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Autore: lilac    25/09/2009    7 recensioni
È una splendida giornata primaverile. Il sole brilla, il cielo è azzurro e gli uccellini cinguettano felici. In altre parole, visto che siamo nell’universo di Dragon Ball, è senz’altro una di quelle giornate che preludono a qualche terribile calamità, a un'incombente sciagura o, magari, se siamo fortunati, soltanto alla distruzione del pianeta.
Genere: Generale, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bulma, Goku, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama di Dragon Ball purtroppo non mi appartengono, ma sono proprietà del maestro Akira Toriyama, che ne detiene tutti i diritti. Ovviamente, nessuno si sogna di pagarmi un euro per aver scritto questa storia.




Imperfetta Sincronia



Era una splendida giornata. Una di quelle giornate primaverili in cui l’azzurro del cielo, le tonalità digradanti del verde dei boschi e degli spazi erbosi, il giallo paglierino dei covoni di grano e ogni macchia di colore nel mondo sembrano attinti dalla tavolozza d’un appassionato e fin troppo zelante pittore; quando ti ritrovi a osservare persino il calore dei raggi di sole e gli sbuffi tiepidi del vento come fossero su tela, domandandoti se un tale splendore non sia poi unicamente un inganno dei sensi, perché tutto è troppo perfetto per essere reale.
Era proprio una giornata incantevole. Era una di quelle belle giornate che avrebbero esalato una ventata di buonumore nell’esistenza più tetra, che avrebbero illuminato un sorriso nel volto più cupo e infuso in ogni essere vivente proprio quel senso di serena vitalità di cui sembrava godere la natura, nella sua stagione di rinascita alla vita.
In altre parole, era giusto una di quelle giornate che a uno come lui non ispiravano proprio un bel niente, a parte l’indifferenza più assoluta.
A quelle altezze, in realtà, il vento gli sferzava energico e deciso il volto, quasi a sfidarne i tratti altrettanto fieri e intensi, come volesse addirittura minare la fermezza di quella postura, nobile e severa. Il suo sguardo indugiava immobile scrutando l’orizzonte, più in basso, noncurante delle violente folate che gli tormentavano i capelli corvini e li scuotevano come fronde ombrose a schermargli la visuale. Continuava a ignorare il parlottio sommesso e vagamente irrequieto alle sue spalle con un’autentica, scostante freddezza, nonostante potesse ben intuire d’essere proprio lui, l’argomento principale di quell’impaziente conversazione. Quello sguardo cupo, di fatto, sembrava letteralmente lacerare le nuvole, attraversarle e ignorare anch’esse come fossero trasparenti; oltrepassava persino il vago sentore d’irritazione che velava la sua espressione inamovibile, come fosse soltanto l’impronta sbiadita di tutt’altro contesto o circostanza, ormai lontana nello spazio e nel tempo. La sua tenace rigidità superava persino la stessa concentrazione e la stessa, regale altezzosità di quegli occhi scuri e fondi, che osservavano sprezzanti il mondo come fosse realmente ai suoi piedi, in tutta la sua interezza.
“Ho preparato qualcosa da mangiare, Vegeta.”
Eppure, quella frase, pronunciata ad alta voce e con una tonalità che suonava piattamente un invito, lo distolse per un momento da quello che sembrava l’oggetto inequivocabile del suo esclusivo interesse, costringendolo a voltarsi appena.
Non riuscì a nascondere una certa perplessità, infatti, che si palesò nell’impercettibile inarcarsi di un sopracciglio, mentre nel lasso di qualche secondo registrava senza volerlo la reazione degli altri due, similmente colti di sorpresa, e sembrava riflettere sul da farsi.
Dopo nemmeno un altro paio di secondi, finì per sciogliere le braccia che teneva saldamente intrecciate sul petto, sbrogliando insieme e in un momento anche il suo diffidente riserbo. Si mosse, in silenzio, seguendo il suo ospite senza emettere il minimo rumore.
Poteva distogliere lo sguardo, ma riusciva ugualmente a percepire quel fragile rintocco, ritmico e consonante. Affiorava debole da un oceano di suoni e sensazioni e si faceva nitido e preciso, nel momento in cui la sua concentrazione si tuffava in profondità in quel pozzo di percezioni e lo afferrava in mezzo all’infinità dei rumori del mondo per portarlo alla luce, come un tesoro sepolto. Era facile. Riusciva a percepirli chiaramente, quei due cuori che battevano all’unisono, molto lontano da lì; in perfetta sincronia.


Era una splendida giornata. Una di quelle giornate primaverili in cui i raggi del sole sembrano in grado di colorare il mondo e il vento pare sospinto da una vivacità speciale; quando soffia esuberante e gentile, scuote le foglie sugli alberi e increspa gli specchi d’acqua, accarezzando il mondo come lo solleticasse e ne spazzasse via i pensieri. E ti sembra quasi che riesca a muovere anche gli odori e i colori, che si fanno più intensi e luminosi, e che la natura stessa si faccia bella, come per un’occasione speciale.
Era proprio una giornata incantevole. Era una di quelle belle giornate in cui ogni foglia o filo d’erba, ogni fiore, sentiero o ruscello avrebbe restituito a qualsiasi animo sensibile il calore di quei raggi di sole e quella stessa gioia di vivere che sembrava percepibile nel mondo.
In altre parole, era giusto una di quelle giornate in cui uno come lui avrebbe dovuto aspettarsi un’imminente catastrofe, stando alle sue esperienze.
Nel fitto sottobosco, Son Goku era però più concentrato a percepire i movimenti della sua cena e a seguirne le tracce, piuttosto che a lasciarsi andare a congetture sull’eventuale, improvvisa apparizione di qualche terribile mostro. Quell’espressione particolare, concentrata e insieme serena, con cui seguiva un immaginario sentiero a mezz’aria volteggiando fra gli alberi, lasciava intuire, infatti, che l’enorme pesce che teneva per la coda, adagiato su una spalla, non era ancora un bottino sufficiente.
Con un balzo più energico, atterrò agile ai piedi di un grande albero, sul limitare di una piccola radura. Dovette schermarsi gli occhi, scrutando attraverso il fogliame, intralciato dai raggi del sole che filtravano taglienti dai rami più alti, ogni qualvolta una folata di vento s’insinuava fra le fronde. Poi, fece un passo verso il centro dello spiazzo soleggiato, inspirando a pieni polmoni e osservando per un istante il breve scorcio di cielo sopra di lui. Sorrise appena seguendo una qualche congettura, dopo aver scostato la mano come a sfidare pacificamente lo stesso sole e l’intensità e la limpidezza di quel cielo azzurro, ma uno strano rumore, sommesso e improvviso, attirò la sua attenzione per un momento, inducendolo a voltarsi nella direzione da cui proveniva, alle sue spalle.
