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Autore: Mnemosine__    14/05/2025    2 recensioni
Il regno di Dursae è sull’orlo del caos. Con l’inverno alle porte e il popolo già piegato dalla carestia, il re decide di alzare ulteriormente le tasse per finanziare la dote di Aelinor. Ewan, erede al trono, non può accettarlo. Di fronte al consiglio, sfida apertamente l’autorità paterna, rischiando l’esilio e la rovina della propria reputazione.
Mentre il sovrano resta sordo alla sofferenza del popolo, Ewan capisce che non può più limitarsi a osservare. Con il supporto dell’instancabile Lyanna e degli alleati più fedeli, decide di intervenire, cercando un modo per sostenere i villaggi senza innescare una guerra civile. Ma ogni gesto può diventare un tradimento e ogni decisione è un passo verso un futuro incerto.
Tra intrighi di corte e alleanze fragili, Ewan dovrà scegliere tra il sangue che lo lega al trono e l’amore per la sua gente. Quando l’unica via percorribile sembra quella di sfidare il proprio padre, il giovane principe dovrà affrontare il dilemma più doloroso: il regno o la famiglia.
Questa storia fa parte della Serie : Le cronache di Vralysia (I - Fiducia; II - Sostegno; III - Lealtà)
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Vralysia'
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Ewan battè il pugno sul tavolo di legno, frustrato, cercando di non soffermarsi sugli sguardi giudicanti dei consiglieri di suo padre, così come non si soffermò sul vecchio alla sua destra, che era sussultato sulla propria sedia.
“Non potete alzare le tasse. Tra due mesi arriva l’inverno. La gente non può…”
“La gente, Ewan, deve provvedere a noi.” Lo bloccò suo padre con un’occhiata gelida.
“Stanno facendo provviste per l’inverno. Non potete chiedergli di più, già l’ultimo aumento è stato –“ Si bloccò, autocensurandosi, per non offendere ulteriormente né suo padre né i membri del consiglio. “Non ne capisco ancora le ragioni. Ma aumentarlo di nuovo… non ce la faranno.”
Ewan fece un respiro profondo, cercando di placare l’ira che gli montava dentro. Doveva trovare le parole giuste, o avrebbe ottenuto solo un'altra reprimenda. Si appoggiò al tavolo, i palmi aperti sulla superficie levigata e fredda.
“Padre,” disse, questa volta con tono più calmo ma non meno deciso, “se continuiamo a prendere dal poco che hanno, non ci sarà più nessuno in grado di lavorare la terra o di riempire i magazzini del castello. Non ci sarà più nessuno a sostenere il regno. Vi chiedo di considerare che la vostra forza deriva da loro.”
Il re lo fissò, la mascella serrata. “La forza del mio regno deriva dall’ordine e dalla fedeltà, non da chi mormora lamentele sui raccolti.” Si voltò verso i consiglieri. “Ewan non capisce ancora, ed è per questo che gli fa bene assistere alle nostre riunioni.”
Uno dei consiglieri annuì con aria grave, ma Ewan non si lasciò scoraggiare. “Sono anni che vi consiglio, padre, non sono uno sprovveduto. Ma forse – sto cercando di farvi comprendere che una decisione come questa potrebbe causare più danni che benefici. La dote di Aelinor può essere sistemata in altro modo. Non c’è bisogno che il popolo paghi per un matrimonio reale.” Cercò di mantenere il tono rispettoso, ma sapeva che stava rischiando.
“Ewan, bada a come parli,” disse il re, freddo come l’inverno che si avvicinava. “Questo matrimonio è un’alleanza, e un’alleanza ha il suo prezzo. O forse vuoi che tua sorella venga disonorata con una dote miserabile? Vuoi che i nostri alleati ci vedano come dei miserabili incapaci di sostenere la nostra stessa famiglia?”
Ewan sentì il peso di ogni parola, ma non si lasciò intimidire. “Non sto dicendo questo, padre. Sto dicendo che il popolo ha già dato tutto ciò che poteva. Possiamo trovare altri modi. Possiamo attingere ai tesori della Corona, possiamo pagarle con il denaro di famiglia o ridurre le spese di corte. Tutto ciò che concedete a mia madre, potrebbe essere… ridimensionato.” Scosse la testa. “Padre, solo il mese scorso le avete acquistato un abito con diamanti sul corsetto che non indosserà mai più.”
La sala piombò nel silenzio. Il suggerimento era audace, persino irrispettoso, agli occhi di molti. Alcuni consiglieri scambiarono sguardi increduli, altri sembravano pronti a intervenire. Il re, però, rimase immobile. Gli occhi gelidi fissavano Ewan come se cercassero di leggere la sua anima.
