Storie originali > Fantascienza
Ricorda la storia  |      
Autore: Merkelig    07/03/2025    3 recensioni
Ciò che appare innocuo non sempre lo è...
Questa storia partecipa al contest "In una terra ostile" indetta da AndromacaNyx sul forum di EFP.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Iris

 

Mann osservava la colonia ormai da giorni. Gli piacevano quei cosi, in un certo senso, gli ricordavano i pesci con le mani della Tasmania. Una specie terrestre ormai estinta da secoli, ma biologia avanzata era stata il suo corso preferito all'Accademia. 

Non che lo avesse mai detto a nessuno, non ci teneva ad essere scambiato per una checca. 

Si era accampato su un piccolo crinale, a debita distanza, con la sua unità di emergenza U113-78, che gli consentiva una metamorfosi perfetta con l'ambiente e che gli forniva tutto il necessario per la sopravvivenza.

Per quanto sarebbero durate le batterie e le scorte, quella era un'altra faccenda. 

Mann aveva appena terminato il controllo quotidiano; prese il piccolo radio trasmettitore e iniziò a parlare a voce alta, scandendo bene le parole.

- Giorno dodici - gettò un'occhiata rapida al quadrante dell'apparecchio - data cosmica 28 TORP/57L. Oggi sono tornato al punto in cui si è schiantata la mia navicella. Le condizioni sono identiche a quelle dell'atterraggio, nessuno sembra essersi avvicinato, e il radiofaro è intatto. Ho inviato una seconda richiesta di soccorso, ma ancora nessuna risposta. 

Fece una pausa, pensieroso.

- Ho sistemato l'unità di emergenza vicino al luogo in cui vive una piccola colonia di esseri autoctoni. Sono un gruppo coeso, maschi e femmine praticamente indistinguibili fra loro, e qualche cucciolo. Sono piccoli, ho stimato un'altezza media di settanta centimetri. Il corpo è rotondo, privo di attributi sessuali, hanno occhi senza palpebre e bocca senza labbra, e dodici dita tra mani e piedi. Il corpo è ricoperto di scaglie rosso vivo.

Un'altra pausa.

- Non sembrano possedere un linguaggio, tuttavia per il loro forte spirito di comunità è chiaro che devono possedere una qualche forma di comunicazione. Uno fra loro viene escluso da tutte le attività della colonia. È più piccolo della media, e le sue scaglie sono viola, non rosse. Gli altri esemplari lo tengono a distanza, addirittura diventano aggressivi quando si avvicina troppo.  

Un leggero crepitio lo interrompe. Mann scorse con il dito sullo schermo per passare al programma di comunicazione, e il cuore gli risalì in gola mentre osservava l'icona del Comando Internazionale comparire a chiazze sullo schermo.

Volò fuori dalla sua piccola cupola invisibile e si precipitò alla navicella, distante poco meno di un chilometro, rischiando di spezzarsi il collo durante la discesa. 

Appena arrivato a destinazione si avventò sul radiofaro.

- Messaggio per il comandante Mann - recitò una voce metallica, così bella che gli venne da piangere - Richiesta di soccorso ricevuta e accolta. Una navicella la preleverà dal quadrante 34-C in data cosmica 28 TORP/71D. Si faccia trovare pronto, comandante. La riportiamo a casa.

Mann rimase a fissare lo schermo spento ancora tra le sue mani.

Il 34-C era una zona a circa una ventina di chilometri da dove si trovava in quel momento. Non era in grado di calcolare esattamente quanto gli serviva per arrivarci, ma era certo di poterlo raggiungere molto prima delle navicelle di soccorso.

Osservò l'orizzonte e decise che quella sera avrebbe impacchettato tutto e che l'indomani mattina si sarebbe messo in cammino.

Fece per sicurezza un ultimo giro del relitto, cercando di capire se potesse recuperare qualcos'altro, e ritornò all'unità di camuffamento per prepararsi.

 

Durante la cena sedeva con l'occhio al binocolo, masticando quella grigia pappetta insapore sintetizzata dal computer che si assicurava di fornirgli tutte le vitamine, le proteine e gli zuccheri di cui il suo corpo avesse bisogno. Nel mentre i pesciolini sedevano attorno ad un fuocherello azzurrognolo, passandosi l'un l'altro ciotole intrecciate da cui pescavano con le mani larghe foglie carnose e vermetti che poi si infilavano in bocca crudi. 

