Qualcosa si nasconde tra noi...
L’aria della sala insegnanti sapeva di caffè bruciato e disperazione. Come sempre, nei giorni di colloqui con i genitori.
Aidan si appoggiò al tavolo con lo sguardo fisso sulla lista dei colloqui. La pila di registri accanto a lui sembrava più alta del solito. Forse era un effetto della stanchezza o forse i genitori problematici si riproducevano per mitosi.
“Sei pronto a ricevere insulti passivo-aggressivi e a scoprire che, secondo le loro madri, i nostri studenti sono tutti dei piccoli Einstein incompresi?” chiese Simone con tono piatto, sorseggiando un cappuccino ormai freddo.
L’insegnante di lettere sbuffò, massaggiandosi le tempie. “Se riuscissi a passare un solo colloquio senza sentirmi dire che il mio metodo è troppo duro”, giuro che faccio un voto di castità accademica e divento un monaco tibetano”.
L’altro lo osservò con un sopracciglio sollevato. “Oh, quindi non sei già un asceta burbero che distribuisce saggezza con note e rimproveri sarcastici? Sono scioccato”.
“Posso sempre diventare peggio” rispose il primo, lasciando cadere la penna sul registro con un sospiro teatrale.
Purtroppo, il tempo delle battute terminò non appena un genitore varcò la soglia. Seguirono due ore di chiacchiere sulla “troppa severità”, sulla “mancanza di empatia” e sul “perché il mio tesoro non può passare con la sufficienza anche se non ha mai aperto libro”.
Poi arrivò Lorenzo. O meglio, i suoi genitori.
I due si sedettero con una lentezza studiata. La madre si lisciò il vestito con cura maniacale, il padre incrociò le mani sul tavolo, senza dire una parola. Una strana formalità nell’atteggiamento, una compostezza che non sembrava naturale.
“Siamo qui per discutere i progressi di nostro figlio” iniziò la donna, con una voce sottile, controllata.
Strano modo di dire che vogliono lamentarsi di qualche nota, pensò il docente.
Prese il registro, ma mantenne lo sguardo su di loro. Nonostante il tono pacato, c’era qualcosa che non andava. Troppo rigidi, troppo distaccati. Parlavano di Lorenzo come se fosse un estraneo.
“Suo figlio ha qualche difficoltà a rispettare le regole” disse, scegliendo le parole con cura. “È intelligente, ha ottime capacità, ma tende a mettersi nei guai. Pare che ultimamente sia più... irrequieto”.
Il padre annuì lentamente. “I ragazzi moderni sono viziati. Troppa libertà. A volte hanno bisogno di... disciplina”.
Disciplina. Non “un aiuto”, non “una guida”. No, per loro serviva disciplina.
Il professore di lettere sentì un brivido, ma mantenne il tono leggero. “Immagino che anche lei da giovane fosse un ribelle incallito”.
L’uomo lo fissò per un secondo di troppo. “No. Noi sapevamo qual era il nostro posto”.
Silenzio.
La madre gli lanciò uno sguardo di avvertimento, come se temesse che il marito dicesse troppo. Poi tornò a guardare il professore con un sorriso forzato. “Grazie per il suo tempo. Faremo in modo che Lorenzo capisca l’importanza di comportarsi bene”.
Si alzarono e se ne andarono. Senza un saluto, senza una parola d’addio.
Aidan restò qualche secondo a fissare la porta. Poi si voltò verso Simone, che aveva seguito la scena in silenzio. “Okay, so che di solito mi preoccupo per niente, ma dimmi che hai notato anche tu”.
L’altro annuì, pensieroso. “I peggiori che ho visto oggi. Quell’uomo ha la stessa energia di un pugnale avvelenato”.
“Sì, e la madre sembrava la sacerdotessa di una setta. Una setta molto, molto inquietante”.
L’altro professore finì il cappuccino con un’espressione scettica. “E quindi? Pensi che stiano nascondendo qualcosa?”
“Ti dirò, caro mio, ormai so riconoscere la puzza di guai sovrannaturali. E qui c’è qualcosa che non quadra.”
Il collega incrociò le braccia. “Qualcosa di magico o solo una famiglia di psicopatici?”
L’insegnante di lettere prese la penna e iniziò a tamburellarla sul tavolo. “Non ne ho la più pallida idea, ma dobbiamo capirci di più… una cosa, tuttavia, l'ho capita: Lorenzo è nei guai.”
Simone sospirò. “Ovviamente. Non potevamo semplicemente goderci un Natale tranquillo, vero?”
“Ma quando mai ce ne è stato uno?”
L’altro fece una smorfia. “Non da quando ti conosco”.
“Ti ripeto che è un’idea pessima.”
La voce di Simone trasudava la solita esasperazione. Aidan, per tutta risposta, si limitò a infilarsi i guanti con aria impassibile. Il vento freddo di dicembre tagliava la pelle, e la strada deserta davanti a loro sembrava ancora più cupa sotto la luce giallastra dei lampioni.
“Non ho mai avuto buone idee, perché dovrei iniziare ora?” rispose, stringendo la sciarpa intorno al collo.
Simone sospirò, gettando un’occhiata verso la strada che portava alla casa di Lorenzo. “Lo sai vero che andarcene in giro per la città di notte, alla ricerca di qualcosa che potrebbe volerci morti, non rientra nella mia definizione di una serata tranquilla?”
