Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Sidney Prescott    25/05/2025    0 recensioni
Inghilterra del 1910; il nuovo secolo porta aria di novità e di sogni, ma la gente nonostante tutto continua ad ignorare una verità importante: l’esistenza di un mondo parallelo in cui il soprannaturale la fa da padrone senza alcun freno!
L’associazione Hunter, antichi cacciatori discendenti da nobili famiglie fondatrici, è l’unica barriera tra il mondo umano e quello ultraterreno, il cui compito è proteggere gli uomini da ciò che non conoscono e impedire che un simile fardello venga rivelato, distruggendo l’equilibrio tra sanità mentale e pura follia.
Una delle stirpi fondatrici, il casato Griffith, dovrà lottare con tutte le sue forze per mantenere intatto il confine tra umano e sovrumano, ma ad un carissimo prezzo: la propria famiglia.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Chapter 24: Family Remains and bread crumbs.
Current day, even a worse one.

Il temporale che quella sera si abbatté sulla città di Londra fu niente paragonato a ciò che stava per accadere, qualcosa che nemmeno la mente calcolatrice e folle di Cillian Darcy avrebbe voluto immaginare.
Fradicio e furibondo fece ritorno a quella tormentata dimore nel Mayfair, non curandosi nemmeno della servitù sbigottita al suo rientro, la quale vide quasi il portone d’ingresso disarcionato da una sua bruta spallata, per non parlare delle voci circostanti che cercarono di arrestare il suo avanzare verso il piano superiore; aveva passato tutta la vita a difendere con la menzogna il suo castello di carte, non poteva essere sufficiente una folata di vento imprevista per farlo crollare, giusto?
Cillian, Cillian, Cillian, quanto fa male cadere dopo essere arrivati, con il sangue sulle mani, così in alto?
«Rebecca?! REBECCA?!»
«Lord Cillian?! Ma che cosa succede?»
«Dov’è mia moglie?! Dimmelo prima che te ne faccia pentire!»
«PADRE! MA…che cosa state facendo?! Fermatevi prima di perdere del tutto il senno!»
Prima che il lord di casa potesse perdere del tutto il contatto con la realtà e strangolare una delle domestiche impaurite, il giovane figlio, anche lui fradicio e dai capelli ricci inumiditi dal temporale, lo fermò con una mano salda sulla sua spalla, allontanandosi dalla donna terrorizzata che scappò quasi in lacrime fra le braccia delle altre governanti, accorse tutte a seguito di un simile trambusto.
Caleb non venne considerato come si aspettava, infatti fu lasciato, a seguito di una spallata, esattamente al piano terra insieme alla servitù di casa Darcy, la quale aveva indicato impaurita con gli occhi verso il piano superiore, come se la causa di tutti i mali si trovasse oltre quelle scale di legno scuro; il giovane Darcy non stese a guardare, nemmeno quando la sorella gemella arrivò in suo soccorso, non l’aspettò sebbene avrebbe tanto voluto scappare via da quella storia orribile, causata proprio da quell’uomo che tanto avrebbe dovuto proteggerli, difenderli, amarli.
Quell’uomo che chiamavano padre, ma che di paterno non aveva niente.
Tutto ciò che Cillian riusciva ad udire era il suo stesso respiro nelle orecchie, i battiti del suo cuore completamente sconnessi ed irregolari, ma le urla, le suppliche dei due figli minori o di altri nemmeno lo sfiorarono; la traversata di quel corridoio buio e inquietante, avvolto dagli interni barocchi e lugubri rese quella corsa solo più angosciante, finita nel momento in cui spalancò la porta del suo ufficio già aperta.
Ma perchè era aperta? Lui era l’unico ad avere le chiavi di quella stanza, com’era possibile?
Eppure una tale foga, un simile ingresso sarebbe stato giustificato dalla peggiore delle minacce, da un uragano in picchiata sulla città, non dalla semplice visita di uno straniero alle porte di casa sua, seduto sulla sua poltrona di spalle, con lo sguardo rivolto su quella preziosa libreria che aveva assistito a più cose di quante si potesse immaginare. La pupilla del lord divenne un minuscolo ago in quegli occhi ghiaccio, la gola si seccò, le labbra si schiusero a fatica ma dalla sua gola non provenì che un lamento scettico, ma fu la moglie dell’uomo ad infrangere quel silenzio catatonico con un’espressione apparentemente confusa.
«Ma si può sapere che cosa diavolo ti prende? Da quando in qua ti metti ad urlare come un folle dentro casa? Cosa pensavi stesse succedendo? La rivoluzione? Cillian…»
«Rebecca…perchè hai fatto entrare in casa…questo essere….?»
Furono le uniche parole che riuscì a scandire, continuando a fissare con orrore la figura bislunga e quasi sinistra che continuava a dar loro le spalle; sembrava quasi divertita mentre girava fra le dita un ciondolo che saltò immediatamente agli occhi di Lord Darcy. Il ciondolo della collana di Merrion, era proprio quello che mancava all’appello e che ora stava lì, a saltellare tra le lunghe e ossute dita dell’unico bastardo che aveva tormentato l’animo del quasi padrone di casa per molte notti e molti giorni.
La donna aggrottò le sopracciglia, massaggiandosi la tempia in uno stato di confusione, tuttavia non perse il suo modo di fare, avvicinandosi alla scrivania del marito e così all’ospite, con un tono quasi di scuse.
«Perdonate mio marito per i suoi bizzarri modi, capitano Novacek, in genere non si comporta affatto in questa maniera rozza!
Onestamente non so cosa gli prenda, ultimamente…non è mai così fuori di sé, glielo posso assicurare!»
L’uomo sulla poltrona rispose a quelle scuse con un gesto della mano, non nascondendo una singolare e inquietante risata divertita, finendo poi per appoggiare il mento sopra il pugno chiuso; smise di giocare con la catenina fra le sue dita, restituendo una tazza di the vacante alla lady di casa, con un perfetto sorriso cortese.
«Non dovete più scusare le mancanze di vostro marito, lady Hokley…oh, pardon! Volevo dire Darcy, ogni tanto dimentico questa bizzarra usanza dove la moglie diventa proprietà del marito…
Che ci volete fare? Colpa degli anni passati nell’associazione, dove non serve un anello per legare eternamente un uomo alla sua rovina più profonda!»
Rebecca nascose un leggero rossore a quel commento, annuendo quasi a quell’allusione poetica, riprendendo la tazza fra le mani, ma prima di congedarsi guardò il marito negli occhi, quasi a pregarlo di darsi un contegno.
«Il capitano Novacek è qui per Cedric, Cillian…puoi anche rilassarti adesso!»
«Esatto, lord Cillian, potete pienamente riprendere a respirare, se vi va! Insomma, non è mica un tribunale questo, perchè temo che in quel caso sareste difficile da difendere…ma non siamo qui per questo, bensì per il nostro legittimo erede al titolo di comandante che, guarda caso, non è in casa…un peccato!
Volevo davvero conoscerlo…mi dica, miss Rebecca, sapete quando tornerà?»
«Non saprei rispondervi con certezza, capitano…mio figlio è, come dire…uno spirito libero, ma immagino che ci raggiungerà per cena! Oh, non mi avete più risposto, rimarrete anche voi?
Così avrete modo di conoscere la famiglia al completo.»
Cillian rispose a quella proposta con un violento colpo di tosse, quasi si fosse strozzato con la sua stessa saliva, ma non proferì alcuna parola, visto che lo fece il giovane capitano al suo posto, finalmente in piedi, rivelando quella sua stazza tenebrosa, quegli stessi occhi folli che quasi lo accomunavano quasi in maniera raccapricciante con il lord dalla statura nettamente inferiore. La risposta tardò ad arrivare, poichè Cillian e Kelly si osservarono come si sarebbe analizzato al microscopio una tela di Caravaggio, o almeno per il primo, travolto da angoscia e orrore, mentre il secondo da follia e disprezzo.
Il capitano Novacek annuì con eleganza, trasformando il suo vacuo sguardo in un perfetto sorriso di cortesia in un battito di ciglia, rivolgendo alla donna un degno inchino di congedo che Rebecca colse al volo, chiudendo così alle spalle del marito quella porta che non si sarebbe riaperta così facilmente.
L’aria divenne pesante da respirare, ma a che serviva respirare quando si era già morti dentro? Era una bella domanda che non avrebbe trovato risposta, non in quello studio teatro di molte crudeli vicende, che quel giorno ne avrebbe vista un’altra ancora, ma chissà se anche quella volta un Darcy avrebbe nascosto la moquette macchiata di sangue sotto un polveroso tappeto, chissà.
Kelly guardò Cillian morire dietro ogni suo movimento, mentre, sempre con gli occhi fissi sull’uomo più vecchio, prese dalla stessa scrivania quei fascicoli che lord Darcy aveva cercato per mesi, ora tramutati in una prova vivente che respirava la stessa aria marcia della sua dimora, la sua vera tana; li sfogliò pigramente, lasciandoli cadere poi proprio tra sé e l’altro, che non si sognò nemmeno di perdere d’occhio quel mostro, fattosi finalmente uomo.
«Ti credevo diverso…»
«Ti speravo morto…»
«Oh! Che cosa orribile da dire al sangue del tuo sangue, lord Cillian!
Non si addice affatto ad un uomo del tuo rango, ah già…anch’io stavo quasi per dimenticarmi che il ruolo che ricopri non sia effettivamente legittimo, come lo ignora tua moglie, davvero bellissima, devo riconoscerlo, e molto sveglia e preparata!
Immagino anche che nella stessa situazione versino i tuoi figli, giusto?
Cedric, Caleb…e la più piccola, della quale onestamente non ricordo il nome ma immagino che anche tu faccia una certa fatica nel farlo siccome hai passato ⅔ della tua esistenza a creare maschere perfino della tua famiglia!
Quindi siamo entrambi d’accordo che un nome non faccia seriamente la differenza qui, ma la farebbe se il mio uscisse allo scoperto…non sei d’accordo, cugino?»
Cillian rimase muto per diversi secondi, non guardando più quei documenti, ormai privi d’importanza, non pensando nemmeno più a cos’avrebbero detto moglie e figli, ma guardò dritto nelle pupille vuote quel suo incubo divenuto realtà.
«Che cosa vuoi? Se si tratta di soldi…»
«No, no, no, ti prego…qui non si tratta di soldi, perchè non esiste cifra sul cosmo capace di saldare il debito che tu hai nei miei riguardi, e credimi…nemmeno se morissi potrei provare qualcosa, se non una temporanea letizia, una manciata di secondi, chiaramente!
No, Cillian, non te la caverai con così poco, te lo posso assicurare…»
Come se fosse stato il vero padrone di casa fin dalla nascita, Kelly arrivò al carrello dei liquori, servendosene uno di tutto rispetto, dando nuovamente le spalle al lord ancora in stato catatonico, che adocchiò un istante più tardi il fermacarte in madreperla sulla scrivania, ma prima che la sua mano ci arrivasse, il commento quasi annoiato del giovane Darcy lo fermò dal provarci.
«Se vuoi uccidermi, almeno fallo con un’arma che non richieda un’altezza superiore al metro e 70, non pensi? Al massimo arriveresti a colpirmi le spalle…cugino!»
«Non chiamarmi in quel modo, sporco bastardello…chi credi di essere?! Pensi davvero che ti lascerò distruggere tutto quello che ho faticosamente creato solo perchè quella puttana di tua madre ti avrà raccontato qualche storiella delle quali dubito sinceramente di ogni parola?
Per quello che ne so potresti essere benissimo un ciarlatano, o anche chissà, uno scherzo di pessimo gusto assunto dalla mia folle zia per farmi credere più pazzo di lei!
Tu non sei nessuno, ragazzino…sei solo il frutto della mente di una donna incapace perfino di provvedere a se stessa e nessuno crederà ad una sola parola di quello che dirai…»
Cillian disse una ad una quelle parole con il ringhio inferocito di un cane randagio, avvicinandosi verso Kelly di un solo passo, ma non osò oltre quando l’altro gli rivolse semplicemente la coda dell’occhio, fermandogli probabilmente anche il battito.
«Può anche essere come dici tu, cugino. Chi crederebbe ad un ragazzo sconosciuto che si atteggia a nobiluomo, ad erede di uno dei casati più importanti del paese, chi? Chi si metterebbe contro lord CIllian Darcy? Un pazzo, non c’è che dire, giusto?
Caso vuole che io non sia meno pazzo di te, ma sicuramente c’è una netta differenza tra di noi…»
«E quale sarebbe?»
Il rumore della sicura di una pistola disinserita sembrò quasi dare piena risposta a quel  interrogativo posto dal lord, del quale non gli interessò davvero il senso, puntando così l’arma contro la testa dello stesso capitano; Kelly non dovette nemmeno voltarsi, sorridendo quasi sicuro di quel risvolto, terminando il suo drink senza nessuna fretta, osservando qualcosa oltre la vetrata di quello studio, dai vetri umidi per via del temporale.
«Che se mi uccidessi, qui, adesso, non sarei certamente io quello che dovrebbe spiegare a ben 8 testimoni la mia improvvisa scomparsa! A cominciare dalla adorabile Rebecca, dalle tue domestiche terrorizzate a morte dalla tua reazione che, a giudicare dalle grida, avrà scosso perfino il tuo figlio più amato, ammesso che tu sia in grado di farlo!»
«Credimi…ho fatto di peggio!»
Kelly sorrise, ancora più divertito da quelle parole, voltandosi verso il cugino con le mani sepolte nelle tasche; a differenza di Cillian, non indugiò nell’avanzare verso l’altro, arrivando a sfiorare con lo sterno la stessa canna sottile della pistola già nascosta da tempo nel cappotto dell’uomo più anziano, ma che non lasciò alcuna sorpresa sul viso di Kelly, di fatti nemmeno la guardò, preferendo godersi ogni emozione di orrore sulla pelle del cugino.
«Ne sono sicuro, Cillian, ma non sono qui certamente per rivangare il passato che ci ha portati ad essere ciò che siamo! Lo sai che a furia di cacciare mostri finisci per essere uno di loro, non è vero?
E non sono delle innocue fatine a dare il tormento al tuo sonno, perché il mostro peggiore, mi insegni, è l’uomo stesso, nutrito da tutti quei sentimenti che, in mancanza o in eccesso, lo portano ad un punto di non ritorno.»
Le dita di Cillian si trovarono al limite della tensione, sfiorando quel grilletto ripetutamente, non sapendo per la prima volta che cosa fare, quale delle mille voci nella sua testa ascoltare, ma una cosa era certa: la sparizione di quel suo incubo avrebbe suscitato domande alle quali non avrebbe potuto rispondere così facilmente.
Abbassò gradualmente la pistola, sotto lo sguardo compiaciuto del cugino dallo sguardo diabolico, forse pure più del suo.
«Saggia decisione, quasi mi sorprendi!»
«Se pensi che ti lascerò andare così facilmente, non mi hai capito troppo bene…»
«Andare? E chi ha intenzione di andarsene? Ho passato la vita ad aspettare di ritornare, qui, nella mia casa, dalla mia famiglia!
Cillian, tu non mi hai capito, non davvero…non sono qui per i soldi, per il titolo, per la gloria, ma per la famiglia!»
«Quale gioco perverso stai giocando, sadico figlio di puttana? Quella è la mia famiglia!
LA MIA!»
«E io non torcerò loro nemmeno un capello, non potrei mai fare del male ad un così perfetto teatrino di marionette, sul quale hai investito 20 anni della tua esistenza, quasi gli stessi anni che ho impiegato io a capire perchè dovessi nascondermi da uno come te…ma ora ho capito che non devo più farlo, ma non per questo farò pagare loro per i tuoi peccati…
Ora scenderemo quelle scale, ceneremo insieme, come fanno le famiglie, e giocheremo quel gioco che è la vita che ti sei scelto, come io continuerò ad essere il capitano ignoto di una squadra di cacciatori mandati a morire perché non importa un cazzo a nessuno di loro visto che non hanno il tuo o il mio cognome!»
«Perchè…perchè lo stai facendo? Che hai in mente, bastardo? Non mi piegherò a questa fars..-»
«La cena sta per essere…s-servita, lord Darcy! Lei e il signor Novacek siete attesi dalla signora nella sala da pranzo!»
«Ti ringrazio, Yvette! Lord Darcy ed io saremo da voi in un minuto….»
Cillian rabbrividì al finto e credibile tono cortese del giovane hunter, come se fosse davvero stato educato fin da bambino alla vita che originariamente avrebbe dovuto condurre, al suo posto; guardò quel sorriso odioso tramutarsi in uno più contenuto, quasi una linea, esattamente come il tono, più diretto e pragmatico.
«Tu ti piegherai eccome, a meno che non voglia metterti contro anche l’unica cosa che ancora ti considera come un uomo rispettabile, come un padre di famiglia, tralasciando il “buon”, ovviamente: quello nemmeno Dio potrebbe cambiarlo! 
A meno che tu non voglia finalmente rivelare ai tuoi figli chi è il loro vero padre, e non lo vuoi, quindi scegli, Cillian, e fallo in fretta…l’arrosto freddo non piace a nessuno!»
Kelly aprì finalmente la porta alle spalle del lord, che finì per appoggiarsi quasi avesse avuto un malore alla scrivania di legno, ma il capitano nemmeno si curò di guardarsi indietro, trovando sulla soglia della porta, ad origliare, il giovane Caleb, che si allontanò da lui quasi spaventato a morte.
Kelly lo guardò freddamente, allungando una mano verso il suo viso che fece indietreggiare il ragazzo fino alla balaustra di legno del pianerottolo, tuttavia il giovane non gli fece alcun male, levandogli dal viso un ciuffo fradicio incollato alla fronte.
«Tu devi essere Caleb…»
Il ragazzo non riuscì nemmeno a rispondere, guardando oltre la figura spettrale dell’hunter alla ricerca di quella piegata del padre sopra la superficie di legno, scorgendo perfettamente la pistola accanto alla sua mano aperta. Kelly lo notò, ma non disse nulla, asciugandosi la mano umida contro un fazzoletto di seta tenuto nel taschino della camicia.
«Ti consiglio di andare ad asciugarti, ragazzo, rischi di ammalarti e tua madre non ha bisogno di ulteriori pensieri per la mente!
Le basta già quel discolo di…tuo fratello maggiore, dico bene?»
Caleb riuscì appena ad annuire a quelle parole, forse dettato dalla interna paura, non avendo mai visto il padre ridotto in quello stato; Kelly sorrise, come se quel gesto avesse effettivamente espresso tutta l’angoscia che era riuscito a generare, scendendo così quelle scale verso la sala da pranzo. Solo allora il ragazzo corse dentro quello studio alla ricerca di una spiegazione, ma arrivò lampante quando sentì il padre mormorare qualcosa a denti stretti, con i capelli sconvolti dalle stesse mani.
«Siamo arrivati troppo tardi, Caleb…troppo…troppo tardi…»


A few hours earlier.

L'orologio si riavvolse di diverse ore, fino a giungere nuovamente al mattino precedente quando ancora un fulmine non aveva squarciato in due una quercia a Kensington, uccidendo un povero senzatetto, a quando ancora lord Darcy poteva definirsi tale, a quando ancora Balthasar Drake, giunto da lontano, non aveva esposto se stesso davanti agli occhi del suo nemico naturale che aveva colto il momento giusto per attaccarlo, a quando ancora l'equilibrio fragile di quelle vite concatenate fra di loro non si era spezzato.
Il serpente aveva cominciato a muoversi, i rivoluzionari erano assetati di potere e nessuno dei Pheles sospettava ancora che la fine dei loro giorni fosse ormai alle porte; perfino la mente di Luther Richter, tra le mura sinistre del palazzo Griffith, la sera del compleanno di Cedric, aveva riconosciuto quel male, ma la domanda era semplice e chiara: quale sarebbe stata la prossima mossa?
Se c'era una persona che non era mai stata in grado di programmare alcunché, allora quella era proprio il minore dei gemelli Nardi, vagabondo per la città dannata da ormai un paio di giorni e nemmeno lui sapeva più che cazzo gli stesse passando per la testa. Si era sbronzato talmente tanto che aveva passato le ultime ore e speso gli ultimi soldi in uno dei tanti bordelli di Chinatown, non si era sognato di tornare a casa, né di parlare con la sua famiglia, vedeva solo una cosa, ed era quel biondo demone travestito da angelo caduto e nient'altro.  
Ormai cominciava a farsi sentire per le strade il tepore dei primi raggi estivi che illuminarono il viso di Ivo, totalmente stravolto dalla notte passata chissà dove, ma ora non poteva più restare in disparte come aveva fatto fino ad allora; doveva sapere, ora basta voltare le spalle dall'altro lato.
Era ormai giunto il mattino prima della tempesta e il Royal Circus Theater era vuoto per via dell'ora, ma accedervi non fu affatto un problema visto che il ragazzo trovò persino le luci del teatro accese, anche se tremolanti ed alcune persino fulminate; il posto era fatiscente, i sedili color carminio erano ormai sbiaditi e in pessime condizioni, il pavimento di legno scricchiolante era ricoperto di vecchie locandine e biglietti stracciati, il palcoscenico era vuoto, stranamente sgombro dalle tende del sipario e l'unico faro al centro continuava a tremolare, non rendendo poi la visuale così nitida. Ivo però sapeva che qualcuno l'avesse seguito, sapeva e se lo sentiva addosso da ore, giorni e forse anche settimane se non interi mesi, gli sembrò di impazzire e i suoi occhi vagarono quasi iniettati di sangue lungo quello spazio da brividi, quasi sfondo di un degrado sociale ormai evidente; i suoi vestiti erano ormai lerci, lo stesso completo elegante che aveva indosso dal party dei Darcy ormai era diventato la sua seconda pelle, completamente in tema con il fatiscente teatro, che sembrò assorbire anche i suoi ultimi bagliori di lucidità.
Si mise le mani fra i capelli chiari, quasi a tirarli, con i denti stretti, prossimi a spezzarsi.
«Elaijah....? Elaijah?! DOVE CAZZO SEI?! ELAIJAH SONO STANCO DI QUESTO GIOCO, ADESSO BASTA!
Ti prego...che cosa vuoi da me?»
Il cuore del ragazzo battè talmente forte che sembrò scoppiargli in petto come una bomba, ma sembrò non esserci nessuno ad udire quelle suppliche, se non uno giunto esattamente alle spalle del giovane hunter quasi delirante, ma non si mostrò immediatamente, rimanendo quasi nascosto nella penombra dell'ingresso, forse perché voleva davvero capire che cosa l'avesse spinto lì o se avesse paura di affrontare quel qualcuno che aveva evitato volontariamente già da diversi giorni.
Ivo però non lo vide e in un impeto di rabbia e confusione salì sul palco vacante, perquisendo le quinte con un irà tale da stracciare quelle tende damascate ormai logore, ma non trovò ciò che cercava.
