“Tu certo chiederai come se puote
Una dama sola far di noi suoi schiavi
Che siam creature prodigiose e note
Ma io te vo contar che, come i tuoi avi
Già han detto, io son mansueto e quieto,
Financo troppo con chi tien le chiavi
De la mia condizione, poiché sin dal feto
Io fui creato per ubbidire a ciascheduno.
Quando l'Astolfo, in quel tempo lieto,
Giudicò che di librarmi era opportuno,
Io vagai via d'Aquisgrana e peregrino
Andai laddove il cielo si fa bruno.
È questa terra all'orizzonte del destino,
Si trova al confine d'ogni storia fantastica
E quando chiudi il libro galeotto e birichino,
Ogni attore se volta a tal meta drastica
E quivi perturba, ombra di chi furo mai.
Non chieder tu, c'hai mente elastica,
Come fui preso, che già lo sai,
Piuttosto te vo dire come han teso
La trappola a chi ai marinari giura guai.
Essa è di indole taccagna come Creso
Già fu per l'oro, ma lei per il sangue,
Sicché non fu difficile farle il reso
Quand’Atalanta d'averla arse e piangue
E così fece de prede un cratere intero
Di quel che brama ed ognora il langue.
Approntandosi presso a lo scoglio vero
Che nel golfo affacciava la baia di Napoli
Terra silvestre al tempo, per lo sparviero
Che col canto si dava nomea di diavoli
E ognuno alla larga se tenia contento
Per non render consorte nubile o scapoli.
Pose il cratere sul renoso pavimento
E attese indietro a un pino l'arrivare
Della bestia fatal che con volteggio lento
Al vaso se diede a bere in riva al mare
Ignorando questa che il sangue tenia droga
Così forte che un grammo potria bastare
E lei n'ebbe a trangugiare con sì foga
Che un elefante avrebbe lì stecchito
Eppur per quanto lei quasi s’affoga
Ancora muove e quel gentil convito
Fe per lasciar e levare i piè da terra,
Portando la dama a sboscarsi e farle invito
A rimaner, con una sì violenta guerra
Che mai ebbe a ritrovar fin questo giorno.
Cantò la sirena, col canto che ognun serra,
Ma non l’adiuvò, che avvampa come forno
Per via del farmaco deglutito a inganno.
Eppur non perde tempo a fuire attorno
Che con denti e arcioni le vuol far danno
E con furia e stridor dimostra una flemma
Che mai la pervase, com’or nell'affanno,
Quando, predando, di terrore era stemma
Ed or, predata, piuttosto che chetarsi
Se rivolta, e, veggendo un tal dilemma,
Atalanta rivede quel che ha da farsi
E con la rete, che te tese anteriormente,
Avvinse la plumata belva in aurei intarsi.
L’umana mente prova e non si pente
Di dispregiare la sua madre naturale
E farsene serva e non servir niente.
Or tu ben sai come quel golfo spettrale
Fu liberato dal mortificante canto e l'eco
Sola rimane delle sue spente ale
Nei faraglioni, negli scogli e ora seco
Dal contado villani, piscatori e marcatanti
Venner presso alla baia e il popol greco
Poi arenò, che li Osci eran già tanti.”
“Magister grifo, lucifer del mio destino,
Or ben capisco come si sentì innanti
Alle parol di Amore il compaesan Marino
Che Sebeto elogiò, rigagnolo celato,
Al Danubio e il Reno, benché sia sì tapino
Che sotto i tombini or mormora velato.
Io son bastardo che da due razze spicca
E la madre è campana, d'antico stato
Che a Napoli visse, anzi, a Villaricca,
Luogo romantico di viuzze e vicoletti
In cui i colombi si contendon la micca
E nidificano in mezzo a un mar di tetti
Raggruppati in muri di un dedalo infinito
Di chiesette barocche e cortili dirimpetti
Da cui sbucan palme, più alte del sito
E forse più vecchie, come si addice
A un luogo di vaghezza e a vago mito.”
Sì dico che tanto costui mi fe felice!