“Tu credi di poter insegnare a me come governare, ragazzo?” chiese infine il re, la voce ridotta a un sussurro minaccioso. “Tu, che non hai mai preso una decisione che possa mettere a rischio un regno intero?”
Ewan strinse i pugni, ma non abbassò lo sguardo. “Non voglio insegnarvi nulla, padre. Voglio solo proteggere il regno, così come voi. Perché se continuiamo su questa strada, rischiamo di perderlo.” Fece una pausa, poi aggiunse: “E di perdere la lealtà del popolo.”
Per un istante, il re non rispose. La tensione nella sala era palpabile. Infine, il sovrano si alzò dal trono con un movimento lento ma deciso, i consiglieri attorno a lui si spostarono nervosamente.
Ewan serrò la mascella, riprendendo fiato mentre il silenzio nella sala si faceva opprimente. Non poteva permettersi di rivelare troppo. Ogni parola doveva essere misurata, ogni passo calcolato.
“Padre,” iniziò, il tono fermo ma meno provocatorio, “non sto mettendo in dubbio la vostra saggezza. Ma vi chiedo di riflettere: un altro aumento delle tasse in questo momento potrebbe essere disastroso. L’inverno è alle porte. Già si parla di magazzini vuoti e raccolti scarsi. La nostra gente non può sopportare un peso maggiore.”
Il re lo osservò con occhi gelidi, i lineamenti scolpiti dall’autorità. “La nostra gente,” disse lentamente, “ha sempre trovato un modo per sopravvivere. Se non possono pagare, che vendano ciò che hanno. Non è un nostro problema.”
Ewan abbassò lo sguardo per un istante, cercando di nascondere l’onda di rabbia che minacciava di sopraffarlo. Non poteva dire la verità. Non poteva raccontare delle sere trascorse nei vicoli delle città, ascoltando le voci di contadini e mercanti ridotti alla disperazione. Doveva trovare un altro modo per far comprendere al padre la gravità della situazione.
“Non si tratta solo di loro,” disse, sollevando di nuovo lo sguardo. “Si tratta del regno, della stabilità. Se spingiamo troppo, rischiamo rivolte. La fame e la disperazione rendono le persone pericolose. E se arriviamo a quel punto, non ci saranno abbastanza soldati per mantenere l’ordine.”
Il re piegò leggermente la testa, gli occhi stretti in una fessura. “Rivolte? Sei diventato un profeta del disastro, Ewan? Vuoi spaventarmi con storie di caos e anarchia? È un anno che non si sente parlare di agguati o rivolte della Mirmex, perché li abbiamo spaventati con le minacce. Forse sei tu che non comprendi la forza del mio regno. La fedeltà si ottiene con la forza, non con la pietà.”
Ewan strinse i pugni dietro la schiena, cercando di mantenere la calma. “Non sto parlando di pietà, ma di lungimiranza. Un regno non può reggersi sulla paura per sempre. Il nostro dovere è proteggere il popolo, non solo governarlo.” Fece una pausa, il tono più deciso. “La dote di Aelinor può essere pagata senza gravare ulteriormente su di loro. Abbiamo le risorse per farlo, se solo decidiamo di usarle con saggezza.”
“E quali risorse proponi di sacrificare?” chiese il re con un tono tagliente. “Vuoi vendere i tesori della corona? Vuoi che questo regno sembri debole agli occhi degli alleati? Vuoi che tua sorella entri in quella corte come una mendicante?”
“Non si tratta di sembrare deboli, padre,” rispose Ewan, la voce carica di passione. “Si tratta di dimostrare che sappiamo governare con giustizia. Possiamo ridurre le spese di corte, tagliare gli sprechi. Forse è tempo di rivedere le priorità. Un abito ricoperto di diamanti vale più della vita di cento contadini?”
La sala si riempì di bisbigli. Alcuni consiglieri scossero la testa, altri rimasero impassibili. Il re rimase immobile, i suoi occhi fissi su Ewan come se volesse smascherarlo.
“Ammetto che i gusti di tua madre siano… importanti.” Il sovrano abbassò la testa, tamburellando le dita della mano sulla superficie del tavolo. “Ma non è il suo abito, il problema.”
“Il mio era un semplice esempio.” Ewan inspirò pesantemente. “Quello che voglio dire è che se cambiassimo la gestione del denaro a Palazzo potremmo facilmente trovare una soluzione. E se nemmeno questo bastasse, sono disposto a intervenire personalmente.”
Il re si irrigidì, e il rumore nella sala si spense improvvisamente. I consiglieri si scambiarono occhiate nervose, qualcuno sollevò un sopracciglio, sorpreso dall’audacia della dichiarazione.