Furono i suoi sensi Saiyan, in realtà, a spingerlo a spostarsi bruscamente, un secondo dopo soltanto, in tempo per evitare d’un soffio il veicolo che balzò a tutta velocità fuori dalla boscaglia, piombando letteralmente su di lui. Ancora acquattato contro il tronco di un albero, mentre ritrovava in un lampo l’equilibrio, osservò con una certa perplessità il fuoristrada frenare bruscamente, sbandare nel mezzo dello spiazzo e sollevare un’enorme nuvola di terriccio polveroso, prima di fermarsi. La sua espressione sorpresa e vagamente perplessa scemò ben presto, tuttavia, di pari passo con quella nube di polvere, lasciando prontamente il posto a un sorriso cordiale.
“Ehi! Ciao, Bulma!”
Quel sorriso, nondimeno, esitò per un istante, ripiegandosi in fretta in una smorfia incuriosita e un po’ preoccupata, nel momento in cui il Saiyan notò l’atteggiamento battagliero della nuova arrivata e la sua aria estremamente irritata.
“Uff!” sbottò la donna, arrancando letteralmente fuori dal mezzo e sbattendo la portiera con eccessiva violenza. “Accidenti, Goku! Dove diavolo ti eri cacciato?! È un’ora che ti cerco!”
Senza sollevare lo sguardo, Bulma si affrettò a riporre il veicolo in una capsula, che finì a sua volta in una piccola scatola di metallo con un paio di gesti nervosi. “Ultimamente rintracciare voi Saiyan è diventato più complicato che riunire le Sfere del Drago!” esclamò seccata in tono di rimprovero, scuotendo la polvere dalla giacca. Si bloccò tuttavia per un attimo, osservando finalmente l’amico e accorgendosi della strana espressione di lui, che continuava a scrutarla attonito e si era letteralmente incantato.
“Insomma! Ma che hai da fissarmi?!” protestò improvvisamente. “Si può sapere perché te ne stai lì impalato?!”
“Urca! Ma lo sai che sei proprio ingrassata, Bulma?!” affermò Goku, sgranando gli occhi in un’espressione sbalordita.
In meno di una frazione di secondo, la scatola metallica contenente il set di capsule da viaggio lo colpì di taglio, in pieno volto, con la precisione e la violenza di un missile teleguidato; fu seguita a ruota, in realtà, dall’espressione non meno ostile e inflessibile dell’amica, la quale aveva socchiuso le palpebre in modo piuttosto minaccioso, presumibilmente nell’atto di raccogliere tutto il suo potenziale esplosivo, prima di saltare in aria.
“Ahia!” si lagnò il Saiyan, costretto d’istinto ad abbandonare il suo pesce e a massaggiarsi energicamente il bernoccolo che aveva già tutta l’intenzione di spuntargli in mezzo alla fronte.
“Brutto idiota che non sei altro! Ma come ti permetti?!” esplose lei, in un’altra frazione di secondo, agitando un pugno decisamente più intimidatorio della misera scatoletta di latta. “Io NON sono grassa, chiaro?! Sono incinta di otto mesi, razza di zotico ignorante!” cominciò a sbraitare, scagliandogli contro la rabbia di un Super Saiyan a un volume assordante.
“Ehm…”
Vagamente smarrito e in lieve apprensione, Goku si perse a osservare una coppia di volatili che se la dava a gambe a causa del frastuono.
“Che cosa pensavi che avrei partorito?! Un pesce rosso?!”
“Scusami, non volevo offenderti…” Prese a grattarsi la nuca confuso, concentrandosi di nuovo su di lei. “La tua pancia è… molto carina…” bofonchiò impacciato, sorridendo. Sorprendentemente, in realtà, il tono con cui aveva pronunciato quell’ultima, disgraziata osservazione era suonato sincero. Cosa che, altrettanto singolarmente, sembrò anche sortire un qualche effetto sulla donna, che parve calmarsi a tempo di record. “Piantala! Peggiori solo le cose.” Borbottò infatti lei, a sua volta, sbuffando contrariata e vagamente offesa, mentre ritrovava un apparente autocontrollo.
“Guarda, Bulma, che lo penso davver...”
“Allora. Dov’è?!” La scienziata lo ignorò del tutto, questa volta, interrompendolo in modo brusco. Esordì come fosse appena arrivata e si fece in un lampo determinata e autoritaria, mutando ancora una volta espressione in modo straordinariamente repentino.
“Beh?! Ti ho chiesto dov’è!”
“Dov’è chi?” si ritrovò a chiedere Goku, colto di sorpresa. Finì istintivamente per posare gli occhi sul pesce che aveva lasciato a un paio di metri di distanza, ma, com’era prevedibile, la cosa non sembrò incoraggiare, né tantomeno rallegrare la sua interlocutrice, che si fece di nuovo scura in volto.
“Vegeta, ovvio.” sbottò spazientita, mentre incrociava le braccia al petto e prendeva a tamburellare con le dita sulla manica della giacca, in modo nervoso. “Dove diavolo è?! Sentiamo!”
Preso nuovamente alla sprovvista dall’insistenza di quel tono militaresco, Goku si ritrovò irrazionalmente a mettersi sull’attenti, per poi ricominciare a guardarsi attorno. “Qui non c’è.” ammise poi con estrema naturalezza, dopo aver riflettuto velocemente sull’opportunità di non commettere errori.
Le palpebre della donna si socchiusero di nuovo, nel tentativo di controllare l’ennesima reazione violenta e di raccogliere tutta la condiscendenza di cui era capace. “Lo vedo che qui non c’è.” sentenziò sarcastica, allargando le braccia in un gesto plateale e trattenendosi a stento. “Voglio solo che tu mi dica dov’è.” Assestò fin troppo energicamente le mani ai fianchi, con un gesto stizzito che non lasciava al suo interlocutore alcuna speranza e scandì la sua richiesta con la medesima autorevolezza di quella posa. “Tu percepisci le aure, giusto?”
“Che è successo? Come mai l’hai perso?” replicò l’altro per tutta risposta, in apparenza sinceramente curioso, ignorando l’atteggiamento minaccioso di lei e la brutta piega che stava prendendo la conversazione.
