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Autore: budi_pissio    14/05/2025    1 recensioni
Hai mai pensato: "Certo, è un'idea idiota... Ma potrebbe funzionare"?
Loro tre sì. Continuamente.
E ora sono in viaggio verso la Guerra dei Tordi contro i Tardi, con la speranza di uscirne con una medaglia. Una guerra che non interessa a nessuno, tra due popoli dalla dubbia intelligenza.
Malannus, Tontruìl e Domaloca non cercano fama e gloria. Vogliono solo sentirsi dire "bravo" almeno una volta.
La cosa sorprendente? Nonostante tutto... Potresti anche cominciare a fare il tifo per loro.
Mettiti comodo sul gabinetto e segui quest'odissea del disastro.
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"Ci sono troppe scene sconce e di violenza" - Mia nonna.
"Ci sono troppe poche scene sconce e di violenza" - Mio cugino.
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La guerra dei Tordi

CAPITOLO 1 – Tre mezze calzette che volevano diventare calzini interi

 

Tutte le storie migliori iniziano in una locanda. Forse perché basta aspettar poco prima che qualcuno si ubriachi, o forse perché non bisogna aspettar molto prima che si presenti qualcuno di ubriaco. Pure la storia in questione inizia proprio in una locanda, una di quelle anonime in una strada anonima vicino a qualche paese anonimo. Un locale che avrebbe fatto il suo corso senza venir citato da nessuna parte, se non fosse che un giorno il suo destino cambiò totalmente. Il giorno in cui si presentarono due individui incappucciati: un giovane e un vecchio.

Vent'anni prima, un potente oracolo aveva predetto che quel neonato era il principe prescelto che avrebbe finalmente liberato il suo popolo tormentato da un usurpatore sadico e malvagio. Il generale del legittimo re era riuscito appena in tempo a scappare col piccolo mentre tutta la vecchia corte veniva brutalmente trucidata. L'aveva cresciuto in segreto, lontano dai sicari del re crudele, in attesa del giorno del riscatto, mentre il loro popolo continuava a subire ogni sorta di soprusi e ingiustizie. Ebbene, quel giorno era infine giunto, e nessuno avrebbe più sofferto o subito alcunché. Così i due si erano fermati a mangiare prima di partire, determinati a liberare il loro regno. La loro avventura però, non durò molto, anzi, non cominciò affatto, dato che, come altri poveri disgraziati, ordinarono all’oste la zuppa di funghi.

Per un capriccio del destino, i funghi interessati erano velenosi, così più della metà dei presenti morì quel giorno. Infatti questa non è la storia di quel principe e del suo maestro, ma dei tre rincoglioniti che quel giorno lavoravano in cucina e misero inconsapevolmente dei funghi velenosi nella zuppa. O meglio, erano consapevoli di averli messi, dato che volevano che l'oste non si accorgesse che pian pianino con un assaggino qui e uno là, avevano fatto pericolosamente abbassare il livello della pentola, ma erano meno consapevoli che quei funghi trovati lì fuori fossero letali.

Così quella povera locanda, aperta con i risparmi di una vita dell’oste e sua moglie, finì la propria attività prematuramente, e sparì dalla faccia della terra, data alle fiamme dai parenti delle vittime. Sta di fatto che, purtroppo per i parenti inferociti, i veri responsabili erano ormai lontani quando le persone iniziarono a collassare sopra ai piatti fumanti.

Ma come ci finirono i nostri tre eroi a lavorare in una cucina contro la propria volontà? Innanzitutto bisogna ammettere che sembravano tutto tranne che eroi, ed era la stessa cosa che aveva pensato l’oste quando se li era trovati di fronte in riga.

Un vecchio goblin1 che riusciva a dare l’impressione di essere allo stesso tempo un’affascinante intellettuale e un delinquente pervertito; un elfo2 la cui razza era riconoscibile solo dalle orecchie a punta e l’altezza, egregiamente camuffata dalla pancetta da birra, i denti mancanti e una gobba accennata; infine quello più normale, un giovane sbarbato tondetto con i capelli a scodella, ancor più privo dei compagni del carisma da eroe senza macchia e senza paura, ma anzi con tante macchie (sui vestiti) e tante paure.