Ewan fece un passo avanti, sfidando il silenzio. “Ho risparmiato abbastanza negli anni. Le mie terre producono più di quanto io spenda, e il resto lo investo con cura. Se il problema è trovare una somma adeguata per la dote di Aelinor, posso coprirla io. Non sarà necessario aumentare le tasse.”
Il re lo fissò, incredulo. Per un lungo momento, sembrò trattenere un’esplosione di rabbia, il viso che si fece più rosso a ogni parola pronunciata da suo figlio. Quando parlò, la sua voce era come un ruggito contenuto a stento.
“Tu... cosa?”
“Avete capito bene, padre,” rispose Ewan, il tono fermo, ma non provocatorio. “Non c’è bisogno di pesare ulteriormente sul popolo, né di vendere nulla della corona. Le mie ricchezze personali possono coprire questa spesa. Aelinor avrà la dote che merita, senza che il regno ne risenta.”
La tensione nella sala divenne palpabile. Il re serrò i pugni e si alzò di scatto, facendo scricchiolare la sedia sul pavimento. “Tu pensi che io permetta a mio figlio di umiliarmi in questo modo? Che io accetti di dipendere dai tuoi denari come un mendicante? Io sono il re! E questa decisione spetta a me, non a te!”
Ewan non si mosse, non batté ciglio di fronte all’ira del padre. “Non voglio umiliarvi, padre. Voglio solo risolvere un problema che rischia di danneggiare il regno. Non è un atto di ribellione, ma di responsabilità. Siamo una famiglia, e io sono disposto a fare ciò che serve per proteggerla.”
“Responsabilità?” Il re rise amaramente, ma il suono era privo di umorismo. “Tu parli di responsabilità mentre metti in dubbio la mia autorità davanti al consiglio? Vuoi che questi uomini pensino che il re è troppo debole per trovare il denaro necessario? Vuoi far credere che tuo padre non sia in grado di governare senza l’elemosina di un figlio?”
“Non è questo che sto dicendo.” Ewan si sforzò di mantenere la calma, ma la frustrazione cominciava a farsi strada nella sua voce. “Sto dicendo che non abbiamo bisogno di gravare ulteriormente sul regno quando esistono alternative. Non c’è alcuna vergogna nel prendere una decisione che risparmi sofferenze inutili alla nostra gente.”
“Vergogna?” Il re si avvicinò a grandi passi, il viso contratto dall’ira. “La vergogna è vedere mio figlio mettersi al di sopra della mia parola! La vergogna è avere un figlio che crede di sapere meglio di me come si governa un regno!”
Ewan strinse i pugni, ma non rispose subito. Si prese un momento per respirare profondamente, poi parlò con calma. “Non sto mettendo in dubbio la vostra autorità, padre. Sto cercando di supportarla. Se ritenete che le mie azioni siano un affronto, me ne scuso. Ma non posso stare a guardare mentre il popolo soffre, sapendo che c’è qualcosa che posso fare per evitarlo.”
La tensione nella sala era insostenibile. I consiglieri evitavano lo sguardo del re, temendo di essere coinvolti nella sua furia. Persino gli uomini più esperti sembravano incerti su come intervenire.
La tensione nella sala era ormai insostenibile. Gli occhi sfuggenti dei consiglieri tradivano il loro disagio. Alcuni avevano abbassato la testa, fissando le proprie mani o i documenti davanti a loro. Altri si guardavano attorno, cercando di evitare il contatto visivo con il re o con Ewan. Persino i più fidati sembravano incerti sul da farsi.
Le guance del sovrano erano rosse d’ira, i lineamenti tesi come corde pronte a spezzarsi. Ewan alzò le mani, cercando di placare gli animi.
“Padre,” iniziò, il tono più pacato, ma con una determinazione che non poteva essere ignorata, “non è mia intenzione mettervi in cattiva luce o sfidare la vostra autorità. Non voglio offendere voi, né il trono. Ma io amo questo regno, amo la nostra gente. Se non li proteggiamo noi, chi lo farà? Se non noi, qui in questa sala, chi impedirà loro di soccombere al freddo e alla fame?”
La sua voce si incrinò leggermente, ma non per debolezza. Era la passione, l’autentico dolore di chi aveva visto troppo. Le immagini dei volti magri e disperati che aveva incontrato nei vicoli delle città gli affollarono la mente. Si costrinse a continuare.
“Abbiamo una responsabilità verso di loro, padre. Non solo come sovrani, ma come esseri umani. Se questo significa sacrificare una parte delle nostre comodità, allora così sia. Io sono pronto a farlo. E non vedo come ciò possa essere considerato una vergogna.”
Il re si mosse verso di lui con uno scatto improvviso, i suoi occhi gelidi come una lama. “Tu osi insinuare che io non faccia il mio dovere verso il popolo? Che io li abbia mai abbandonati?”