La donna, da parte sua, sembrò attraversata da una moltitudine di emozioni nel giro di pochi istanti. Procedendo dalla rabbia in direzione della tristezza e finendo con l’oltrepassare l’esasperazione, sembrò ritornare di nuovo alla rabbia o, meglio, alla furia cieca e parve attestarsi con decisione su quest’ultima, in modo ostentatamente melodrammatico. “Sua Altezza Reale ha pensato bene di sparire. Ecco cosa è successo!” sermoneggiò nuovamente beffarda, prendendo a gesticolare irrequieta. “Sono due giorni che non torna a casa e io ne ho abbastanza!” tagliò corto poi, in tono tutt’altro che mansueto.
Goku la osservò lievemente perplesso, tentando di interpretare quello che stava pericolosamente sfociando in un discorso insidioso; sicuramente più pertinente alla sua indole guerriera e sprezzante del pericolo, che non a quella spensierata con cui era uscito quella mattina, in cerca di cibo. “E se non volesse farsi trovare?” si azzardò a suggerire con il tono più naturale del mondo. Riprendendo a grattarsi la nuca, studiò poi la sua interlocutrice con l’espressione più innocente di cui era capace, dopo aver considerato per un momento l’ipotesi che essere messo in mezzo tra quei due poteva costargli come minimo la vita, per non parlare della cena.
Bulma lo sorprese ancora, in realtà. “È ovvio che non vuole farsi trovare.” replicò serafica, mutando ancora una volta espressione nel giro di un istante. “Per questo sono venuta da te.” Lo scrutò come se stesse asserendo qualcosa di assolutamente ovvio e scontato, persino per quel pesce fuori combattimento. “L’avrei chiesto a Trunks, ma è in gita con la scuola.” aggiunse, precisando ulteriormente le sue inconfutabili ragioni, mentre il suo tono di voce si faceva ancora minacciosamente stridulo e nervoso. “Insomma vuoi aiutarmi o no?!” sbottò di nuovo, spazientendosi per l’ennesima volta. “O devo andare a disturbare la classe di mio figlio?!”
“Ok, ok.” tentò di fermarla il Saiyan, agitando una mano lievemente in apprensione.
Invano, ovviamente. “Con tutto quello che mi è costato convincerlo ad andare! Perché lui sì, che si preoccupa per me…”
Quell’ultima precisazione suonò estremamente lamentosa e teatrale e Goku si ritrovò con una certa agitazione a scacciare dalla mente l’immagine dell’amica che faceva irruzione nella scuola del ragazzo. Evitando peraltro di lasciarle intendere che quella terribile idea gli era, innanzitutto, passata per la testa, si concentrò per un momento, fingendo di non sentire il resto delle lamentele dell’amica, con un’aria visibilmente conciliante e rassegnata.
“… certo, sperare che Vegeta dimostri un briciolo di al…”
“Mm, strano…” In meno di un istante, tuttavia, l’espressione del Saiyan si fece seria. “Riesco appena a percepire la sua aura.” si lasciò sfuggire ad alta voce, dopo qualche secondo.
“Che c’è?!” intervenne Bulma, interrompendosi di colpo, all’improvviso in ansia. “Sta bene? È in pericolo?”
“No, non direi...” la tranquillizzò Goku, scrutandola per un momento. “Cioè… Sta bene, ma…”
“Bene!”
Non riuscì a esprimere oltre le sue perplessità, in realtà, perché lei mutò nuovamente espressione e tono di voce e lo interruppe risoluta. Sembrava di nuovo arrabbiata, ma questa volta era anche molto calma.
“Perché di sicuro non avrà ancora per molto questa fortuna” esclamò con un tono vagamente crudele e una strana luce negli occhi.
Goku la osservò mentre raccoglieva da terra il contenitore delle capsule con un gesto deciso e se lo cacciava in una delle innumerevoli tasche della giacca, evidentemente confuso da quegli sbalzi di umore istantanei e imprevedibili, che parevano assolutamente straordinari anche per Bulma. Non riuscì, a quel punto, a nascondere del tutto una certa inquietudine per quello che l’amica stava sicuramente per chiedergli o, meglio, ordinargli.
“Che aspetti?! Portami da lui!”
Il Saiyan sospirò rumorosamente, gettando un’occhiata sconsolata alla sua cena e rassegnandosi ad abbandonarla definitivamente al suo destino. L’aveva scritto in faccia, tuttavia, quel vago senso di disorientamento misto a curiosità nei confronti di ciò che pareva stesse accadendo. Bulma sembrava più pazza del solito e Vegeta… Beh, Vegeta, in quel momento, era in un luogo in cui non avrebbe mai pensato di trovarlo; senza un valido motivo, perlomeno.


Perfezione equivale a eccellenza, compiutezza. In sostanza, è un termine ultimo. È immobilità e inerzia perpetua. Ecco perché una vita dedicata semplicemente al conseguimento di un simile obiettivo sarebbe una vita destinata al fallimento, per un Saiyan; poiché la natura dei guerrieri Saiyan è un divenire, una realizzazione senza termine alcuno. È movimento inesauribile; nessun limite.
È l’imperfezione, piuttosto… l’incompletezza è la volontà che muove ogni spirito indomito e lo protende in avanti. All’infinito, se necessario. In una sola parola, è forza. Volontà e forza, oltre ogni limite.
Progresso… non perfezione… Il tragitto… non la destinazione…
Così, quel pensiero vagamente cosciente gli attraversava la mente, mentre il suono dei suoi stivali sulle piastrelle laccate s’insinuava senza volerlo, appena dissonante, nel ritmo di quel duplice battito che continuava a percepire lontano, quasi a sondarne la sincronia e a sconvolgerne la perfezione pressoché assoluta; quasi a dettarne esso stesso il ritmo, arrecandogli difetto.
C’era qualcosa in quell’incedere, misurato e insieme deciso, che pareva esprimere, di fatto, proprio la forza incoercibile di quell’imperfezione. La sua figura, inquieta e solida al tempo stesso, sembrava una presenza ingombrante eppure evanescente, in quel suo protendersi verso qualcosa di lontano e inafferrabile.
Mai come in quel momento, infatti, in un luogo come quello, il Principe dei Saiyan era apparso tanto ineluttabilmente distante e, al contempo, così opportuno. Aveva l’aria di trovarsi proprio nel posto giusto, ma sembrava anche assolutamente lontano; e, forse proprio per questo, la sua presenza cominciava ormai a destare non poche perplessità.
“Ma… sul serio… secondo te, perché Vegeta è venuto qua?” mormorò con un filo di voce il giovane Dio. Aveva rallentato ulteriormente il passo, costringendo il suo interlocutore, ben più deciso nell’andatura, a fermarsi e a voltarsi verso di lui.