Potrebbe esservi utile sapere il motivo per cui fossero disposti in riga in timoroso silenzio di fronte all’oste che li fissava con un’aria particolarmente minacciosa, dovuta forse alla mannaia affilata che teneva a una distanza non sufficiente dalle loro facce. Li aveva riuniti in attesa di spiegazioni per stabilire la gravità della punizione da impartirgli, indeciso tra l’idea di tagliargli un arto o bollirgli una mano.

Vi starete chiedendo cos’avessero fatto di così imperdonabile per generare nella mente del locandiere dei pensieri tanto sadici (ancor prima di rovinargli definitivamente la vita). Beh, diciamo che tutto era iniziato con le urla di sua moglie che si era isolata per fare un pisolino nel boschetto vicino mentre lui tagliava la legna. Era accorso subito, trovandola che rincorreva il giovane grassottello percuotendolo con un ramo mentre quello cercava di sfuggirle, con poco successo, inciampando una volta qua e una là. Era poi caduto rovinosamente provando a saltare una radice sporgente e immobilizzato facilmente dai due. La moglie aveva spiegato di essere stata molestata nel sonno e l’altro, paonazzo, aveva cercato di scusarsi balbettando qualche giustificazione che non era stata ascoltata. Trascinandolo alla locanda, l’oste si era accorto di alcuni strani movimenti nella stalla. Avvicinatosi con cautela, aveva colto sul fatto il goblin che cercava di uscire di soppiatto con selle e bardature in spalla, chiaramente non sue. Scortati entrambi all’interno della locanda, il proprietario aveva udito un frastuono provenire dalla cantina, scovando poi l’elfo capottato tra botti di vino e zampilli alcolici, in evidente stato d’ebrezza, a spese della casa. Il tutto divenne ancor più sorprendente, quando scoprì che quei tre depravati erano compagni di viaggio.

Ed eccoci arrivati al momento della condanna. Mentre li aveva squadrati con aria truce, il giovane aveva ricominciato a bofonchiare: «Le…le chiedo ancora perdono, messere, per…per quello che è successo…io…io credevo solo che…io credevo che sua moglie fosse stata colpita da una maledizione e…e…vede, il codice cavalleresco parla chiaro, serve proprio il bacio di un eroe dal cuore puro…non potevo far finta di nulla, il codice al capitolo sulle vergini in pericolo…». Le parole erano divenute sempre più flebili man mano che gli occhi si erano spostati dal pavimento alla mannaia.

«Il qui presente Domaloca da Culagna, futuro cavaliere, voleva solo spiegarvi» aveva preso la parola il goblin, che si era subito presentato come Malannus, studioso e precettore.3 «Che c’è una spiegazione più che logica e ragionevole a ciò che è accaduto quest’oggi e che un gentilsignore come lei saprà sicuramente comprendere».

«Già, meglio che vi spieghiate bene, perché da “Ser Panzetta”, qua, non ho capito niente, e ne va delle vostre belle manine». La lama aveva scintillato in maniera particolarmente scintillante.

«Perché possiate farvi un’idea corretta, è giusto cominciare dal principio. Dovete sapere che il sottoscritto, Domaloca e Tontruìl…». L’elfo aveva abbozzato un sorriso di saluto sforzandosi di mostrare un’espressione sobria, con scarsi risultati. «Non siamo dei delinquenti come le è potuto sembrare, ma tutt’altro. Lasci che vi racconti la nostra storia…».

 

Proveniamo dalla residenza del barone di Thunder-tencock non troppo lontano da qui dove servivamo fedelmente il nostro signore. Questo povero ragazzo, che può apparire insicuro, venne abbandonato ancora in fasce dai genitori, artisti itineranti, e venne cresciuto dalla servitù con i valori dell’umiltà e dell’obbedienza. Fin dalla più giovane età dimostrò un’anima così pura e gentile da catturare l’attenzione del vecchio Ser Demenz de la Mancha, celebre uccisore del Mostro di Lockless, Primo Cavaliere del Barone. Venne allora scelto lui, fra tutti i numerosi pretendenti, per divenire il nuovo scudiero del cavaliere, per merito delle sue capacità e potenzialità uniche…

 

«Quel vecchio bastardo rimbambito ha di nuovo infilzato il suo scudiero scambiandolo per un cinghiale mentre erano a caccia. È il terzo quest’anno. Dove lo troviamo adesso un altro che sia così deficiente da accettare? Il barone non vuole sfigurare alla sfilata della prossima settimana».