Un raspare delicato alle sue spalle lo fece trasalire, così all'improvviso da rovesciare ciotola e cucchiaio per portare la mano all'arma. Non era che un banale strumento per la pulizia degli strumenti, una specie di teaser che con la sua scarica ad alto voltaggio serviva a frantumare le più piccole schegge di roccia che rimanevano incastrate nei meccanismi; ma non era riuscito a trovare niente di meglio.

Al di là della parete, che si era fatta trasparente ma solo per lui, c'era il piccolo alieno viola che palpava quello strano materiale invisibile con curiosità. 

Mann si costrinse a respirare a fondo un paio di volte, prima di andare a desigillare l'entrata bloccandola con il suo corpo.

Il piccoletto fece un salto all'indietro per lo spavento, mentre Mann agitò la mano.

- Sciò - abbaiò - sciò, vattene! Torna dagli altri!

Lui, o lei, impossibile esserne certi, cercò di guardare all'interno, senza muoversi. Mann seguì il suo sguardo fino alla ciotola rovesciata per terra.

- Hai fame? - chiese retorico.

Andò a raccogliere i suoi scarti dal pavimento e glieli portò, e quello, che era rimasto educatamente ad aspettare fuori, iniziò a pigolare e a tendere le mani.

- Aspetta un momento cazzo! Sto arrivando!

Mann si inginocchiò e gli allungò la ciotola. Il piccoletto prese anche il cucchiaio e lo immerse nella poltiglia per poi portarselo alla bocca.

- Guarda un po', siamo educati a quanto pare.

Gli spinse in mano tutto e si rialzò in piedi.

- Forza, vattene adesso. Hai avuto da mangiare, ora sciò. Voglio farmi una bella dormita prima di domani. 

Chiuse la zip e lasciò che il sistema sigillasse la capsula, mentre fuori il piccoletto sembrava totalmente assorbito dal cibo. Andò a buttarsi in branda, immaginandosi già a bordo della navicella di salvataggio diretto verso casa.

 

- Ehi! Ti ho visto, là dietro! Vedi di andartene e di lasciarmi in pace!

Quella mattina Mann si era svegliato appena dopo l'alba e si era messo in cammino. Aveva da poco lasciato il territorio della colonia, roccioso e desertico, e si apprestava ad entrare in una sorta di foresta primordiale. Le piante bioluminescenti rilucevano appena nella delicata luce mattutina, ma c'era da scommettere che di notte fossero un vero spettacolo. Peccato che per la fine della giornata Mann sarebbe stato ormai nel 34-C.

Si era accorto di essere seguito appena sceso il crinale. Non appena voltava la testa qualcosa di violetto alle sue spalle spariva dalla visuale per ripararsi dietro una roccia. 

- Allora? Parlo con te, sparisci!

Il piccoletto ebbe qualche istante di esitazione prima di uscire allo scoperto. Mann strabuzzò gli occhi. Forse era l'atmosfera del pianeta, che in quella zona gli confondeva la vista, ma il corpo dell’alieno adesso era alto circa un metro e non era più così rotondo. Si intravedevano, appena accennate, le forme di un addome e un bacino, e gli arti, che prima erano stati abbozzati nella plastilina da un bambino, ora erano più definiti e con le giunture in vista. 

L'uomo restò ancora un po' a fissarlo, poi scosse la testa e ricominciò a camminare senza più voltarsi.

L'alieno gli trotterellò dietro. 

Ben presto la temperatura nella foresta iniziò ad alzarsi. Mann si tolse per prima la giacca, poi rimase a torso nudo; continuò a sudare come un maiale, ma non osò abbandonare niente in quel luogo, non sapendo a cosa sarebbe andato incontro quella notte.

Notò lo sguardo con cui l'alieno lo fissava da quando aveva cominciato a togliersi i vestiti, e provò una punta di disagio, ma si diede dell'idiota e si impose di non pensare ad altro che a trovare un passaggio attraverso le piante. 

All'improvviso percepì un profumo intenso, e fu obbligato a fermarsi per capire da dove provenisse.

Era un rampicante, stelo esile, petali delicati, un grazioso arabesco disegnato su albero dall'immenso tronco granuloso. 

Tutto di quella pianta era di una delicata sfumatura violetta.

Emanava un profumo così dolce che Mann, senza accorgersene, vi si avvicinò sempre di più. Voleva strofinarselo sul naso e sulle labbra, voleva perdersi nel suo odore. Per sempre.