«NON MI PUOI LASCIARE COSÌ, CON QUESTE VISIONI DEL CAZZO!
NON PUOI FARMI DUBITARE DI TUTTO, DI TUTTI....adesso...»
Si fermò al centro della scena, come nel bel mezzo dell'atto davanti ad una platea con il fiato mozzato in gola, pronta per il colpo di scena; gli occhi del cacciatore erano velati di lacrime che faticavano a scendere, che gli impedirono di vedere quella figura sempre più fuori dal buio, che avanzava piano verso la luce artificiale dei fari, ma continuò a non vedere se non una valle di desolazione interiore che lo stava consumando.
Cadde sulle sue ginocchia, che strinse con le mani fino a far diventare bianche le falangi.
«Adesso non riesco nemmeno a fidarmi di mio padre....CAPISCI CHE CAZZO HAI FATTO? Mio padre, l'unico ad avermi voluto quando nessuno al mondo...si sarebbe mai occupato di me, ora mi mostri...chi è davvero ma io non riesco a capirne il motivo...perché io? PERCHÉ ORA?!»
«Ivo...»
Finalmente una voce provenì dalla platea, ma non era certamente il tono mellifluo e ipnotico dell'illusionista di casa Spellman, anzi, era qualcuno che viveva agli antipodi di quella condanna, per quanto affine potesse essere con quella dell'attore, e ognuno dei due avrebbe pagato la propria natura, prima o poi, ma Balthasar non avrebbe più ritardato quell'incontro, non un'altra volta. Il giovane Nardi sollevò lo sguardo vitreo verso quella figura a pochi metri da sé, appena più in basso, la quale si abbassò uno scialle assai pregiato, dai toni purpurei, dal capo fino alle larghe spalle, rivelando finalmente quel viso così particolare, indimenticabile per chiunque l'avesse mai incontrato prima, anche per il ragazzo stravolto.
Ivo sentì la bocca ancora piu secca, ma non fu diverso per lo stregone persiano che, per la prima volta dopo mesi, non seppe davvero cosa dire, da dove cominciare, ma partì proprio dall'avvicinarsi; il cacciatore trasalì, indietreggiando verso il centro del palco con lo sguardo corrucciato.
«Non è possibile...no, non ci credo, questo è un altro dei tuoi merdosi trucchi!»
Balthasar sbatté confusamente le ciglia scure, negando fermamente col capo.
«Ivo, questa non è una delle illusioni del serpente, te lo posso assicurare! Sono io...sono proprio io, sono Balthasar...lo stesso prigioniero...che...hai lasciato andare...»
«Tanto non mi fotti!»
Il Nardi negò anche lui di rimando, rimettendosi in piedi ancora barcollando come un giunco al vento mentre si stropicciò violentemente gli occhi umidi con le maniche della camicia.
«SEI ENTRATO NELLA MIA TESTA E ORA SAI ESATTAMENTE COSA NON MI LASCIA DORMIRE LA NOTTE, MA PERCHÉ LUI!?
PERCHÉ QUEL MALEDETTO PERSIANO?! HAI INTENZIONE DI FARMI SUICIDARE!?»
«IVO, IO SONO REALE!
IO SONO REALE, NON HO NIENTE A CHE FARE CON QUEL BURATTINAIO...
TI AVEVO GIÀ DETTO DI NON FIDARTI DI LUI, MA PERCHÉ NON MI HAI ASCOLTATO FIN DAL PRINCIPIO?»
Lo stregone stesso non riuscì a mantenere il sangue freddo com’era solito fare, finendo per scalare quel divario tra sé e il cacciatore ma non senza mantenere delle ferree distanze, forse di sicurezza o anche di paura, ma era troppo presto per poterlo ammettere; il persiano mise le mani in alto, mostrandosi per com’era, disarmato, munito solo della sua voce, esattamente come in quella cella putrida per mesi. Ivo tremò al vederlo avvicinarsi, sembrando davvero così reale a differenza delle immagini che lo avevano torturato quella notte, sembrava vivo, ma come poteva saperlo?
«Non ti avvicinare…dopotutto, anche se fossi…quel venditore di tappeti del cazzo perchè dovresti essere qui!? Per colpa tua ho passato mesi ad essere lo zimbello di tutti i miei compagni di caccia, di mio fratello che mi vedrà per sempre come un povero idiota che si fa guidare dalle emozioni e di…QUEL BASTARDO CHE NON HA UN BRICIOLO DI COMPASSIONE NEMMENO PER SUO FIGLIO! HAI LA VAGA IDEA DI COSA SIGNIFICHI ESSERE GUARDATI DAL PROPRIO PADRE CON UN’ARIA DI SUFFICIENZA?! PER COSA?! PER UNA BELLA STORIELLA SULLA TUA STIRPE DI SATANISTI!?
VAFFANCULO, NON SARESTI MAI DOVUTO TORNARE!»
«Lo so…lo so, non dovrei nemmeno essere qui, ma ho una cosa chiamata coscienza, che uno come tuo padre non ha, a differenza mia…e anche tua, per quanto mi costi ammetterlo.»
«Di che cazzo stai parlando…? Un altro dei tuoi enigmi di merda? Mi spiace, non sono mai stato bravo a parlare per metafore! Non so se sei reale…o meno, ma non sei affatto diverso da Elaijah, ammesso che non sia davvero tu!
Entrambi vi spacciate da salvatori, mi mettete contro la mia famiglia, mi dite cose assurde e mi volete dalla vostra parte e poi mi abbandonate, QUINDI COSA TI RENDE DIVERSO DA LUI?!»
Sputò grave il ragazzo dai capelli biondi, stringendo nel pugno la sua fidata pistola che impugnava tremante verso il basso; Balthasar la guardò con la coda dell’occhio ma senza darle alcun peso, gli bastò lo sguardo, l’assenza d’intenzione in quel volto tradito che lo guardava fisso, sull’orlo del baratro, lo stesso sguardo che aveva rivolto tanti anni prima all’uomo che da carnefice era invece diventato suo padre adottivo. Abbassò le mani lungo i fianchi, chiuse gli occhi e strinse la piccola pietra ametista appesa al suo collo.
«Niente di quello che ti dirò potrà cambiare quello che è successo, e non so cosa il serpente ti abbia mostrato, ma non posso nemmeno dirti che non sia reale, perché c’è un fondo di verità nella sua e nella mia storia che ci ha portati fino a qui!»
«Mi stai dicendo che allora Elaijah non mente!? QUESTO STAI DICENDO? CHE CAZZO DI SCHERZO DOVREBBE ESSERE ALLORA!?»
La mano tesa di Ivo scaraventò pericolosamente la stessa arma contro le cortine del sipario, voltando le spalle allo stregone ancora una volta, ma questo non lo fermò dal continuare, anzi; Balthasar mosse un passo ancora in avanti, piantando i suoi occhi turchesi proprio nella schiena dell’altro.
«NO! NON HO DETTO QUESTO!
Sto dicendo che non ha mentito sulla sua storia, ma che non è altrettanto sincero sulle sue vere intenzioni….
Ivo, te l’ho già detto mesi fa, in quel sotterraneo, perché avrei dovuto mentire? Ero condannato, non avevo più niente per cui combattere e odiavo la tua gente esattamente come voi avete sempre fatto con la nostra! Tu mi parli di un padre che ti guarda con rammarico, il mio l’ultima volta che mi ha guardato era perché era stato pugnalato alle spalle e il suo sguardo era rivolto al cielo con la bocca aperta, e non era per il disappunto, perchè avrei pagato tutto me stesso per essere guardato un'ultima volta da lui, anche con disprezzo, ma almeno sarebbe stato vivo…»
Lo stregone si mise una mano sul viso per via del cocente mal di testa nel tentare di ricordare quegli orribili ricordi che lo avevano tenuto sveglio dacché aveva memoria, ma in quel momento non gli importò del dolore o dell’odio, perché c’era molto di più in ballo e non poteva lasciarsi fermare da degli sciocchi sentimentalismi. 
Prese la catenina che portava al collo, strappandola via dal suo stesso collo solo per mostrarla all’altro nel tentativo di ricordagli tutto ciò che davvero importava, e nient’altro.
«Ricordi quello che ti ho detto, su questa collana? Ricordi quello che ti ho detto sul vero significato che c’è dietro di essa? Non è la pietra di per sé, ma quello che rappresenta! Avrai anche deluso tuo padre lasciandomi andare, ma non ha smesso di proteggerti anche se avresti dovuto essere processato per ciò che hai fatto, non è così? Anche per me, Ivo, eri solo un cacciatore senza cervello, ma quel giorno hai davvero ascoltato quello che ti ho detto e non ti sei limitato alla distinzione assurda tra bene e male, perchè non esiste, non è mai esistita, perchè questo mondo è pieno di sfaccettature che non possono essere solo limitate al nero e al bianco! 
Non dimentico certo quello che tuo padre e i suoi uomini ci hanno fatto, ma non voglio e purtroppo riesco a dimenticare il fatto che un cacciatore, il figlio del carnefice della mia famiglia, mi abbia dato una seconda possibilità…quindi mi rifiuto di credere che tu non sappia capire la differenza tra uno come me e uno come Elaijah!
Non è vero, non ci credo e non ci crederò mai…»
Con un gesto diretto, Balthasar lanciò la stessa pietra in direzione del cacciatore ora disarmato, che riuscì a prenderla prima che cadesse al suolo, evitandone la distruzione. Ivo aprì il pugno quasi timidamente, riguardando un'altra volta quella pietra come la prima che l'aveva vista, ancora grezza e consumata, ma in quel momento ne vide davvero le sfumature purpuree, anche sotto quelle luci tremolanti e instabili del teatro.
Il ragazzo dai capelli chiari dovette prendere un profondo respiro, come se per un momento fosse riuscito ad accertarsi della persona che aveva davanti, ma aveva ancora così tante domande per la testa che finì per stringere nella mano la stessa ametista.
«Non mi hai ancora risposto, però...perché sei tornato? Sono passati mesi da allora...non sarai qui per il libro, non è vero?» 
«No, no Ivo, te lo giuro! 
Non è per via del Grimorio che sono tornato...si, è vero, la mia missione, dacché sono un bambino è quella di difendere la dimensione ultraterrena da quella umana: tutti i Drake da generazioni hanno sempre ricoperto questo ruolo, ma dopo la morte della mia famiglia non c'era più nessuno che mi costringesse a farlo, nemmeno mio padre...
Il mio patrigno adottivo!
L'unica persona che abbia mai creduto che io avrei potuto essere diverso, che avrei potuto cambiare, che avrei potuto scegliere da me il mio futuro...abbiamo avuto una seconda possibilità, noi 2, alla fine...perché anch'io sono stato adottato e dall'ultima persona che avrei mai immaginato!
Un cacciatore, uno che però si è fatto qualche domanda in più prima di premere il grilletto, uno che...cazzo, ha scelto me prima della sua associazione...
Quindi se lui ci è riuscito, perché tu non dovresti? È forse reato mettere in dubbio delle parole nelle quali non hai mai creduto? Me lo hai detto tu, Ivo! Non hai mai creduto nella missione della Hunter, ma credevi nell'amore per tuo padre e per tuo fratello e anch'io credo in queste stesse cose...anche se non c'è giorno in cui non pensi, notte in cui non abbia gli incubi, al ricordo della mia gente spazzata via!
Ma non ho mai scelto di farne una guerra, a differenza di Elaijah...»
Ivo aggrottò le sopracciglia a quelle parole, sempre più contrito e con lo sguardo tremante su quello dello stregone, finalmente a nudo per una volta e senza doversi fare pregare, il quale dovette perfino ammettere quelle stesse verità che preferiva nascondere che ammettere ad alta voce.
Balthasar fece ancora un passo verso Ivo, con i pugni stretti saldamente ai lati.
«Mia sorella, prima di morire, disse a mio padre che c'era uno Spellman ancora vivo, e non si trattava dell'uomo che aveva tradito la Hunter ma di suo figlio, che all'epoca era solo un neonato...
Sarei un mostro ipocrita se condannassi un bambino innocente, perché anch'io lo ero, senza colpe...ma adesso?
Ivo, siamo tutti troppo adulti per poter essere giustificati! 
Non so che n'è stato del figlio del serpente da quel giorno; avrebbe potuto crescere e diventare qualcos'altro, una farfalla, un gabbiano, un'aquila, qualunque cosa ma sta battendo esattamente le orme della sua famiglia, e così continuerà dove suo padre ha fallito!
Luther Richter...avrebbe potuto uccidere mio padre...ma non l'ha fatto, sebbene si sia macchiato di crimini notevoli durante la sua stellata carriera e io potrei essere piombato nel suo ufficio, oppure ovunque si trovi...per ucciderlo per ciò che ha commesso!»
«E perché cazzo non lo fai?
Per me? Io e te nemmeno ci conosciamo, Balthasar! Sei stato mio prigioniero per 6 mesi, e che altro? »
«MA TU MI HAI LIBERATO, IVO! NON PUOI SERIAMENTE PENSARE CHE QUESTO GESTO NON CONTI NIENTE!»
Stavolta Drake urlò, stravolgendo con l'eco della sua voce la pessima acustica del teatro deserto, arrivando perfettamente sotto la luce del faro ad un passo scarso dal ragazzo leggermente più alto di pochi centimetri ma molto più asciutto, quasi un fuscello. 
«Io non ti conosco, Ivo Nardi, non so niente di te e tu niente di me, siamo due estranei che combattono al fronte per una guerra ingiusta anche se le basi possono sembrare quasi legittime!
Non ti posso chiedere di tradire la tua famiglia, per uno sconosciuto poi, ma faccio appello al ragazzo stonato che mi ha fatto da guardia per 6 mesi, di guardare oltre la strada già tracciata da chi veniva prima di noi...
Ti prego! 
Mio padre ha passato tutta la vita a cercare di cambiare il tuo, non so cosa l'avesse spinto ma è arrivato ad imbracciare un fucile contro di lui e io non voglio arrivare a questo...»
«Chi era...è tuo padre?»
Chiese con un filo di voce spontanea e quasi innocente lo stesso Nardi, sbattendo con una strana sorpresa le lunghe ciglia chiare, tenendo fra sé e lo stregone la mano semiaperta, con la piccola pietra che luceva sul palmo della stessa.
Il persiano sorrise, sospirando quasi apprensivo.
«Mio padre...l'uomo che ha scelto di prendersi cura di me, un tempo era un cacciatore che aveva pochi eguali, un soldato, un amico, che credeva in tante cose, ma la peggiore di tutte è che credeva pure troppo nel suo superiore e si è lasciato ingannare...senza mai mettere in dubbio le sue direttive ed è arrivato al punto di non ritorno troppo tardi!
Mi ha preso con sé 25 anni fa e da allora non mi ha più abbandonato...e se sono arrivato ad essere l'uomo che sono oggi è grazie a lui, non altri, e tu?
Che tipo di uomo...vuoi essere?»
«Stando a questa tua analisi, allora io diventerò un cazzo di omicida a breve!»
Lo stregone sollevò le sopracciglia scure quasi interdetto, indeciso se perdere la pazienza o meno, ma stavolta abbandonò la sua innata tempra per afferrare il colletto della camicia stropicciato e macchiato di alcol dell'altro solo per trascinarlo di peso ad un palmo dal suo viso.
«Ma che cazzo...MA ALLORA NON HAI CAPITO NIENTE DI QUELLO CHE HO DETTO?
TI STO DICENDO, BRUTTO STRONZO VESTITO DA CLOWN CHE UNA SCELTA CE L'HAI, CE L'ABBIAMO TUTTI E CHI DICE IL CONTRARIO È SEMPLICEMENTE UN NOSTALGICO TROPPO ILLUSO E PIGRO PER FARE ALTRIMENTI!
Elaijah vive nel malcontento, si nutre del dolore e della disperazione altrui perché è questo che fanno i demoni, e lui è cresciuto esattamente come uno di loro, ecco perché non sembra umano!
Se solo avesse avuto la mia o anche la tua fortuna, forse, non sarebbe andata così, perché in caso non te ne fossi accorto, quell'uomo che tanto ti manda in paranoia che fai tanto fatica a chiamare padre, anche se colpevole di cose indicibili, non ti ha abbandonato...
Quindi, bamboccio piagnucolone del cazzo, forse, e dico forse, non tutto è cosi fottuto come abbiamo sempre creduto!
Vuoi continuare a piangere e frignare perché tuo padre non ti apprezza?
Fai pure, ma io sono tornato perché della gente innocente morirà se Elaijah riuscirà nel suo piano e io non starò a guardare, qui, immobile, senza fare niente.
E per rispondere alla tua domanda..»
Lo stregone spinse via il cacciatore lasciando la presa sulla sua camicia con genuino fastidio, come se tutti i suoi sforzi non stessero servendo a nulla.
«...sono venuto da te anche se qualsiasi parte del mio cervello mi diceva di non farlo, e non per orgoglio o chissà che cosa!
Ma perché credevo che nel profondo avessimo gli stessi ideali e che saresti stato finalmente felice di credere in qualcosa di davvero tuo, Nardi...
Fa paura, ma la vita è tutta una continua scelta e non torni indietro, nemmeno con la magia!
Elaijah potrà anche offrirti soffici bugie e seducenti balle, ma io ti offro spinose verità che almeno ti renderanno libero, ma devi volerlo, ragazzino, anche se adesso sei talmente ubriaco che avrai capito la metà di quello che ho detto…
Vattene a casa, Ivo, ascoltami! Qui non troverai ciò che cerchi, anzi, lui vuole solo arrivare ad isolarti a tal punto che ti avrà completamente in pugno e allora farà di te ciò che vorrà…»
«Almeno su una cosa possiamo concordare…»
«Mmm?»
Lo stregone guardò il cacciatore tenersi il capo dolorante, senza mai abbandonare la sua collana quasi fosse stata una valida stampella, mentre retreggiava da quel palco verso le stesse scalette di legno marcio, con la spalla contro il muro ma lo sguardo restava sempre rivolto verso l’altro, quasi dovesse ancorarsi ad esso per non perdersi di nuovo.
«Sono fottutamente stanco, ma non pensare che lo sciocco Ivo non abbia capito niente…eppure non mi basta, no, ho bisogno di sentirlo dalle sue labbra, dalla sua boccaccia..
Questo passaggio del testimone mi sta spegnendo dentro come un cazzo di cerino e io non ci sto più capendo un cazzo di niente!»
Balthasar roteò gli occhi acqua verso il soffitto, non potendo ancora credere che si fosse spinto a pregare un ragazzino del genere, con la mano sul viso, insicuro sul lasciarlo andare via sulle sue barcollanti gambe, ma lo stesso Nardi si voltò indietro un’ultima volta, con lo sguardo vagamente più lucido, con la mano poggiata sull’ultimo sedile della platea deserta. Balthasar gli sembrò molto più lontano di quanto effettivamente fosse, conficcando le unghie nell’imbottitura della seduta usurata.
«Sono d’accordo sul fatto che tutti saremo chiamati a rispondere del nostro operato, chi prima e chi dopo…e io non ho ancora risposto della mia colpa, quella di aver lasciato…»
Il biondo scosse la testa, puntando il dito proprio verso il palco, contro lo stesso stregone, che sentì praticamente gli occhi del ragazzo mirati sul suo petto come un cecchino pronto a levarlo di torno.
«...te, di averti liberato, ma non sarai tu a dirmi se ho sbagliato a farlo o meno, come non sarà quel belloccio senz’anima…sarà la stessa persona che mi ha tirato via dalla strada, e cazzo se mi risponderà!
Solo allora questa storia avrà un senso…e mi spiace averti fatto fare tanta strada per ricevere questo, ma credo che tu e il tuo avversario stiate puntando sul cavallo sbagliato, o forse sono troppo ubriaco per capirlo…»
«Ivo…»
«No, Balthasar, hai detto a sufficienza! Dammi tempo, dammi tempo almeno fino a stasera…se non verrò a cercarti, conosci la risposta…ma se vengo a cercarti…»
Disse col respiro corto il cacciatore, guardando la pietra nel pugno della sua mano, stretta talmente forte da tagliarsi probabilmente la pelle stessa, ma era un dolore insignificante rispetto a quello sopportato dalla sua mente. 
«...spero sia solo per restituirti questa…e non per piantarti un coltello in faccia!»
Quasi fosse stata una solida promessa, Drake non parlò oltre, annuendo a quelle parole con un dignitoso inchino del capo verso lo stesso giovane hunter, in segno di sincero rispetto per quel voto; non appena vide la tenda del teatro chiudersi dietro le spalle di Ivo, si ricordò un dettaglio di non poco conto, sbuffando sonoramente.
«E dove dovresti trovarmi, se non sai nemmeno dove sto?! Dannato cacciatore…»
«Hai così poca fiducia nei riguardi del nostro dolce hunter che dubiti perfino del suo fiuto da tagliagole luccicanti? Tipico di voi Drake, non avete avuto fede nemmeno nel piano dei vostri stessi simili…dopotutto, i primi traditori siete stati voi!»
Quella voce, prima o poi sarebbe arrivata a sibilare anche nelle orecchie dello stregone più anziano che, al solo udirla, chiuse gli occhi, sciogliendo i pugni ai fianchi, capendo perfettamente di essere stato osservato fin dal primo momento in cui aveva messo piede nella tana del serpente, che ora strisciava fino alle sue spalle, applaudendo sonoramente.
Non lo aveva ancora visto in viso, ma il freddo che percepiva era pari a quello dell’aura di una persona già morta da tempo, non sentendo un alito, un colore, niente, solo il gelo più spaventoso e innaturale mai avvertito prima; dunque era quello il potere di un’anima, anzi, di chi non ne aveva più una?
Uno stregone senz’anima, da dove traeva allora il suo potere? Dal diavolo stesso?
Impossibile.
Elaijah smise di applaudire nel preciso istante in cui i suoi occhi si incrociarono con quelli di Balthasar, non risparmiandogli certamente quel suo sorriso carico di fiele e beffa, mettendosi poi le mani nelle tasche dei pantaloni. Il Drake non perse un solo movimento di quella serpe fatta uomo, incredulo di come il risentimento potesse celarsi dentro un involucro così bello e allo stesso tempo fatiscente, come il buio che c’era dietro quei bellissimi occhi blu.
«Devo ammetterlo…è stato un momento davvero toccante, ma devi imparare qualcosa sulle tempistiche teatrali, insomma!
I monologhi sono certamente forti, ma tendono ad annoiare abbastanza facilmente e quel povero ragazzo temo che non avrà capito granchè dati i livelli di coca che aveva in corpo, ma hey…
Magari lo hai colpito con quei tuoi begli occhioni, Balthasar!
Sarò onesto, non ti aspettavo così..sai, sei rimasto nascosto per così tanti anni sotto l’ala protettiva di un codardo che ti aspettavo, chessò, almeno con la gobba e il labbro leporino, ma vedo che il tuo Dio è stato così generoso che quasi mi sento lasciato da parte, e ti posso assicurare che è una cosa che non tollero!»