“Non ho mai detto questo,” replicò Ewan, il tono fermo ma rispettoso. “Dico solo che possiamo fare di più. Non c’è bisogno di chiedere altri sacrifici quando possiamo affrontare questo peso noi stessi.”
“Basta!” Il grido del re rimbombò nella sala, rimbalzando contro le pareti di pietra. “Hai parlato abbastanza, Ewan. Più di quanto avresti dovuto. Questo consiglio non è un luogo per le tue lezioni di moralità.”
I consiglieri si mossero a disagio, alcuni con espressioni che tradivano un disappunto celato, altri pronti a sostenere il re in qualsiasi decisione. Ma nessuno osò parlare.
Il sovrano puntò un dito contro di lui, tremante di rabbia. “Esci da questa sala. Esci immediatamente, prima che io perda del tutto la pazienza. La tua arroganza ha superato ogni limite.”
Ewan lo fissò per un istante, il cuore che gli martellava nel petto. Sapeva di aver osato troppo, ma non poteva rimangiarsi le sue parole. Inclinò leggermente la testa, un gesto che non era né sottomissione né sfida, ma un tacito riconoscimento della posizione del padre.
“Come desiderate, padre.”
Si voltò e lasciò la sala senza un’altra parola, il suono dei suoi passi che echeggiava dietro di lui. Le porte si chiusero con un tonfo alle sue spalle, lasciandolo solo nel corridoio.
Il peso della frustrazione e della rabbia lo schiacciava, ma non si lasciò sopraffare. Era stato umiliato davanti al consiglio, sì, ma sapeva di aver fatto ciò che era giusto. Anche se suo padre non voleva ascoltare, qualcuno lo avrebbe fatto. Perché il regno non poteva continuare su quella strada. Ewan ne era certo.
Ora, però, doveva riflettere su come agire. La sua voce era stata esclusa dal consiglio, ma non avrebbe smesso di lottare per ciò in cui credeva.
Ewan sospirò profondamente, scivolando con la schiena contro la parete di pietra. Si lasciò cadere, rimanendo accovacciato con i gomiti poggiati sulle ginocchia e il capo chino. Cercava di riordinare i pensieri e le emozioni che si accavallavano dentro di lui come un fiume in piena. Le parole del padre continuavano a risuonargli nelle orecchie, dure e implacabili. Non era sicuro di cosa lo irritasse di più: l’ingiustizia della situazione o il fatto che, nonostante tutto, il re non avesse compreso le sue intenzioni.
D’un tratto, dei piedi si fermarono davanti a lui. Ewan alzò lo sguardo, trovandosi di fronte il volto familiare di Kenneth, il cavaliere e amico fidato. L’uomo lo osservava in silenzio, con un sopracciglio appena sollevato, in attesa di una spiegazione.
Ewan mugugnò qualcosa di incomprensibile e si diede una spinta per rialzarsi, staccandosi dalla parete. “Non dirmi niente,” borbottò, scrollandosi la polvere immaginaria dalle braccia.
“Non avevo intenzione di farlo,” rispose Kenneth con un sorriso leggermente inclinato, la sua calma imperturbabile.
Ewan lo osservò per un istante, poi annuì. “Hai tempo per accompagnarmi?”
“Dipende da dove vuoi andare,” replicò il cavaliere, senza abbandonare il suo tono neutro.
“Nella parte bassa della città,” disse Ewan. “Devo parlare con Thadric.”
Kenneth sbuffò piano, ma non disse di no. “Mando un messaggero ad avvertire tua moglie che la raggiungerai domani, allora. Credevo che saremmo tornati al castello stasera.”
Ewan lo ignorò e si mosse con decisione lungo il corridoio. Non si cambiò nemmeno: non c’era tempo per vestire abiti meno importanti. Afferrò un mantello che pendeva dal braccio di un servitore di passaggio, dicendo che in cambio avrebbe potuto sceglierne uno dal suo guardaroba personale, lo indossò sulle spalle e scambiò solo un rapido cenno con Kenneth.
I due scesero nei cortili, raggiungendo le scuderie. Un giovane stalliere si affrettò a preparare i loro cavalli, mentre Ewan tamburellava nervosamente le dita contro il pomello della sella. “Ho bisogno di un consiglio,” mormorò sottovoce.
Kenneth, già in sella, lo osservò con un misto di pazienza e curiosità. “Davvero? Credevo che stessimo andando a bere.”
Ewan non rispose. Con una leggera pressione delle gambe, spronò il cavallo a uscire dalle mura del palazzo. Kenneth lo seguì, mantenendo il passo.