Quando gli fu strappato dalle mani -neanche si era reso conto di averlo preso- rimase stordito per un attimo, mentre il piccolo alieno faceva a pezzi la pianta con le mani e con i denti fino ai pistilli, e poi la gettava a terra calpestandola con odio feroce.

Quando non rimasero che strisce sul terreno e qualche grumo, il piccolo alieno si accostò a Mann aggrappandosi alla sua cintura e fissandolo con occhi lucidi.

Gli tremava il labbro inferiore, e con le manine cercava appigli su di lui.

Mann se lo staccò di dosso e, barcollando, cercò di ritrovare la strada.

Avrebbe giurato che adesso l'alieno aveva una faccia vera e propria, con due piccole narici e una bocca semi umana, mentre il giorno prima era ancora un muso di animale. 

 

La sera stese una coperta a ridosso di un grosso tronco e si accontentò di quello come riparo. Mangiò quello che doveva, e decise che non avrebbe acceso il fuoco. La temperatura era sopportabile, la luce emanata dalle piante era più che sufficiente a vedere quello che stava facendo e non aveva visto animali lì intorno, se si escludeva uno sciame di enormi ditteri che ronzavano intorno alle fronde più alte. 

Li osservò a lungo e li vide nutrirsi dei licheni bioluminescenti che stavano sulle cime degli alberi; si vedeva il loro addome brillare debolmente di tutti i colori. Mancava solo il viola. 

Il piccolo alieno era sempre lì con lui, coglieva di quando in quando qualche foglia brillante e se la cacciava in bocca, con le mani a quattro dita. 

Un momento. 

Quattro? Forse quelli viola ne hanno uno in più degli altri? Non riusciva a ricordare quanti ne avesse visti quando gli aveva dato la ciotola.

Decise che la cosa non doveva avere importanza. Le dita non crescono da sole, e anche se così fosse, sarà una qualche stranezza aliena. 

L'unica cosa su cui si doveva concentrare era il punto di ritrovo 34-C. Decise che appena sveglio avrebbe fatto il punto della loro posizione, e così entro la mattinata sarebbero riusciti a uscire da quella foresta. In quel modo sarebbero stati già a metà strada, forse persino di più.

Sarebbe.

Sarebbe stato a metà strada.

Perché aveva pensato al plurale?

Il piccoletto viola saltava da una radice all'altra, strappando foglie e accucciandosi a terra a masticare. 

Di tanto in tanto si fermava ad ascoltare, Dio solo sa cosa, e poi riprendeva a cercare, spulciare e piluccare.

Quando si voltò di tre quarti si intravide, appena accennato, il profilo di un seno acerbo.

Mann si stese su un fianco con uno scatto brusco, un braccio sotto la testa, l'altro pugno serrato attorno al telo impermeabile con cui si era coperto per dormire. Rimase ostinatamente disteso, gli occhi serrati, il corpo rigido e lo stomaco che brontolava, perché le razioni che aveva sintetizzato il giorno prima erano state pensate per soddisfare i suoi bisogni di un singolo giorno. A quell'ora sarebbe già dovuto essere nel quadrante 34, la capsula montata e pronto a ricevere il segnale della navicella. Non bloccato in mezzo alla foresta. 

Si rigirò un paio di volte, sempre più irritato dal frinire delle creature e dai tonfi dell'alieno che si avvicinavano e si allontanavano senza prevedibilità, quando quello gli atterrò di colpo a pochi centimetri dalla faccia.

- La fai finita, Cristo?! Non ne posso più! - abbaiò, scattando seduto.

La foresta si azzittì di colpo. Il piccoletto lo fissò congelato, rattrappendosi, una foglia masticata a metà che ancora gli pendeva dalla bocca. Calò le spalle, voltò il musetto e cominciò a frignare.

- Ehi! Ehi, che diamine. Non fare così, andiamo!

Si alzò gattoni e lo afferrò per un braccio, facendolo voltare. L'alieno piangeva in modo strano, la fronte corrugata e le nocche premute sulle tempie, come se si sforzasse di far uscire le lacrime.

Mann se lo trascinò vicino.

- Smettila, su. Ti chiedo scusa, va bene?

Quello tirò su con il naso un paio di volte ma almeno aveva smesso di uggiolare. Lo guardò di sottecchi continuando a lamentarsi.