«Ora vuoi forse sterminare anche chi consideri più attraente di te, oltre a chi ti ha reso orfano, capriccioso bastardo?»
Con una mano quasi sdegnata, l’attore finse di sbadigliare, scrollandosi le spalle quasi si stesse vistosamente annoiando, infatti si sedette su una solitaria sedia di scena, allestita a trono, apparsa da chissà dove; Elaijah accavallò le gambe, scrutando il suo storico opponente con curiosità, avvertendone invece migliaia di sfumature, forti e tiepide, cose che non aveva mai percepito prima che quasi arrivarono a toccare la sua di aura gelida, ma solo quasi, poiché la respinse con un semplice battito di ciglia.
«Ho piani decisamente più interessanti che puntare sul figlioletto incapace di uno stregone, perché tu non sei esattamente degno di essere chiamato tale, Drake…
Anzi, per come la vedo io sei un degno Volden, giusto? Perchè non hai detto ad Ivo che il tuo paparino se lo faceva spingere dietro dal suo superiore? Perchè non gli hai detto che Ostergaard in realtà è solo un traditore che voleva pulirsi la coscienza dopo aver partecipato a tutte quelle missioni omicide, di sua spontanea volontà?
Insomma, chiami me bugiardo, però qualcuno sta dimenticando che la storia ha due versioni molto diverse, e mi pare di capire che in ognuna delle due qualcuno abbia omesso dei dettagli interessanti…
Non trovi?»
Chiese l’attore guardandosi quasi annoiato le stesse unghie, prima di rivolgere quella domanda retorica allo stregone ancora in piedi, ma ancora per poco, visto che una sedia apparve alle spalle di Balthasar incatenandolo ad essa quasi cercasse di immobilizzarlo. Elaijah si godè ogni tentativo di fuga dello stregone con il viso appoggiato sul pugno chiuso della mano, ma lo stesso Drake smise di muoversi quando capì che non sarebbe servito a niente; solo allora ne rise, quasi sputando a terra, guardandosi entrambi nelle pupille nel tentativo di entrare uno nella mente dell’altro.
«Comodo? Non volevo restassi li impalato come uno stoccafisso, insomma, sono il padrone di casa e tu sei uno scarafaggio intruso, volevo solo porti i miei omaggi!»
«Tu sguazzi nel  tuo ego al punto che probabilmente ci annegherai, imbecille…sei talmente disperato dalla mancanza di attenzioni e amore che ti sei venduto l’anima ad un demone, non è così? Sei veramente nauseante…povero bambino tutto solo al mondo, che per sentirsi grande ha scelto di giocare ad evocare i mostri, ma vuoi la verità?
Tu sei uno di loro, patetico coglione…»
«Ne hai per molto, no perchè avrei un appuntamento al quale non posso proprio mancare, e devo prepararmi perché indosserò un vestito molto speciale, perciò non ho tempo da perdere con una marionetta mandata al fronte da un vecchio cacciatore, che ucciderò ovviamente davanti ai tuoi occhi, ma lo farò quando avrò prima terminato con il figlio di Luther,e poi con tutti gli altri…»
Lo sguardo di Balthasar si congelò, come il cuore nel suo petto, rimanendo senza fiato; Elaijah ne rise, leccandosi le rosee labbra per la squisita riuscita del suo piano, atto dopo atto. La risata divenne sempre più forte che quasi inghiottì il silenzio dello stesso teatro ma cessò quando l’attore si asciugò una lacrima divertita con la nocca.
«Oh ti prego, non fare quella faccia, non dipingermi come il mostro della storia perché non lo sono affatto, o sai che c’è? Fallo. FALLO PURE!
Dopotutto, ogni versione di questa storia è puramente relativa, ma alla fine la verità resterà una e una soltanto…Balthasar Drake…»
Lo Spellman si avvicinò a passi lenti verso lo stregone intrappolato, costringendolo a guardarlo negli occhi vuoti mentre lo tirava per i capelli verso l’alto, quasi a strapparglieli in un colpo solo.
«Non vinci una guerra con l’onestà, con le belle parole, con tutto il tuo repertorio tipico da buon pacifista; la guerra si vince con l’astuzia e l’inganno, altrimenti resti fottuto com’è rimasto mio padre e anche il tuo!»
«Ah si?»
Ringhiò l’altro, mostrando i denti a quel viso arrogante e detestabile, ma non si tirò indietro, puntando con lo sguardo il riflettore traballante che penzolava sulle loro teste da diversi minuti.
«Da quel che mi risulta, tuo padre ha cercato di fare le scarpe a chiunque, persino al demone al quale succhi il cazzo, e la storia ci insegna che non è andata esattamente come prevedeva, giusto? Quindi che senso ha questa tua vendetta di massa?»
«Oh Balthasar, la tua domanda è un’altra, e la sento proprio qui, che ti preme…esattamente qua.»
La mano dell’attore ancora libera scese lungo il viso dello stregone, strisciando sulla sua pelle come un rettile, incurante delle vesti del persiano, facendosi strada oltre quei veli di lino, marchiando con le unghie quella discesa verso il suo petto, esattamente sopra il suo cuore.
La sensazione fu orribile, come se lo stregone più giovane fosse in grado di strappargli via l’organo battente dal petto e mangiarselo come avrebbe fatto un serpente con una preda ancora viva; trattenne un urlo di fastidio, ma il suo piano venne compromesso esattamente da quella morsa di dolore, infatti il riflettore cigolante si schiantò proprio accanto a loro in migliaia di pezzi, ma ben lontano dall’attore che scoppiò in una risata quasi compulsiva, aumentando la profondità di quel contatto, conficcando le unghie nella carne dell’altro.
«Lo vedi? Tu sei…e sarai sempre un debole. Sei compromesso da tutta questa matassa ingarbugliata che hai dentro e che ti impedisce di essere quello che sei davvero…io e te non siamo diversi, sarai anche stato cresciuto in maniera opposta, ma siamo nati dalla stessa materia, solo che tu hai sputato sul tuo dono, io no, e non sarà un’anima a fermarmi, persiano, o il dolce Ivo, del quale ti stai preoccupando un pò troppo, talmente tanto che non ti sei nemmeno reso conto che sono stato qui tutto il tempo, povero coglione…non sei riuscito nemmeno a centrarmi e te lo stavo anche lasciando fare!
Ovviamente solo per accertarmi del fatto che tu sia completamente fottuto…»
«Ivo non ti ha fatto nulla, tutta la gente che colpirai col tuo piano non sa nemmeno che tu esista, per Dio, se c’è qualcuno con cui devi prendertela non sono i figli, ma i padri!»
«E in assenza di essi o anche presenti, mi prenderò anche loro e tutto quello che verrà dopo perché mi va di farlo…»
Il giovane attore confessò tutto senza remore, aggrappandosi alle spalle del persiano solo per sputargli in faccia ogni sillaba pronunciata da quella lingua biforcuta, da quegli occhi iniettati di veleno; Elaijah era di certo di una bellezza struggente, ma solo allora Balthasar ne vide la vera natura, il suo vero volto, ed era oltremodo orrendo, alchè cercò perfino di tirarsi indietro ma la morsa sul suo corpo gli impedì ogni movimento.
«Ivo è solo una piccola pedina su una gigantesca scacchiera, come lo sei tu e forse anche io…siamo tutti partecipi del grande piano, non vedermi come il grande architetto, stregone, quanto più il vincitore della gara, e poi per il resto si vedrà!
Sai, su una cosa hai pienamente ragione…»
«Sentiamo, su cosa saremmo d’accordo io e la più grande puttana demoniaca dopo Mephisto? Che stai…che stai facendo…?»
Balthasar iniziò a sentire pesante il suo intero corpo, quasi assorbito da quel contatto prolungato e non voluto con l’attore ancorato saldamente ai suoi avambracci, quasi volesse strapparglieli via, ma c’era qualcosa di ancora più terribile in quella sorta di fusione innaturale, poiché gli occhi dello stregone persiano giurarono di essere davanti ad uno specchio, al suo stesso riflesso, perfino la voce del serpente mutò in una nettamente più grave e adulta. Drake inorridì, dimenandosi come un folle.
«No, non ti servirai di me…merdosa salamandra, come cazzo…»
«Ti ricordo che un serpente ha molteplici pelli, e non ho bisogno dell’autorizzazione di un paralitico come te,o quella del mio padrone, che non lo sarà ancora per molto…sai, non ho mai amato questo marchio ma è l’unica cosa che costringe Mephisto a proteggermi da ogni avversità nello sfortunato caso in cui le cose si dovessero mettere male al punto che perfino io non saprei come uscirne!
Insomma, dopotutto anche le anime hanno una loro utilità…e la tua…mi ha mostrato quanto in realtà tu tenga al nostro giovane e sprovveduto Hunter e che forse anche lui potrebbe avere uno sconsiderato debole per il tuo faccino da straccione delle favole, non è così? Hai ragione, ognuno di noi sceglie da sé il suo percorso, ma che male c’è nel dare una piccola spinta nel prendere la strada giusta?
Insomma, Elaijah avrebbe puntato su una messa in scena ben architettata e subdola, ma il buon Balthasar?»
Con beffa, l’attore nelle spoglie dello stregone accarezzò il viso del vero Drake, guardandolo contorcersi su quella sedia, incatenato ed impotente, dandogli a pelle un’adrenalina infinita.
«Il buon Balthasar Drake troverebbe le parole più accorate e sincere per arrivare al cuore di chi ha davanti perché non è in grado nemmeno di liberarsi da una sedia perchè è troppo offuscato dai propri sentimenti per farlo: ecco la differenza tra me e te…
Io ho un obiettivo e non guardo negli occhi nessuno, non mi importa di chi ferisco nel mentre, non mi interessa più chi ha scagliato la prima pietra o chi ha solo tenuto il sasso in mano, tutti hanno una colpa e nessuno è innocente perciò ora goditi la mia di performance, anche se non arriverai in tempo per assaporarla del tutto, a differenza del giovane Nardi, si intende!»
«NON CI CASCHERA’ MAI, AMMAZZAMI PIUTTOSTO, CODARDO DI MERDA!»
«E perdermi la tua faccia quando capirai di aver puntato sul cacciatore sbagliato? Oppure ucciderti? Davvero? La morte è una sorta di sollievo e non è ciò che voglio procurarti, posso assicurartelo, traditore…
Benvenuto nel mio teatro, spettatore, quanti biglietti, prego?»

╰⊱♥⊱╮╰⊱♥⊱╮

«Non avrei mai e poi mai pensato che il demone che ha cercato di uccidermi in un raptus di gelosia, per 2 volte, mi avrebbe pagato una birra, in un bar di terzordine, ma sempre birra rimane, probabilmente…»
«Non fare il nobiluomo, moccioso con la r moscia; siamo in guerra, ormai, non ho esattamente il tempo per portarti a cena fuori, ti pare?
Non sarei mai venuto in questo posto se non fossi stato letteralmente con le pistole alla tempia, ma ora ci sono e non ho più modo di tornare indietro!»
Un marchese infernale e un cacciatore corrotto si trovarono in una bettola come il Molly Malone in pieno mezzogiorno, con due bicchieri di scadente bourbon proprio davanti alle loro facce cupe e grigie, anche se la più inquieta era certamente quella del demone nascosto nel suo lungo cappotto, con il viso sotto ad un logoro cappello per passare il più possibile inosservato. Quentin sghignazzò, mandando giù un altro bicchiere.
«Sembri un investigatore privato, o uno degli imbecilli che derubavo alla stazione da piccolo! Chissà quale dei due però…»
«Sei stato tu a venirmi a cercare, parigino, e stupido io che ti ho anche assecondato, merda!»
Naberius guardò con un'espressione disgustata un cliente seduto accanto a sé che ebbe appena perso uno dei suoi denti marci nel fondo del bicchiere, prossimo a vomitare, ma le risate del Queensbury lo riportarono sulla retta via, guardando decisamente altrove, trascinato verso il lato opposto dallo stesso cacciatore per il braccio.
«Stomaco debole per essere un demone millenario!»
«Stomaco forte per essere solo un ladruncolo da 4 soldi…ma dove diavolo sei cresciuto, nel ghetto?»
«Più o meno!» fece con un'eco quasi spensierato il ragazzo dai capelli ricci, facendo cenno alla proprietaria di servirgli un altro goccio con un occhiolino.
«Mia madre faceva la puttana, mio fratello era un truffatore e io ero il palo mentre lui rubava portafogli e lei scappava dalla polizia!»
«Alla tua salute, bel fanciullo!» 
Molly servì ai due giovani direttamente dalla bottiglia quella brodaglia color ambra, ma Naberius rifiutò con un gesto della mano quasi stizzito, sotto lo sguardo incuriosito della donna e del cacciatore.
«Scusalo, Molly, è che il ragazzo qui ha gusti di classe e veste solo broccato!»
«Infatti non capisco cosa diavolo ci faccia uno come lui, e intendo, uno come…»
La proprietaria della taverna squadrò con tutta la mano la figura del marchese infernale che quasi si sentì offeso, guardando poi verso la donna con un bianco sopracciglio inarcato, assicurandosi però che i clienti attorno a loro fossero belli che ubriachi.
«Di che cavolo…che vuoi dire con questo? Che ha questa da guardare?»
Quentin mise le mani in alto, lasciando che Molly potesse chiarire le idee al demone con i gomiti appoggiati sul bancone; tirò appena su il cappello di  Naberius il necessario per scoprire quel bellissimo viso avorio con un ammiccante sorrisetto, sinceramente colpita.
«Sto dicendo, meraviglia delle meraviglie, che sei al sicuro qui dentro…non entrano o escono nemici dei miei amici, e se sei un amico di questo sfacciato francesino, allora sarai al sicuro, anche se non amo i demoni, e ancora meno quelli di sangue blu!»
«SIGNORA SI DIA UN…scherza, è pazza!»
Fece nervosamente il demone verso i clienti che passavano, scolandosi per il nervosismo l’intero bicchiere che gli mandò a fuoco perfino la gola; Quentin glielo levò dalle mani prima che il demone andasse in autocombustione e non senza brindare con la stessa oste, che finì per bere dalla stessa bottiglia sotto gli occhi stizziti del giovane Pheles.
«Mi dovete…delle spiegazioni…che diavolo succede, avete intenzione di farmi il culo, qui? Perchè speravo di morire in un posto più dignitoso e non…-»
Scambiò uno sguardo verso il cliente completamente ubriaco che cercava di riacciuffare con una forchetta il dente morto, tornando velocemente su Quentin con il disgusto dipinto in volto. «-...in questo cacatoio…e l’inferno è una first class, ve lo assicuro!»
Molly guardò Quentin, sbuffando assai dubbiosa a riguardo.
«Se davvero fosse così…come mai voi demoni siete venuti sulla terra in classe economica, uh? Oh, risparmiami la tua sceneggiata da reginetta del ballo, questo è un posto sicuro dove la gente non esattamente normale non viene perseguitata dalla Hunter e da quel pazzo di Dugray, perciò benvenuto nel gradino più basso della catena alimentare, Naberius Pheles!»
«Femmina, ti stai sinceramente sbilanciando…e poi tu, cosa dovresti essere, sentiamo?»
Molly non rispose nemmeno alla domanda del demone dai capelli argento se non con un occhiolino malizioso, finché lo stesso demone non si accorse di una sfumatura bluastra, quasi acquamarina, brillare nello sguardo buio della proprietaria che si allontanò verso i tavoli più lontani, pronta a servire altri clienti. Il demone rimase a bocca spalancata per l’assurdità di quella situazione, battendo i palmi delle mani sul legno marcio.
«Non è possibile, ma è una...ma tu, ma come...»
«È proprio quello che pensi!
Naberius...tutta la gente che vedi qui dentro è molto più che semplice gentaglia che vive ai confini della società umana, ma anche ai confini della società ultraterrena, perché ognuno di loro è molto più di ciò che appare!
Ho scoperto questo posto molti anni fa, insieme ai suoi segreti...e Molly ha saputo conservare i miei!»
Ammise il ragazzo passando finalmente al demone qualcosa di bevibile, andando proprio lui stesso sul retro del bancone a rovistare sotto la cassa: puro whisky invecchiato, perché niente avrebbe potuto reggere una simile botta.
Il Pheles prese il bicchiere mezzo pieno, lo bevve e poi sospirò, guardando confusamente tutto ciò che lo circondava, ed infine proprio il giovane hunter.
«Non capisco...ma tu allora da che parte stai? Elaijah, la Hunter...e ora anche questo?
Quentin Queensbury, ma tu chi sei davvero?»
«Prima che cominci con la ballata sulla mia vita, Naberius Pheles, cos'è cambiato da ciò che mi hai detto settimane fa? Avevo visto un demone pronto ad uccidermi e così hai fatto, o hai tentato di fare esattamente un anno fa solo perché ti ho quasi rubato il fidanzato...»
«Quentin....io…»
«Stavolta parlo io e tu mi ascolterai!»
Con un gesto secco, il cacciatore sbatté sul bancone il fondo del bicchiere vuoto mettendo immediatamente in chiaro la serietà nelle sue parole, assai distanti dalle solite battute e frasi evasive con le quali si era difeso tutta la vita. Il demone tacque, lo guardò e si mise ad ascoltarlo, sebbene gli incubi avessero iniziato a tormentarlo ormai da troppo tempo per lasciarli ignorati.
«Io non so che rapporto tu abbia con lui, ma è chiaro come il sole che tu sia innamorato o almeno che tenga a lui molto più di quanto dovresti, e so anche che sono l'ultimo a poter fare la paternale e tu stesso l'ultima volta mi dicesti che, sebbene tutto questo, avresti sempre scelto lui, anzi...
Hai perfino detto che io ero quello in errore, che avrei dovuto scegliere una parte per la quale combattere, eppure oggi ti guardo e mi sembri molto più perso di me...perché?»
«Perché moriremo, cacciatore, moriremo...e il serpente striscerà sopra una testa dai capelli d'argento!»
Quentin sbatté le palpebre, grattandosi l'orecchio.
«Non so se ho capito bene, penso si sia perso qualcosa nella traduzione, che?»
Il demone sospirò con amarezza ma almeno poté levarsi dal capo quello sciatto cappello, lasciando così i suoi lunghissimi e splendidi capelli lungo la schiena, quasi fossero stati dei fili di puro argento. Perfino il francese ne rimase impressionato, non avendoli mai notati fino ad allora, ma c'era da dire che un uomo del genere non poteva passare inosservato nemmeno per errore; Naberius sembrava essere stato scolpito nell'avorio, molto più bello e candido di un angelo e chissà come era stato destinato ad essere un purulento mastino dell'inferno.
Che assurdo paradosso!
«Hai ragione, io ti ho provocato, io ho cercato di sbarazzarmi del tuo ingombrante posteriore, in senso ovviamente non offensivo!»
«Tsk, sono abituato agli insulti, ma vai avanti...»
«Ormai non riesco nemmeno più a parlare con lui, questo succede da mesi, da quando siamo tornati come ospiti nella residenza dei Burke, mentre lui e mio zio, Mephisto, complottano e architettano follie che nemmeno puoi immaginare...»
«Oh, credimi...posso, posso eccome!
Ma questo non risponde alla domanda: cosa ti ha fatto cambiare idea, Naberius? Cosa?»
«Mia sorella, mia sorella morta.»
Il Queensbury corrucciò lo sguardo proprio in quel preciso istante, fermandosi dal versare altro whiskey, posando così la bottiglia accanto a loro, scegliendo così di prestare attenzione al 101% al demone di fronte a sé.
«Spiegati meglio, che vorresti dire? Tua sorella? La biondina inquietante che ti porti spesso dietro?»
«Come lo sai?»
«Perché come tu hai spiato e mandato una prostituta a cercare di uccidermi, io ti ho seguito nelle tue passeggiate romantiche pomeridiane con quella bambola di porcellana...
Sono stronzo ma sono anche previdente! Non serve essere un demone per pararsi il proprio di fondoschiena, lo sapevi? Ma tornando alla questione, che le è successo?»
Il demone appoggiò la fronte contro il palmo aperto della mano, pensieroso.
«Nulla per ora, ma temo che il mio incubo più grande finirà per realizzarsi, e non voglio perderla. Berith, demone minore e mia sorella, ha molte visione durante il suo riposo, alcune sono fuorvianti altre sono esatte ma non chiare, ma dacché ho memoria ha sempre visto la mia fine in Elaijah e mi è sempre andata bene così!
Io avevo fatto la mia scelta e mi andava bene, ma la scelta comprendeva me e me soltanto, non mia sorella...»
«E credi che Elaijah si rifarà su di lei, ma perché?»
«Perché l'ha visto...ha visto una testa che rotolava dalle scale mentre io e lei scappavamo per metterci in fuga!
Quentin...tu non mi piaci, ma in questo momento sono con le spalle al muro e se quella del sogno fosse Berith non me lo perdonerei mai...la mia morte è tollerabile, ma quella di chi amo no!»
Fece con foga e rabbia il marchese, aggrappandosi al bancone il giusto da scandire quelle parole, il quale poi andò a togliersi dalle lunghe dita il suo anello con il sigillo demoniaco, porgendolo sotto lo sguardo del cacciatore, il quale riconobbe subito quel marchio.
«Conosco quel simbolo...»
«Ogni demone ne ha uno, ognuno di noi ha un monito che serve a ricordare ai nostri simili di non calpestare mai la proprietà d'altri!»
«Uh! Demoni capitalisti, allora...»
«Fai poco lo spiritoso, Queensbury! Se pensi che sia Elaijah il motore di questa rivolta allora non hai capito veramente un cazzo...
Elaijah è solo un povero orfano che è stato imbottito di storielle da mio zio dacché era un poppante, tutto frutto di una scommessa tra due demoni troppo pigri e avidi per capire che in realtà le loro smanie di potere stavano forgiando dei soldatini in carne ed ossa, pronti a battersi sul palco di un teatro!»
«Di cosa stai parlando...? Dei demoni rivoltosi, quelli capitanati da quel farlocco lord che si spaccia per filantropo?»
Naberius annuì ridendo, continuando a massaggiarsi la fronte con le mani mentre l'anello dorato iniziò a roteare circolarmente su se stesso, quasi avesse vita propria. Quentin lo guardò quasi scettico, tuttavia l'attenzione non si spostò lontano dagli occhi cielo del demone.
«Mio zio Mephisto e quel Dorian...non sono altro che fatti della stessa e identica pasta!
Una scommessa ipocrita e crudele cominciata moltissimo tempo fa, per pura noia...
Dorian, o come si fa chiamare, è sempre stato un arraffa popoli di prima categoria che ama circondarsi di lacchè e di seguaci, un finto populista che ha ingannato quegli sciocchi dei miei simili che ci fosse una seconda possibilità per quelli come noi che la loro prima se la sono giocata molto male in vita! 