Il percorso verso la parte bassa della città era breve, ma il contrasto tra il lusso del castello e la semplicità del quartiere popolare non poteva essere ignorato. Le strade si facevano più strette, le case più modeste, ma l’atmosfera era viva, piena del brusio delle persone che lavoravano, parlavano e litigavano tra loro.
Arrivarono davanti alla casa di Thadric, un modesto edificio di legno che emanava un forte odore di resina e trucioli. Thadric, era una figura rispettata nella comunità, un punto di riferimento per il popolo. Sua moglie, Amara, lavorava in una vicina taverna, un lavoro che aveva assunto per integrare le entrate della famiglia.
Ewan smontò da cavallo, tirando un profondo respiro prima di bussare alla porta. Non sapeva cosa aspettarsi da quella visita, ma sapeva che doveva agire. Se il consiglio non era disposto ad ascoltarlo, forse il popolo lo avrebbe fatto.
Thadric aprì la porta con una certa lentezza, come se cercasse di guadagnare qualche secondo per capire chi potesse essere a bussare a quell’ora. Quando finalmente la spalancò, il volto di Ewan gli si presentò davanti. Il suo sguardo si riempì immediatamente di stupore, e fece un piccolo passo indietro, quasi impercettibile.
“Ma che ci fate qui?” balbettò, incredulo. Non era solo il fatto di vedere il principe che lo colpiva, ma il contesto. Da quando si conoscevano, Ewan non si era mai presentato di persona alla sua porta, tantomeno con un’aria così turbata.
Ewan, invece, non perse tempo con convenevoli. “Mio padre mi ha sbattuto fuori dal consiglio,” dichiarò secco, il tono carico di rabbia repressa e frustrazione.
Alle sue spalle, Kenneth si schiarì la gola, evidentemente colto di sorpresa dalla rivelazione. “Questo non me l’avevi detto,” mormorò, sollevando un sopracciglio verso il principe.
Ewan lo ignorò. I suoi occhi erano fissi su Thadric, come se volesse riversare tutto il peso della sua confessione su di lui.
Thadric impiegò un istante per riordinare i pensieri. Poi si fece da parte, aprendo la porta. “Entrate,” disse, la voce più gentile di quanto avrebbe voluto. Non era certo il momento di lasciare il principe e il cavaliere in piedi sulla soglia. Soprattutto con abiti riccamente decorati come quelli che entrambi indossavano.
I due entrarono, con Kenneth che chiudeva la porta dietro di sé con un gesto fluido. All’interno della casa, il calore del fuoco e l’odore del legno lavorato creavano un contrasto rassicurante rispetto all’aria fredda della sera. Ewan, tuttavia, sembrava completamente immune a quella tranquillità.
“Non pensavo che le cose sarebbero arrivate a questo punto,” continuò il principe, camminando avanti e indietro nel piccolo spazio del salotto. “Non è solo un conflitto personale, Thadric. È tutto il regno che sta andando nella direzione sbagliata.”
Thadric si sedette lentamente, osservando Ewan con attenzione. Non era la prima volta che il principe si lamentava delle scelte del padre, ma qualcosa in lui sembrava diverso quella sera: una determinazione feroce che superava il semplice sfogo.
“Cos’è successo esattamente?” chiese infine Thadric, cercando di mantenere la voce calma.
Ewan si fermò di colpo, i suoi occhi che fissavano il vuoto per un attimo prima di incontrare quelli di Thadric. “Gli ho detto che non può far ricadere la dote di mia sorella su di voi. Non quando potremmo affrontare il problema semplicemente facendo dei tagli alle nostre spese. Ha visto questo come un affronto alla sua autorità.”
Kenneth, seduto su una sedia di legno con un’espressione più rilassata, si sporse leggermente in avanti. “E quando Ewan dice che ha visto il tutto come un affronto, intende che il re ha urlato abbastanza forte da far tremare i muri.”
Ewan gli lanciò un’occhiata irritata. “Non aiuta, Kenneth.”
Thadric fece un cenno con la testa, intrecciando le dita. “E ora sei qui perché…?”
Ewan esitò per un istante. “Perché devo capire come andare avanti. Se non posso agire attraverso il consiglio, allora dovrò trovare un altro modo per far sentire la mia voce. Non posso permettere che il regno continui così. Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a trovare un’alternativa.”
Thadric sospirò profondamente, accarezzandosi il mento. “Ragazzo, sai bene come la penso, a riguardo.”
“Non posso costringerlo ad abdicare. Non ho alleati,” rispose Ewan, il suo tono più calmo ma altrettanto deciso. “Ma conosco il popolo, Thadric. Conosco il loro dolore. Ho bisogno di consigli su come aiutarvi senza mettervi in pericolo, senza scatenare il caos.”