“E io che vuoi che ne sappia?!” rispose spazientito Piccolo, a voce deliberatamente alta. Il tono esasperato indicava in modo inequivocabile il protrarsi di una diatriba ben più lunga, sull’argomento, su cui avrebbe preferito soprassedere una volta per tutte. “Se proprio ci tieni tanto a saperlo, vai a chiederglielo”.
“Ok, ok… mi stavo solo domand…”
“Non sono affari che vi riguardano!”
Mai come in quel momento, il principe dei Saiyan era apparso tanto ineluttabilmente presente e inopportuno, d’altra parte.
“Eccoti accontentato.” sentenziò sarcastico il guerriero namecciano all’indirizzo del più giovane, che era sobbalzato visibilmente per la sorpresa e l’imbarazzo. L’inflessione con cui Piccolo aveva pronunciato quelle parole, in realtà, sembrava quella di chi stesse piuttosto esclamando un 'te l’avevo detto'. Aveva accuratamente evitato di rivolgersi al Saiyan, ma finì per osservarlo un momento dopo, con un’espressione involontariamente pensierosa, mentre questi proseguiva senza fretta verso il bordo della terrazza. Non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto che una vaga idea del perché fosse lì gli stava proprio balenando alla mente, invece, poiché si ritrovò a incrociare lo sguardo beffardo di Vegeta, che si voltò di nuovo, apostrofandolo con una smorfia sprezzante.
“Se volete che me ne vada, non avete che da chiederlo, comunque”.
La sua risposta a quella provocazione, nondimeno, fu un’unica occhiata silenziosa, altrettanto sprezzante, che l’altro sembrò interpretare come un tacito accordo di non belligeranza. Vegeta, infatti, ignorò del tutto le parole del giovane Dende, che, al contrario, si era affrettato a rispondere a quella proposta come l’avesse presa alla lettera. “Ma no, Vegeta. Figurati… sei sempre il benvenuto qui. Resta pure quanto vuoi” si scusò con un gesto impacciato della mano. “Non vol…”
Il Principe dei Saiyan, in realtà, era già tornato sui suoi passi e aveva ripreso a dirigersi con tutta calma verso il belvedere, come nulla fosse stato pronunciato. “Eravamo solo curiosi, ecco tutto…” finì per borbottare a mezza voce Dende, resosi conto che stava parlando ormai da solo. Un sonoro sospiro chiosò poi quell’ultima considerazione quasi stizzita, mentre il ragazzo incrociava le braccia al petto per dare un tono più autorevole alla sua espressione imbronciata.
Piccolo soffermò per un momento lo sguardo su Vegeta e, dopo essere giunto in apparenza a una qualche conclusione, aggrottò la fronte in un moto d’irritazione. La sua espressione infastidita si accentuò ulteriormente, d’altra parte, nel momento in cui, quasi sovrappensiero, osservò ancora una volta anche Dende, finendo per assistere all’intero scambio di battute.
“Tsk, ne ho abbastanza!” sbuffò esasperato, sollevando gli occhi al cielo.
Stava giusto per abbandonare l’impacciato Dio e il suo insolente ospite al loro destino, per darsi a occupazioni più confacenti alla sua persona - così, perlomeno, lasciava intuire la sua espressione sostenuta -, quando qualcosa lo costrinse ad allertare i sensi e a bloccare i suoi propositi sul nascere. Una rapida occhiata in direzione del Principe dei Saiyan, di fatto, confermò in pieno ciò che aveva appena presagito. Vegeta si era infatti irrigidito, bloccandosi nel mezzo dell’ampia terrazza, ed era voltato nella sua stessa direzione. Con la coda dell’occhio, non poté fare a meno di notare il suo sguardo raggelato, saldo in quel punto ben preciso a pochi metri da entrambi; tanto fisso e intenso da dare per un momento l’illusione che fosse stato lui stesso, quegli occhi scurissimi, a squarciare l’aria come fosse un’entità solida.
“Ehilà! Salve a tutti!” esclamò con un sorriso allegro il nuovo arrivato, la cui espressione serena contrastava visibilmente con quella accigliata della sua compagna di viaggio.
Il coro disomogeneo delle risposte dei presenti fu tuttavia eclissato da una di esse e da una tutt’altro che sommessa imprecazione. “Dannazione! Dovevo aspettarmelo che non potevo fidarmi di te, Kakaroth!”
La replica tempestiva della donna che si era materializzata al fianco di Son Goku, con aria decisamente battagliera, completò infine l’opera con una rapidità disarmante, rendendo il momento dei saluti definitivamente infruttuoso e archiviandolo come un nulla di fatto.
“Lascialo stare!” sbottò Bulma, ignorando il tentativo di rispondere dello stesso Goku, che aveva appena restituito al Principe dei Saiyan un’occhiata che sembrava più una supplica che una giustificazione.
“Si può sapere perché diavolo sei sparito così?!” insistette la donna, muovendo qualche passo deciso nella direzione di Vegeta. Per tutta risposta, in realtà, lui si era appena limitato a grugnire qualcosa d’incomprensibile e si allontanò ulteriormente.
“Oh, salve Goku. Come stai?” esclamò come nulla fosse Mr. Popo, materializzandosi quasi magicamente dalle profondità del porticato.
“Benone!” rispose lui, elargendo l’ennesimo sorriso.
“Ehi, guarda che sto parlando con te!”
Bulma pareva intenzionata a non mollare la presa e il suo interlocutore, braccato con notevole tenacia, sembrò a quel punto esitare improvvisamente. In apparenza però, qualche cosa dovette avere il potere di turbarlo ben più delle urla isteriche della compagna. Vegeta si mostrò per un breve istante pensieroso, infatti, e concentrato su qualche congettura che si sarebbe detta arrischiata; incerto - probabilmente - sull’opportunità di lasciare quel luogo o sbrogliare la situazione in una maniera alternativa. Poi, si voltò per un momento a osservare Bulma con un’espressione indecifrabile. “Maledizione!” Imprecò a mezza bocca a conclusione del suo misterioso ragionamento, rivolgendosi al vuoto oltre la terrazza, prima di allontanarsi ancora con un paio di falcate nervose e fermarsi definitivamente.
“Non puoi prendere e andartene ogni volta che ti pare, mi hai sentito?!” lo incalzò lei imperterrita, seguendolo a ruota.
“Beh, e voi come state?”
Goku sembrò riscuotersi, dopo aver assistito incantato ai convenevoli tra i due amici, come avesse appena intuito la decisione di Vegeta.
“B… bene…” farfugliò Dende, cercando di concentrarsi sull’area del Santuario in cui non imperversava il conflitto. “S… sì, stiamo tutti bene” sorrise.
