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Autore: Cladzky    14/05/2025    1 recensioni
Un misogino inconsapevole è trasportato nel sonno in una terra favolistica dove la sua condotta verso il sesso femminile è esaminata da una società interamente composta da donne, sia storiche che letterarie. I risultati non saranno positivi e la rieducazione che riceverà non sarà piacevole ma darà i suoi frutti una volta sveglio.
Poema scritto in rima variabile.
Genere: Comico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Cross-over | Avvertimenti: Bondage, Gender Bender, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Poesiamachia ipnagogica'
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“Tu certo chiederai come se puote

Una dama sola far di noi suoi schiavi

Che siam creature prodigiose e note

 

Ma io te vo contar che, come i tuoi avi

Già han detto, io son mansueto e quieto,

Financo troppo con chi tien le chiavi

 

De la mia condizione, poiché sin dal feto

Io fui creato per ubbidire a ciascheduno.

Quando l'Astolfo, in quel tempo lieto,

 

Giudicò che di librarmi era opportuno,

Io vagai via d'Aquisgrana e peregrino

Andai laddove il cielo si fa bruno.

 

È questa terra all'orizzonte del destino,

Si trova al confine d'ogni storia fantastica

E quando chiudi il libro galeotto e birichino,

 

Ogni attore se volta a tal meta drastica

E quivi perturba, ombra di chi furo mai.

Non chieder tu, c'hai mente elastica,

 

Come fui preso, che già lo sai,

Piuttosto te vo dire come han teso

La trappola a chi ai marinari giura guai.

 

Essa è di indole taccagna come Creso

Già fu per l'oro, ma lei per il sangue,

Sicché non fu difficile farle il reso

 

Quand’Atalanta d'averla arse e piangue

E così fece de prede un cratere intero

Di quel che brama ed ognora il langue.

 

Approntandosi presso a lo scoglio vero

Che nel golfo affacciava la baia di Napoli

Terra silvestre al tempo, per lo sparviero

 

Che col canto si dava nomea di diavoli

E ognuno alla larga se tenia contento

Per non render consorte nubile o scapoli.

 

Pose il cratere sul renoso pavimento

E attese indietro a un pino l'arrivare

Della bestia fatal che con volteggio lento

 

Al vaso se diede a bere in riva al mare

Ignorando questa che il sangue tenia droga

Così forte che un grammo potria bastare

 

E lei n'ebbe a trangugiare con sì foga

Che un elefante avrebbe lì stecchito

Eppur per quanto lei quasi s’affoga

 

Ancora muove e quel gentil convito

Fe per lasciar e levare i piè da terra,

Portando la dama a sboscarsi e farle invito

 

A rimaner, con una sì violenta guerra

Che mai ebbe a ritrovar fin questo giorno.

Cantò la sirena, col canto che ognun serra,

 

Ma non l’adiuvò, che avvampa come forno

Per via del farmaco deglutito a inganno.

Eppur non perde tempo a fuire attorno

 

Che con denti e arcioni le vuol far danno

E con furia e stridor dimostra una flemma

Che mai la pervase, com’or nell'affanno,

 

Quando, predando, di terrore era stemma

Ed or, predata, piuttosto che chetarsi

Se rivolta, e, veggendo un tal dilemma,

 

Atalanta rivede quel che ha da farsi

E con la rete, che te tese anteriormente,

Avvinse la plumata belva in aurei intarsi.

 

L’umana mente prova e non si pente

Di dispregiare la sua madre naturale

E farsene serva e non servir niente.

 

Or tu ben sai come quel golfo spettrale

Fu liberato dal mortificante canto e l'eco

Sola rimane delle sue spente ale

 

Nei faraglioni, negli scogli e ora seco

Dal contado villani, piscatori e marcatanti

Venner presso alla baia e il popol greco

 

Poi arenò, che li Osci eran già tanti.”

“Magister grifo, lucifer del mio destino,

Or ben capisco come si sentì innanti

 

Alle parol di Amore il compaesan Marino

Che Sebeto elogiò, rigagnolo celato,

Al Danubio e il Reno, benché sia sì tapino

 

Che sotto i tombini or mormora velato.

Io son bastardo che da due razze spicca

E la madre è campana, d'antico stato

 

Che a Napoli visse, anzi, a Villaricca,

Luogo romantico di viuzze e vicoletti

In cui i colombi si contendon la micca

 

E nidificano in mezzo a un mar di tetti

Raggruppati in muri di un dedalo infinito

Di chiesette barocche e cortili dirimpetti

 

Da cui sbucan palme, più alte del sito

E forse più vecchie, come si addice

A un luogo di vaghezza e a vago mito.”

 

Sì dico che tanto costui mi fe felice!

 
   
 
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