per voi», esclamò il messaggero estraendo una pergamena dalla sua blusa.

«Chi vi manda, buon uomo?» domandò gentilmente Lucrezia pur temendo la risposta.

«Vengo da Pamplona, Madonna, mi manda Sua Maestà il re di Navarra».

Le mani di Lucrezia tremarono di nuovo, e questa volta Ludovico Ariosto, pur essendo nella folla dei cortigiani, se ne accorse.

«Portatemi la lettera, subito», ordinò lei cercando di mantenere il suo autocontrollo. Si alzò e andò incontro al messaggero, comportamento inusuale per una duchessa, ma l’etichetta era nulla, nulla in confronto a ciò che quel messaggio poteva contenere.

Non poteva leggere quella missiva davanti alla corte, Lucrezia era forte ma non abbastanza per sopportare lo sguardo di tante persone. Nessuno osò protestare quando lasciò la stanza.

Osservò la pergamena, il sigillo del sovrano di Navarra in cera rossa, le borchie d’ottone. Tremava Lucrezia, tremava in modo incontrollabile, ma doveva sapere.

 

Sai già quale notizia ti porta, Lucrezia, disse il demone dell’incubo nella sua testa. C’è solo un motivo per cui il re di Navarra scriverebbe proprio a te…

 

Scosse il capo, spaventata, e spezzò il sigillo.

Nel grande salone, intanto, il messaggero stava già per uscire, quando Ludovico Ariosto lo fermò. «Perdonatemi, messere, ma cos’è successo in Navarra?»

L’uomo fissò il pavimento, insicuro. «Viana è caduta, e Cesare Borgia è morto in combattimento. Vogliate perdonare il mio comportamento inappropriato, ma devo arrivare a Roma e pregare Sua Santità perché interceda per il mio regno e fermi i castigliani nella loro conquista».

Questioni ben più importanti che consolare una donna per la perdita del fratello, senza dubbio. Ariosto annuì col capo e lasciò lo spagnolo proseguire nella sua corsa: probabilmente Giovanni di Navarra aveva pensato che Cesare avrebbe voluto così, che la notizia fosse prima portata alla sua amata sorella. Dalla saletta dove Lucrezia si era ritirata giunse un grido disperato, un urlo di dolore inconsolabile.

Qualcuno mormorò che sembrava più una vedova che una povera sorella, ma Ariosto non se ne curò. Qualunque fosse il reale legame tra Cesare e la bella Lucrezia, quella sventurata meritava un attimo di pace per poter piangere la sua perdita.

La scorsa notte aveva continuato a pensare al Valentino, alle sue azioni che sembravano prive di senno, alla luna… Se esisteva un posto dove si raccoglieva il senno perduto dagli umani, doveva essere proprio la luna: da quel giorno, un qualche visitatore dell’astro d’argento vi avrebbe trovato anche quello della povera Lucrezia Borgia.

 

   
 
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