Piccolo, intento a osservare i due belligeranti ostentando la massima indolenza possibile, si rivolse solo un istante all’amico, con un semplice cenno del capo, per poi tornare a non interessarsi alla disputa.
“IO faccio esattamente quello che voglio! Sono stato chiaro?!” Il tono di voce improvvisamente alto e furente di Vegeta, in realtà, costrinse anche il resto del gruppetto a voltarsi in sincrono verso la coppia.
“Beh, anch’io, se è per questo. E comincio ad averne abbastanza di venirti a cercare per tutto il Pianeta!”
“Bene, allora evita di farlo!”
“Ne è passato di tempo, Goku” dichiarò quietamente il buffo uomo col turbante, riprendendo all’improvviso il discorso, come nulla fosse.
Il Saiyan sorrise per l’ennesima volta, fregandosi la nuca e tornando a rivolgersi al suo ospite. “Già, dall’ultima volta è passato qualche anno… credo”.
“Non sei cambiato per niente, sai?” si sforzò di conversare il giovane Dio, mentre con la coda dell’occhio continuava a osservare con una certa apprensione ciò che avveniva a pochi metri di distanza.
“Come ti permetti?! Brutto zotico arrogante!” gridò Bulma. “Sei tu quello che mi ha mollato nel bel mezzo di una discussione!”
“Nel bel mezzo di un delirio farneticante, vorrai dire.”
“Ritira subito quello che hai detto o te ne pentirai, mi hai capito?”
“Sto tremando dalla paura.”
“Voi lo sapete perché è venuto qui?” domandò improvvisamente Goku, con assoluta naturalezza, dopo essersi lasciato sfuggire un mezzo sorriso alle ultime parole provocatorie e graffianti del Saiyan.
Quella domanda, in realtà, sembrò sortire un effetto liberatorio sul namecciano più giovane che, contrariamente agli altri tre, sembrava evidentemente in impaccio nel fingere che solo a un passo da loro non stesse infuriando una terribile battaglia. “Ecco…” Si lasciò andare a un sospiro. “Veramente no. Speravo lo sapessi tu.”
Veramente…” gli fece eco Piccolo, scimmiottandolo appena in tono notevolmente sarcastico. “Non c’interessava neanche un gran che, finché questo posto non è diventato il ring di un torneo”.
La sua espressione canzonatoria mutò ben presto, però, in una smorfia infastidita, quando il tono di Bulma raggiunse una frequenza ancora più deleteria per le orecchie umane e, soprattutto, aliene.
“Possibile che tu sia così ostinato?!”
“E tu?! Sentiamo, che diavolo credi di fare?!” replicò non meno alterato Vegeta. “È chiaro che sei completamente impazzita.”
L’espressione del Principe dovette sottolineare ben più che efficacemente l’imperativo e la sua ovvietà, tanto che Bulma iniziò improvvisamente a piagnucolare, in apparenza cercando un modo per ribattere. “Io… I… Io…”
“Effettivamente…” sussurrò Goku all’orecchio di Piccolo, facendosi schermo con una mano. “Prima mi ha fatto quasi paura”.
Non ci volle molto, tuttavia, prima che la scienziata subisse un ennesimo, repentino sbalzo d’umore. “Ti ho sentito, sai?” Si voltò irritata verso il gruppetto, scrutando per un istante implacabile l’improvviso sussulto dell’amico Saiyan e il suo volto, impallidito in un secondo. “Non sono pazza! Accidenti!” tornò poi a sbraitare verso il compagno, pestando i piedi a terra come un’ossessa. “Sono gli ormoni che mi provocano questi sbalzi d’umore, perché non vuoi capirlo?!”
“Tsk”.
“Oh…” Goku, contrariamente a Vegeta, che si era limitato a produrre una smorfia che pareva il manifesto dello scetticismo e del disgusto, sembrò genuinamente sorpreso da quella rivelazione. “Davvero?!”
Improvvisamente tutto aveva un senso, sembrò comunicare la sua espressione sollevata. Tuttavia, dopo aver riflettuto un istante, si rese conto di aver cantato vittoria troppo presto e si fece perplesso. “Ma chi sono questi omoni?” chiese a bassa voce, ancora una volta a Piccolo, con un’aria curiosa e al contempo connivente.
Il namecciano, questa volta, reagì con un vistoso imbarazzo, quasi fosse stato colto in flagrante in tutta la sua ignoranza. “E io che ne so?!” replicò brusco, in un borbottio esasperato, cercando invano di parlare a voce altrettanto bassa.
“Dende, tu lo sai?” insistette Goku, interrogando niente meno che il Dio della Terra. Ma il ragazzo sembrava ancora più impacciato e confuso dell’altro. “Ehm…” biascicò appena, giocherellando con un’immaginaria piega della veste e arrossendo visibilmente. “A dire la verità no”. Mr. Popo, d’altro canto, si era limitato a fissare Goku inespressivo, convincendolo a rinunciare con una punta di delusione.
L’unico che sembrava avere una qualche, vaga idea di cosa stessero parlando sembrava, in effetti, Vegeta. Almeno in apparenza. “Non m’importa! Quei dannati cosi devono sparire!” sentenziò il Principe in tono esasperato, con un’espressione inflessibile.
“Oh, accidenti! Non posso farci nulla, non è colpa mi…”
“E nel frattempo, non ho intenzione di sopportare oltre”.
“Ma…” L’espressione di Bulma si fece improvvisamente scura e abbassò il tono di voce. “Non puoi lasciarmi da sola finché non nasce il bambino! Non questa volta!”
Quelle ultime parole, pronunciate con voce incrinata dal pianto e seguite dal silenzio imbarazzato dei presenti, raggelarono per un momento il suo interlocutore, che sembrò assumere per una frazione di secondo un’espressione turbata. Non era apparsa che un istante, ma Bulma, che pure la notò, sembrò ignorarla del tutto, quando si trovò nuovamente di fronte uno sguardo gelido e sprezzante, colmo d’indifferenza.
“Insomma, non è giusto! Non puoi!”
“Indovina un po’…” sentenziò beffardo lui, piegando il capo di lato e incurvando le labbra in un ghigno crudele, dopo aver incrociato le braccia al petto.
“Sei un bastardo egoista!” fu la replica furiosa di lei, in uno scatto nervoso.
“Piantala Bulma! Stai diventando noiosa e patetica!”
“Ah sì?! Almeno io non sono una vigliacca!”
“COSA?!”
“Su, su, non litigate…” Goku s’intromise spontaneamente, senza quasi rendersene conto, vagamente allarmato dall’espressione e dal tono di Vegeta, a dir poco furioso, e in qualche modo, sortì il suo effetto.