Lui è solo un velenoso ragno che si arrampica e che vuole tutto per sé, tutto quanto, e Mephisto, da sempre visto come conservatore, è stato al gioco di questa sorta di sceneggiata politica, ma in realtà quei due si stanno giocando queste vite su un tavolo da biliardo...io c'ero quando Mephisto ha puntato tutto su Elaijah mentre Dorian puntava tutto sulla sua rivolta!
A nessuno di loro importa di liberare i demoni o di ottenere quel libro, vogliono solo il caos e sperano che un demone antico si pieghi a questo loro rodeo, ma non sanno che la posta in gioco è talmente alta che potremmo morire tutti e non rivedere più l'alba di un nuovo giorno...
Ecco perché ho accettato la tua chiamata, cacciatore senza casa e senza meta, perché non voglio continuare a fingere che il mio amore possa curare un uomo tossico che non vuole farsi visitare!»
Demone e cacciatore, penitente e confessore quasi, si guardarono negli occhi alla luce di quelle scadenti lampade giallognole sopra le loro teste, forse entrambi arrivati ad un punto di stallo quasi irritante sul loro cammino, sebbene profondamente diversi e dai natali completamente opposti; Quentin rispose a quelle parole allentandosi il colletto della camicia nera fino a che non se l’aprì del tutto, rispettando quelle parole in tacito silenzio, riempito da due bicchierini colmi fino all’ultimo.
Uno lo prese Naberius e l’altro lui stesso, battendo i due bordi tra di loro quasi a brindare, ma chissà a che cosa; il demone lo bevve sentendo la gola andargli a fuoco, ma era praticamente niente a confronto di ciò che entrambi avevano dentro, guardando così il ragazzo dai capelli ricci e scuri abbassarsi verso di lui, appoggiato sugli stessi gomiti.
«Non dico che ti perdono per avermi quasi ammazzato, ma dichiaro una moratoria sulla questione, almeno finchè non capiremo come rimettere il principe azzurro al suo posto, dico bene?
Anche se non so nemmeno io come abbia potuto scendere a patti con lui, e credimi, non sono uno poi tanto così scrupoloso come te…»
L’hunter accese contro il legno del bancone un fiammifero per fumarsi una sigaretta già masticata per via della permanenza troppo lunga nella sua giacca, ma il demone finì per precederlo, dando fuoco alla canna col suo accendino in madreperla e avorio, con un sopracciglio quasi alzato.
«Chiedi e ti sarà dato! Uomo senza scrupoli…allora, come conosci Elaijah? Come sei arrivato fino a qui?»
Il bruno tirò una boccata, espirando una coltre di fumo direttamente dal naso.
«Diciamo che, a differenza tua, io ero solo un randagio al quale serviva un posto dove passare la notte e quel attore da 4 soldi aveva un appartamento mica male, e non parlo…del…appartamento.»
Naberius roteò gli occhi alla chiara allusione, portando all'indietro la criniera argentata con un pizzico di sentito fastidio.
«Non ti ho chiesto quanto hai perquisito il suo posteriore, come se la cosa potesse essere rilevante in qualche modo!»
«Ti stai inalberando un’altra volta, marchese? Questo principe azzurro deve proprio averti colpito nell’anima, se ne avessi una, per proteggerlo così tanto..»
«Vai…al…sodo.»
«Uff, niente preliminari con te! Devo proprio abituarmici…custodirò gelosamente il ricordo del nostro primo incontro in quel fatiscente condominio di merda!
Allora…dov’ero rimasto? Ah si…Elaijah Spellman non è stato il mio primo committente, non credo lo avrei mai conosciuto se non fosse stato per colpa del mio primo “padrone”, se così vogliamo chiamarlo, ma posso dire che, anche se per poco, è stato quasi piacevole lavorare per lui, tutto finchè non mi sono reso conto con amara consapevolezza che in realtà non ero altro che un pedone e anche uno molto sacrificabile…
All’inizio pensavo che volesse solo liberarsi di voi demoni, o di Mephisto, o di qualunque cosa lo tenesse sotto torchio da quasi 20 anni, ma poi le sue richieste di spionaggio sono diventate sempre più specifiche, sempre più dirette, nello specifico i suoi interessi si sono spostati verso i superiori della Hunter, Luther il tedesco, i suoi figli e una delle mie superiori, Eris Griffith e la sua famiglia!»
Naberius corrucciò lo sguardo, iniziando ad unire molti puntini che fino ad allora erano rimasti quasi separati, tracciando mentanlmente quello schema malefico che lo zio aveva già disegnato fin dal principio. Sospirò con l’amaro in bocca, guardando poi dritto negli occhi del cacciatore, ravvicinando le distanze tra i loro volti per non essere uditi da terzi.
«Sta cercando i responsabili dell’incendio…gli assassini della sua famiglia, ora ha senso tutto questo imbroglio, questa smania, sta cercando i padri, i colpevoli…ma perchè anche i figli? Che colpa ne hanno, dopotutto?»
Il Queensbury sogghignò, osservando bene gli occhi angelici del demone, intrisi quasi di una genuina innocenza che lo portò a spegnere del tutto il mozzicone ardente dentro il suo bicchiere, creando una nube di fumo che divise i loro sguardi per un istante.
«Non voglio avere compassione per il diavolo, ma se come dici Elaijah è stato cresciuto unicamente per interpretare il ruolo che suo padre aveva lasciato prima di lui, allora la sua ira nei confronti dei successori dei veri colpevoli è più che legittimata…
Tuttavia non volevo, non volevo essere responsabile o partecipe in questa crociata che non è nemmeno la mia! 
Elajah mi ha comprato con le sue parole, Kelly mi ha avuto per soldi, la Hunter invece solo perchè offriva vitto e alloggio gratis, ma avevo acceso un pericoloso mutuo che stavo iniziando a pagare con la mia anima, e se il prezzo era diventare vuoto come lui…allora passo.»
«Elaijah ha sempre avuto un vuoto dentro, dacché nostro zio l'ha portato con sé via da quell'orfanotrofio, tuttavia la sua ossessione si è aggravata negli ultimi anni, quando non sono più riuscito a fare breccia in quel posto speciale che non era ancora stato contaminato dall’odio...eppure c'è qualcosa che mi sfugge!
Come ha fatto ad arrivare ad Ivo? Come ha saputo tutto questo? L’altra sera si è avvicinato ad Ivo Nardi, il figlio adottivo di quel tizio inquietante…non starà mirando così in alto così in fretta?!»
«Sono...sono stato io...io ho detto ad Elaijah che Ivo era l’anello debole di Luther, come Rhys Griffith aveva occhi solo per la figlia dispersa; per tutto questo tempo ho informato il serpente su ogni debolezza del nemico, come informavo Kelly di tutte le manovre al di fuori della Hunter alle quali non poteva accedere se non per vie traverse...
Sono anni che faccio il doppio, anzi, triplo gioco per loro e per l'associazione e la cosa peggiore sai qual è?
È che niente di tutto questo mi è mai davvero importato...»
«Ma di che stai parlando? Cosa? Tu hai dato in mano all'ultimo erede di una casata in rovina le carte per la sua rivalsa? Quentin, ma perchè non ti sei mai interrogato su questa storia?!»
Naberius quasi perse la sua compostezza, facendo cadere lo sgabello dov’era seduto all'indietro; Quentin lo guardò quasi sconvolto, volendo quasi sbriciolare il bancone che li stava separando.
«MA CHE CAZZO NE POTEVO SAPERE?! ERO UN RAGAZZINO SPAVENTATO! LA PRIMA VOLTA CHE HO VISTO QUEL VOLTO PALLIDO DEL MIO SUPERIORE ME LA SONO QUASI FATTA SOTTO, ERO SENZA SOLDI, SENZA UN POSTO DOVE STARE, CHE AVREI DOVUTO FARE?! ELAIJAH SEMBRAVA QUASI UNA SPIAGGIA SICURA E COL CAZZO CHE MI FACCIO FARE LA PREDICA DA UNO CHE FINO AD UNA SETTIMANA FA GIURAVA FEDELTÀ ALLO STESSO PAZZO CHE PROBABILMENTE STA RAGGIRANDO TUTTI NOI!
Non siamo nati tutti sotto una buona stella come te,marchese...»
«Va bene...va bene...ma almeno spiegami come, per Dio, è successo! Chi sarebbe…questo superiore? Non mi hai ancora spiegato come sei arrivato qui…»
«Tsk, ha importanza? Non cambierà il fatto che quel ragazzo abbia più problemi che altro nella testa e il suo piano è da pazzo suicida, e non darà retta a me!»
«Perché credi che Elaijah darà retta a me?
Quello lì non ascolta nessuno se non il suo spregevole ego, alimentato da mio zio e da tutte quelle storie che gli ha inculcato fin da bambino...
Ma un conto era forgiare un solo fanatico del satanismo e fargli credere che fosse il prescelto, un altro ancora è dare il via ad una rivoluzione che causerà solo morti!»
«O perché hai paura di perdere il tuo posticino da demone privilegiato? Brutta storia il comunismo,eh?
Onestamente non sto della parte di nessuno, perché non sono un vero cacciatore, come non sono un fottuto stregone o qualsiasi altra scemenza voi folli abbiate partorito poiché troppo pigri per cercarvi un vero lavoro...»
«Detto da uno che fa il doppiogioco da mezzo decade, beh!
Come sei finito a lavorare per un cacciatore che la fa in barba a tutta la Hunter?
Chi è questo Kelly? Non credo di averlo mai sentito...»
«Non so se davvero si chiami così...la prima volta che l'ho visto è stato 6 anni fa, o un qualcosa del genere! Ero un ragazzino, ero scappato dal mio paese perché non avevo letteralmente più un cazzo per cui restare...»
«Niente famiglia? Sei orfano…?»
«Tsk! Magari…almeno avrei potuto ricominciare daccapo senza pensare a tutta la merda che mi porto dietro! Famiglia? Diciamo che non è che fregasse loro granché di cosa facessi o meno...mia madre era quella che era, mio padre non l'ho mai conosciuto e l'unica persona che avrebbero dovuto fregarsene di me era mio fratello, ma spero stia scontando in prigione anche le malefatte commesse concepito in grembo...
Non c'è molto da dire, demone di sangue blu!
Sono scappato dalla Francia su un treno merci, mi sono imbarcato su una cazzo di nave che non sapevo nemmeno dove conducesse e sono arrivato...qui, nel paese delle grandi occasioni e ho ricevuto solo calci in bocca! 
Ho dormito per mesi nei dormitori e sono stato derubato più delle volte in cui effettivamente ho chiuso occhio...solo alla fine ho trovato un posto dove stare, ma sono dovuto andare via da Londra… a Southampton!»
«Ti sei rilegato a sud, uh? Che diavolo c'è laggiù?
È un bel posto dove si ritirano vecchi e pigri lords nelle loro case sul mare, ma è anche il covo di tutta la marina inglese...»
«È un ottimo punto di comunicazione!
La maggior parte delle informazioni passano da lì, ma all'epoca che ne potevo sapere?
Un pazzo scelse di assumermi, facevo da sfossa morti per una sorta di professore del posto, lo conoscevano tutti e tutti si tenevano alla larga dal suo laboratorio!»
Il demone sbatté le palpebre più volte, faticando quasi ad immaginare la scena.
«Lavoravi per....un becchino, fai sul serio?»
«Non credo fosse un becchino, sembrava quasi una sorta di ricercatore, si faceva chiamare “professor Thanatos”,  ma non è il punto!
Anni fa questo Kelly fu mandato da uno dei nostri superiori in missione a sud, proprio a Southampton! Prima di allora non sapevo nemmeno che cosa diavolo fosse la Hunter, ero solo un moccioso di 16 anni senza alcun interesse al mondo che non fosse quello di campare alla giornata...Thanatos non faceva domande, non gliene fotteva proprio se fossi un disgraziato o un santo, ma non potevo rimanere lì in eterno, o avrebbe usato anche me come cavia per qualche suo esperimento, quindi già progettavo di andarmene…
Finché una sera non mi accorsi che proprio quel tizio si era introdotto nel laboratorio del professore! Non so cosa stesse cercando, ma ti posso assicurare che c'era qualcosa di strano...
La prima volta non mi scoprì e io non dissi niente a Thanatos, ma ci tornò la notte dopo e allora cercai di aggredirlo ma ovviamente ne sono uscito vivo solo perché quel giorno  il capitano stronzo aveva la luna nel verso giusto!»
«E ti ha lasciato andare?» 
Quentin scoppiò a ridere, negando con l’indice verso l’alto.
«Pff, Kelly non fa mai niente per niente!
Mi disse che si faceva chiamare Evgenij Novacek dai suoi compagni, che era un soldato della Hunter inviato sul posto per la misteriosa sparizione di alcuni cadaveri nella zona e che il professore era il sospettato, ma che in realtà si stava approfittando della sua missione perché era alla ricerca di alcuni indizi per conto di qualcuno...e cercava anche lui quel libro!»
«Cosa...? Un Hunter che cerca il Grimorio? Per conto suo? Questo non ha alcun senso! Perché lo hai aiutato?!»
«All'inizio non volevo farlo! Ma era l'unico modo per uscire vivo da quel posto...perché ti posso assicurare che non è uno che si fa problemi nel sporcarsi un po’ le mani!
Mi disse che avrebbe potuto offrirmi un posto migliore dove stare, vitto e alloggio... Naberius, ero spaventato!
Gente folle che mi parlava di mostri, creature che al massimo avevo sentito nominare nelle storie che mi leggeva mia madre da piccolo, che potevo fare? Alla fine non avevo niente da perdere e sono andato via con lui; l'accordo era molto semplice, sarei stato i suoi occhi ed orecchie nel campo e lui mi avrebbe fatto entrare nell'associazione e loro non avrebbero mai fatto domande del come o del perché fossi arrivato lì senza alcuna preparazione.»
«Sei veramente folle! Era meglio restare a lavorare dal becchino, lo sai?»
«Perché non hai conosciuto quel tizio, al massimo!
Ad ogni modo, all'inizio pensavo che Kelly fosse solo uno spaccone che giocava a fare il ruolo del boss, ma poi nel tempo ho cominciato a capire che era uno che faceva sul serio...e tutto è andato in malora quando una sera sono andato con lui a Londra!
Circa, 4 anni fa?
Non saprei dire con precisione...»
La mente del giovane hunter ripercorreva quella sequenza di sfortunati eventi come un indice, tuttavia la sfortuna c’entrava ben poco, poiché tutto era stato coscientemente scelto passo dopo passo, e ne lui e nemmeno Naberius avrebbero potuto sottrarsi a quel giudizio, se mai un giorno sarebbero stati chiamati a rispondere delle loro gesta.
«Kelly era divenuto capitano da non molto e io il suo secondo, il suo Lancillotto tenuto abilmente per le palle; venne qui perché doveva incontrare qualcuno, in un convento, onestamente non ricordo dove fosse, ma credo si chiamasse Sant'Edoardo!
Non avevo idea che uno così potesse anche solo calpestare il sagrato di una chiesa, ma non sono andato con lui quella sera, perciò non ho mai indagato troppo su chi o cosa dovesse cercare…
E proprio quella sera, al Circus, c’era in spettacolo quel bastardo con la faccia da dio greco proprio in scena!»
Naberius sorrise, senza alcun accenno di letizia, quanto più mesta coscienza.
«E sei entrato nel suo teatro…»
L’altro annuì, senza più dover concedere ulteriori spiegazioni.
«E sono entrato nel suo teatro e non ne sono mai più uscito.»
«Non direi se ora sei qui e come me stai dubitando, non pensi?»
«Ma che intrigo interessante è mai questo, cadetto Queensbury? Non ti ricordavo così loquace sul campo di battaglia, ma vedo che nel tuo ambiente sei abilissimo con quella lingua bugiarda…non è vero?»
«Che co...»
«Capitano?! Che diavolo ci fate…qui?» 
«Dimmelo tu! Non ricordavo che facessero anche il corso per baristi nella Hunter, ma per alcolizzati…»
La conversazione dei due giovani uomini venne bruscamente interrotta dall’arrivo di due gomiti appoggiati di spalle contro il marcio bancone del bar, proprio accanto a Naberius, affatto a suo agio alla presenza di quella donna che li aveva appena raggiunti; Quentin aggrottò le sopracciglia colto di sorpresa, sviando completamente il discorso con un’espressione beffarda.
La risata contenuta del cacciatore fece solo da sottofondo opaco alle orecchie di Eris e del demone dai capelli argentei, che si guardarono negli occhi per più istanti del necessario, coinvolti da un silenzio quasi inquietante; la Griffith rimase sinceramente affascinata da quel viso così particolare, ridendo sotto ai baffi, l’altro invece rimase in una bizzarra allerta, confermata dal tatuaggio sul dorso della mano scoperta della donna. Il fiato di Quentin si azzerò istantaneamente, ma prima che potesse cercare qualsiasi valida spiegazione, l’ex capitano levò dalle mani del ragazzo il bicchierino che aveva appena riempito, calandoselo d’un fiato.
«Non fare quella faccia, Quentin, non sei più al cospetto di un tuo superiore, dopotutto è anche grazie al tuo omertoso silenzio se sono dove sono e francamente? Ti devo ringraziare…»
«Eris…io…»
Quella lo fermò con uno sguardo assai sinistro, quasi nascosto sotto i capelli scuri scompigliati che avevano ripreso ad allungarsi verso le spalle; il ragazzo finì per mordersi la lingua, indicando poi con gli occhi scuri lo stesso demone.
«Lui è un amico…si chiama…»
«Naberius Pheles, ho sentito il suo nome lungo la strada dalle stesse bocche infamanti che si coprivano le labbra con degli eleganti ventagli di pizzo! E io che credevo che 10 anni avrebbero portato un cambiamento più netto ma…la gente è sempre uguale: una merda. Un giro al tuo ex superiore non lo offri, ragazzino?»
«Capitano…non siete ancora tornata a casa…? Sono passati giorni, vostro padre…sarà in pensiero per voi! Brando era venuto a cercarvi, non vi ha trovata? O Trystan…»
«Hai ansia di rivedermi alle dipendenze dell’ennesimo uomo incapace, che trama alla mie spalle, Quentin? Perchè io no, e tu?»
Il battere del fondo del bicchiere fu brusco abbastanza da rimettere il giovane hunter nuovamente al suo posto, sotto il cipiglio grave e ombroso della donna poco più grande, la quale spinse il vetro vuoto proprio sotto il naso dell’altro. Naberius avvertì una tensione più angosciante della precedente, tuttavia non sapeva ancora dire se fosse per il fatto che era circondato da cacciatori oppure perchè c’era qualcosa di profondamente strano in quella giovane, che lo inquietava, alchè nascose sotto il palmo della mano l’anello rimasto sul legno consumato.
Prese le redini al posto di Quentin, forse ancora turbato da quelle parole, versando al posto suo lo  stesso liquore dorato dall’odore stomachevole; posò la bottiglia sul bancone e le riavvicinò il bicchiere con due dita, quasi fosse stata una fiche da gioco.
«Non siete una che nutre sconfinato amore per gli uomini…madame, e posso capirne la ragione! L’essere umano, seppur straordinario, ha la consueta abitudine di deludere…»
«Naberius che ca…»
Prima che Quentin potesse zittirlo, il demone lo fermò con un gesto tenue della mano, sapendo già di essere stato scoperto dal primo istante, tuttavia non scappò come avrebbe fatto chiunque, restando piuttosto seduto sullo sgabello di quella bettola molto più affollata, il cui trambusto fu solo un lontano eco per le loro orecchie, specialmente per le sue e per quelle di Eris, che accarezzò il bordo di vetro del bicchierino con un sopracciglio inarcato. Sebbene i suoi occhi fossero annebbiati dalla mestizia, riuscì ad ammirare pienamente la bellezza di quel viso, luminoso come mai, forse l’unico essere degno di nota in quel desolato ambiente prossimo al declino totale. 
«Se mi parlate con un simile garbo e raffinatezza, my lord, dovrò proprio esimermi dal  mettervi in prigione...e le segrete Hunter sono un posto squisito dove trovare topi, merda e sesso scadente! Ma immagino che uno come voi non sappia nemmeno di cosa sto parlando ma, ad ogni modo...Eris Griffith!»
La giovane gli allungò proprio la stessa mano marchiata dal sigillo, un profondo segno di disprezzo verso tutto ciò che rappresentava ed ebbe rappresentato per lei fino a quel giorno; il demone rimase meravigliato da quel gesto, tutto sotto gli occhi spaesati del ragazzo che non si sarebbe affatto aspettato quel risvolto, sotto gli occhi di molti all'interno della taverna che ebbero trovato assai insolita quella nuova presenza, una minaccia poco chiara, una che lo stesso Naberius fece fatica ad identificare. Allungò incerto la mano, ma a stringerla fu proprio la stessa cacciatrice con una presa quasi d'acciaio. Una scossa potente attraversò l'intero braccio del marchese al punto da immobilizzarlo su quella seduta, morsa che apparve praticamente senza significato per la cacciatrice, la quale attese che l'altro potesse presentarsi, ma Quentin lo batté sul tempo. 
«Lui è...un amico, solo  un amico, di vecchia data, dai tempi di Parigi!»
«Ah sì, uh? E ti dovrei credere? Guarda che non mi importano più i tuoi giochetti, Quentin...
Non mi importa chi stai coprendo, per chi lavori, se c'è dietro quel pezzente troppo alto per noi comuni mortali oppure altra gente che si muove dietro le quinte; sono arrivata al punto che, per quel che mi concerne, puoi prendere questo bel demone e scopartelo...senza vergogna! Oh si, hai capito proprio bene…»
«Da quanto lo sapete, madame?»
Chiese lo stesso marchese, mantenendo però un temperamento contenuto, a differenza del cacciatore, prossimo ad una crisi di panico quasi divertente, come se fosse l’unico ad accorgersi della gravità della cosa, ma non quei due improbabili clienti del Molly Malone, seduti l’uno accanto all’altro; era come vedere un agnello discutere con un macellaio, davanti ad un’amichevole birra, o quasi. La Griffith sorrise a quella domanda, portando lontano dal viso i corti ciuffi scuri all’indietro, guardando nostalgicamente il fondo quasi vacante della bottiglia.
Pensate che mi abbiano fatto capitano solo perchè sono…di promiscua indole? No, non basta per ricoprire un ruolo così schifoso, e se posso darvi un consiglio spassionato, da nemico a nemico, avete scelto l’aspetto più appariscente che ci fosse per confondervi tra…beh, questo ciarpame, ma non è soltanto il vostro involucro a tradirvi, o il vostro nome, che sarebbe perfettamente confondibile con qualsiasi altro pomposo nomen disceso dal lume di un letterato.»
Il demone si sorprese, esortandola a continuare con il semplice sguardo. Eris sospirò, incrociando nuovamente i suoi verdi occhi con quelli cobalto dell’altro, non sbattendo quasi le palpebre.