La stanza rimase in silenzio per qualche istante. Thadric lo fissava con un’espressione indecifrabile, mentre Kenneth si limitava a osservare, come se volesse valutare quale fosse la direzione che avrebbero preso le cose.
Thadric incrociò le braccia, lo sguardo che si spostava lentamente tra Ewan e Kenneth. Il fuoco del camino proiettava ombre danzanti sulle pareti di legno, rendendo l’atmosfera ancora più carica di tensione. Infine, l’uomo parlò, con il tono basso ma fermo che usava quando si rivolgeva a chi considerava sincero, ma ingenuo.
“Ewan, il tuo cuore è al posto giusto, ma non capisci il peso che ci portiamo dietro. Noi viviamo con le decisioni che tuo padre prende senza mai guardarci negli occhi. E ora vieni qui a chiedermi un modo per aiutarci? Credi che basti una buona intenzione per cambiare tutto?”
Il principe non si lasciò scoraggiare. Si avvicinò a Thadric, chinandosi leggermente per incontrare il suo sguardo. “Non penso che sia facile. Se lo fosse, avrei risolto tutto già da tempo. Ma tu conosci la realtà meglio di chiunque altro. Sai dove posso fare la differenza senza scatenare un’altra guerra, senza dare a mio padre un pretesto per schiacciare chiunque mi supporti.”
Thadric lo fissò, il viso segnato dalle rughe di chi ha vissuto più difficoltà di quante ne possa contare. La sua mano si strinse in un pugno, ma non di rabbia: di frustrazione. “Sai perché sono ancora qui a parlare con te, ragazzo?” chiese, la voce che tremava leggermente. “Perché, a differenza di tuo padre, tu ascolti. Perché hai passato anni a fare qualcosa che nessun nobile prima di te ha mai fatto: ci hai trattati come persone. E questo mi fa sperare che tu non sia solo un altro Re nelle sue prime fasi di arroganza.”
Kenneth, seduto in disparte, emise un leggero sbuffo. “Sembra che abbia già deciso di aiutarti, Ewan. Sta solo cercando un modo drammatico per dirtelo.”
Thadric gli lanciò uno sguardo irritato, ma non negò. Fece un cenno a Kenneth di tacere, poi tornò a concentrarsi su Ewan. “Non otterrai nulla tentando di cambiare tuo padre o quel consiglio di pavidi e opportunisti. L’unico modo per fare qualcosa è guadagnarti il popolo, perché, quando il popolo parla, anche un re deve ascoltare. E sai, che noi ti sosteniamo.”
Ewan si inumidì le labbra. “Comunque sia… non posso – è mio padre, Thadric. E l’esercito è fedele a lui. Senza quello…”
Thadric si sedette, fissandolo con uno sguardo che era un misto di rispetto e preoccupazione. “Lo so, ragazzo,” disse infine. “Se ti muovi troppo in fretta o troppo apertamente, attirerai l’ira del re, e potrebbe non fermarsi a punire te. Potrebbe decidere di far pagare il prezzo al popolo. E noi non possiamo… non so nemmeno se tutti noi riusciremo a sopravvivere, questo inverno. L’ultimo aumento…”
Il silenzio calò nella stanza, interrotto solo dal crepitio del fuoco. Ewan guardò Thadric negli occhi, il volto serio. “Ho rischiato di essere buttato fuori, quando ho provato a farglielo notare. E questa volta è successo davvero.”
Thadric sospirò. “Io non sono un politico, ragazzo. Non posso consigliarti, in quel campo.” Si alzò lentamente dalla sedia, i movimenti calcolati e carichi di pensiero. Si diresse verso un angolo della stanza, dove una cesta di scarti di legno era appoggiata contro la parete. Senza dire una parola, infilò la mano tra i pezzi spezzati e gli scarti nodosi, estraendo infine un piccolo blocco rettangolare. Lo esaminò per un momento, poi prese un coltello da intaglio dal tavolo accanto e cominciò a lavorarlo con gesti decisi ma precisi.
Ewan lo osservò in silenzio, notando il modo in cui l’uomo sembrava trovare conforto nell’attività. Le sue mani ruvide e segnate dal lavoro si muovevano con sicurezza, intagliando la superficie del legno in linee ordinate. Fu solo quando abbassò lo sguardo che qualcosa accanto alla cesta attirò la sua attenzione: un paio di cesoie rotte. Mentre Thadric continuava a intagliare, il principe si chinò per raccoglierle, esaminandole con un’espressione curiosa.
“Manca il perno centrale,” osservò Ewan, sollevandole per farle vedere a Thadric. “Posso sistemarle, se vuoi.”
Thadric alzò lo sguardo dal pezzo di legno che stava lavorando, l’espressione per un momento sospesa tra sorpresa e cautela. Poi un angolo della sua bocca si incurvò in un sorriso appena accennato. “Un principe che si offre di aggiustare qualcosa per un vecchio falegname. Il mondo sta davvero cambiando.”