«Beh, ci sarebbe ancora quell’orfanello tonto che lava i piatti in cucina, ho sentito che è fissato coi cavalieri. A mali estremi…».

 

Sebbene fosse ricolmo di coraggio e ideali, durante i suoi anni di servizio non ebbe mai l’occasione di partire per un’impresa, essendo il suo superiore ormai in pensione. La sua devozione al codice dei cavalieri però non diminuì mai. Ed è per questo che ha disturbato la vostra signora. Era mosso dalle più pure e pie intenzioni, credendo che sua moglie fosse vittima di una maledizione, agendo come da manuale cavalleresco che, dovete sapere, lui conosce molto bene. Infatti, fin da piccolo passava le notti leggendo ogni tipo di romanzo, fumetto o rivista cavalleresca, mentre durante il giorno non si allontanava mai dal suo maestro, assistendolo negli impegnativi compiti da Primo Cavaliere con gioia e passione, imparando da lui i segreti del combattimento, dell’eroismo e dell’amor cortese…

 

«Domaloca! Ser Demenz sta aspettando per il suo bagno ai piedi!».

«Va bene, ora vado!». Tutti i giorni la stessa storia. Mi insegnasse qualcosa almeno, in due anni mi ha fatto tenere in mano la spada tre volte. Prima ho dovuto cambiargli le mutande e lavarlo, poi ho dovuto cercargli per tutto il villaggio una donna a basso prezzo, e ora pure il pediluvio... Sempre meglio di andare a caccia però, la ferita dell’ultima volta mi fa ancora male.

 

Potete immaginare cosa abbia provato il giorno in cui il suo mentore, che per lui era stato come il padre che non aveva mai avuto, venne a mancare. Pensate anche voi come vi siete sentito il giorno in cui è morto vostro padre. Perdere un punto di riferimento, sentirsi mancare la terra sotto i piedi…

«Non farmi perdere tempo goblin, va avanti».

D’accordo, d’accordo, non serve innervosirsi tanto, può riabbassare la mannaia, continuo continuo. Dove eravamo rimasti… Ah sì.

Così, d’improvviso, il nobile maestro morì inaspettatamente di una tragica morte non priva di onore, come ogni cavaliere che si rispetti…

 

«Chiamate un dottore! Ser Demenz ha sbattuto la testa uscendo dalla vasca da bagno!».

«Di nuovo??».

«Aspetta… è un pezzo di cervello quello che gli esce dalla testa?».

«...».

«Ho paura che più che un dottore qua serva un becchino».

 

Dopo aver seppellito il celebre eroe con un sontuoso funerale a cui accorsero conti, duchesse, dame e damerini, il barone si ritrovò senza Primo Cavaliere. Domaloca, ancora col cuore spezzato, si propose come sostituto… Ma sapete com’è al giorno d’oggi: per essere inseriti nell’albo dei cavalieri serve patentino e titolo controfirmato da un re. Così il nostro giovane aspirante dovette rinunciare al ruolo di cui aveva sempre sentito la vocazione e pure all’unica possibilità che aveva di chiedere la mano di Bruthilde, figlia del barone, per cui provava un amore platonico fin da piccolo. Mosso dai pensieri del cuore pieni di audacia e intraprendenza, promise al barone e alla sua amata che sarebbe partito all’avventura e sarebbe tornato cavaliere. A lei e solo a lei aveva consacrato il suo cuore puro. Ah, cos’è l’amore…

«BURP!». Narratore e ascoltatori si voltarono allibiti verso l’elfo che si teneva una mano sulla bocca. «Scusciate, ho provato a tratenerlo ma sctavo per fomitare».