«Siete esattamente come un sogno, my lord, surreale, camminate fra gli uomini perché ne conoscete bene i vizi e così vi confondete, tra noi, ma basta starvi accanto per sentire che manca qualcosa…una parte che non tornerà mai più, non importa quante anime possiate mangiare per riempirvi la pancia, rimarrete per sempre incompleti!
Destino infausto, non pensate?»
Commentò Eris quasi retorica, tirando fuori una sigaretta dalla scatola d’argento dentro il suo cappotto, e assieme ad esso un accendino che fece una discreta fatica a volersi accendere; il demone, previdente, riprese il suo stesso accendino, sostituendolo a quello della capitana proprio all’estremità della sigaretta appesa alle sue labbra, ma non l’accese, non subito, esternando così quel dubbio che lo aveva attanagliato dal primo momento che la ragazza si era avvicinata a loro in quel pub.
Pheles, inizialmente col capo basso, lo sollevò verso l’alto, mostrando uno sguardo perfino più incerto e mesto di quello dell’altra, che non capì cosa stesse aspettando per accenderle quel mozzicone.
«Ironico, in realtà, come possiate conoscere così bene questa sensazione di sofferente inadeguatezza che tormenta la nostra specie, al punto che, per un vivido istante, si, posso dirlo…vi ho sinceramente scambiata per una di noi.»
Ci fu un momento di silenzio che quasi lasciò Quentin senza fiato, non sapendo nemmeno lui cosa dire, quasi esterno a quella scena che non riusciva nemmeno a comprendere, una lingua che solamente quei due sembrarono capire, o forse erano solo i vaneggi di due pazzi ubriachi di scadente brodaglia da due soldi, ma chi poteva dirlo?
Eris ascoltò quella confessione quasi in religioso silenzio, concedendosi un amaro riso sommesso, avvicinandosi il giusto alla fiammella ora accesa. Aspirò, sbuffando una grigia nube verso il lato opposto, con una mano sulle tempie doloranti dalle numerose sbornie di cui era reduce, accusando lei stessa quei vaneggi a semplici sibili di poca importanza.
«L’unica cosa che mi consola, allora, è il fatto che la pensiamo allo stesso modo, perchè la differenza è pressochè inesistente tra le due cose, “razze”, cambia solo la lunghezza del castigo…e mi auguro che il mio non duri quanto il vostro, demone dal viso d’angelo, altrimenti si che potrò considerarmi dannata tanto quanto te, non che già non lo sia, in qualche modo!»
Concluse senza girarci troppo attorno quella, lasciando una sgualcita banconota proprio nel taschino della giacca di Quentin, che guardò superficialmente, ma non abbastanza dal chiarirgli quel concetto già anticipato. 
«E tu torna pure a respirare, moccioso…non mi interessa quali siano i tuoi rapporti con lui, o con questa tana…di imbecilli delle fiabe Grimm, anzi, se vedi Brando ribadiscigli il concetto di non cercarmi, o meglio ancora, se ci tenete ancora un po alle vostre vite fatevi un favore ed imbarcatevi entrambi per l’Italia, magari laggiù si sta meglio di qui!»
«Eris…io non volevo tradirti, ma Evgenij…lui mi ha..»
«In nome di Dio, per una volta che non cerco vendetta per la mia faccia non mettertici anche tu, patetico doppiogiochista che non sei altro! Ti sto dicendo di lasciare perdere perchè lo conosco, e non finirà bene nemmeno per una spia come te, qualunque sia il tuo, il suo, oppure ancora peggio…-»
Si voltò verso Naberius, osservando proprio il suo anello sotto il pugno semichiuso.
«-...il vostro ruolo in questa storia!» 
Il riccio cacciatore si scrollò di dosso la presa della Griffith, forse stanco di essere trattato come un bambino perfino da una donna, ora non più ufficialmente sua superiore, tirandosi indietro fino alla parete dei liquori, che urtò con le stesse spalle.
«Se la metti così, allora, smetti di sentirti in obbligo di preoccuparti per un “moccioso” senza alcuna importanza, oh mio capitano Griffith, che così tanto ha fatto per i suoi sottoposti ma così poco per se stessa…»
«Quentin, lascia stare, adesso è l’alcool a parlare!»
«E tu stanne fuori, ipocrita coglione che non sei altro…»
Il demone cercò di mettersi quasi in mezzo, ma con un gesto sdegnato lo stesso Queensbury lo respinse, attirando sempre più l’attenzione dei clienti su quel trio scoppiettante, ormai cuore dell’intrattenimento della serata. Eris non si fece affatto impressionare da quella reazione, forse troppo stanca o indolente per potersi intromettere nell’ennesima battaglia persa, tuttavia riconobbe quello sguardo celato dai ricci castani del ragazzo, uno che Naberius nascondeva col pudore, o forse con l’innato autocontrollo di chi umano c’era stato più secoli addietro di quanti potesse ricordare. La donna si rimise silenziosamente il guanto sulla mano marchiata, lasciando la sigaretta accesa nell’altra a fumare verso l’alto, rendendo l’aria sempre più offuscata.
«Se pensi che mi stia preoccupando ora, sei in errore, perché se lo avessi fatto davvero avrei evitato i tuoi numerosi “viaggi” alle spalle dell’associazione, ma non l’ho fatto, nemmeno una volta!
Onestamente cosa ci fosse tra te e Kelly, francamente, non m’importa più di tanto, perchè se così fosse dovrei spararti e non mi va proprio, perchè cadrei nuovamente nello stesso circolo vizioso nel quale tu stesso sei già entrato, e non è colpa di Kelly, o almeno non di questa specifica parte, su ciò sono più che sicura!
Riconosco quello sguardo…lo sguardo di chi ha puntato tutto se stesso sul cavallo sbagliato…e non sono sorpresa che anche tu ti sia potuto sbagliare…a differenza…del tuo compare, si intende!»
«Vi credevo lontana dall’essere una donna giudicante, miss Griffith…non vorrete mica farmi pentire tutto d’un tratto, vero?»
«Oh, io non vi sto giudicando, marchese del diavolo, vi sto compatendo, che è perfino peggio, e se come il vostro sguardo mi conferma anche voi potete soffrire tanto quanto noi, allora, non ci resta che crepare tutti quanti!
Questo, marchese, è ironico, molto…Ah! Ah! Ah!
Oh, a proposito…vi consiglio di dare velocemente un’occhiata ai giornali di oggi, my lords, mi sa che qualcuno di cui tanto vi fidavate ha tradito il vostro segreto, e mi domando proprio…chi possa essere….voi no?»

╰⊱♥⊱╮╰⊱♥⊱╮

«CHARLOTTE?! CHARLOTTE!»
«FERMATEVI, VI DICO! MA COME OSATE?! QUESTA E’ LA CASA DI DIO, NON POTETE ENTRARE IN QUESTA MANIERA!
VI HO DETTO DI FERMARVI, MISS, MA COSA VI DICE IL CERVELLO?!
SUOR ANNABELLE, QUESTA DONNA DEV’ESSERE COMPLETAMENTE USCITA DI SENNO! Ho cercato…di fermarla, ma non c’è stato verso, io…»
«Non preoccupatevi, sorella Agnes, miss Burke non è una minaccia poi così grande come credete, lasciatela pure entrare, insisto.»
«M-ma…ma la Madre Superiora ha espressamente vietato visite inattese dall’esterno…»
«Placherò io la sua ira, in quel caso, sorella, non preoccupatevi!
E ora, lasciatemi pure alla collera di questa…donna? Possiamo definirla tale, miss Evelyn?
La ringrazio, suor Agnes, e ora ci lasci sole.»
La quiete del Sant'Edoardo quel giorno venne infranta da una presenza inaspettata, o forse non poi così tanto per suor Annabelle la quale, dopo aver congedato la povera sorella stravolta, continuò serafica a pettinarsi i lunghissimi capelli cioccolato, non più costretti come sempre sotto a quel soffocante e indesiderato velo. Saul stava con il petto ansante proprio sul ciglio di quella cella, piccola, un po come tutte quelle riservate alle consorelle, spoglie e prive di tutto, se non per un letto, uno scrittoio e un rosario per pregare un Dio che non avrebbe mai risposto a quegli infiniti lamenti.
Charlotte, seduta di spalle, pettinò i suoi capelli quasi stesse suonando un’arpa invisibile, percependo la collera, lo sdegno, forse anche la delusione della sorella minore senza nemmeno rivolgerle uno sguardo, limitandosi così a sogghignare, con i grandi occhi nocciola verso la finestra sbarrata che stava proprio dinanzi a lei.
«Evelyn, che cosa ti succede? Ti sei ammutolita? Non parli più? Eppure le tue urla sono state udite forti e chiare fino ad un attimo fa da me, tutte le consorelle e forse anche i santi…»
«Come se te ne fregasse qualcosa di questo posto, o delle tue…”consorelle”, o della tua madre badessa dei miei stivali, Charlotte! Questa commedia da quanto tempo va avanti? Quanto tempo?»
«Disse colei che si comporta e veste da uomo da talmente tanto tempo che forse nemmeno sa com’è fatto il corpo di una donna…ironico, patetico? Poetico? Scegli tu, sorellina…
Ma almeno una cosa posso dirla, in favore delle mie consorelle!»
Il tono docile e falso della giovane suora venne mandato al diavolo nell’esatto istante in cui posò la spazzola sulla scrivania di noce, appoggiando il peso in avanti, con le mani sulle sue ginocchia, voltando indietro il capo per poter incrociare finalmente la sua piccola e mai dimenticata sorellina, ormai molto più cresciuta di come l’aveva lasciata anni prima, ora un gentile fiore coperto da stracci contro natura. 
Saul strinse quasi meccanicamente il giornale che aveva in pugno, non avendo più alcun dubbio sull’identità della donna che aveva visto, sentendo il fiato quasi venirle meno, tuttavia non indietreggiò, avanzando invece verso di lei, che continuò a fissarla come se fosse stata uno scherzo, una triste barzelletta.
«Nessuna di loro ha dimenticato ha dimenticato la mia esistenza, Evelyn…nemmeno una, in 5 lunghi anni, nessuna di loro mi ha mai lasciato indietro!»
«Non vorrai davvero recitare la parte della sorella incompresa per giustificare le tue azioni, vero? Non con me, Charlotte, non farlo, perchè non sono io la persona da ingannare, perchè l’unica che viene presa in giro qui, sei tu!»
«Mmmm….interessante! La sorellina zitta ed ubbidiente che viene a mostrarmi gli artigli? Però, a cosa devo questo cambiamento? Sarà forse quel giovane tanto attraente che ti portavi appresso l’altro giorno che ha risvegliato in te questo selvaggio impeto?
Oh si, ti ho vista, tanto quanto tu hai visto dopo me…non siamo poi così diverse, noi Burke! 
Guarda Yvonne, dopotutto, non faranno una fine poi così lontana anche quelle altre due puttanelle ingrate di Rosemary e l’altra,di cui a stento ricordo il nome!»
«Si chiama Olivia, non fingere di non saperlo!»
«Ops…scusa, mi era sfuggito di mente, sai, siamo così tante e tutte così sacrificabili che quasi non ci distinguo nemmeno più..e non fingere che non sia così, Evelyn..»
«MI CHIAMO SAUL,  SMETTILA CON QUESTO DANNATO EVELYN! SAUL E BASTA!»
Miss Burke sbattè sulla superficie legnosa il giornale masticato, causando uno spostamento d’aria che scosse appena la lunga criniera della sorella maggiore che non si mosse nemmeno, guardando appena con la coda dell’occhio il titolo sbiadito in prima pagina, non mutando ne d'espressione o altro, tornando così a guardare in faccia la stessa Saul, rossa di rabbia e chissà che altro.
Charlotte fece spallucce, come a non sapere che cosa fosse, sbadigliando seccata.
«Non so se essere più annoiata dalla tua farsa oppure da questa carta straccia che ti porti dietro, ma il fatto continua a non cambiare, sorella, oppure se vuoi ti chiamo fratello…»
«Vorrei tanto schiaffeggiare quella tua faccia arrogante e fartela mangiare questa carta straccia! Hai idea di che cos’hai fatto con la tua bravata? Con le tue stronzate? Mio Dio, sei una suora, per tutti i santi, che cazzo ti dice il cervello?»
«E tu sei una donna, o almeno, se non ricordo male quando mamma ti ha partorita ce l’avevi tra le gambe proprio come tutte noi, a meno che non sia cambiato qualcosa nel tempo, se vuoi posso controllare io per il tuo fidanzato!
Forse non si è ancora fatto avanti perché pensa che la sotto ci sia una sorpresa…»
Con impudenza, Charlotte osò avvicinarsi con una mano al cavallo della sorella, ma quella non ci vide più, ricambiando quel gesto sfrontato con uno schiaffo amaro proprio sulla guancia della suora, che vacillo appena verso la scrivania, tuttavia nulla cambiò sul suo viso, se non un evidente rossore.
Quel ghigno divertito non se ne andò.
«Non te ne accorgi proprio, vero, Saul? Non lo vedi da sola che viviamo in una prigione dove ci hanno spinto senza il nostro consenso, giusto? Mi guardi come un’appestata, ma io non mi pento proprio di niente…perchè non ho niente di cui vergognarmi, come nessuno potrebbe farti una colpa di ciò che davvero provi dietro a questa messa in scena che perpetri per amore di un vecchio che di noi se ne sbatte…»
«Papà ha evitato che tu finissi in una casa di cura!»
«Oh beh, mi ricorderò di ringraziarlo per avermi spedito all’inferno, e lo sai benissimo anche tu perché sono qui! QUELL’UOMO SE NE FOTTE DI NOI, SI E’ SBARAZZATO DI ME PERCHE’ NON GLI SERVIVA UNA FIGLIA STERILE RIPUDIATA PUBBLICAMENTE DA SUO MARITO, QUINDI PERCHÉ NON FARLA DIVENTARE SUORA, GETTARLA IN UN CONVENTO E BUTTARE VIA LA CHIAVE?UH?
Suona bene come storia per una commedia drammatica, non pensi anche tu? O anche meglio, “Padre obbliga l’ennesima figlia femmina a fare il maschio di casa perché il suo arnese non è in grado di produrre un figlio maschio a cui lasciare tutto!” 
Che te ne pare, Saul? Non ti ricorda la storia di qualcuno? A me si, ma sei troppo plagiata dalle sue stronzate per guardare oltre.
Io invece l’ho fatto…»
«Tra le grazie di un uomo come Cillian Darcy, Charlotte? Così scegli di alleviare la tua pena? Fra le braccia di uno dei più grossi vermi che la terra abbia partorito? Perfino sposato?»
Charlotte roteò gli occhi, leggendo brevemente il titolo di quel giornale e le prime righe, nascondendo appena un'amara risata, restituendo poi al mittente quei fogli, quasi fosse stato un passaggio di palla avvelenata.
«Cillian almeno non mi ha costretta a prendere i voti, a rinunciare al mio nome, alla mia eredità o alla vita…quindi farei attenzione a proclamare l’innocenza di un uomo così discusso come il nostro vecchio, non pensi?
Tra tutte le accuse, quella di pederastia sinceramente non l’avrei detta, ma devo dire che inculare le persone probabilmente gli riesce meglio che fare il padre, non lo pensi anche tu?»
«BASTARDA, PERCHE HAI DETTO QUESTO A QUELL’UOMO? SAI BENISSIMO CHE CILLIAN DARCY VOLEVA TOGLIERCI DI MEZZO DA TEMPO E PER VENDICARTI HAI TRAMATO ALLE SPALLE DELLA TUA STESSA FAMIGLIA?
HAI IDEA DI CHE COSA ACCADRA’ ALLE NOSTRE SORELLE? LASCIA STARE QUELL’UOMO, O ALLA MAMMA? Non può nemmeno più badare a se stessa, lo capisci?!»
«E…?»
«Cosa…? E…?»
L’espressione sul volto della suora divenne di pietra, non trasparendo la benché minima empatia o anche solo preoccupazione, tuttavia non parve gioirne, guardando quasi diffidente le parole incise inchiostro su carta di quel giornale, voltando così le spalle alla sorella minore, tornando seduta allo scrittoio, di nuovo con la spazzola in mano.
«Mi parli del loro futuro, ma del nostro? Del nostro che ne è, sorellina? Conta meno del loro, forse? La nostra felicità vale meno della loro? Se provo pena per qualcuno, a parte per quella povera anima di nostra madre, che ha smesso di ragionare ancora prima che tu avessi il tuo primo sangue, sei tu.
Non Yvonne, non Rosemary, non Olivia, ma tu, forse l’unica che si è ricordata in questi anni dove fossi, o cosa ne fosse stato di me, e questa è l’unica cosa che mi ha tenuta dal denunciare le perversioni di quel vecchio, quindi, se vuoi trovare un altro colpevole, volgi il tuo capo altrove, dolce Evelyn, perchè io non c’entro proprio nulla.»
Il cuore di lady Burke cominciò a battere sempre più forte, sempre più confuso, vacillando lei stessa con la schiena contro il freddo muro di pietra, cercando fra quelle pareti una spiegazione logica,ma non tardò ad arrivare, poichè Charlotte le rispose in anticipo, iniziando ad acconciare i capelli che avrebbe a breve nascosto, di nuovo, sotto quel velo.
«Non so cosa tu abbia visto…»
«Abbastanza.»
«Tsk, prevenuta e suscettibile come sempre. Eppure, se avessi visto a sufficienza, sapresti che la mia relazione con Cillian non ha niente a che fare con la nostra famiglia, tutt'altro, quindi dubito fortemente che un uomo come lui abbia interesse a rovinarci, a maggior ragione ora che suo figlio deve…anzi, mi correggo, doveva, sposare una nostra sorella.»
«D-doveva?»
«Pensi che qualcuno ora, dopo simili accuse, vorrà avere più a che fare coi Burke? Cillian non avrà scagliato la prima pietra, ma non resterà a prendersi la pioggia di sassi, e su questo posso ben giurarci.»
«Ma allora…-»
Come un lento torpore, Saul sembrò svegliarsi da quell'incubo fatto di menzogne e tradimenti, arrivando a prendere tra le sue mani le spalle della sorella maggiore, nella speranza che potesse rinsavire, o almeno tirarsi fuori da una faccenda troppo grande per una come una come lei.
«-...che cosa vuole quell’uomo da te, alla fine?»
«Cosa mai potrà volere un uomo da me, Soul? Se connetti i neuroni ci potresti anche arrivare…»
«Smettila con le cazzate! Pensi veramente che uno come lui, se avesse voluto, avrebbe dovuto infilarsi in un convento per cercarsi un’amante? Svegliati Charlotte, non fingere di essere cieca, non fino a questo punto.»
Le sorelle Burke si guardarono negli occhi per un vivo istante, tuttavia la maggiore non sembrò voler ascoltare del tutto quel tarlo che la stuzzicava da ormai troppo tempo, mettendo una mano su quella candida di Saul, quasi a spezzare quel contatto ricercato che mancava ad entrambe da tanto tempo.
«So bene che tipo di persona si è infilata in questo posto e nelle mie grazie, e non pensare che non sappia che mi sta solo usando, ma possiamo definirlo un mutuo rapporto di lavoro?»
«Charlotte…quell’uomo è pericoloso, non scherzarci! Che cosa vuole da una suora? Da te?»
«Non sono io il problema, io sono solo il mezzo…il suo interesse è oltre questo muro, in realtà! Una suora arrivata qui da più tempo di me in realtà, non la conosco bene, ma so che cercava informazioni sul suo conto e anche su quello di un bambino nato all’incirca una 27 anni fa..senti, ora sono io a chiederti di non infilarti in questa storia, ok? Me la vedo io con Cillian, tu tornatene alle tue faccende e al ragazzone del sud che tanto ti piace.»
«LASCIA PERDERE DUNCAN E CONCENTRATI!»
«Ohhh, Duncan? Che nome affascinante…e dimmi, glielo hai detto che al nostro Duncan che sotto questi ingombranti vestiti c’è una regalo che aspetta di essere scartato da diversi anni o…?»
«Charlotte, smettila, sono seria.»
La suora annuì, roteando gli occhi, prima di tornare a fissare i lembi del suo velo sopra la nuca, facendo così sparire quella folta chioma una volta ancora sotto gli occhi affranti dell’altra, che l’aiuto lei stessa ad indossarlo, e non senza una certa riluttanza.
«E quando mai non lo sei, Saul? Ma voglio rammentarti questo, prima che tu esca di nuovo da quella porta e finisca in pasto ai giornalisti, alla società e tutto il resto! La famiglia è quella che dovrebbe curarsi di te quando sei ferito, in disgrazia, non si vede certo solo durante i festeggiamenti, quindi ora scoprirai chi davvero potrai chiamare amico e non ti basteranno due mani per contare quanti vi volteranno le spalle…
Ma per quel che vale, io per te ci sarò sempre, anche se potrò farlo solo tramite queste vesti!»
«Oh, Charlotte…»
Le magre ed esili braccia di Saul strinsero il più forte possibile la donna a sé, anche se per poco, visto che il suo piombare in quel modo non sarebbe affatto passato inosservato, costringendo le due sorelle a doversi sciogliere pure troppo presto. Suor Annabelle, ora, accompagnò silenziosa l’ospite alla porta della sua cella, aprendola con un silenzioso scatto, eppure, appena ferme sulla soglia, Saul guardò la silenziosa e ultima cella in fondo a quel tunnel infinito di porte chiuse, con un sopracciglio assai sospettoso, guardando poi complice la donna.
«Quella è la cella della…?»
«Si, è quella, la cella di Maria Celeste, o almeno così la chiamava lui. »
«Ed è sempre così spettralmente silenziosa? O almeno respira? »
Quel dubbio mise in allarme entrambe le sorelle, che si avvicinarono quasi di soppiatto alla stessa pesante porta di legno; la maggiore si permise di bussare, forse a mantenere un certo decoro, ma Saul non fu certo dello stesso avviso, spiando direttamente dall’apertura in alto con le mani oltre la grata.
«Cazzo…»
«Cosa?! Che c’è?!»
«Charlotte qui non c’è un gran cazzo di nessuno; la suorina tanto buonina ha levato le tende!»
«COME!?»
Senza attendere un ulteriore istante, suor Annabelle prese la chiave appesa accanto alla cella di suor Maria Celeste, aprendo frettolosamente la stessa porta solo per trovarsi entrambe davanti proprio il peggiore degli scenari: la cella era vacante, meticolosamente sgomberata, come se nessuno l’avesse abitata per anni, celando perfino con un colpo di vernice e stucco i graffi che avevano albergato su quei muri fino ad allora.
«Opera del tuo uomo?»
Chiese nervosamente la più giovane alla più grande, la quale negò fermamente col capo, stringendo quasi meccanicamente i grani del suo rosario, rischiando perfino di romperlo.
«No, se c’era una cosa che Cillian voleva era che quella donna marcisse qui dentro fino alla fine dei suoi giorni, quindi escludo un suo cavalleresco salvataggio!»
