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Autore: budi_pissio    27/05/2025    1 recensioni
Hai mai pensato: "Certo, è un'idea idiota... Ma potrebbe funzionare"?
Loro tre sì. Continuamente.
E ora sono in viaggio verso la Guerra dei Tordi contro i Tardi, con la speranza di uscirne con una medaglia. Una guerra che non interessa a nessuno, tra due popoli dalla dubbia intelligenza.
Malannus, Tontruìl e Domaloca non cercano fama e gloria. Vogliono solo sentirsi dire "bravo" almeno una volta.
La cosa sorprendente? Nonostante tutto... Potresti anche cominciare a fare il tifo per loro.
Mettiti comodo sul gabinetto e segui quest'odissea del disastro.
"L'opera più brillante del XXI secolo" - Un'importante testata giornalistica di cui non riveliamo il nome per salvaguardarne la privacy.
"Ci sono troppe scene sconce e di violenza" - Mia nonna.
"Ci sono troppe poche scene sconce e di violenza" - Mio cugino.
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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La guerra dei Tordi

6. Quando il gioco si fa duro…
 
Giorno 1 del torneo – La giostra
 
«Io l’ho visto, capisci?!».
«E allora?».
Dentro la tenda privata, in teoria adibita per il cavaliere, ma in realtà dove vi dormivano tutti e tre a scrocco, Tontruìl stava tentando di lucidare la vecchia armatura bitorzoluta, in tranquillità.
«Era lì, sulla teca di vetro dei premi, circondato dalle guardie, a pochi metri da me!». Malannus era rientrato alla base completamente su di giri, come un bambino che ha visto Babbo Natale[1].
«Abbi fede, vincerò quel teschio» provò a tranquillizzarlo Domaloca, con improvvisa sicurezza, emergendo dalla ventiquattresima lettura del fumetto: “Superpaladin e il torneo di Ooo”.
«Voi non capite, ho passato decenni a studiare questo progetto e adesso è qui a portata di mano. Non lo perderò proprio ora. È per questo che ho pagato l’iscrizione di questo torneo di merda». La vista dell’artefatto magico lo aveva scombussolato.
Non aveva quasi chiuso occhio tutta la notte, per lavorare rumorosamente, in compagnia del russare dei compagni, in vista della prima gara. La visione del teschio quella mattina, con le poche ore di sonno addosso, gli era sembrata un’apparizione angelica.
«Sono venuto fin qui solo per quel teschio. Non permetterò che qualche stronzo rovini i miei sogni. Infatti ho sudato fino all’alba per prepararti una cosetta». Con un sorrisetto folle tirò giù a fatica la lancia da giostra che era appoggiata in piedi all’entrata.
All’occhio attento di Tontruìl che aveva dovuto tenerla in mano tutto il giorno prima, ora pareva diversa. Luccicava di più, e non per lo smalto nel legno. Vi erano nuovi filamenti di ferro e soprattutto una nuova fascia metallica sotto la punta.
Malannus prese una chiave esagonale e smontò la parte finale scintillante.
L’interno vuoto era stato riempito completamente da una lunga molla d’acciaio.
«Tontruìl, dammi una mano». L’elfo si avvicinò incuriosito. Il goblin si mise a girare con la chiave un dado luccicante e la molla iniziò a contrarsi con dei piccoli stridii. Dopo un po’ mise lo scudiero a continuare l’operazione, via via più faticosa.
«Quando colpirai l’avversario, lo manderai sulla luna» ghignò lo studioso, asciugandosi i sudori dalla fronte.
«Non è contro il regolamento?» domandò dubbioso quello che avrebbe dovuto usarla.
«Nono, se la trovano possiamo ancora giocarcela come deformazione eccezionale della lancia dovuta all’impatto. Sperando non la controllino prima».
Il ragazzo non pareva convinto. Era sicuro delle sue capacità, d’altronde lui era nato per diventare come Superpaladin, nobile e potente, quindi provò a mettere in discussione la cosa. L’elfo invece non ci vedeva nulla di male.
«Cascasse il mondo, tu questa competizione del cazzo la vinci!» gli chiuse la bocca Malannus, puntandogli un dito minaccioso con gli occhi spiritati.
 
