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Autore: Dorabella27    17/05/2025    5 recensioni
Se vi dico: "Tutto cominciò da una mela" che cosa vi viene in mente? Eva nell'Eden, giusto?
E invece qui vi troverete sbalzati in un momento molto molto molto molto successivo, anche se, è indubitabile, la mela
c'entra sempre.
La figura e il nome del banditore sono una suggestione post visione de "La migliore offerta": il resto, tutta una mia elucubrazione fantastica, e un pochino sarcastica. Buona lettura!
Genere: Commedia, Satirico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto cominciò da una mela.
 
Mr. Greymen, banditore di punta della celebre casa d’aste Sotheby’s, diede uno sguardo preoccupato all’orologio: dannazione, già le nove; afferrò la ventiquattrore, e, avviandosi verso la porta strappò il fogliolino dal calendario alla parete (29 maggio 2134: accidenti! Il compleanno di Mary era ieri! Ora avrebbe dovuto farle un enorme regalo per farsi perdonare la dimenticanza!). Contemporaneamente, ingoiò in un sorso la sua colazione costituita dal solito beverone proteico e multivitaminico, con una smorfia disgustata: nonostante da anni l’umanità si nutrisse quasi esclusivamente di quei composti chimici, sintetizzati in laboratorio e perfettamente bilanciati, per fornire il giusto equilibrio di proteine, lipidi, zuccheri, vitamine e sali minerali, Mr. Greymen non poteva ancora abituarsi al sapore plasticato di quei composti senza odore, senza aroma, senza consistenza. Ricordava, con nebuloso piacere, i remoti e corsari godimenti della sua adolescenza, quando, per lo più a tradimento, aveva potuto masticare un’albicocca, addentare una brioche appena sfornata, succhiare qualche chicco di melograno; o quando, per l’ottantesimo compleanno di suo nonno, la famiglia intera era stata invitata a una cena d’onore in cui il vecchio Mark Greymen, dando fondo ai suoi risparmi, aveva offerto a figli, nuore, generi e nipoti una pizza con autentica mozzarella di Bufala e pomodori pachini. Ma quei tempi erano ormai passati, ahimè, passati e cancellati per sempre. A partire dalla grande crisi energetica del 2037, la produzione alimentare mondiale era bruscamente, tragicamente calata; la Terra, come una madre esausta, le cui vene erano ormai disseccate, non poteva più offrire cibo ai suoi figli. Figli degeneri che, inquinando le acque e i terreni, seppellendo rifiuti tossici dovunque, abbondando nell’uso di pesticidi e antiparassitari sempre più virulenti, avevano azzerato ogni produttività agricola. Dalla grande siccità del 2099, poi, la situazione era talmente peggiorata che i pochi beni commestibili - un grappolo d’uva, una patata, un ananas, una manciata di nocciole - venivano venduti a peso d’oro in aste nelle quali i magnati del Pianeta si contendevano a suon di milioni di dollari pochi frutti e verdure che i bisnonni dei loro trisavoli avrebbero disdegnato di pagare pochi centesimi in un mercatino rionale. Ora, invece, il privilegio di affettare un pomodoro, di gustare un cespo di lattuga freschissima o di bere un bicchiere di succo d’arancia era appannaggio di non più di trentacinque multimiliardari che detenevano il 99, 9 % della ricchezza mondiale. E che, nella loro avidità folle, non avevano nemmeno voluto riprodursi per evitare anche solo l’idea di una possibile divisione futura dei loro beni fra degli eredi. Li conosceva tutti, ormai, Mr. Greymen: ormai era abituato a vederli seduti sotto il suo palco da banditore, i visi grifagni, i nasi aquilini, gli occhi predaci al centro di maschere di rughe e sotto capigliature irrigidite dalle cure dei più costosi parrucchieri del pianeta, i polsi scarni che spuntavano dalle maniche delle pellicce e delle camicie di seta, le dita disseccate e gravate di orpelli, adunche come artigli di rapaci, pronte a sollevarsi in un’offerta che voleva essere cortese, ma che altro non era se non una battaglia feroce mediata dall’ipocrisia della buona educazione fra squali dell’alta società.
 Li conosceva tutti, quei ricchi abominevoli: Madame Jeanne Deadleaf, rinseccolita come una foglia di cicuta, ma sempre pronta a sprizzare veleno, dall’alto dei suoi 115 anni; Mr. Mortimer Mortenson, 107 anni di avidità concentrata, secco come uno scheletro e coriaceo come un cadavere saponificato (e c’era, del resto, chi sospettava che il corpo fosse defunto da almeno 20 anni e che per qualche assurdo e sofisticato esperimento medico, il magnate potesse ancora aggirarsi fra i vivi, come un revenant vestito di abiti foderati da banconote da cinquecento); Mademoiselle Lacharogne, ricchissima proprietaria di raffinerie di proteine, la quale a stento poteva reggersi sui suoi piedini numero 34, caracollando sulla sua sferica mole, dovuta alla golosità con cui aveva razziato, nei suoi 112 anni, le ultime scorte mondiali di cioccolato; Mr. Arpagon, squalo della finanza, un giovanotto di 99 anni che presto avrebbe celebrato il centesimo compleanno aggiungendo l’ennesimo organo artificiale alla litania di piedi, tibie, dita, femori artificiali di cui era già costituito il suo macilentissimo fisico. E poi altri squallidi personaggi, moralmente mostruosi, esteticamente orripilanti, caratterialmente spaventosi per rapacità, crudeltà gratuita, egoismo, avidità, menefreghismo. Tutti individui, s’intende, per i quali Mr. Greymen provava la più sincera ripulsa, e la cui abominevole vecchiaia era longeva e vitale grazie alle costosissime cure mediche e agli interventi chirurgici che solo loro potevano permettersi. Ma questa, per fortuna, sarebbe stata l’ultima volta: perché quella che avrebbe bandito oggi era l’ultima mela, l’ultimo vero frutto disponibile in tutto l’orbe terracqueo. E se era una sciagura sapere che in quel frutto terminava la storia della fertilità della terra, per Greymen era anche un sollievo la consapevolezza che quell’orrenda accolita non si sarebbe più riunita sotto i suoi occhi.
 