«Ma allora chi altro sapeva di lei, oltre a te?»
«Bella domanda, sorella, bella domanda per davvero.»

╰⊱♥⊱╮╰⊱♥⊱╮

«Signorino Duncan? Signorino Duncan?! Signorino Griffith, per l’amore del cielo, sono ore che sta qui fuori a cercare di centrare quel dannato bersaglio, eppure non ci è arrivato granchè vicino, perciò ora mi dia retta!
Vada a farsi un bagno e si metta a posto, prima o poi dovrà incontrare Miss Lovett e farlo proprio la prima notte di nozze, beh, non sarà proprio comodo…»
«Vattene via, Barnabas! Non vedrò proprio nessuno, men che meno quella viziata e arrogante di Beatrix…di a mio padre che prima di farmi un colpo così basso poteva almeno avvisarmi!
Per lo meno c’è chi sta peggio di me, ma non mi pare certo una scusa valida per incu..»
«I modi li abbiamo lasciati a casa Darcy con la festa del cafone prodigo?»
«Oh, fammi il favore, come se non sapessi di cosa parlo!»
Con un sospiro degno di nota, il maggiordomo di casa Griffith finì per mettersi stancamente una mano alle tempie, guardando con la coda dell'occhio il futuro padrone di casa scagliare con il suo arco delle sbilenche ed imprecise frecce contro un bersaglio realizzato con sacchi di paglia impilati su una stecca. Un antistress degno di nota, tuttavia niente avrebbe potuto alleviare il malumore del giovane Griffith, ormai alterato dalla sera in cui aveva scoperto l'ennesimo tradimento da parte del padre alle sue spalle. 
Puntò nuovamente l'arco verso il bersaglio, scoccando l'ennesima freccia che centrò quasi di striscio l'obiettivo, conficcandosi invece nella parete della stalla; Barnabas non si sorprese, incrociando al petto le braccia.
«Senti...ragazzo, posso immaginare come ti senti, ma ormai hai un'età in cui non possiamo più fingere che le cose siano diverse da come appaiono!
È vero, tuo padre avrebbe dovuto dirti dei suoi piani, di miss Lovett, ma cosa avrebbe ottenuto? Il tuo ennesimo rifiuto, anche a questo?»
Il rosso grifone guardò furibondo il maggiordomo, indeciso se lanciare per aria lo stesso arco o farlo perfino a pezzi, tuttavia lasciò perdere rimettendolo esattamente dove l'aveva trovato, sebbene la tentazione di spezzarlo in due fosse notevole.
«Mia sorella ha perso suo figlio, la sua primogenita torna a casa dopo anni insieme al fratello e il suo unico pensiero è quello di accoppiarmi, sistemarmi con quella disgraziata e scaricarmi addosso tutta questa merda!»
«E ci risiamo con la ballata del figlio incompreso...peccato non avere con me la fiaschetta, dannazione!»
Borbottò l'uomo più anziano non trovandola nel taschino della giacca, ritornando così a braccia conserte, ma non senza dire ciò che effettivamente pensava, con lo sguardo fisso sul giovane che recuperava le freccie sparse ovunque, come in passato lo ebbe visto recuperare i suoi giocattoli dal pavimento. Al pensiero abbozzò un sorriso nostalgico, che scomparve però velocemente.
«Duncan, che intenzioni hai tu nella vita?»
«Uh? Oh ti prego, non vorrai farmi la predica anche tu...»
«Non sono tuo padre, sono il tuo precettore, che da un lato mi consente perfino di essere più distaccato di quanto non vorrei! Griffith, per come la vedo io tu hai avuto possibilità che altre persone avrebbero ucciso pur di avere...
A partire dall'avere una sorella che ti ama più della tua stessa vita!»
«Mentre l'altra mi vede come un coglione immaturo e che non sarà mai alla sua altezza...»
«Oh! Mi sembra di leggere una storia che già conosco.»
«Uh? Ma di che parli?»
Con un cenno dello sguardo, il maggiordomo indicò i piani superiori dello stesso palazzo, proprio verso le stanze del padrone di quella magione, le stesse che guardò Duncan con un velo di soggezione, perdendosi in un sospiro ancora più grande. Payne si pulì il monocolo contro il fazzoletto del taschino, controllando poi all'aria che fosse ben pulito e lucido.
«Parlo dell'amore che due fratelli provavano l'uno per l'altro, divisi dall'invidia, dalla gelosia e perché no, anche dall'amore...
Forse saranno cambiate le dinamiche, ma i sentimenti sono esattamente identici! Ricordo bene l'ammirazione che lei provava da bambino per la signorina Eris, per la sua forza, per la sua tempra, e si sentiva in difetto per l'amore che suo padre dimostrava per lei...ma posso assicurarle con piena certezza che anche sua sorella si è sempre sentita lasciata da parte, ancora prima di poter iniziare a leggere e scrivere correttamente.»
«Eris ha sempre avuto una buona ascendente come arraffa popoli! Ogni volta che lei compariva, io diventavo agli occhi di mio padre insieme a Sheelah i figli della seconda moglie, tutto qua…
Coraggio, lo sappiamo entrambi! Noi siamo sempre stati un cazzo di rimpiazzo…e ora devo pagare il vuoto che lei ha lasciato perchè mio padre non è stato in grado di punirla come avrebbe dovuto!»
Le parole del giovane traboccavano di debole collera, di insensata paura che lo portò a ripetere frasi che più volte gli erano state inculcate da altre persone, cose che nemmeno pensava, ma lo smarrimento lo stava conducendo proprio su quel sentiero di rancore, uno già battuto da quelle anime alate, perfino da quella più giovane ed innocente. Un ciuffo ormai grigio sbucò dall’ordinata chioma del maggiordomo, il quale nemmeno si premurò di sistemarlo; sentì bene in lontananza il rombo sinistro dei tuoni di un prossimo temporale, assieme alle prime folate di vento, tipiche di quei temporali che portavano via gli ultimi resti della primavera, annunciando così l’arrivo dell’attesa estate.
«Sai, Duncan, tutti noi siamo stati chiamati a rispondere di colpe non nostre, chi più chi meno, si intende, ma c’è sempre un qualcosa da cui siamo stati investiti senza nostro pieno volere; certo, possiamo lagnarci e piangere finchè non ne verremo a noia, tuttavia la nostra  vita è un semplice soffio di vento su questa terra, breve, evanescente, quindi non la sprecherei continuando con questa crociata contro un uomo che probabilmente non vedrà la luce dell’anno venturo…»
«Cosa…?»
«Ti pregherei la massima discrezione a riguardo, e non guardarmi come se non avessi avuto mai sospetti in proposito; potrai anche non apprezzare in pieno il suo essere, ma sai meglio di me che non sarà mai più lo stesso uomo che riusciva a tenerti su una spalla senza nemmeno l’uso delle mani.»
Un colpo di vento scompigliò interamente i rossi ricci del ragazzo, come la stessa certezza che albergava dentro di sé da diversi mesi, tuttavia sentirselo dire in faccia aveva tutt’altro sapore. Era amaro, quasi un veleno che lo costrinse a sedersi su una delle casse di legno della scuderia, con la fronte appoggiata contro una delle forti travi di legno; perfino i cavalli iniziarono a nitrire, irrequieti, sentendo già il provenire della tempesta da molto, molto lontano.
«Dunque, è vero? Lui sta morendo…?»
Barnabas si allentò il nodo del cravattino, quasi a rendere meno soffocante quella circostanza.
«Si sta lasciando morire, cosa assai diversa dall’essere condannati in primo luogo. Non sono un medico, nemmeno uno psichiatra, ma conosco i miei padroni abbastanza bene; piuttosto che affrontare i problemi, si impersonificano in martiri e sciocchi eroi greci, si sacrificano per valori sinceramente discutibili, passando poi metà della loro esistenza a piangere chi hanno perso senza una causa valida, che avrebbero potuto evitare se solo avessero ceduto le armi un istante prima.
Duncan…tu puoi anche continuare con questa tua nenia, reputarti il secondogenito iellato per tutta la vita, dispiacere tuo padre anche nella morte e far terminare questa stirpe proprio qui; cosa pensi che ne sarà di questo posto tra…chessò, un 50? Forse una 70 ina di anni?
O magari chissà, anche prima, ma non resterà altro che questo: niente.»
I due incrociarono gli sguardi; quello di Duncan rimase riparato sotto la tettoia, quello di Barnabas invece venne circondato dalle prime fredde gocce di pioggia che iniziarono a cadere anche sull’elegante completo del servitore, con le mani ora sciolte lungo i fianchi.
«Sheelah non conta, forse?»
«Non continuare ad evitare il problema; per quanto abbia a cuore miss Sheelah, sappiamo quanto questa società sappia essere spietata e priva d’umanità e anche nel caso in cui potesse riprendersi, non potrà mai portare il cognome di famiglia, come non potrà mai farlo nemmeno la sorella che tanto fingi di rinnegare, perchè sappiamo bene che Eris ha sì, le sue colpe, ma nessuna di quelle che ricade su di te sono a lei imputabili. Bambini, questo siete o siete stati fino a poco tempo fa; tu,uno che giocava con i cuori delle popolane di zona, lei con armi con cui avrebbe anche potuto uccidersi…
Vuoi forse negare anche questo, ragazzo? O per una volta ti alzerai e risponderai ai tuoi doveri di figlio, di uomo e si, anche di erede?»
I capelli di Payne gli si incollarono sul viso e sulla fronte, sciogliendo quell’immagine sempre impeccabile e perfetta che ogni membro della famiglia Griffith aveva in memoria di lui, rendendolo finalmente quasi più umano, forse stanco e sinceramente affranto in prima persona di vedere i suoi padroni, la sua di gente, spegnersi esattamente come una candela senza più cera,dallo stoppino ormai usurato ed incenerito. Era una domanda retorica che avrebbe ricevuto una risposta, ma probabilmente non a parole, perchè di quelle, nessuno dei due, avrebbe saputo cosa farsene, e così il giovane grifone guardò l’uomo rientrare, mentre la pioggia diventava sempre più fitta, sempre più rabbiosa, al punto che avvolse l’intero palazzo in un grigio alone perpetuo, che sembrò non abbandonarlo mai.
Rimase lì fuori per diverso tempo, forse sbollire la rabbia, ma sapeva bene che Barnabas aveva ragione da vendere, ma quanto avrebbe voluto sbagliarsi e andarsene via anche lui?
A risvegliare i pensieri del ragazzo tuttavia non fu una voce amica, o meglio, in realtà, in 19 anni, non aveva ancora capito come classificarla, ma fu forte il necessario da fargli alzare il capo dalle ginocchia. 
Quel viso da irritante pagliaccio era di nuovo là, in piedi, a fissarlo sempre divertito.
«Ecco il grifone che cercavo! L’altra sera sei scappato più velocemente di quanto pensassi…
Va tutto bene? Non hai una bell’aspetto, un po 'come sempre, dopotutto.»
Il Griffith rispose con un sospiro prettamente incredulo, con una mano sugli occhi.
«Sei un cazzo di incubo…viviamo a non so quante miglia di distanza e riesci ad arrivare anche qui?! Come? Oh, già, quella tua macchinina tanto costosa che papino ti ha rifilato?
Vattene, Cedric, non è giornata.»
Il moro Darcy rispose a quella richiesta non poi così gentile con un verso negativo, sedendosi a peso morto su una cassa adiacente a quella di Duncan con i gomiti a penzoloni sulle ginocchia; aveva i capelli appena umidi, un po come le lenti dei suoi occhiali da sole coperte da piccole gocce, per non parlare della sua sigaretta ormai fradicia, che gettò praticamente sotto la suola della scarpa.
Non sembrò pronto a blaterare come a suo solito, cosa che stranì il rosso, il quale lo guardò con un sopracciglio interrogativo. Quello se ne accorse, roteando i suoi occhi blu dietro agli occhiali, come se quasi il discorso che aveva sulla punta della lingua gli procurasse un certo fastidio.
«Quindi? Che sei venuto a fare fino a qua? Dubito sia solo per vedere me, visto che l’altra sera l’unica cosa che poteva interessarti era mia sorella…ma temo che tuo padre, un po come il mio, abbiano cambiato le traiettorie dei nostri piani, quindi incassa il colpo, Darcy. 
Eris non c’è, non so nemmeno se tornerà mai, ma vista la situazione, nemmeno io riporterei qui il mio culo.»
Cedric annuì, solo per poi levarsi dal viso apparentemente indolente la montatura umida che ripose accuratamente nel taschino della sua camicia oltremare; finì come suo solito con le mani nelle tasche dei pantaloni, tenuti su da due bretelle, con gli occhi rivolti verso quella vastità di verde sbiadito dalla battente pioggia. Raramente respirava aria così pulita, doveva ammetterlo, tuttavia non aveva fatto tanta strada per nulla, guardando forse per la prima volta, seriamente, lo storico opponente.
«Quindi sposerai Trixie, uh?»
«E tu invece? Devi accasarti con una delle 100 figlie del barone Burke?»
I due ragazzi rimasero per un istante zitti, riflettendo sulle rispettive e retoriche domande, ma in realtà c’era ben poco da dire, se non nel caso del Darcy, che negò quasi categorico con il capo. Duncan sgranò gli occhi per la sorpresa, voltandosi nettamente verso di lui con il busto.
«Lo stai dicendo tanto per dire oppure sei veramente serio? Non sposerai la sorella di Saul?» 
«Passare la mia vita nell’ombra di mio padre è già abbastanza penoso, ma sposare una frivoletta che viene dalla Francia è l’ultima cosa che voglio, e devo ringraziare Dio probabilmente per aver mandato all’aria questa unione del cazzo e aver portato la salvezza, e con salvezza intendo tua sorella, nella mia vita.»
«Cedric…di cosa cazzo stiamo parlando, non credo di aver capito…o se l’ho fatto penso che mi serva del bourbon per digerire! Che vuol dire che il matrimonio è saltato? Che hai fatto, hai forse rivolto la parola alla tua futura sposa e ha capito che sei una scimmia?»
Cedric sollevò due dita medie al compagno d’armi, il quale pretese una risposta ancora più di prima, specialmente quando, per l’ennesima volta, comparve proprio la sorella maggiore nei discorsi e pensieri di quel imbecille senza speranza.
«Immagino che nel tuo paesello di scopadraghi non arrivino in fretta le notizie, vero? E se non c’è la biondina che te lo vorrebbe imbastire qui nei paraggi, immagino proprio che voi non ne sappiate nulla!»
«Sapere di cosa? Saul è rimasta a Londra dalla sua famiglia dopo la tua festa che, devo dirlo, è stata un grandissimo fallimento, ma torniamo ad Eris e ai tuoi vaneggi di gloria. Che cosa vuoi da lei? Cedric, lasciala in pace, ne ha già passate abbastanza…»
«Mai quante ne ha passate con me nella mia camera da letto l’altra notte! Se solo fossi rimasto qualche minuto in più mi sarei congratulato con tuo padre per aver cresciuto una ragazza simile…wow, che donna!»
Duncan si alzò quasi d’impulso, guardando Cedric in maniera non esattamente benevola, il quale si alzò di seguito, meccanicamente, quasi con le mani in alto, rendendosi forse conto di aver appena esagerato.
«Senti, al diavolo tutto! Stamattina, anzi, ieri sul tardi, vociferavano già nei salotti e nelle sale da gioco che il barone Burke desse ospitalità nella sua magione estive a gente bizzarra e di dubbia natura, specialmente uomini e ragazzini molte giovani, finchè la cosa non è stata confermata da una soffiata notturna ai giornali, con tanto di salienti fotografie. Stamattina era su tutti i giornali, cosa che ha sconvolto parecchie sale del the e non mancherà molto anche all’arrivo di questa storia alle orecchie di sua maestà, ammesso che già non lo sappia; onestamente se quel tizio si scopa dei mocciosi o dei cicisbei mi tange poco, ma mio padre non è certamente un uomo che passa sopra a simili pettegolezzi, a maggior ragione se sono certezze…»
«Cristo, ma allora Saul già lo sapeva, era sconvolta da qualche giorno ma non mi ha mai detto la ragione!»
Cedric rovesciò scocciato gli occhi, fingendo quasi di vomitare con due dita in gola, ma riprese subito il filo del discorso, fronteggiando così il grifone con le mani in alto.
«C’è di buono che io e te non litigheremo mai per lo stesso tipo di donna, visto che a me piacciono, e tu probabilmente devi sentirti parecchio confuso, ma non distogliamo l’attenzione da me e dal mio matrimonio!»
«Quale…matrimonio, se hai appena detto che tutto è andato a puttane…?»
Il Darcy ghignò vittorioso, facendo quasi spallucce, verso palazzo Griffith,ma tanto bastò per essere spintonato dallo stesso Duncan, che lo guardò con uno sguardo sbigottito.
«Ti sei fottuto il cervello? Eris? Tu vuoi sposare mia sorella? Che cazzo ti dice la testa? Nessuno, ne mio padre, ne il tuo, ne lei in persona ti diranno mai di sì…e poi per cosa? Per una scopata? Ammesso che sia mai successa, visto che il tuo ego è in grado di trasformare un complesso di chiacchiere in un amplesso, e anche se fosse? 
Sposeresti davvero una donna con cui hai passato una notte, magari da ubriaco? Per tutta la vita?»
«Sempre meglio che trovarmi il ben servito da mio padre, che si starà già arrovellando per trovarmi un’altra viziata e pomposa ereditiera che con me non c’entra niente! 
A mio padre non frega un cazzo di me, Griffith, lo vuoi capire oppure no?! Quello passa notte e giorno a pianificare, crogiolarsi nei suoi titoli, cattedre e Cristo solo sa che cosa, mai un giorno si è interrogato su cosa volessi io o cosa mi piacesse fare!
Caleb? Quello intelligente e scaltro della famiglia, Cecile? Che cazzo ne so di cosa fa quella fattucchiera saffica, so solo che Cillian Darcy dispenserebbe più belle parole perfino per il suo autista che per suo figlio Cedric, quindi si, Griffith.»
Le parole di Cedric era più dure e colleriche di quanto si sarebbe mai aspettato il grifone, non potendo certo negare che in cuor suo, in parte, non le capisse, ma non potevano essere certo sufficienti ad arrivare ad un matrimonio, non per ripicca, non così. Il rosso, sebbene titubante, gli mise una mano sulla spalla, che quello guardò stranito con la coda dell’occhio.
«Adesso non ci allarghiamo, eh!»
«Stammi a sentire, per soli 5 minuti, e poi ti lascerò andare a fare la tua figura di merda con mio padre o chiunque sia così pazzo da farti entrare in casa. Cedric…io e te non siamo mai andati d’accordo, mai, e probabilmente sarà così per molto tempo, ma ti invito per una volta a pensare, come hanno invitato anche me…-»
Ammise così il grifone, quasi nostalgicamente, continuando.
«-...a cosa sia davvero giusto, oppure un mero capriccio di una notte e basta! Eris potrà anche averti colpito, ma non è sufficiente per passare una vita insieme, e te ne renderesti conto molto più in fretta se non facessi tutto questo solo per infastidire tuo padre che, di te, se ne sbatte, stando a ciò che dici…
Cedric, non farlo, ti prego.»
«Solo perché tu non hai le palle di tirarti indietro da un matrimonio che non vuoi, non significa che io debba seguire il tuo accorato e codardo consiglio!»
Duncan sospirò, venendo respinto bruscamente da uno strattone maldestro di Cedric, il quale si tirò indietro da quel contatto, uscendo dalla stalla dove la pioggia si era appena ammansita. I due giovani si guardarono un’ultima volta, dopodiché il Darcy si incamminò proprio verso il palazzo, urlando qualcosa di poco chiaro al Griffith, ma non c’era modo, alla fine, che un grifone ed una viverna potessero capirsi.
Eppure Cedric non entrò, non quella volta. Passò ore intere nei pressi di quel inquietante castello medievale, probabilmente fino a notte fonde, ma non riuscì ad insistere; forse le parole di Duncan avevano avuto un qualche significato, o forse quel anello blu che si teneva in tasca era pesante al punto da inchiodarlo sui sedili della sua auto. Chi poteva dirlo?
Eris non di certo; non sapeva ancora cosa l’avesse spinta a rimettersi su quel treno, non sapeva dove aveva vagabondato per giorni, non ricordava nemmeno quando fosse stata lì l’ultima volta, ma sapeva perfettamente chi non voleva incontrare. Era come un fantasma fra le mura del palazzo, uno molto abile a non farsi trovare, uno che voleva solo stare in solitudine e comunione con se stessa; il mondo di notte sembrò farle meno paura. Morfeo cullava le membra stanche degli abitanti del castello,ma non le sue, scosse ancora dall’alcool e da chissà cosa, ma la verità era che niente avrebbe potuto cambiarla, nemmeno un flacone di pasticche ormai vuoto che rotolava lungo il tappeto del piccolo salottino che dava sul giardino. Era una stanza così splendida, tuttavia chiusa da tempo a causa dell’inutilizzo, dove un solitario pianoforte se ne stava tutto solo, coperto da un telo di velluto che la giovane spazzò via sul pavimento con un colpo di mano; l’unica luce utile proveniva proprio dalla grande vetrata cosparsa di miriadi di gocce di pioggia, brillavano quasi alla luce della luna come piccoli smeraldi, ma gli occhi di Eris non avevano più meraviglia per poterne percepire il bagliore, forse solo le sue dita poterono avvertire i freddi tasti, ansiosi di essere suonati da tempo, sotto la sua pelle segnata dalla lotta e dalle battaglie affrontate. 
Sorrise inconsapevolmente, non pensando d’essere più in grado di riconoscere quella sensazione sotto le sue mani, forse nemmeno credendo che mai più avrebbe rivisto quello strumento, sopravvissuto alle manie rivoluzionare della zia e all’incuria del tempo che, forse, lo ebbe risparmiato più di ogni altra cosa; si sedette sullo sgabello, trovandolo scomodo esattamente come lo aveva lasciato, come il profumo di vernice ormai sbiadito del rivestimento del legno, o il suono, non accordato come sperava, ma ancora bellissimo.
Era notte fonda, ma non le importava se avrebbe svegliato qualcuno, era buio pesto, ma la melodia malinconica se ne fregava dell’oscurità, anzi, sembrava quasi fendere al meglio quei corridoi quasi inquietanti e barocchi; l’ex capitano aveva la vista annebbiata, ma non le servì nemmeno guardare la tastiera per riconoscere la posizione delle note, insegnatele proprio con una benda posta sugli occhi.