- Ti darò un nome, eh? Lo vuoi un nome? Chissà se voi altri ne avete su questo pianeta. Allora…

Subito gli venne in mente Viola, ovviamente, ma lo scartò perché era stato quello di sua nonna.

- Vediamo...

Prugna? Violetta? 

- Beh, uhm...

Rosa? Tulipana? Che cazzo ne sapeva di nomi, lui! Era un soldato, non uno scienziato mezza checca!

- Iris, eh? Ti piace Iris?

Come quella stronza della sua ex moglie. Anche lei frignava finché non otteneva da lui quello che voleva.

L'aliena si lasciò scappare un singhiozzo, poi si strofinò gli occhi.

- Ecco, brava... mettiamoci a dormire, Iris.

Mentre si coricavano pensò sghignazzando che la sua ex moglie si sarebbe incazzata di brutto se le avesse parlato in modo così accondiscendente.

 

Mann si voltò su un fianco, coprendosi gli occhi con un braccio. Il suo cervello si era svegliato di colpo, avvertendolo che il sole era sorto e che la foresta si preparava a cominciare un nuovo giorno, ma il corpo aveva ancora bisogno di qualche minuto.

Abbassò il braccio lungo il fianco, e la sua mano incontrò qualcosa di tondo e vagamente familiare, e prese ad accarezzarlo ancora mezzo addormentato.

Quando sentì un mugolio spalancò gli occhi.

Iris era venuta a dormire accanto a lui, ed era il suo sedere, sporto in direzione del suo pacco, che stava accarezzando.

Pacco che si era svegliato prima di lui quella mattina, a quanto pareva.

Si allontanò, sospirando.

Troppa tensione e troppe poche seghe su quel pianeta maledetto, quella era la verità.

Abbassò lo sguardo sull'aliena.

Adesso i seni erano decisamente evidenti, seppur non grandi come piacevano a lui, ma non gli dispiaceva il modo in cui si poggiavano sul braccio di Iris. Sembravano morbidi e sodi al punto giusto.

I fianchi e il sedere erano rotondi e lucidi, perfetti.

Le scaglie... dov'erano finite le scaglie? La pelle sembrava fatta di porcellana. 

Iris sbadigliò piano nel sonno e si girò sulla schiena.

Mann strabuzzò gli occhi.

Quella in mezzo alle gambe sembrava proprio una... una...

Iris lo stava fissando con i suoi grandi occhi viola.

 

Quelli che lui aveva chiamato pesci con le mani lo stavano osservando da lontano mentre, solo, usciva dalla foresta e marciava verso la sua meta.

Erano in cinque, esemplari non più giovani ma ancora vigorosi, che erano riusciti a tenere il passo dell'umano grazie a scorciatoie per lui impraticabili.

"Lo lasciamo andare?" 

"Sì."

"Credete che avremmo dovuto avvertirlo?"

“E come?”

“Non possiede la nostra Connessione, non ci avrebbe sentito."

“Forse non ci avrebbe nemmeno ascoltato. Esseri arroganti questi umani"  

“Stupidi."

“Diventano aggressivi una volta contagiati, lo sai. "

“Forse avremmo potuto…”

"Sai meglio di me che quelli viola sono infidi. Nessuno si rende conto di come ti confondono la mente." 

"Sì, ma... quello che lui ha fatto..."

"È così che si riproducono sul loro pianeta."

"Così? Ma è una violenza!"

"Dov'è finito il Rinnegato?"

"Non lo so. Si starà nascondendo."

"Avrà ottenuto quello che voleva."

"E cosa?"

"Non ne sono certo..."

 

Data cosmica 63 TORP/89S. 

Da qualche parte in mezzo a tutta quella oscurità c'era un piccolo pianeta verde e azzurro, dove animali appena scesi dagli alberi avevano colonizzato tutto quello su cui erano riusciti a posare lo sguardo.

Quel pianeta non era casa sua più di quanto non lo fosse questo arido, insignificante sasso su cui era nato. 

Si lasciò scivolare un pugno di sabbia tra le lunghe dita violette.

Alla fine, gli altri vedono di noi ciò che vogliono.

Lui sarebbe diventato presto il mostro che tutti già pensavano fosse. 

Avrebbe piegato e bruciato questo mondo fino all'ultimo stelo.

E dopo…

Tornò ad osservare il cosmo in cerca di un certo puntolino azzurro. 

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Merkelig