Con l’espressione aggrondata che si confaceva a questi tetri pensieri, Mr. Greymen entrò nella sala delle aste, reggendo fra le mani la teca refrigerata e dorata in oro zecchino in cui trovava posto la mela. Attraversò il salone con un brivido sentendosi la schiena perforata dagli sguardi cupidi dei ricchi mostri, e iniziò la licitazione.
“Signori, base d’asta 20 milioni di dollari”. “21!!!”, trillò subito Mademoiselle Lacharogne, dandogli quasi sulla voce. “22 milioni!”, rilanciò Mr. Arpagon, di scatto. “25!”, sparò Madame Deadleaf. “30!”, gridò con gli occhi fuori dalle orbite e disperatamente rossi di bragia Mr. Mortimer.
         Ormai la situazione era fuori controllo: i contendenti non attendevano nemmeno di ascoltare le parole del banditore, ma le loro voci si sovrapponevano le une alle altre come le onde di un mare rabbioso. Nei loro occhi brillava una luce sinistra, più cattiva del solito, che a Mr. Greymen ricordava lo sguardo assente e insieme feroce delle murene, le ultime al mondo, viste al museo oceanografico da bambino. Anni e anni fa. Prima che il nonno di Mademoiselle Lacharogne, dietro suggerimento dei medici che ritenevano il fosforo estremamente salutare per la sua malandata salute, non le avesse acquistate a peso d’oro per mangiarsele scottate al vapore.
    “35 milioni!”, Gridò con il volto contratto in una smorfia orgasmica Mademoiselle Lacharogne. “Zitta! Palla di grasso ambulante!”, le urlò contro Mr. Mortimer.” Vecchio demente, zitto stacci tu!” Ringhiò di rimando lei! “Demente a me?! Brutta taccagna miserabile! Cagna! Sappiamo tutti benissimo che cosa hai fatto da giovane per un cioccolatino! Hai persino….”. Ma non potè finire la frase, e Mr. Greymen avrebbe così passato il resto della sua vita chiedendosi con quale turpe azione Mademoiselle Lacharogne si fosse guadagnata in gioventù il suo primo cioccolatino, perché la gentildonna, con agilità insospettabile, balzò al collo del vecchio magnate schiacciandolo con il suo peso. Addirittura, nella sala si udì distintamente il suono secco, come di un ramo che si spezzava, che era in realtà quello delle vertebre cervicali del vecchio Mr. Mortimer. L’incidente, in sé deprecabile, avrebbe potuto essere facilmente superato, e le guardie giurate erano pronte a scattare, per condurre in tribunale Mademoiselle Lacharogne e per far sparire i macilenti resti di Mr. Mortimer, consegnandoli al suo assistente personale affinché li sistemasse in un luogo acconcio. Ma Madame Deadleaf cercò di approfittare di quel momento di sbandamento generale per avviarsi, brandendo un pugnale che aveva appena tolto dalla borsetta, verso il palco del banditore, decisa a impadronirsi con la forza della mela, e ad addentarla prima che gli altri avessero tempo di reagire. Non aveva però calcolato che Mr. Arpagon, il più giovane magnate della sala, possedeva ancora un discreto scatto, e, memore dei suoi trascorsi giovanili nei bassifondi, dai quali era emerso a suon di spaccio e di lenocinio, si portava sempre addosso una piccola, discreta rivoltella. Il grido con cui Madame Deadleaf, colpita alla schiena con precisione da cecchino,  lasciava la vita, coincise con l’inizio della rissa ferina. Non più figure umane, ma solo un’accozzaglia di mani che agitavano lame e pistole, pugni chiusi, volti contratti nello spasmo dell’agonia o dell’istinto omicida, bocche pronte ad azzannare la gola del vicino.
          Mr. Greymen non riuscì nemmeno a trovare la forza per riscuotersi e per rifugiarsi, con la preziosa teca, nella stanza di sicurezza blindata e insonorizzata. Ma non ce ne fu alcun bisogno. Di lì a cinque minuti, tutto era finito: nessuno dei magnati era riuscito a prevalere sugli avversari, nessuno aveva potuto coprire la distanza di dieci metri che ora separava quel groviglio umano e sanguinolento dal suo palco. Tutti giacevano lì, esangui ed esanimi. Tutti tranne Mr. Arpagon, che, supino a terra, agitava un braccio, in cerca di aiuto, o per significare vittoria, Mr. Greymen non riusciva a capirlo. Tuttavia, nella sua ferrea deontologia professionale, prese forza e, scesi i quattro gradini della tribuna, si avvicinò, evitando con cura di inzaccherarsi gli orli dei pantaloni e le sue scarpe inglesi nel sangue e nei liquidi biologici, a Mr. Arpagon, e gli strinse la mano: “Complimenti, Mr. Arpagon…ehm…. lei è il felice vincitore…ehm, il vincitore, di quest’asta. Penso che…a questo punto, possa arguire che il prezzo dell’oggetto per lei debba coincidere con l’ultimo rilancio, cioè 35 milioni. …”. Ma, forse per l’emozione cui non resse il suo fragile cuore, forse per il lento dissanguamento dovuto alla coltellata che gli aveva poco prima reciso l’arteria poplitea, Mr. Arpagon esalò il suo ultimo respiro, e la mano che Mr. Greymen stringeva, poco dopo ricadde fredda ed esanime.
 