Quella sonata al chiaro di luna sembrò ancora più spettrale, quasi più lenta dell’originale composta dal genio tedesco più di un secolo prima, ma ad Eris questo non poteva importare, poiché a suonare non erano certo le sue semplici mani, quanto più il buio alimentato dalle droghe, che tenevano e tiravano i fili della sua anima come un ventriloquo col suo pupazzo. La testa era pesante, quasi le ricadde in avanti verso il basso, mentre le braccia si muovevano quasi da sole lungo quella bianca schiera di tasti; se non fosse stata sotto farmaci, quasi avrebbe giurato di sentire una presenza alle sue spalle, sfiorargliele con delicatezza, quasi gentilmente, come quando la madre da piccola la guidava all’esecuzione di brani molto più complicati, ma era solo una bambina di 4 anni molto ambiziosa e capricciosa, niente di più. 
Solo in quel momento le voci, quel tumulto incasinato nella sua mente sembrò affievolirsi, riducendo quel coro chiassoso ed indecifrabile ad una voce soltanto, una che prima di allora le era solamente sembrata il richiamo mellifluo di una bottiglia di tequila, finchè non sentì il tepore di un paio di labbra proprio accanto al suo orecchio pronunciare delle chiare e scandite parole.
«Se sei troppo stanca per restare sveglia, va pure a dormire. Suonerò io al tuo posto, Eris…»
Di colpo la melodia si interruppe, il respiro della giovane si fermò, i suoi occhi si aprirono di scatto proprio contro la superficie lucida dello stesso pianoforte, che rifletté un qualcosa che fece sobbalzare il grifone al punto da far cadere all’indietro lo sgabello. Guardò con orrore il riflesso, accanto al suo, di una seconda figura che non aveva mai visto, una donna di cui non riuscì a distinguere nettamente la fisionomia, ma di cui vide i ricci e lunghissimi capelli biondi. Trasalì, voltandosi immediatamente in ogni angolo della stanza, ma non c’era nessuno, se non la piccola e palliduccia figura della povera Sheelah in vestaglia da notte, con una candela accesa fra le mani e il viso confuso. Eris chiuse gli occhi per lo spavento appena preso, calmandosi immediatamente con una mano sul petto ansante.
«Perdonami, non pensavo di svegliarti! La tua stanza è parecchio lontana da qui…»
«Non sei stata tu, è che non riesco a dormire da qualche notte e al minimo rumore nemmeno riesco a prendere sonno…
Ma a quanto vedo c’è qualcuno che l’insonnia la conosce meglio di me!»
Rispose la Griffith più giovane in tono più dolce, quasi preoccupata per le vistose occhiaie dovute a molto più della semplice mancanza di sonno sul viso della sorellastra, la quale assentì con un frettoloso cenno del capo, avviandosi verso l’uscita della stanza, ma si trovò bloccata dalla mano di Sheelah sul suo polso. Solo allora fu costretta a fermarsi, degnandola così di attenzione, forse non essendosi mai soffermata più di tanto sul suo viso, o sulla sua persona in generale.
«Eris…Eris aspetta…io, volevo…in realtà non so cosa volevo, è solo che sei stata lontana da casa per tutto questo tempo e pensavo che avremmo potuto almeno adesso stare insieme, come una…»
«Famiglia? Questo volevi dirmi nel cuore della notte?»
Sheelah indietreggiò a quell’impeto sinistro, lasciandole andare delicatamente la mano, tuttavia annuì, con le mani avvolte lungo le braccia. Eris negò col capo, stropicciandosi gli occhi aggressivamente coi polpastrelli.
«Beh, sei stata gentile, ma sei grande abbastanza da sapere che ci sono cose che non rimetti apposto con una lettera, ragazzina…si, so che hai cercato di interessarti a me e a quello sciagurato di tuo zio e ti ringrazio, davvero, ma non saranno due abbracci  del cazzo a cancellare tutto questo!»
«Per questo la famiglia esiste, Eris! So che per te saremo sempre i figli della donna che ti ha portato via tuo padre, ma non serve a niente continuare a farti questo…
Ti prego!»
Sheelah tentò nuovamente di placcare l’avanzata della sorella verso l’uscita, risultando così piccola e quasi indifesa verso la stazza imponente e oscura dell’altra, che rispose a quelle mere suppliche con una risata quasi dovuta all’ennesimo picco della sbronza, con una mano proprio sulla nuca, quasi a fare chiarezza prima di levarla di torno, ma non si azzardò a toccarla. Vide negli occhi scuri di Sheelah, seppur ubriaca, quella pupilla minuscola, vuota, impaurita, una che conosceva e che le dava la nausea al solo pensiero di essere apparsa, agli occhi degli altri, proprio in quella maniera.
La fanciulla non sapeva se avere paura o meno, tuttavia le bastò il semplice sguardo sul suo grembo per poter capire cosa stesse pensando, grembo che si coprì involontariamente con le tremanti mani. Eris sbuffò, avendone così una doppia conferma.
«So cosa stai cercando di fare…tutto il mondo ti è rovinosamente crollato addosso, tutte le menzogne che ti hanno raccontato fino ad adesso si sono rivelate per quelle che sono; l’amore di un marito che hai dovuto scegliere troppo presto, una vita che tu non hai chiesto ma che hai servito dal primo momento che ti è stata imposta, il ruolo che hai recitato per bene fino ad adesso ora ti si sta sgretolando addosso e pur di restare aggrappata alla realtà corri ai ripari, cercando conforto nella…famiglia.»
Il tono dell’hunter era amaro, quasi aspro, come un coltello che lentamente andava a recidere la carne, staccandola barbaramente proprio dall’osso.
«Una magra consolazione che non porta altro che delusione e amarezza! Ora si stringono attorno a te, per ciò che ti è successo, ti dicono che non è una cosa così grave e che sei ancora così giovane, che hai tutta la vita davanti a te e che questo è solo un imprevisto, un tragico e banale intoppo che non ti rovinerà l’esistenza, ma io e te sappiamo molto bene che non è così. Potrai anche cercare nuovamente la felicità, ma non sarà mai come la prima, come quella che hai perso e che non riavrai mai più…»
«Tu…?»
Le parole morirono in bocca alla stessa ragazza, che si portò una mano sulla bocca nel soffocare un vagito che fu sul punto di strabordare in un velato pianto sommesso, con l’altra che si avvicinò alla figura di Eris, ma quella impedì ogni tipo di contatto, declinandolo il più dolcemente possibile con la sua stessa mano verso il basso. 
Non lo avrebbe mai più detto, non ne avrebbe mai più parlato.
«So qual è il vuoto che ti lascia dentro, Sheelah, e non lo colmerai mai più, quindi smettila di cercare di tenere unita questa famiglia solo per sentirti meno sola nel tuo piccolo mondo ideale, perché quel bambino non verrà mai sostituito da un altro, checché ne possano dire tutti i bigotti e superficiali individui di cui ti circondi dalla nascita. Nemmeno il tuo caro fratello potrà cancellare questo peso, potrà solo accompagnarti sulla strada che ti attende da ora in avanti, ma il resto…è una cosa che riguarda solo e soltanto te.»
«Io…io non lo…sapevo, se lo avessimo…»
«Non stiamo parlando di me, qui, ma di te, anche se ora sono troppo stanca per portare avanti questa conversazione. Smetti di sperare nel prossimo, capisci ora che puoi contare solo su te stessa, perchè esistono solo 2 modi per sfuggire a questo tormento; vivi con esso, con la consapevolezza che sarà sempre parte di te, o muori, sperando che un giorno possa andarsene.
Buonanotte Sheelah, e rifletti su ciò che ti ho detto.»
Il passaggio di Eris finì per spegnere la fiammella della candela che aveva portato la ragazza più giovane, lasciando sprofondare così nel baratro più completo quell’ala della magione, e con se probabilmente anche l’animo già perso del cucciolo di grifone, ora più solo che mai. Ma la solitudine non era certo un demone che spaventava le creature più incallite che dimoravano in quel labirinto oscuro, in cui Eris sembrò riuscire a districarsi, ma la sua lucidità iniziò a deteriorarsi inesorabilmente al punto di accasciarsi quasi contro una porta, ma non una qualsiasi, non chiusa come avrebbe sperato, che si aprì non appena vi appoggiò contro di essa il braccio barcollante. Non cadde solo perché entrambe le sue mani furono pronte abbastanza da aggrapparsi alla seduta del divanetto di quello studio, dal profumo inconfondibile che a chiunque altro avrebbe causato fastidio, ma non ad un tossico, quello mai.
Non si premurò certo di controllare il perimetro, andò diretta proprio al carrello degli alcolici, anche quello rimasto immutato da com’era, se non per il notevole disordine e la mancanza di svariate bottiglie, tuttavia ne cercava una in particolare, nascosta tra molte altre, che trovò abilmente camuffata dietro l’etichetta di un altro whiskey. Rise ma senza gioia, alzando come un trofeo la bottiglia già a metà.
«Furbo bastardo….uh?»
Una luce si accese, quella di una abat jour da scrivania proprio alle spalle di Eris, che socchiuse gli occhi per l’improvviso fascio luminoso che le colpì la vista, voltandosi appena dall’altro lato per il fastidio. Il padrone dello studio non si era mai mosso da lì, forse appena appisolato sulla sua poltrona, con un libro ancora in mano che appoggiò poi sullo stesso tavolo; conosceva già l’intruso e cosa cercasse, sapendo che l’avrebbe trovato molto più facilmente del previsto.
«Glenmorangie…prodotto in Scozia da chissà quanto tempo! Ottima scelta, capitano, ma se non ricordo male non è ben visto sottrarre le scorte personali al proprio comandante, le pare?»
Eris rispose debolmente, con un cenno del capo non esattamente connesso, svitando il tappo con una manualità sfortunatamente agevolata; mise in alto un bicchiere vuoto, ma l’uomo rifiutò con un sospiro a quella implicita richiesta. L’altra annuì, versandolo solo per se.
«Non sarà un bicchiere ad ucciderci, anche se probabilmente, tra le tante opzioni, lo avremmo certo preferito!»
Il comandante si trovò inesorabilmente d’accordo, tuttavia sapeva che aveva atteso, che entrambi, avevano atteso troppo a lungo quel momento e di certo non era per disquisire sui loro gusti in fatto di alcolici, seppur simili. Rhys sfruttò quella debole luce per confutare con i suoi occhi un alone sceso proprio sul viso della figlia, sotto quegli occhi contornati da scure borse, lo sguardo vacuo, i capelli spenti, la pelle quasi scolorita come quella delle centinaia di cadaveri che lui stesso aveva visto perire sotto le sue mani; l’impeto di alzarsi fu violento, ma lo mise a tacere per evitare che potesse sfuggirle dalle mani un’altra volta, cambiando così argomento.
«Mi piacerebbe chiederti cosa ti abbia spinto, adesso, a rincasare, ma so già che la risposta varierà tra vaghe frecciatine ed insulti sconnessi, quindi procedo alla seconda domanda.»
Quella lo invogliò a procedere col bicchiere in mano, scolandosi anche l’ultima goccia nel fondo.
«Hai…riflettuto a ciò che ti ho detto qualche giorno fa? O almeno, hai avuto modo di pensarci durante questo tuo tour londinese a casa Darcy?» 
Eris esaurì la sua risposta con uno sguardo sinceramente sorpreso, trattenendo quasi l’indignazione che fu secondaria all’emozione primaria con una mano sulle labbra; sbatté le mani sulle anche, quasi a capire da dove cominciare, ma partì avvicinandosi verso quella scrivania, sempre più vicini entrambi sotto quella luce rivelatoria.
«Mi hai fatta seguire anche qui da qualche altro dei tuoi segugi oppure eri presente a quella pagliacciata messa in piedi da tuo cognato? Anzi, sai che c’è? Non importa nemmeno, andiamo però alla tua prima domanda. Se ho riflettuto sulla tua amorevole e sentita proposta di rifarmi una vita, diventare madre, come se fosse la risoluzione all’isteria che colpisce le donne di questa famiglia, e visti i risultati, credo che riprodursi fosse proprio il problema, ma andiamo avanti!»
Fece quasi sarcastica, istrionica, come se stesse esponendo una complessa teoria ad un pubblico che stava proprio nella sua mente, oppure ad un padre che non riusciva a raggiungere, oltre un muro che non sapeva ancora valicare.
«Mi avevi…proposto di abbandonare l’associazione per cui tu hai dato la vita, per cui tuo padre ha rinunciato a tutto, e posso proseguire fino ai remoti angoli del nostro retaggio, perché? Per cosa? Per essere ciò che avrei dovuto effettivamente diventare se tu, comandante, non mi avessi messo una spada in mano?
Questo mi avevi chiesto, vero?»
Rhys guardò furtivamente lo sguardo accusatorio e folle della ragazza che lo guardava oltre quella scrivania, annuendo lentamente, come se stesse rispondendo personalmente delle accuse, con le mani giunte davanti alle labbra.
«Se potessi riavvolgere il tempo, quel giorno non sarebbe mai dovuto arrivare…»
«E pensare che invece è uno dei nostri ricordi che conservo più gelosamente, che tu vedi come la causa di tutto questo! Ti stai focalizzando sul punto sbagliato, lord Griffith…
L’indole del soldato non è una cosa che acquisisci col tempo, ci nasci e non c’è modo per reprimerla, e tu ne sai qualcosa, perchè quando sei lontano dai tuoi campi ti senti mancare l’aria, come se ti stessero portando via dal tuo ambiente naturale ed inizi ad arrancare finchè non stramazzi a terra, esanime.»
La ragazza sibillò quasi a denti stretti, con una mano avvolta attorno al suo collo compulsivamente, quasi i graffiò la stessa pelle dagli spasmi che allarmarono lo stesso uomo che si alzò molto lentamente dalla sua poltrona, arrivando così a fronteggiarsi, sempre più vicino, con gli sguardi tremanti e stravolti. Rhys allungò una mano verso Eris, pregandola di smettere con il solo sguardo, ma quella indietreggiò.
«Sai di cosa sto parlando, papà? Si, tu lo sai, perché sei esattamente come me.»
«N-no.»
«SI INVECE! SI CHE LO SAI! GUARDATI, GUARDA COME TI SEI RIDOTTO! TU ERI UN SOLDATO CHE AMAVA LA SUA BATTAGLIA, CHE AMAVA ME PRIMA DI OGNI COSA E SUA MOGLIE, NIENT’ALTRO! E ora?
Ora sei il fantasma dell’uomo…che mi ha cresciuto, tenuto su dal whiskey, da qualche scopata scadente con quella stronza dal culo grosso e da due figli che a stento sopravviverebbero da soli per una settimana, e mi escludo dalla comitiva perchè…in questo momento avrebbero quasi più probabilità di me!»
Rise a causa del mal di testa, che le causò un visibile svarione verso il tavolo, con una mano proprio sulle tempie, doloranti al punto quasi di scoppiare; il Grifone non ebbe più dubbi allora, realizzando amaramente di star vivendo un incubo davanti ad uno specchio, uno crudele e diabolico che sembrò presentargli il conto delle sue malefatte in tempo reale, sulla cosa più preziosa che aveva.
Strinse violentemente i forti pugni ai fianchi, pronunciando quelle parole come un’ascia che fendeva la testa del condannato a morte.
«Da quanto tempo....?»
Eris guardò il padre con occhi indignati, voltandogli le spalle con le mani strette sui fianchi.
«Di che cazzo stai parlando…?»
Rhys non ci cascò certamente, avanzando un altro passo verso la figlia sempre più distante.
«Sai perfettamente di cosa sto parlando, Eris. Da quanto tempo ti droghi...?»
L'ex capitano scoppiò in una risata acida, compulsiva, ma prima che potesse anche solo riavvicinarsi al tavolino degli alcolici, l'uomo la prese per un braccio con forza sufficiente da voltarla verso di lui, faccia a faccia, ciò che tanto li terrorizzava.
«So riconoscere un tossico a chilometri di distanza, ragazzina, perché lo sono stato molto prima di te e speravo che di tutte le mie maledizioni non ereditassi proprio questa!»
«Fammi il piacere...tu non sai veramente niente di me perché se non mi avessi mandata via non sarei diventata quella che sono adesso!
Una cocainomane disadattata che non riesce a staccarsi dal passato e annega nei suoi dispiaceri...
MI DEVI LASCIARE STARE!»
«Ho già commesso una volta l'errore di abbandonarti, non me lo chiedere adesso...ti prego!»
Era la prima volta nella vita di entrambi che si ritrovarono in quelle condizioni, distrutti dalle sostanze e miseri l'uno davanti all'altro. Un padre autorevole,un uomo potente, spettro di se stesso che stringeva fra le mani le spalle di una figlia dispersa, che aveva smarrito la strada esattamente come il genitore assente. Per Rhys fu come vivere un terribile deja vu, uno che gli causò forti emicranie e anche rimorsi, ma per lui era troppo tardi; suo padre se n'era andato molto tempo prima e ora e solo allora si rendeva conto quanto difficile fosse esserne uno degno, non lo era stato, non fino a quel momento. La giovane non riuscì più a distinguere la realtà dal frastuono infernale che viveva libero nel suo subconscio, tuttavia quel tepore mancato per troppo tempo sembrò metterla al riparo dalla tempesta; era suo padre, era quello che le era mancato per talmente tanto tempo che aveva finito per odiare.
Strinse nei pugni violentemente i lembi della camicia di Rhys, con il viso sprofondato sotto il suo mento.
«Hai fatto una scelta...hai scelto una cagna al posto di tua figlia, hai scelto una donna che non si è nemmeno posta lo scrupolo di verificare se sua sorella stesse morendo per rubarle il marito!»
Rhys non la fermò, ascoltò ogni parola che lo accoltellò come una sentenza spietata, con il viso appoggiato proprio sul capo della figlia, a palpebre serrate: non aveva alcuna difesa e l'avrebbe accettato.
«Non ti fermerò, non smentirò niente di tutto ciò che mi dirai perché sono colpevole, Eris, di ogni accusa, di ogni vergogna, ma ti prego di lasciarmi adempiere per una cazzo di volta al mio ruolo...
Sto già pagando e so che non è sufficiente, ma non posso anche esimermi da questo!»
Le unghie della capitana arrivano anche sulla pelle del collo dell'uomo, non sapendo più cosa volesse, se essere stretta fra le sue braccia, se volesse aggredirlo, picchiarlo, sparire tra di esse per sempre e non lasciarlo mai più.
«Tu non puoi...aiutarmi...papà...non puoi! Hai ragione...niente di tutto ciò che abbiamo fatto verrà cancellato, né i miei e né i tuoi peccati...
Tu non sai quante notti ho passato a pensare a cosa avrei voluto urlarti in faccia, quante notti ho passato a desiderare che tu sparissi, che soffrissi come me, con me, e non era per la mamma...»
«Cosa...?»
«CREDI DAVVERO CHE SIA STATA LA MAMMA IL PUNTO DI TUTTO QUESTO? EH? DIMMELO,CAZZO! 
NON RICORDO NIENTE DI LEI E FORSE NEMMENO TU NE SEI PIÙ IN GRADO, PAPÀ, PERCHÉ È SOLO UN RICORDO, UNO SOLTANTO! 
Io sono reale...io ero reale, i miei 13 anni erano reali, 13 anni in cui ho fatto qualsiasi cosa per renderti orgoglioso di me, di tua figlia, la tua unica cazzo di figlia legittima e anche se non lo fossi stata io ero l'unica cosa che contava!»
«Eris...»
«VAFFANCULO!»
La Griffith si staccò dalla presa paterna con le mani fra I capelli, vagando per lo studio con quel turbinio di voci che le affollavano la mente, come la moltitudine di lacrime sul viso, ma fu nulla rispetto all'incubo vissuto dal grifone, che sembrò paralizzato da quella risposta. Era come rivivere la sua vita al contrario, ma questo Eris non avrebbe potuto saperlo, non allora, non in quel momento.
«Io...sono tua figlia...non quella...specie di pseudo teatrino del cazzo che ti sei costruito!
IO SONO UN GRIFONE, QUEI DUE SONO SOLO DUE FOTTUTI PICCIONI RITARDATI CHE HAI TIRATO SU TRA SESSO DEPRIMENTE E DI RIPIEGO, NIENT'ALTRO!
«BASTA COSÌ!»
«Basta...? Tu dici a me "basta"?» 
«Non è condannando i tuoi fratelli che riavrai ciò che ti manca, Eris...»
«LORO NON SONO NIENTE PER ME! SONO SOLO I FIGLI CHE HAI AVUTO DA UNA DONNA CHE AVREI VOLUTO UCCIDERE DA SVEGLIA SOLO PER GODERMI L'ORRORE NEI SUOI OCCHI, QUINDI NON VENIRMI A PARLARE DI AMORE FRATERNO!
Io avevo tutto...avevo un padre che mi amava più della sua vita, una casa meravigliosa, anzi fanculo anche questa proprietà di merda, io avevo te e non mi serviva nient'altro...
Invece mi hai affidata alle cure di altri che non erano e non sarebbero mai stati te, Rhys, e lo sai!»
Le mani dell'uomo si appoggiarono quasi a dargli sostegno contro lo schienale della sua poltrona, non potendo smettere di guardare la figlia con quel velo lucido che non gli impedì però di vedere quel dolore insormontabile, arrivando a graffiare perfino la pelle della seduta. 
«Che cosa...devo fare...»
«Ammetterlo. Non cambierà niente, questo lo so...io e te non cambieremo di certo, io ormai sono così, lo sai? Dimmi, papà, lo sai che figlia sono? Uh, lo sai? 
Tanto vale che te lo confessi prima che sia quella puttana a farlo...perché so che lei sa tutto.»
«Ma di che stai parlando, che cosa sa Rhiannon di così importante?
Cosa, in nome di Dio, potrebbe esserci di peggio di una figlia strafatta che non vuole vedere che quel ignobile di suo padre vuole concederle la possibilità di cominciare una vita nuova, lontana dalla Hunter, anche da me se può farti stare meglio.»
Con un gesto di collera, Eris frantumò al muro l'intera bottiglia di whiskey che finì in migliaia di schegge d'argento.
«MA ALLORA NON MI ASCOLTI!
NON È ALLONTANANDOMI CHE MI SALVERAI! NON È PORTANDOMI VIA DA UNA PRIGIONE DOVE TU MI HAI INTRAPPOLATO CHE CAMBIERAI NIENTE, PERCHÉ ORMAI IO SONO COME TE E PUOI ANCHE VENDERTI L'ANIMA, MA TANTO NON CAMBIERAI LE SORTI!
Io non tornerò mai più ad essere la ragazza che hai cresciuto, potrai anche mettermi su un bel vestito e pretendere che sposi un coglione che passa da queste parti, ma io resterò Eris Griffith, capitano, soldato...drogata, alcolizzata a giorni alterni,  che si è fatta scopare perfino dall'uomo che avrebbe dovuto fare le veci di suo padre fino a poco tempo fa...
Ecco chi sono.
Oh si, mi hai capita...mi hai sentita...»
Il volto dell'uomo trasparì un'espressione buia, all'ombra della luce ormai morente della lampada nella tetra notte, avvolto nell'incredulità più cieca, scuotendo nervosamente il capo, ma quel suo cruccio venne smentito dalla stessa giovane, che annuì più volte di rimando.