“Sta zitto!” gli gridarono entrambi contro, voltandosi fulminei nella sua direzione.
“Ok, ok.” sorrise benevolo il Saiyan, tornando letteralmente sui suoi passi. “Sincronia perfetta, eh eh…” bisbigliò poi sottovoce, ridacchiando all’indirizzo degli altri, mentre le ostilità erano pronte a riprendere.
Di fatto però, una sorta di pausa silenziosa era al contrario calata fra i due, che si erano fissati per un lungo momento, come a metabolizzare le gravi accuse reciproche che avevano finito con l’esprimere apertamente.
“Accidenti, Vegeta…” Fu Bulma a riprendere a parlare, con un tono di voce molto più calmo, ancorché indignato. “Si può sapere perché sei dovuto venire fin qui?”
La domanda obbligò a quel punto la totalità dei presenti a drizzare improvvisamente le orecchie e a prestare davvero attenzione. I quattro si voltarono simultaneamente e in perfetta coordinazione verso i due litiganti, nemmeno fossero stati comandati a distanza.
Il Principe dei Saiyan, ormai esasperato oltre ogni limite, resistette solo alcuni istanti, prima di sbottare. “Volevo un po’ di pace, maledizione!” In realtà, quasi gli costasse troppo aver ammesso una tale - inconcepibile - necessità e consapevole che quella risposta, per sua somma disgrazia, destava ormai l’interesse dell’intera umanità, sembrò ritrovare subito un atteggiamento sprezzante. “Anche se a quanto pare è un’impresa impossibile” precisò sarcastico, a favore di tutti gli ascoltatori.
“Effettivamente…” sbuffò a mezza bocca Piccolo, non meno sarcastico, sollevando appena gli occhi al cielo. Fu costretto a mutare espressione quasi all’istante, però, sorpreso per l’intervento di Goku, che lo apostrofò cogliendo il suo commento come se stesse chiosando un suo personale ragionamento. “Beh, effettivamente è lontano…” Non si era nemmeno voltato a guardarlo, in effetti. “Ma da qui si può…”
“Taci, Kakaroth!” La voce perentoria di Vegeta lo bloccò all’istante, prima che riuscisse a rendersi conto che, invece di rivolgersi soltanto a Piccolo, aveva pronunciato i suoi pensieri a voce troppo alta. “Impicciati degli affari tuoi o te ne pentirai amaramente!”
Il namecciano finì per sorridere appena fra sé di fronte all’insospettabile perspicacia dell’amico Saiyan, che in quel momento si scherniva nervoso con aria incolpevole. Come sempre, Goku non pareva nemmeno essersi reso conto della difficile deduzione che aveva appena compiuto, né di aver interpretato con tanta facilità il comportamento dell’essere vivente più refrattario di tutto l’universo a lasciar trasparire le sue effettive emozioni. Certo, a volte, - così sembrava perlomeno riflettere l’espressione divertita di Piccolo - dimenticava che Vegeta era, in effetti, anche la persona più simile a Goku, in tutto l’universo.
“Non prendertela con lui, ho detto!” lo rimproverò Bulma, con un tono ormai più condiscendente, anticipando di nuovo il tentativo di replica dell’amico. “Goku mi ha solo aiutato a trovarti, accidenti!”.
Vegeta, tuttavia, sembrava più infastidito di prima, al contrario. “Appunto!” commentò visibilmente seccato, incrociando le braccia al petto con aria ostile. Si limitò a osservare di sottecchi e con aria terribilmente minacciosa l’espressione del guerriero namecciano e quella simile di Dende, che presumibilmente stava giungendo alle stesse conclusioni dell’altro, evitando di incrociare lo sguardo dell’altro Saiyan. “Deve piantarla di immischiarsi in affari che non lo riguardano!”
“Vegeta, ora basta!” sbottò di nuovo Bulma, spazientita, sbattendo con forza un piede sul selciato. “Ti stai comportando come un bambino che fa i capricci!”
Per tutta risposta, lui le voltò le spalle con un gesto deciso. “Io mi comporto come diavolo voglio! Tornatene a casa!”
“No! Io di qui non me ne vado, senza di te. Chiaro?!” insistette lei, tentando di seguirlo con uno scatto altrettanto risoluto, dopo aver intuito in un lampo le sue intenzioni.
“Tsk. Ne ho avuto decisamente abbastanza.”
Furono le ultime parole che Vegeta borbottò fra sé, prima di spiccare il volo.
Una strana sensazione, tuttavia, lo assalì improvvisamente e lo costrinse a fermarsi a mezz’aria, in assoluto silenzio, appena a pochi metri dalla terrazza del Santuario, solo un istante dopo averle pronunciate.
Una nota stonata, disarmonica; un rumore dissonante.
Si fermò ad ascoltare e in un momento percepì la sincronia infranta di quei due cuori, che avevano preso a battere a un ritmo diverso, irregolare. Si voltò di scatto verso la compagna, che aveva smesso di incalzarlo e di gridargli dietro e si era fermata anch’essa, con un’espressione crucciata. La voce di Goku gli arrivò appena alle orecchie. “Ehi, Bulma. Che ti prende? Stai male?”. La sentì imprecare in un lamento nervoso e, con un moto di assoluta sorpresa e rabbia, percepì tutta la sua vulnerabilità, quando si accorse che lei aveva smesso di guardarlo.

“Accidenti! Ci mancava solo questo!”
“Dai, Bulma, vedrai che si risolverà tutto.” Goku la raggiunse in un momento, cercando di rincuorarla. “In fondo, se è venuto al Santuario, è perché da qui si può osservare quello che succede sulla Terra. Non aveva alcuna intenzione di lasciarti sol…”
“Quello l’avevo capito da tempo, razza di idiotaaa!” La parola ‘idiota’, nemmeno a farlo apposta, terminò distorcendosi in una sorta di grido atroce. “Ho le doglie, accidenti!”
“Eh?!” Il Saiyan, riavutosi dallo spavento per quel tono innaturalmente demoniaco, sfoderò la sua espressione più perplessa, sgranando gli occhi per la sorpresa. “Che cosa sono le doglie?” chiese un attimo dopo, scrutando la figura dell’amica da capo a piedi, nell’evidente tentativo di individuare almeno una doglia e di capire che aspetto avesse.
La donna sbuffò in un sospiro irritato e sofferente, che pareva più lo sfiatatoio di una pentola a pressione. “Sta per nascere il bambino, imbecille! Ne hai avuti due anche tu o sbaglio?!”
“Eh eh… sì, è vero” ammise candidamente l’altro scuotendo la testa. “Ma c’ero solo la prima volta… e non me le ricordo proprio queste doglie” confessò poi, dopo averci pensato un momento con lo sguardo perso nel vuoto.