“Devo dedurre che quest’asta è annullata”, disse, più che altro a sé, oltre che alle telecamere di sorveglianza, Mr. Greymen.
 
 
 
 
 
 
 
 
27 luglio 2135. EDIZIONE STRAORDINARIA! PRIMO NUOVO RACCOLTO DELL’UMANITÀ.
Mr Greymen scorreva soddisfatto i titoli dei giornali mentre sorbiva una tazza di artificaffè.
“Forse”, pensò, scrutando il fondo della tazza, “dovrei ricordarmi il sapore di questa sbobba artificiale: se tra pochi anni potremo riavere il caffè vero, finiremo per rimpiangere anche le nostre colazioni sintetiche”.
 
Dopo la famosa asta, infatti, Greymen aveva donato l’ultima mela sulla Terra a un centro di ricerca biochimica; e, grazie alle inesauribili disponibilità economiche di quei mostri senza eredi – che avevano depositato presso la casa d’aste i loro numeri di conto corrente – i ricercatori erano riusciti a rivitalizzare il terreno e a ricavare una nuova coltura di frutta. Mr Greymen aveva avuto l’onore di poter interrare i semi di quella mela fatale.
 Fatale come la mela di Eva, ma da cui, questa volta, sarebbe, forse, rinata l’agricoltura.
   
 
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