Lui negò di nuovo, schiudendo le labbra come se l'aria avesse iniziato a mancargli, aprendosi con un gesto tremante lo stesso colletto della camicia.
«N-non ti credo...non è vero...»
«Tu sai che non mento, tu non vuoi ammettere a te stesso che la piccola Eris è morta dal giorno in cui hai chiesto a tuo fratello di portarla via, e da lì è nata una persona diversa...»
«Trystan non...no...»
«Si, papà, l'abbiamo fatto, siamo colpevoli...»
«NON DIRE PIÙ UNA CAZZO DI PAROLA, NON È VERO! MIO FRATELLO È TANTE COSE MA NON...non ti avrebbe mai...»
«E INVECE SI! QUI, IN QUESTA CASA, ALLE TUE SPALLE, POCO PRIMA CHE ANDASSIMO VIA COME DUE LADRI AL SORGERE DEL SOLE!
CONSAPEVOLI, INTENZIONATI A FARTI DEL MALE, MA ADESSO QUESTO NON HA PIÙ IMPORTANZA PERCHÉ ORA CI ANNEGHIAMO DENTRO FINO AL COLLO!»
«Stai zitta...Eris...Taci.»
Mormorò l'uomo con il viso cadente verso il basso, i capelli sudati incollati alla fronte e il viso perso nel vuoto, allontanandosi dalla figlia con un'andatura praticamente barcollante.
«Non riesci a guardarmi in faccia vero? NON CI RIESCI PIU? VERO? UH? ORA SAI ESATTAMENTE CHE SENSAZIONE SI PROVA, DI SPORCO, DI VERGOGNA!
CORAGGIO! COLPISCIMI!»
L'impulso, quelle parole, quelle tremende e orribili verità lasciarono nella bocca del comandante un moto di collera e delusione inimmaginabili, avvertendo e desiderando quasi seguire quel suggerimento quando si ritrovò di nuovo davanti la sua bambina; il dorso della sua mano fu quasi prossimo a colpirla dritto in viso, ma il peso del dispiacere non gli permise nemmeno di toccarla, portando la stessa mano, volta all'offesa, sul suo viso, in mera difesa.
Il silenzio rarefatto era pesante, insostenibile, tra un padre ed una figlia stanchi, specialmente il primo che riuscì appena a guardarla con quell'occhio mesto, arrancando aria dalla bocca come se stesse sostenendo un peso inimmaginabile.
«Hai...permesso...tutto questo solo per ferire me...? Ti sei prostrata...ad una vergogna simile solo per uccidere il tuo vecchio, Eris...?
Perché se mi stai dicendo questo, allora, ci sei riuscita...ma mi chiedo...ne è valsa la pena farti questo per me?
Hai permesso...che l'odio che covavi qui ti lasciasse in balia di abusi...»
«Trystan non ha abusato di me..»
«NON DIFENDERLO!
IO HO CONCESSO ERRONEAMENTE A QUELL'UOMO LA CUSTODIA DI MIA FIGLIA PERCHÉ FOSSE MIGLIORE DI ME, MA MI RENDO CONTO CHE LA MIA VALUTAZIONE È STATA MOLTO SCADENTE, SPERAVO DI AVER CRESCIUTO MIA FIGLIA DIVERSAMENTE, SPERAVO CHE SEBBENE L'AVESSI FERITA, DELUSA, NON SI ABBASSASSE PERFINO A CALPESTARE SE STESSA PUR DI SPEZZARE LA SCHIENA DI UN BASTARDO COME SUO PADRE!
MA TI RENDI CONTO DI CHE COS'HAI FATTO? DI COSA TI HA FATTO? 
Evidentemente no, perché se sei arrivata a questo convinta di essere perfino consapevole allora, ti ho davvero persa...Eris...»
«Papà...io ero consapevole, io…»
«No, non...no!
No...ti prego...ti prego...di lasciarmi solo.»
La mano tremante di Eris non arrivò neanche a sfiorare la spalla dell'uomo, dalle mani appoggiate proprio sulla scrivania che servì solo a tenerlo in piedi in quel momento, mentre il suo sguardo sembrò del tutto disperso, ma sapeva solo dove non riusciva e voleva guardare.
Il pugno della ragazza si chiuse su se stesso a quelle chiare e dirette parole, ritornando esattamente lungo il fianco, ma che cos'avrebbe dovuto aspettarsi dopotutto? Da un uomo che veniva tradito nel più truce dei modi?
Il gelo in quello studio era talmente fitto che l'aria arrivò quasi a tagliar loro la carne fino alle viscere, ma non c'era altra scelta.
Le gambe di Eris si mossero sconnesse, ma per pure inerzia verso la porta dell'ufficio, ma si fermò proprio davanti ad essa, dove padre e figlia si guardarono appena con la coda dell'occhio, nuovamente al punto di partenza, divisi e lontani dalle menzogne.
«Lo avresti saputo...in un modo oppure in un altro, e so che questo non ti farà stare meglio, ma almeno...per una volta, ho ammesso parte delle mie colpe!
Non mi aspetto il tuo perdono, non mi aspetto la tua comprensione, mio amato comandante, mi aspetto solamente che tu mi accetti esattamente come sono...
Difettosa, ma sempre tua figlia.»
Rhys trattenne un verso simile ad un urlo di cocente furia fino a colpire con un pugno la stessa superficie del tavolo. Non c'era niente di razionale, niente di giusto, ma come avrebbe potuto quindi perdonare?
«Hai ragione, Eris, tu sei e sarai...sempre mia figlia, ma spero tu riesca a comprendere...che in questo momento non penso di riuscire ad ascoltare altro...ne le parole di una figlia che voleva vendicarsi di suo padre, e nemmeno, se mai le udirò, quelle di un fratello troppo vigliacco per potermi affrontare faccia a faccia, preferendo continuare a mentirmi...per anni!
Non odiarmi, ma ti prego...ora di lasciarmi da solo.»
E così fu, la porta si chiuse esattamente alle spalle della donna, quasi ingigantendo sempre di più quel muro ormai divenuto un vallo insormontabile. Quante volte si evita la verità e si preferisce tacere?
Forse pure troppe, ma l’ex capitano Griffith su una cosa aveva pienamente ragione: avrebbero tutti potuto continuare a mentire, nascondendo sotto gli sfarzosi tappeti rivelazioni raggelanti e fatti osceni difficili da digerire, mandando così avanti quella tragica commedia con falsi sorrisi sul viso, ma sarebbero morti soffocati dalle loro stesse maschere. 
Era meglio convivere con i propri errori, ma a quale prezzo?

Eris Griffith quel giorno aveva rotto l’incanto dietro la maschera, ma un altro agnello sacrificale, dall’altro lato del paese, si stava avventurando verso una pericolosissima sala degli specchi, non molto lontano dal cuore della pulsante mela del peccato, in una già conosciuta e decadente locanda.
Erano ormai le 2 del mattino, il pub era prossimo alla chiusura, ma l’oste vide entrare un ultimo e bizzarro cliente che non si sarebbe aspettata di vedere arrivare, ma la speranza era certamente l’ultima a morire; sorrise sotto ai baffi, continuando così a lucidare quei boccali da birra, talmente vecchi che ormai erano da buttare.
«Ragazzo, cerchi qualcuno? Mi sembri un po perso, forse posso aiutarti!»
Ivo si grattò confusamente la nuca, annuendo.
«Balthasar...Drake...signora, per favore.»
«Uh...e chi chiede di lui, se posso?»
«Ivo...Ivo Nardi.»
Molly confermò i suoi sospetti; posò così il bicchiere sul bancone e indicò con il braccio stanco una malandata scala che dava ad un piano rialzato, forse una soffitta o un solaio. Ivo non sapeva se fosse nel posto giusto, ma tutto sembrava indicargli di si.
«Oh, ma allora questo cambia tutto!
Lo dovresti trovare al piano di sopra, in fondo a destra; so che era uscito stamattina, ma immagino sia rincasato da un po '...»
«La ringrazio, signora!»
«Oh, ti prego, chiamami pure Molly...»
«E sia.»
Quella giornata era stata troppo lunga per tutti quanti, e Ivo aveva vissuto un pomeriggio che non voleva ripetere, che non voleva ricordare, dove sperava di trovare le risposte che cercava da ormai un intero anno ma quelle che aveva trovato lo avevano solo ricondotto al punto di partenza, o peggio, perfino al livello 0. Era al capolinea, era solo, vittima forse, ma stavolta avrebbe ascoltato qualcosa di meno razionale della sua testa, anche se non era affatto bravo nemmeno in quello, ma Balthasar aveva lasciato in lui qualcosa che ancora non sapeva spiegare. 
Voleva solo parlargli, un’ultima volta, a costo anche di voltare le spalle alla Hunter, o perfino a suo padre. 
«Sapevo che saresti venuto, mi chiedevo solo quando lo avresti fatto…»
«Balthasar…? Sei tu?»
«Oh, Ivo, non ricominciamo con le domande superflue…ancora dubiti di me? Dopo tutto questo?»
«Capirai anche tu che quando un uomo mette in discussione perfino se stesso, un giorno è decisamente poco per prendere una decisione, quindi scusami se ho tardato, ma dopo ciò che ho sentito, e da chi l’ho sentito, avevo bisogno di stare per conto mio!»
«E tu invece dovresti capire che chi ha aspettato una vita intera questo momento, di altro tempo, non ne ha più…ma sono disposto a perdonarti, forse!»
Gli occhi di Ivo non riuscirono ad orientarsi nel buio fitto di quella mansarda, finchè due forti mani non gli si appoggiarono sulle spalle, proprio sotto la luce dell’unico lucernario che permise finalmente ai volti di entrambi di incrociarsi alla pallida e falsa luce della luna. Sebbene la stanchezza, il cacciatore ritrovò quei lineamenti orientali proprio come li aveva lasciati la mattina stessa, forse contratti in un inaspettato sorriso che lo lasciò perplesso, ma aveva altri pensieri che lo annebbiavano in quel momento. Balthasar se ne accorse, annuendo con un ingannevole e bonario cenno del capo, incrociando poi le braccia al petto.
«Sarà stato difficile fronteggiare il tuo vecchio tutto da solo, e dimmi…con quali scuse ha preteso di difendersi, con quali escamotage ha cercato di divincolarsi dalla posizione in cui lo hai messo?»
Ivo chiuse gli occhi, allontanandosi dalla luce, verso l’oscuro e polveroso angolo di quella soffitta, trovando riposo su un baule; finì per sedersi, con le mani venose tra i chiari capelli, forse nel disperato tentativo di cancellare ciò che aveva sentito. Lo sguardo acqua dello stregone avrebbe volentieri aperto in due quel cranio per avere quelle informazioni, ma riacquistò la sua tempra, sospirando.
«Non sei costretto a parlarne, se non vuoi…dev’essere stato terribile!»
«Smettila con la recita!»
«Come…?»
Con un sopracciglio inarcato, il persiano corrucciò lo sguardo, scendendo con entrambe le mani sui fianchi; il Nardi alzò lo sguardo stanco e saturo, guardando dal basso con gli occhi carichi di delusione lo stregone, quasi a chiedergli cosa davvero si aspettasse.
«Sapevi perfettamente che sarebbe andata così, che mi sarei ridotto ad un cieco in un limbo, non recitare la parte dell’amico comprensivo e dispiaciuto che non sapeva a come cazzo sarebbe andata a finire!
Io mi sono e mi sto, Cristo…io sto cercando di fidarmi di te, Balthasar! Sai quanto avrei voluto sbagliarmi, non tornare, non dover scegliere tra te…e mio padre, sai che significa?»
«Che ti ho forse aperto gli occhi quando nessun altro si è degnato di farlo?»
Rispose l’altro in maniera quasi seccata, notando come Ivo non avesse mai smesso, dal momento in cui era entrato, di stringere nel pugno destro l’ametista che lo stregone gli aveva lasciato in pegno poche ore prima, focalizzandosi per un momento su di essa come se quasi avesse potuto essere un problema, ma scelse di tralasciarlo, tornando così su Ivo, di nuovo vicino al persiano, di nuovo entrambi sotto quei riflettori del cielo.
«Non ricordavo fossi modesto, Drake, ma c’è anche da dire che la riconoscenza non è mai stata nelle tue corde! Nemmeno quando ti ho liberato…»
Il moro sogghignò a quella precisazione, che quasi gli diede il permesso di restringere inavvertitamente le distanza tra di loro di un passo ancora, sollevando il pugno chiuso di Ivo verso l’alto, stando quasi attento lui stesso a non toccare la collana, il cui ciondolo luccicò accanto ai loro visi. Il cacciatore sbatté imbarazzato le palpebre, non aspettandosi certo quella presa di posizione, schiarendosi la gola.
«E neanche ricordavo fossi così amante del contatto fisico…»
«Ci stai continuando a girare attorno da troppo tempo, cacciatore! Ti interroghi da mesi, metti in dubbio questo e quell’altro, ti ribelli al tuo vecchio e al tuo “ordine”, impugni impunemente davanti alla tua gente una pietra come questa e hai paura di guardarmi negli occhi? Ivo, non so cosa ti spaventi davvero, ma sono più che certo che non sia la tua lealtà verso la Hunter ciò che ti tormenta…»
Il biondo finì per cedere ad un verso quasi di mera vergogna, con lo sguardo basso verso la pietra, ma se lo trovò nuovamente rivolto verso gli occhi ipnotici e quasi innaturali dell’uomo dai capelli scuri come l’ebano; il cuore iniziò a battergli all’impazzata, non essendo mai stato così vicino a lui come in quel momento, quasi sentì l’impulso di volerlo allontanare per la sua stessa incolumità, ma questo non era nei piani dello stregone, che scese con la mano proprio come un abile serpente lungo il suo profilo del collo, fino al petto. Fu come se il semplice tatto, anche se diviso dal tessuto della camicia, permettesse allo stregone di sentire e perfino confermare cosa c’era in quella gabbia.
Lo aveva in pugno, finalmente.
Le iridi tenui di Ivo tremarono, come il suo pugno che finì quasi per schiudersi a causa della morsa forte sul polso, non riuscendo a comprendere cosa stesse provando, tuttavia non ebbe modo di confutarlo, non più a lungo di quei brevi e confusi istanti; allora smise di chiedersi che cosa fosse Balthasar per lui, perchè forse la risposta non andava cercata poi così lontano.
La luna fece da muta testimone a quel bacio dal sapore contrastante, ricercato si, ma che lasciò nel cacciatore un intimo dubbio di insicurezza, o forse perchè l’aveva immaginato così tante volte che se l’era aspettato completamente diverso, ma quel Balthasar non sembrò poi così generoso dal rilasciare ulteriori spiegazioni, tanto che la sua presa su Ivo fu forte al punto da far cadere la preziosa pietra nel vuoto; l’occhio dello stregone, per un istante, incrociò il suo vero riflesso proprio sull’unica facciata liscia della pietra che avrebbe finito per svelare il suo trucco, ma Ivo non avrebbe aperto i suoi di occhi, perchè quell’inganno aveva un sapore fin troppo dolce per poter essere interrotto, ma questo, Elaijah, lo aveva già pianificato.
La catenina rotolò via, come una disgraziata palla da biliardo avrebbe fatto, rotolando via per le scale della taverna, un percorso senza ombra di dubbio frastagliato che rischiò di romperla; non aveva idea che sarebbe stata raccolta, ore più tardi, verso la pallida alba, da due mani nettamente più piccine e curiose. Molly aveva come al solito lasciato aperto sul retro, affinché un piccolo semidemone senza fissa dimora potesse farsi una sana dormita dietro al bancone; nessuno avrebbe immaginato che sarebbe stato proprio Kendas a trovare, con il viso ancora assonnato, la collana proprio sotto la panca su cui era appisolato.
Proprio fuori dalla pub, sotto i primi raggi lugubri del sole, il rombo a scoppio di una Ford si chetò, lasciando che tornasse il silenzio quasi sacro che a Londra si respirava raramente. Cedric si sgranchì, sentendo la sua schiena praticamente a pezzi, dopo aver passato praticamente l’intera notte alla guida, ma non era solo, non al ritorno; si svaccò sul volante, dando tregua alle spalle dolenti, con il viso rivolto verso il sedile del passeggero, dove Eris, silenziosa, non aveva aperto bocca per tutto il viaggio. Il ragazzo non poteva certo dire di conoscerla, ma quel silenzio lo aveva certamente inquietato. 
«Mi spieghi che cos’hai? Non hai aperto bocca in quasi 4 ore, e sinceramente farsela di notte con questo silenzio non ha aiutato…
Eris, che cosa ti è successo? L’altra notte sembrava che tutto andasse bene, non speravo certo che restassi, ma un saluto sarebbe stato gradito!»
Il borbottare del cugino fece quasi eco nelle orecchie della donna, sicuramente accanto al ragazzo, ma talmente lontana che nemmeno con la macchina in corsa l’avrebbe mai raggiunta. Era uno straccio, non si reggeva neanche più in piedi, ma degnò il Darcy di un’occhiata sufficiente, sospirando con il petto pesante.
«Volevi che ti lasciassi per caso un cesto di frutta, forse? Grazie per lo strappo, grazie per la scopata, se proprio vuoi sentirtelo dire, ma che altro vuoi, Cedric?»
Chiese insofferente Eris, lasciando perplesso l’altro come se avesse appena ricevuto uno schiaffo; sebbene la sbornia, la Griffith se ne accorse, conoscendo già quell’espressione, ma non poteva certo rendere conto perfino ad una simile sciocchezza; si grattò nervosamente la nuca, non negando però lo sguardo all’altro, con tono nettamente più pacato.
«Cedric, senti…non so cosa ti stia passando per la testa, davvero, ma spero proprio che tu non sia venuto veramente fino a Cardiff per me, perché credimi, sprechi il tuo tempo, te lo posso giurare!»
«Sprechi? Quindi l’altra notte è stato uno spreco? O ero il primo imbecille che ti era capitato davanti?»
«La risposta potrebbe avvicinarsi alla tua supposizione, ma nemmeno posso giurare amore eterno ad un ragazzino che a stento conosco! Oh ti prego…non fare stronzate…»
La risata di scherno riempì l’intero abitacolo, che lasciò l’amaro in bocca al ragazzo, che stringeva compulsivamente qualcosa nella tasca della sgualcita giacca, ma Eris fermò quel movimento appoggiando la sua stessa mano su quella del cugino; Cedric la guardò negli occhi, ricordandola esattamente come l’altra sera, dove l’alcool non aveva alterato neanche un po la sua bellezza, ma evidentemente non bastava, non per entrambi. Sebbene l’animo della ragazza fosse a pezzi, sfiorò con la nocca lo zigomo pronunciato del ragazzo, quasi affettuosamente, ma lo fermò dal tirare fuori l’anello, negando con il solo sguardo.
«Ogni tanto dovremmo accettare le cose per come sono, o forse illuderci un po meno; non stare ad indagare il perchè o il per come sia successo, alle volte è meglio così. Eravamo due persone sbagliate ma al momento giusto e nel posto giusto: tu volevi smaltire la tua inculata nuziale, io volevo smaltire l’odio verso me stessa, quindi, se può farti stare meglio, ci siamo solo aiutati per una notte…
Ma Cedric, una notte non vale per aiutarsi tutta la vita, e non lo dico per me, ma per te! Concluderesti il peggior affare che ti possa capitare, davvero…e ti posso assicurare che in questo momento l’ultima cosa che mi serve è un’altra catena al collo!»
«Un’altra…»
Mormorò il ragazzo, riprendendo a fatica quelle parole, ma non ci volle molto per comprendere il significato di quella frase; strinse non proprio gentilmente le mani attorno al volante, guardando meccanicamente verso il finestrino dal suo lato.
«...e chi ti avrebbe messo la prima?»
Eris si sorprese a quella domanda, guardando il profilo imbronciato di Cedric che le dava quasi le spalle; sebbene l’asfissiante gioco, finì per sorridere a quella reazione, lasciando un bacio su quella stessa guancia.
«Spero tu non arrivi a conoscerlo mai, ma vedendo la fortuna che gira da queste parti, chissà che non possa apparire anche nei tuoi incubi, futuro lord Darcy.
Grazie per il passaggio, cugino, ti auguro un buon riposo, o dovrei forse dire “buongiorno”?»
L’alba di un nuovo giorno era sorta, e batteva proprio sul viso funereo dell’ex capitano, che vagò lasciandosi indietro anche il ragazzo; chissà se era rimasto ancora parcheggiato davanti al locale, non poteva nemmeno dirlo visto che non si era mai voltata indietro per non cedere alla dolce e velenosa tentazione della malinconia. Sentiva solo il tiepido mattino sulle guance, le mani sepolte nelle tasche della giacca, camminando quasi per inerzia parallelamente lungo una delle sponde del Tamigi in piena per via di quelle insopportabili piogge. I primi rumori iniziarono a svegliarsi da lontano, lungo i vicoli, le botteghe, le prime panetterie aperte, ma fu solo un grosso e profondo tonfo, preceduto da un grido, a spezzare quel muro di indolenza che aveva quasi reso sorda la ragazza da chissà quanti minuti: sgranò gli occhi per l’orrore, vedendo dall’altra estremità del fiume il braccio di un uomo spingere deliberatamente oltre la ringhiera quello che poteva essere un bambino, o forse poco più grande, che venne orribilmente inghiottito dalla foga della corrente. Il muro finì per infrangersi nella mente di Eris, gettandosi solo alle spalle la giacca, nemmeno calcolando gli altri pochi passanti che si erano accorti di quella caduta, già vicini ma inerti ai bordi straripanti del fiume, con le mani davanti alla bocca per la paura.
Chiunque in quel momento avrebbe pensato a quel tentativo di salvataggio come un suicidio, perché quello era, ma era scattato qualcosa in quella testa che nemmeno Eris stessa avrebbe potuto spiegare: la corrente probabilmente non le avrebbe mai permesso di avvicinarsi alla figura annaspante del ragazzo, ma il rumore nella sua testa azzerò lo scenario spaventoso che era l'acqua rabbiosa che continuava a spingerli sotto cumuli di fango e Dio solo sapeva cosa.
La corrente la spinse sott'acqua, mentre le parole amareggiate di Rhys l'annegavano.
Il suo colore era torbido e il suo peso schiacciante, come quello del segreto che si portava dietro da quella orribile notte.
La forza delle onde faceva così male contro quelle braccia che cercavano di spingersi verso la riva, che la voglia di lasciar correre e soccombere sembrò quasi più forte, sebbene avesse raggiunto con le dita il colletto della giacca del fanciullo ormai privo di sensi. Poi più nulla; sentì delle voci da lontano, sentì altre braccia trascinarli a riva, aprì solo gli occhi per un frangente, vedendo come una folla si fosse radunata proprio accanto al piccolo, che sputò fiordi d'acqua sporca. 
L'altra sospirò, forse sollevata, e solo allora chiuse gli occhi.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Sidney Prescott