Si affaticava più velocemente del solito ma nonostante il calo drastico di energie, era la stanchezza dell'anima a fiaccarlo davvero: qualcosa che non lo avrebbe fatto star meglio con un semplice riposo.
Era stanco di cercare di far valere le proprie ragioni contro chi non voleva nemmeno ascoltarlo.
Stanco di aspettare una morte che lo spaventava ma che poteva liberarlo da ogni dolore.
Stanco di essere un fardello troppo grande per la sua famiglia.
"Dov'è la mia colazione? E il mio vestito da mago? Dici sempre che farai le cose e poi non le fai mai. Come ieri quando sei arrivata e la mia maestra se n'era già andata!"
Il tono petulante della vocina di Giuseppe, che probabilmente in soggiorno stava rimbrottando le sue mancanze alla loro mamma, era particolarmente molesto per la testa già pulsante di Romeo.
Il ragazzo aveva cercato di alzarsi ma le braccine di Antonio lo stringevano come i tentacoli di un polpo, ancorandolo al letto.
Romeo aveva sorriso, scostando una ciocca bionda dalla fronte del suo fratellino coraggioso che aveva tanto insistito per dormire con lui quella notte e sembrava ancora sprofondato in un sonno tranquillo.
Apparentemente.
Perché all'improvviso Antonio si era messo a sedere boccheggiando, soffocando un urlo, e la sua espressione di puro terrore si era trasformata in sollievo quando si era reso conto che Romeo lo stava chiamando, abbracciando e rassicurando.
"C'era un mostro gigantesco che ti voleva portare via..."
"Ricordati che qualsiasi cosa succederà, in qualsiasi modo andranno le nostre vite, c'è un legame indissolubile tra noi che resterà per sempre!"
"Cosa vuol dire?"
"Che ti voglio un gran bene!"
Erano questi abbracci a dare ai due fratelli il coraggio di andare avanti nei giorni buoni e nei giorni cattivi anche se quel sentimento di appartenenza reciproca a volte era un limite, soprattutto per Antonio.
***
Più complicato sembrava farsi voler bene da Giuseppe, instaurare anche con lui un legame e una complicità fraterna.
Romeo bramava una doccia per lavare via quell'odore solforoso che, durante la notte, gli si era appiccicato sul collo e sul busto ma aveva trovato il bagno occupato e dopo dieci minuti ad aspettare anche stare in piedi iniziava a snervarlo e spossarlo fisicamente.
"Giuseppe apri, ho bisogno di usare il bagno!"
"No, non uscirò da qui finché non riuscirò ad aprire la porta con la sola forza del pensiero!"
"Tu sei tutto matto! Apri o ti ci tiro io stesso fuori da lì dentro ma non con la forza del pensiero bensì con quella delle mani!"
Si era spazientito il fratello maggiore, tremando per i brividi anticipatori di una febbre imminente.
Giuseppe aveva aperto di colpo la porta e aveva fissato Romeo con occhi scintillanti in cui era leggibile uno sfarfallio di sfida.
"Sei cattivo! Rubi il tempo di tutti...È colpa tua se mamma e papà non vogliono bene a me e ad Antonio ma pensano sempre e solo a te perché sei malato. Sai cosa faccio adesso? Vado ad esercitarmi con il trucco di magia per far sparire i rompiscatole come te...E mi assicurerò di non farti riapparire mai più!"
Il bambino era scappato via piangendo e Romeo era rimasto inchiodato nello stesso punto per una buona manciata di minuti, addossato alla parete per non crollare per terra e incapace di reagire: sapeva che i modi di Giuseppe di comportarsi da bambino imperatore erano una tecnica per richiamare l'attenzione su di sé e che quello che gli aveva appena detto era dettato dalla rabbia del momento ma erano parole che gli avevano fatto molto più male di tutti gli esami medici invasivi ai quali era stato sottoposto, nell'ultimo decennio, perché non avevano ferito il suo corpo ma facevano sanguinare il suo cuore.
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Ogni amore, è fatto di sacrifici nascosti, gesti che l'altro non conosce subito, e che a volte non conoscerà mai direttamente.
Romeo si stava comportando come il pedone sulla scacchiera, disposto ad immolarsi per evitare altre rinunce ai genitori e ai fratelli: lui era l'antropocentrico della famiglia Vinci, sempre al centro di ogni considerazione e di ogni preoccupazione.
Per colpa sua anche festeggiare il Natale o i compleanni era come tirare a sorte e i suoi fratellini avevano tutto il diritto di esigere il poter vivere un'infanzia spensierata.