Ewan scrollò le spalle con un accenno di sorriso. “Le mie mani non sono più delicate delle tue, Thadric. Se mi dai i pezzi che servono, posso metterle a posto.”
Thadric si chinò verso un piccolo scaffale di attrezzi, frugando tra una pila di oggetti metallici. Dopo un momento, estrasse una scatola di latta ammaccata e gliela porse. “Vediamo se riesci a guadagnarti il tuo mantello regale anche fuori dalla sala del trono.”
Kenneth, che aveva assistito alla scena in silenzio, ridacchiò piano. “C’è qualcosa che non sai fare, Ewan?”
“Sì,” rispose il principe, senza distogliere lo sguardo dalle cesoie. “Convincere mio padre.”
Thadric tornò a intagliare il suo pezzo di legno, ma il suo tono si fece più serio. “Non sei solo tu, ragazzo. Nessuno riesce a convincere un uomo che non vuole ascoltare. Tuo padre vede il regno come una proprietà, non come una sua responsabilità. Non accetta che qualcuno gli dica cosa fare, nemmeno se è per il suo bene.”
Ewan, piegato sui pezzi delle cesoie, annuì lentamente. “Ecco perché sono qui, Thadric. Non posso combatterlo direttamente, ma posso dimostrare che un’altra strada è possibile. Se il popolo mi sostiene, se vedono che esiste una via diversa…”
“Stai camminando su un filo sottile, Ewan,” interruppe Thadric, i suoi occhi fissi sul pezzo di legno, ora cominciava a prendere la forma di una figura stilizzata, forse un uccello. “Tuo padre non è un uomo che tollera dissenso. Se sospetta che tu stia costruendo un ponte con il popolo alle sue spalle, farà cadere quel ponte. E lo farà con te sopra.”
Ewan fissò i pezzi della cesoia tra le mani, incastrando con attenzione un perno nuovo al posto di quello mancante. I suoi movimenti erano precisi, ma il peso delle parole di Thadric si rifletteva nell’intensità del suo sguardo. “Non voglio un ponte che crolli,” disse infine, la voce bassa ma ferma. “Voglio un regno che non abbia bisogno di ponti, perché il re e il popolo camminano sulla stessa strada.”
Thadric si fermò un momento, il coltello che restava sospeso sopra il legno. Poi annuì lentamente. “Tua moglie che dice, di tutto questo?”
“Mia moglie è a casa con i nostri figli, in questo momento. Non – non l’ho fatta venire in città.”
“È più sveglia di te.” Commentò l’uomo. “Forse, invece di chiedere consiglio a me, dovresti andare da lei.” 
Il silenzio che seguì fu interrotto solo dal clic metallico delle cesoie che Ewan stava finendo di aggiustare. Quando si rialzò, porgendole a Thadric, il vecchio fabbro le prese, osservandole con attenzione. Le aprì e chiuse un paio di volte, un leggero sorriso comparve sulle sue labbra. “Funzionano meglio di prima,” disse.
Thadric posò le cesoie sul tavolo accanto a sé, accarezzando con il pollice la superficie liscia del metallo come a testarne la solidità. Il vecchio falegname alzò lo sguardo verso Ewan, il volto segnato da un’espressione pensosa. "Un buon lavoro," ammise, la voce carica di un’intensità che andava oltre l’oggetto riparato. "Ma sistemare un paio di cesoie è una cosa. Riparare un regno è un’altra."
Ewan si sedette nuovamente, l’espressione determinata. "Non credo che sia impossibile, Thadric. Solo... diverso. Come queste cesoie: non serviva rifarle da capo, solo rimettere a posto ciò che mancava."
Kenneth sbuffò piano, ma con un accenno di sorriso. "Poetico, Ewan. Anche se dubito che tuo padre apprezzi la metafora."
Thadric lo ignorò, tornando a lavorare sul pezzo di legno. I contorni dell’uccello si stavano facendo più chiari, una figura semplice ma elegante. Il silenzio nella stanza divenne palpabile, interrotto solo dal raschiare del coltello contro il legno.
Dopo un momento, Thadric parlò senza alzare lo sguardo. "Non sono un saggio, Ewan. Non ho mai messo piede in una sala del consiglio, e non capisco le politiche dei nobili. Ma so una cosa: un regno è fatto di persone, non di leggi o decreti."
Ewan annuì, la mente già in movimento. "Lo so."
Thadric scosse la testa. "Sei un testardo, ragazzo. Ma forse è proprio quello che serve. Solo..." Fece una pausa, fissando il pezzo di legno che aveva tra le mani. Con un gesto rapido e deciso, lo porse a Ewan. "Non dimenticare mai chi stai cercando di proteggere. E non dimenticare che ogni scelta ha un prezzo."