“Per l’amor di Dio, Goku. Sta zitto!”
Mentre Bulma cercava di mettere a tacere il Saiyan con un’occhiata che avrebbe potuto ucciderlo, Dio, dal canto suo, si sentì in qualche modo in dovere d’intervenire. “Sta per nascere… Ora?” chiese timido e un po’ in apprensione Dende. Si era avvicinato cautamente, forse più preoccupato di non contrariare la donna e ricavarne una sequela d’insulti lui pure, piuttosto che in ansia per la gravità dell’evento.
“Già.” borbottò Bulma, accasciandosi a terra e mordendosi le labbra in preda ad una nuova fitta di dolore. “E a quanto pare ha anche molta fretta.”
Goku la osservò per un momento affascinato, dopo aver cercato in vano un’eccitazione simile alla sua nel volto di Piccolo e di Mr. Popo, che invece erano rimasti a debita distanza senza scomporsi minimamente.
“Urca! Che bello! Proprio adesso?”
Non riuscì a scorgere l’ennesima occhiataccia che Bulma gli riservò come risposta, però, perché fra lui e la donna si frappose in modo singolarmente sovrastante la figura del Principe dei Saiyan. “Kakaroth, che stai facendo lì impalato?!” si sentì rimproverare in tono estremamente perentorio. “Piantala di dire idiozie e teletrasportala subito in ospedale!”
Quell’inflessione sembrò riportare immediatamente l’attenzione dell’altro su questioni meno spassose o avvincenti. “E come faccio?! Io non conosco nessuno all’ospedale!” protestò senza malizia Goku, allargando le braccia in segno di resa.
“Beh, teletrasportala alla Capsule, allora!” sbottò in un moto di collera Vegeta, dopo aver sgranato per un istante impercettibile gli occhi, inevitabilmente colto in fallo. Quella rabbia eccessiva sembrò tuttavia più rivolta a se stesso che all’altro Saiyan, così come la sua espressione nervosa e adirata, che parve perdersi in qualche pensiero fugace, per un breve momento. Qualcosa sembrava averlo mandato letteralmente in bestia, forse al di là del semplice errore che aveva commesso e Goku, di fatto, sembrò comprendere al volo che quel qualcosa, per una volta, non era lui. “Giusto. Hai ragione.” concordò, scrutandolo per un istante assolutamente serio, con un’espressione determinata e… rassicurante.
Vegeta si limitò a distogliere lo sguardo infastidito, prima che potesse leggervi più di quello che avrebbe voluto, mentre la diretta interessata si rialzava in piedi, sistemandosi la giacca meglio che poteva e finiva per attirare su di sé quello stesso sguardo, profondamente inquieto e inamovibile al contempo, e quello di tutti gli altri.
“No, non puoi. Non c’è nessuno alla Capsule, in questo momento.” affermò Bulma rivolgendosi a Goku, con l’aria di chi stesse facendo due conti. “I miei sono in vacanza sull’isola Papaya, sono partiti ieri.” Precisò quell’ultima informazione a favore di Vegeta, che le restituì un’espressione impassibile, prima di tornare a parlare con Goku. “E Trunks è in gita con la scuola da giorni per un…” Una nuova fitta la costrinse a piegarsi per un momento e a trattenere il respiro, contraendo i tratti del volto in una smorfia. “… progetto di scienze, su al nord.” Terminò la frase con una sorta di sospiro esasperato. “E questo qui non ha voglia di aspettare.” borbottò un momento dopo, additando la sua pancia con un’aria risentita e un’espressione immusonita.
Alla luce di quelle notizie, ben due guerrieri Saiyan - i due guerrieri più potenti dell’universo, per la precisione - si voltarono simultaneamente e in perfetta sincronia verso il giovane Dio, con la medesima aria interrogativa e inquisitoria, finendo per attirare su di lui anche gli sguardi degli altri presenti, in attesa.
“Ehi, un momento…” Accortosi all’improvviso di essere suo malgrado balzato al centro dell’attenzione, Dende prese a indietreggiare e a mettere letteralmente le mani avanti. “Io non ho idea di come nascono i bambini… sulla Terra” protestò gesticolando impacciato. “Posso solo guarirla se è ferita.”
“Tsk, siete un branco di buoni a nulla!”
Il commento calmo e sprezzante che qualificò la totalità dei presenti suonò a quel punto decisamente risolutivo; almeno quanto l’espressione di chi l’aveva pronunciato, il suo repentino girare i tacchi e il gesto brusco con cui prese tra le braccia la donna, che stava armeggiando con le tasche della sua giacca multifunzionale.
“Ma dove ho messo quelle stupide caps… Ehi! Che fai?! Mettimi giù subito non ho bisogno del tuo aiuto e poi è tutta colpa tua se so…”
“Sta zitta!” ordinò in tono inflessibile e terribilmente autorevole il Principe dei Saiyan, già in volo oltre la terrazza, mentre cercava di non far cadere la compagna, che si agitava come un’ossessa sproloquiando una sequela d’insulti senza nemmeno prendere fiato.
“Rallenta, disgraziato! Vuoi ammazzarmi?!” Furono le ultime parole che i quattro che erano rimasti al Santuario riuscirono a percepire, in lontananza.
“Ecco fatto!” esclamò Goku con un’aria soddisfatta, quando l’adorabile coppietta era ormai fuori dalla sua visuale. Dende sembrò per un momento preoccupato. “Se la caverà?” domandò quasi come cercasse conferma, scrutando l’orizzonte nel punto in cui i due erano scomparsi.
“Certo. C’è Vegeta con lei.”
Goku rispose come fosse ovvio, assolutamente sereno, mentre Piccolo si limitava a sollevare per l’ennesima volta gli occhi al cielo. “Io certe cose non riuscirò mai a capirle, ci rinuncio.” Gli sfuggì un sospiro rassegnato, un attimo prima che lo stomaco del Saiyan incominciasse a brontolare sonoramente, finendo per attirare l’attenzione dei presenti su un argomento ben più semplice da comprendere.
“Eh eh” sorrise il Saiyan in questione, sfregandosi per l’ennesima volta la nuca in lieve imbarazzo. “Non è che avete qualcosa da mettere sotto i denti, per caso? Non ho proprio pranzato, oggi…”
“Certo.” si affrettò a rispondere Mr. Popo, con la sua consueta inflessione atona, prima di incamminarsi placidamente verso il palazzo. “Vieni con me, Goku.”