Aidan ghignò. “Smettila di lamentarti, lo so che adori queste cose. E poi, se c’è davvero qualcosa nei paraggi, meglio scoprirlo ora che quando sarà troppo tardi.”
Il collega incrociò le braccia. “E se fosse solo suggestione? Se quei due fossero solo dei pazzi che credono in vecchie leggende?”
Aidan fece spallucce. “Allora ci godiamo una passeggiata notturna. Magari troviamo pure un bar aperto.”
Simone lo fulminò con lo sguardo, ma alla fine si arrese. “Mi pentirò di questa decisione, vero?”
“Sicuramente. Ma apprezzo il tuo coraggio.”
Si incamminarono lungo il marciapiede, mantenendo un passo silenzioso. Le case lungo la via erano immerse nell’oscurità, solo qualche debole luce filtrava dalle finestre. L’aria sapeva di gelo e fumo di camini accesi. Più si avvicinavano alla casa di Lorenzo, più la tensione cresceva, quasi fosse un’ombra invisibile che li avvolgeva.
Poi, Simone si fermò di colpo. “Aspetta.”
Aidan lo osservò mentre si chinava, sfiorando con le dita una piccola impronta sul terreno ghiacciato.
“Questo non è un segno normale.”
Aidan sbirciò oltre la spalla del collega. L’impronta aveva una forma strana, allungata, le dita più simili ad artigli che a qualcosa di umano. Non era vecchia, e si dirigeva proprio verso la casa.
“Mi dici che non è solo un cane con problemi genetici?” ironizzò, anche se la sua mano si era già stretta attorno all’elsa della sua arma incantata sotto il cappotto.
Simone lo ignorò, esaminando attentamente il terreno. “Qualcuno o qualcosa si aggira nei dintorni. E non è qui da molto.”
Aidan sorrise, sentendo l’adrenalina salire. “Perfetto. Direi che è il momento di fare un po’ di esercizio.”
Scivolarono nell’ombra, muovendosi lungo la recinzione della casa. Tutto sembrava immobile, ma il silenzio era insensatamente perfetto, troppo forzato. Aidan strinse i denti: quel tipo di quiete non era mai un buon segno.
Poi, un suono. Un fruscio leggero, come di qualcosa che scivolava tra i cespugli.
Aidan si voltò di scatto. E lo vide.
La creatura era in piedi ai margini del giardino, il corpo magro e sproporzionato, come se fosse stato stirato da mani invisibili. Il viso era umano, o almeno un tentativo di esserlo, ma qualcosa non quadrava: la pelle sembrava aderire male al cranio, come una maschera mal incollata. Gli occhi erano troppo neri, troppo vuoti.
“Skinwalker.” mormorò Simone.
Il docente di lettere non perse tempo. Estrasse la sua arma, un pugnale che brillava debolmente sotto la luce della luna, e si lanciò avanti senza esitazione.
La creatura si mosse, ma non per attaccare. Scattò all’indietro, con una velocità innaturale, scomparendo tra gli alberi.
“Ma che diav…!” Aidan frenò appena in tempo per non sbattere contro il tronco di un pino.
Sta scappando.” Simone era già in movimento, disegnando sigilli nell’aria con rapidi gesti delle mani. “Voglio provare a confinarlo prima che ci sfugga del tutto.”
La creatura si mosse di nuovo, zigzagando tra le ombre. Aidan la seguì, con il cuore che martellava nel petto. Era abituato a combattere, non a rincorrere. Eppure, ogni volta che cercava di avvicinarsi, la creatura cambiava direzione, veloce come un lampo.
“Fermo, idiota!” sbottò Simone.
Aidan non lo ascoltò. Accelerò, le gambe che bruciavano per lo sforzo, fino a quando lo skinwalker si voltò di scatto e attaccò.
Non fu un vero colpo. Fu un movimento sfocato, un’ombra che gli si lanciò addosso, graffiandogli la spalla prima di scattare via. Aidan imprecò, stringendo i denti mentre sentiva il bruciore espandersi lungo il braccio.
Poi, la creatura fece qualcosa di inaspettato. Girò su sé stessa e si diresse dritta verso Simone.
“Merda!”
Aalzò una mano, tracciando nell’aria un simbolo luminoso. Un attimo dopo, la creatura venne bloccata a mezz’aria, un sigillo dorato che brillava intorno a essa.
Silenzio.
“Perfetto.” Abbassò la mano, ansimando. “Ora decidiamo cosa farne.”
Aidan si avvicinò, toccandosi la spalla dolorante. “Lo portiamo a casa? O lo facciamo fuori subito?”
Prima che l’amico potesse rispondere, la creatura tremò. Poi, improvvisamente, prese fuoco.
Fiamme innaturali, di un rosso profondo, avvolsero il suo corpo. Non urlò, non si contorse. Si lasciò bruciare come se fosse sempre stato destinato a farlo.
I due si scambiarono un’occhiata.
“Direi che c’è qualcosa che non va.” disse Aidan, con il tono di chi stava trattenendo una bestemmia.
Simone annuì lentamente. “Già. E ho il presentimento che siamo solo all’inizio.”