Non faccia caso a lui, ascolti me, stavo dicendo… Quando il pio e devoto Domaloca, aspirante cavaliere, decise di partire in cerca di fortuna, il barone, cui era molto affezionato, non permise che viaggiasse solo. Così, a malincuore, chiese a me, suo braccio destro devoto e fedele, nonché studioso e luminare della scienza, se potessi lasciare momentaneamente la residenza, affinché seguissi il giovane e gli insegnassi le leggi del mondo. Con riluttanza accettai, solamente per compassione di quel poveretto a cui attendevano pericoli e malfattori, essendo io una persona di buon cuore…

 

«Malannus! Brutto bastardo di un goblin! Basta! Passino le serve e le sguattere che ti sei portato a letto, ma questa volta hai superato il limite! Come ti sei permesso di sedurre la mia povera zia vedova?! Come barone di queste terre, ti condanno all’esilio e ti vieto di rimettere piede qui dentro per il resto della tua vita!»

 

Ma non fui l’unico che non volle abbandonare Domaloca al suo destino. Decise di lasciare tutti i propri agi e i propri cari, anche il qui presente elfo dei boschi Tontruìl, di cui ora non mi capacito il comportamento dato che, come ogni altro elfo, non è solito bere, figuriamoci ubriacarsi. Non c’è altra spiegazione: dev’essere sotto l’effetto di un incantesimo… Shhh, sta zitto, non serve che ti giustifichi. Tornando a noi… Ogni cavaliere che è finito nei migliori poemi epici, è riuscito nelle sue imprese grazie all’aiuto di un fido scudiero, che era proprio ciò che mancava al nostro aspirante. Ecco che la provvidenza fece fare un passo avanti a Tontruìl, fedele amico d’infanzia. I due avevano condiviso lo stesso destino: pure l’elfo era stato abbandonato dai genitori. C’è chi affermava che ciò fosse dovuto al fatto che un veggente aveva predetto loro che il figlio li avrebbe uccisi e condannato a morte tutto il villaggio, secondo altri invece, con l’alzarsi dei costi di vita per gli elfi, a causa del cambiamento climatico, mantenere un figlio era diventato troppo costoso. Venne lasciato in mezzo al bosco e ritrovato da un nano minatore che era uscito da una caverna per… avete capito per cosa. Così venne cresciuto dai virili nani delle montagne che lo iniziarono ai segreti dello scavo e della forgia. A quarant’anni, in piena pubertà elfica, decise di andarsene per scoprire il mondo, e così giunse da noi, dove cominciò il suo lavoro da aiutante…

 

«Ehi tu! Èvvero che sctai parrtendo in scerca diffortuna?».

«Devi darci un taglio con le cantine tu. Comunque sì, perché?».

«Ho decciso, vengo, vengo anch’io. Ero sh… shcapato dai nani perché miero sshtancato di escere sfrutato a lavorrare epprendere bastonate e frushtate tutoilgiorno. E eco che qua mi fano fare il lavvoro scporco e nepprendo comme prima. Stuppido elfo fai queshto, fai quelo. Mi maltratano sciempre, sciolo perché ci meto un pòppiù degli altri a cappire le cosce».

«Non preoccuparti, avevo proprio bisogno di un compagno. Ti prometto che diventeremo ricchi e famosi e potremo mangiare e bere quanto vogliamo senza più lavorare. Ma… Prima di partire vatti a cambiare tunica, se non te ne fossi accorto, credo tu ti sia vomitato addosso prima di venir qui».

 

Così si formò questa nobile compagnia eroica. Eravamo pronti a partire per combattere i malvagi e le ingiustizie, portare conforto ai bisognosi e agli oppressi, guarire i malati, scacciare i demoni, salvare principesse e modelle... Insomma cose eroiche da eroi. Ormai, come feci notare, mancavano solo i mezzi. Detto fatto! Scoprimmo che Ser Demenz, nella sua magnanimità, mosso dall’affetto per il suo scudiero, aveva lasciato nel testamento una cessione delle insegne postuma. Armatura, scudo, spada… Tutto, per intervento della Provvidenza, passò nelle mani del bisognoso Domaloca, tramite un rito solenne per pochi intimi, nella cappella dove riposava il cavaliere…

 

«Dai sbrigati! Sfilagli le gambiere mentre noi togliamo la corazza!»

«Ma… ma… Sei sicuro Malannus? Mi pare che stiamo facendo qualcosa di sbagliato. Posso vedere questo testamento?».