Ewan prese la figura intagliata, osservandola da vicino. Era un piccolo uccello in volo, le ali spiegate con una grazia sorprendente per un lavoro così semplice. Il principe sfiorò il legno con le dita, il volto serio. "Non lo dimenticherò, Thadric. Mai."
Thadric lo osservò per un momento, poi tornò a sedersi, questa volta con un’espressione più morbida. "Vai da tua moglie, lei saprà di sicuro consigliarti meglio di me. E… l’uccellino è un umile regalo per il piccolo principino.”
Ewan abbassò lo sguardo sul piccolo uccello di legno che teneva tra le mani. Un sorriso gli affiorò sulle labbra, ma si spense quasi subito, soffocato dal peso delle parole di Thadric e dalla realtà che gravava su di lui. Prese un respiro profondo, si alzò dalla sedia e si voltò verso il vecchio falegname.
“Non permetterò a mio padre di portarvi via ciò che vi serve per sopravvivere all’inverno,” dichiarò, la voce ferma. “Non gli lascerò toccare i vostri risparmi, né lascerò che aumenti ancora le tasse. Questo regno è molto più di un tesoro da accumulare. È casa vostra, e non starò a guardare mentre ve la strappa dalle mani.”
Thadric alzò lentamente lo sguardo verso il giovane principe, un misto di sorpresa e ammirazione negli occhi. “Parole forti, ragazzo. Ma come pensi di fermarlo? Non puoi fare una promessa del genere senza un piano.”
Ewan si passò una mano tra i capelli, esitando per un istante. Poi si voltò verso Kenneth, che lo fissava con un sopracciglio alzato. “Hai già pensato a qualcosa, vero?” domandò Kenneth, quasi divertito. “So riconoscere quello sguardo.”
“Non ho tutte le risposte,” ammise Ewan. “Ma ci sono modi per aiutare senza affrontarlo direttamente. Il popolo ha bisogno di vedere che non è solo. Se posso organizzare aiuti, cibo, legna per chi non ne ha abbastanza… se posso dar loro una speranza, sarà più difficile per mio padre ignorarli.”
Kenneth incrociò le braccia, riflettendo. “E come pensi di farlo senza risorse? Non produci così tanto, nelle tue terre.”
Ewan si voltò di nuovo verso Thadric, con uno sguardo determinato. “Ci sono villaggi che producono più di quanto consumano. Magazzini nascosti lontano dal controllo diretto del castello. Se posso convincere quei villaggi ad aiutare i loro vicini, a condividere o vendermi ciò che hanno in eccesso, possiamo attraversare questo inverno insieme.”
Thadric rimase in silenzio per un lungo momento, il coltello da intaglio sospeso tra le mani. Infine, annuì lentamente. “Ciò che proponi è pericoloso. Se tuo padre scopre che stai riorganizzando le sue terre… potrebbe considerarlo un atto di ribellione.”
“Non sto guidando una ribellione,” rispose Ewan con fermezza. “Sto cercando di salvare il nostro popolo.”
Kenneth si alzò dalla sua sedia, scrollando le spalle. “Allora direi che hai del lavoro da fare. E anch’io, a quanto pare. Se hai bisogno di aiuto per parlare con quei villaggi, posso mettere alla prova il mio talento per le chiacchiere.”
“Lo apprezzerei,” disse Ewan, con un cenno di gratitudine.
Thadric sospirò, passandosi una mano sul volto stanco. “Siete giovani e pieni di speranze, ma non dimenticate che state giocando con il fuoco. Se decidete di percorrere questa strada, non c’è modo di tornare indietro.”
Ewan lo fissò negli occhi, stringendo con delicatezza il piccolo uccello di legno tra le mani. “Non voglio tornare indietro, Thadric. Voglio solo andare avanti… e portare tutti con me.”
Il vecchio falegname scosse la testa, ma un leggero sorriso comparve sulle sue labbra. “Allora che il cielo ti protegga, ragazzo. E che le tue intenzioni bastino a sostenere il peso delle conseguenze.”
 


# Angolo autrice
Eccoci qui, storia nuova, contesto vecchio. 
Non so bene che dire, visto che non abbiamo fatto il periodo di pausa e che non ci sono salti temporali lunghi tra il III e il IV. Buh. Ewan è nei guai. hihi. 
Ringrazio per le recensioni all'ultimo capitolo del terzo volume 
fenris Mno3mi89 
Ricordo per chi volesse leggere un capitoletto bonus su Ewan e Lyanna senza pretese e un contesto preciso, la nuova one shot https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4110205&i=1
A domenica!
   
 
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