Romeo amava il mare perché lo aiutava sempre a ritrovare la pace interiore e per questo era andato al porto nonostante un senso di malessere diffuso in tutto il corpo: la vista e il suono delle onde che si infrangevano sugli scogli creavano un'atmosfera rilassante e lo aiutavano a ridurre lo stress e l'ansia.
Era il suo luogo terapeutico preferito ma arrivato alla darsena un altro imprevisto lo aspettava: qualcuno stava tentando di sovraccaricare la Giulietta di sassi, selci e ciottoli per danneggiarla e probabilmente farla affondare.
"Ma cosa stai facendo?"
Romeo si era messo a correre nonostante le sue gambe dolessero in risposta fino a trovarsi faccia a faccia con un'infuriata Mia.
Aveva sottovalutato il fatto che la mamma della sua compagna di scuola lavorasse per Diego Venturi gli si potesse ritorcere contro .
"Tanto non ti serve più, vuoi morire no?"
Lo aveva attaccato la ragazza dandogli piccole spinte sullo sterno.
"E se muori io...Io non ti perdonerò mai!"
Era scappata via prima che lui potesse fermarla e a Romeo non era rimasto altro da fare se non cercare di dare una ripulita a quella barca a vela che gli era stato proibito di far navigare anche se ormai nemmeno il benessere rigenerante del mare sarebbe riuscito a liberargli la mente.
"Diego Venturi ha rinunciato ad essere il tuo avvocato!"
All'udire la voce di suo padre, Romeo si era chiesto perché continuassero a tendergli imboscate nell'ambiente che avrebbe dovuto garantirgli una certa dose di tranquillità.
"Oggi ho mal di schiena quindi non raccolgo le tue provocazioni!"
Romeo si era fatto beffe di suo padre e aveva cercato di svignarsela ma Enrico gli aveva avvolto una mano intorno al polso, senza lasciar trasparire il suo turbamento quando si era reso conto di quanto fosse sottile la circonferenza.
"Aspetta. Sono venuto qui per parlare da uomo a uomo...Senza saltarci verbalmente addosso come abbiamo fatto negli ultimi tempi!"
Romeo era disposto a sospendere temporaneamente le ostilità adesso che suo padre aveva deciso che era arrivato l'inevitabile momento di una tregua prima che altri tormenti arrivassero ad assalirli.
Padre e figlio si erano seduti sul pontile della darsena, che presto sarebbe diventata una passeggiata a mare, e lo spettacolo innanzi a loro era così ipnotico da convincerli che la sincerità era la libertà di essere sé stessi.
"Lì, su quel molo io e tuo zio Tommy passavamo interi pomeriggi da ragazzini. Qui c'era anche la nostra barca..."
Parlare di suo fratello, annegato poco più che ragazzino, era come spine che entravano nell'animo di Enrico ma, nonostante la fitta al cuore, aveva capito che conoscere davvero suo figlio era un viaggio che cominciava dalle spigolosità di Romeo.
"Dopo l'incidente mentre tutti lo cercavano io continuavo a ripetermi che era uno scherzo...Che Tommy sarebbe riemerso dalle acque come un Tritone e avremmo continuato a giocare spensierati.
Non c'è stato nessun dio Poseidone a restituirmi mio fratello..."
Romeo ascoltava in silenzio, soggiogato dal racconto commosso di suo padre.
"Tu hai ancora una possibilità di risparmiare questo dolore ai tuoi fratelli. So che vuoi proteggere Antonio, so che sei stato tu a dargli i soldi per rivolgersi ad un avvocato, ma pensa a come si sentirebbe in colpa per il resto della sua vita se non riuscisse a salvarti questa volta. Antonio non sarebbe più lo stesso, noi come famiglia saremmo distrutti. Non rinunciare alle possibilità che il futuro ha ancora da offrirci!"
Piccole contrazioni muscolari avevano fatto tremare tutto il corpo di Romeo dopo l'accorato appello di suo padre a non arrendersi: erano tremori da stress e non brividi da febbre questa volta.
Vincere la tensione emotiva non era stato facile quando con voce esitante ed insicura aveva chiesto:
"E se il trapianto non funziona? E se io muoio lo stesso?"
Enrico aveva sbattuto un paio di volte le palpebre per scacciare l'umidità di lacrime che si erano riversate lungo le sue gote, quindi aveva azzardato una manifestazione di affetto che non ostentava da tanto, troppo tempo, facendo una carezza sulla guancia liscia di suo figlio.
"Hai il dovere e il diritto di provarci, almeno!"