«Sisi fidati di me. Ser Demenz me lo confidò in segreto una sera, poi te lo farò vedere, l’ho messo da qualche parte… Piano stupido elfo! Non devono sentirci!».

«Perché? Tanto gliel’ha regalate».

«Perché… perché… a far casino non si rispettano i morti, ecco perché… Mamma mia senti quanto puzza…».

«Eppure non capisco perché non me ne abbia accennato in vita. Con tutto il tempo che passavo a servirlo…».

«E basta. Non vorrai mica partire senza armi e protezioni? Ringrazia le divinità e durante il cammino farai una preghiera di gratitudine all’anima di Ser Stecchito qui».

«Dite quello che volete, ma con tutte queste ammaccature e ruggine poteva tenersela questa ferraglia».

«Sta zitto Tontruìl, nessuno ha chiesto il tuo parere».

 

Terminato il rito, il barone ci salutò con commozione come se fossimo suoi figli… Sìsì ho quasi finito, ho quasi finito. E ci donò tre nobili destrieri scelti da antiche dinastie di purosangue che abbiamo lasciato legati nel boschetto qui fuori.

 

«Due asini e un…un…cos’è quello? Non sembra un cavallo. È questo tutto quello che sei riuscito a rubare dopo vent’anni che lavori nelle stalle?!».

«Rubare?».

«Nono, tranquillo Domaloca, era per dire, ce li ha regalati il barone. Non hai trovato niente di meglio Tontruìl?!».

«Sono gli unici che non erano custodit… che il barone ci ha concesso. Ora aspettate che ve li presenti: questo è Rapa».

«Fammi indovinare, l’hanno chiamato così perché gli piacciono le rape?».

«Nono, perché è sempre arrapato. Questo un po’ più vecchio, è Ronzinante».

«Ma sta dormendo in piedi?».

«Probabile. Passa le giornate a dormire e mangiare. E infine questo, che non è un asino, ma un cavallo, suo nonno era un asino. Ma non chiamatelo mai così. È un po’ orgoglioso e permaloso, odia che lo si sottovaluti. Il suo nome è Attila, sapete, per il carattere forte. Bene, allora, io mi prendo Attila, voi scegliete gli altri due».

«Col cavolo, non puoi prenderlo tu, lo monterà Domaloca. Non si è mai visto un cavaliere su un asino. Anzi dobbiamo anche mettergli le bardature del cavallo di Ser Demenz».

«Ma… ma… E va bene. Allora tu ti prendi Rapa, io Ronzinante. Crea meno problemi».

«…D’accordo, ma dove sono le selle e le bardature per i due asini?».

 

Il problema, caro locandiere è che il barone, si dimenticò di darci anche le selle, e partì a causa di alcuni impegni improvvisi. Quindi noi ci trovammo purtroppo con le cavalcature ma senza accessori. Per questo motivo, sicuro della sua generosità e benevolenza, ero andato a prenderle nella sua stalla per portargliele qui, di fronte a lei, chiedendole se potessimo acquistarle onestamente. Non gliele ho chieste direttamente perché volevo prima controllare se fossero adatte in modo da non farvi perdere il vostro prezioso tempo. Non c’era nessuna malizia nelle mie intenzioni, ci mancherebbe altro. Ero mosso dai più pii intenti. Mi vedete, ormai non sono più un giovinetto, rimanere senza sella per tutto il lungo viaggio che ci attende significherebbe condannare questo povero vecchio a una perenne e penosa agonia. Perché, sapete, la nostra meta non è proprio qui dietro l’angolo. Siamo obbligati ad attraversare quasi tutto il continente per giungervi, abbiate quindi misericordia per questi animi puri bisognosi, potrete portare conforto non solo a noi ma anche a chi attende disperatamente il nostro aiuto. La nostra destinazione è una tragica guerra che si sta svolgendo molto lontano che ormai prosegue da anni senza tregua a costo di vite innocenti. Una guerra feroce, senza senso né speranza, dove tutti i presenti desiderano di non essere mai nati perché ogni giorno si perde un altro pezzo della propria anima. Pochi sono quelli che riescono a sopravvivere per raccontare quello che succede in quel posto abbandonato da qualsiasi divinità. Pur di portare sollievo a questi popoli sofferenti siamo disposti ad andare incontro a ogni sorta di minaccia e nemico. Riscatteremo le loro vite e quella del nostro giovane aspirante che, se sopravvivrà tutto intero, con le sue opere di misericordia e coraggio potrà diventare cavaliere.