Ovviamente lui non si fece ripetere l’invito due volte. “Fantastico!” esclamò raggiante. Saltellò allegro dietro al suo ospite con un'invidiabile prontezza di riflessi, accompagnato dal giovane Dio della Terra, altrettanto sorridente, e dallo sguardo quieto e riflessivo dell’altro namecciano.


Il pianto di un neonato echeggia in lontananza. Le grida risuonano attutite, sovrastate dalle esplosioni di Ki, dal frastuono delle macerie che si sgretolano sotto quei colpi e dal rimbombo della terra che si scuote tremante sotto i fendenti dei suoi invasori. Nell’aria c’è un’elettricità palpabile che freme per andare in pezzi, tutt’intorno. Il cielo è nero e lampi di fuoco ne screziano il manto fuggendo irregolari e tracciando linee sghembe e taglienti, prima di precipitare sulle rocce.
Gli occhi sbarrati e senza vita di quell’uomo lo fissano con l’ultima scintilla di rabbia che ancora li infiamma, obliqui come quei lampi, per poi spegnersi in un’opaca e grottesca espressione di sgomento e disperazione, in cui saranno imprigionati per sempre. Lo osserva per un istante, inclinando il capo da un lato, e un sogghigno sdegnoso gli incurva le labbra, carico di disprezzo.
“Ti scongiuro, risparmia almeno il mio bambino!”
Piange disperata, la donna di fronte a lui, e guarda quell’uomo che si è appena gettato fra loro con un’espressione patetica. Lo disgusta profondamente, ma solo allora percepisce quel secondo battito. Ne è quasi catturato. Non lo fa nemmeno di proposito, ma finisce per accorgersi di come quella sincronia sia così perfetta, totale, al punto che fino a poco prima l’avrebbe detto un unico rintocco. Per un istante ne resta quasi sconcertato, sorpreso che possa esistere davvero una tale perfezione in un buco remoto e puzzolente della galassia, fra inutili scorie e rivoltanti rifiuti. Per qualche insondabile motivo, ignoto persino a lui stesso, sul suo volto si tratteggia subito dopo un’espressione furente e brutale, quasi oltraggiata.
“Ti preg…”
Non la lascia nemmeno parlare, implorare. Una lama di Ki le trapassa il petto all’altezza del cuore e il contraccolpo violento la scaraventa a terra in una posizione innaturale; sulle ginocchia, con la testa piegata all’indietro, come a mostrare il collo agli artigli del suo carnefice, in eterno.
Uno dei due battiti cessa all’istante. L’altro accelera inquieto.
Lui si ferma ad ascoltare.
“Vegeta” lo avverte Radish, alle sue spalle. “Siamo quasi pronti ad andare.”
Anche il secondo battito rallenta, poi si fa irregolare. Poi tace.
Lui sorride maligno. Poi si volta.
“Era ora.” lo ammonisce duro, squadrandolo per un lungo momento e oltrepassandolo deciso verso le navette. “Io ho finito da tempo qui. Mi stavo annoiando a morte”.

“Vegeta…”
Finalmente si è svegliata.
“Tesoro, non puoi andare tu, questa volta?” mugugna la donna mezza addormentata al suo fianco, sepolta sotto una coperta, scandendo a malapena le parole e impastandole nel sonno.
Fuori da quella stanza sta sorgendo il sole. Sarà un’altra bella giornata, per quello che gli interessa.
“Uffa, lo so che sei sveglio.” Borbotta queste parole e altre che non riesce a capire; poi inizia ad articolare più chiaramente. “Non ha bisogno di niente, vuole solo essere presa in braccio” precisa infine, sbucando con la testa fuori dalle coperte. Si stropiccia gli occhi e sbadiglia sonoramente, poi lo fissa un momento, per assicurarsi che lui abbia sentito.
“Scordatelo.” È la sua risposta lapidaria, prima di voltarsi dall’altra parte e darle le spalle. In realtà, non l’ha guardata nemmeno per un istante.
La sente brontolare ancora qualcosa d’incomprensibile e agitarsi nel letto. Poi sente il vuoto del suo peso che abbandona il materasso, con un movimento leggero, e i suoi passi nudi sul pavimento.
“Eccomi qua, tesoro!” esclama ad alta voce dalla stanza accanto, con uno strano tono che è sarcastico e dolce allo stesso tempo. “Hai visto, Bra? Proprio come mezzora fa! E di là c’è perfino tuo padre, anche se non si direbbe.”
Non si accorge di sorridere appena; anche se forse gli è capitato altre volte, ascoltando quel tono di voce.
“E non credo proprio che andrò da qualche parte, sai? Vuoi che ti rilasci una dichiarazione scritta?”
Cala di nuovo il silenzio e lui chiude gli occhi, istintivamente. Percepisce quei due battiti, che si accordano in quell’istante in perfetta sincronia. Ascolta per un momento quella perfezione, che dura un attimo e poi si scioglie di nuovo in due ritmi diversi, eppure ancora in una qualche armonia.
Di nuovo i passi di lei attraverso la stanza e il materasso che si avvalla impercettibile sotto il suo peso.
Continua a sentire quei battiti, ognuno perfetto in se stesso e in concerto con l’altro.
Il corpo di lei stretto al suo. La sua mano calda, leggera, sul suo petto.
È allora che ne sente un terzo.
Il ritmo è più lento e pacato, il suono più ovattato e profondo; sembra attutito, come provenisse dal fondo di un oceano… o dal tumulto di una battaglia. Sale piano d’intensità e s’insinua in quell’armonia, a distrarne il tempo consonante e perfetto. E, imperfetto, lo distrae.
Cerca di seguire quel ritmo quieto e ipnotico, che s’infrange sulla mano calda e leggera di lei e risuona come il ritorno delle onde, di tanto in tanto sferzato da una folata di vento; diverso, eppure in una qualche armonia.
Cerca di seguirlo per un po’, quel ritmo quieto e regolare, finché scivola nel sonno.




FINE





Piccola Nota di Fine Storia: Il battito del cuore di un feto – per chi non lo sapesse^^ - non ha la stessa frequenza di quello della madre, anzi è molto più veloce. La mia è una licenza poetica, per così dire. Probabilmente, in un manga dove la Terra non subisce devastazioni e catastrofi naturali, dopo che la Luna viene fatta bellamente esplodere, penso di potermi permettere una piccola inesattezza… forse ^_* (poi, vai a sapere come si comportano i Saiyan o gli alieni, in genere XD).

Grazie mille a chi ha letto questa storia ed è arrivato fin qui (spero ne sia valsa la pena) ^_^ e un grazie speciale a taisa (credo di aver saldato tutti i miei debiti, finalmente XD).


  
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