 

«La Guerra dei Tordi?».

«Sì. Ne ho sentito parlare da viaggiatori e nobili di passaggio. È la guerra che va avanti da generazioni tra il regno dei Tordi e quello dei Tardi. Due nazioni che detengono il primato delle popolazioni più ingenue e ritardate di questo mondo».

«E non è pericoloso?».

«Per niente. Là persino voi due sembrereste le persone più intelligenti della terra, e che è tutto dire. Mi hanno detto che lì i soldati più esperti sbagliano ancora come impugnare una spada e metà delle volte la prendono per il filo della lama. Pare che tutta questa stupidità derivi da rapporti sessuali tra consanguinei dei loro antenati».

«Non so, non mi convince».

«Nemmeno a me. È pur sempre una guerra».

«Sentite, ricordate quel cavaliere obeso che non riusciva nemmeno ad allacciarsi i calzari, che era presente alla festa di primavera? Vi ricordate quanto fosse imbranato? Secondo voi sopravvivrebbe a una giornata di guerra? Bene. A fine serata, da ubriaco, mi ha confidato che lui era uno sguattero, proprio come voi, che decise di partire per la Guerra dei Tordi. È andato lì, ha approfittato della gente per arricchirsi un po’, tanto quelli erano contenti, e poi si è fatto consegnare il titolo di cavaliere firmato dal re dei Tordi per meriti di guerra e coraggio, nonostante non avesse mai sfoderato la spada! Quand’era bello pieno di oro e titoli, è tornato qui a fare la bella vita. Rischi: zero. E mi disse che non era nemmeno l’unico che era lì per “fare affari”».

«Ma se è così semplice perché non lo fanno tutti?».

«Beh, primo: perché non tutti sanno di questa guerra e molti credono sia un’invenzione di fantasia, da quanto siano assurde ed esilaranti le storie che girano sul suo conto. Secondo: il viaggio. La guerra si sta svolgendo dall’altra parte del continente. Pochi hanno voglia di fare tutta quella strada».

«Mmm… d’accordo. Ma il viaggio non è pericoloso?».

«Affatto. Sono solo strade statali. C’è la Route 99 che taglia a metà il continente che è tutta dritta. Il pericolo più grosso che possiamo trovare è il traffico».

«Io ci sto».

«Bravo Tontruìl! Domaloca, pensaci bene e ricordati che quel cavaliere ciccione ci ha provato anche con la figlia del barone. Sei sicuro di voler cercare altre vie per diventare cavaliere sebbene tu ne abbia qui una già pronta e semplice? La tua Bruthilde non aspetterà in eterno. E in giro per il mondo diventare cavaliere ormai è diventato fuori moda, è sempre più difficile trovare delle occasioni».

«E va bene. Accetto. Allora, facciamo quest’ultimo brindisi prima di partire per questa grande avventura… un attimo, dovevamo dividere in tre, perché il mio bicchiere è vuoto? E pure la bottiglia!».

1 Per le persone che non hanno mai bazzicato i mondi fantasy (tipo mia nonna o quel compagno delle elementari antipatico) i goblin sono quegli esseri umanoidi selvaggi, dediti al furto, non più alti di 1 metro e mezzo, solitamente verdi, con orecchie a punta, denti affilati e una voglia matta di soldi, sangue e sfoghi sessuali (un po’ come i politici, ma vestiti peggio).

2 Come qui sopra. Gli elfi invece sono più simili agli uomini ma con orecchie a punta, fisici perfetti e nessun individuo pelato. Provano un’intima armonia nei confronti della natura (ciò non comprende la zoofilia…credo) e si dedicano alla filosofia e alle arti, perché nelle loro vite millenarie si son rotti le palle di tutto il resto.

3 Aveva subito voluto sottolineare che il nome derivasse da un’antica lingua il cui significato era “dalla grande mente”, da mala “molto” e nous “mente”, perché la gente tendeva a farsene un’idea sbagliata.

   
 
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