«Eccoci qui, signori e signori, benvenuti alla trentaduesima edizione del Super Bow!!».
L’urlo della folla impazzita esplose nell’arena, sopraffacendo il frastuono dei tamburi e delle vuvuzele, dando il benvenuto alla voce distorta dello speaker.
«Chi se ne andrà da qui con i premi e la gloria?! Chi invece tornerà a casa con la coda tra le gambe?! Lo scopriremo insieme!!» gridavano gli altoparlanti magici, riuscendo a farsi comprendere sopra il fragore assordante.
«Questa prima giornata è dedicata al gioco della giostra!! Siete pronti a vedere chi finirà col culo per terra?!». Un altro boato esagerato investì il campo di gioco.
Le gradinate dei popolani, in pieno sole, tremavano sotto il peso dei tifosi che saltavano tra sventolii di bandiere e cori offensivi. Le lussuose tribune dei nobili erano le più sopraelevate e silenziose, con una vista che guardava tutto e tutti dall’alto in basso.
Nuvole di polvere si alzavano di tanto in tanto dalla pista, attaccandosi alla pelle sudata e coprendo gli odori penetranti di cibo e alcol.
«Non perdiamo altro tempo e cominciamo subito! Ecco entrare i primi due contendenti. Dall’angolo rosso, con lo sponsor di Fucine da Incubo: Ser Tallio Manicodimartello dalle Montagne Uggiose!». Fece la sua entrata, tra gli applausi generali, un nano nerboruto sopra un cinghiale corazzato gigante. Lo seguiva il suo team di nani pesantemente agghindati.
«Dall’angolo blu… tappate gli occhi ai vostri mariti… Sponsorizzata da Cocco Channel, Lady Svàva da Thule Nata-da-una-Valchiria!». Persino dalle tribune si notavano gli occhi di ghiaccio della campionessa ardere sotto l’elmo alato mentre il pubblico ammutoliva. Per la delusione degli uomini, la guerriera sopra la cavalla bianca era coperta più di quanto le aspettative avevano fatto sperare. Vennero comunque rinfrancati dalla vista del suo staff, tutte donne aitanti del nord.
«Ecco che i campioni si posizionano agli estremi della staccionata divisoria, pronti per iniziare. Ma, cosa succede? Ahi ahi, i nostri maghi-arbitri pare abbiano individuato delle rune magiche sospette nella corazza del cinghiale di Ser Tallio. Come sapete, la magia non è ammessa. Qualora Ser Tallio dovesse vincere, riceverà comunque un punto di penalità nella classifica generale. Gli arbitri intanto procedono alla disattivazione delle rune».
I nani protestavano animatamente con gli arbitri sotto la pioggia di fischi e urla arrabbiate che si levavano dagli spalti.
«Ottimo, ora siamo pronti. Inizia ufficialmente il primo scontro del torneo! Gli animi sono caldi, i guerrieri pure. Ancora pochi secondi… Tre… Due… Uno… Via!».
La bandiera a scacchi del valletto sventolò in mezzo al campo. I due cavallerizzi partirono, lance in resta, pieni di energia. La cavalla pareva una freccia bianca scoccata da un arco divino, mentre dall’altra parte si lanciava contro di lei un carro armato peloso che faceva tremare il terreno.
La guerriera raggiunse l’avversario prima della metà della pista, e nel silenzio pregno di tensione degli spettatori col fiato sospeso, schivò all’ultimo secondo la punta della lancia del nano con un movimento elegante e lo colpì con forza sul mento, disarcionandolo con un impatto secco. Il guerriero venne sbalzato violentemente all’indietro, precipitando nella terra dura e polverosa, ma, essendo rimasto attaccato a una staffa, venne trascinato in modo cruento dal suo animale fino a fine pista, per la sadica gioia del pubblico che esultò con un boato di soddisfazione.
«E Lady Svàva si aggiudica la vittoria e passa al turno successivo di questa giornata!!».
La cavallerizza alzò la lancia deformata al cielo, mettendo alla prova i polmoni delle gradinate sgolate.
«Di chi sarà il prossimo stemma a trionfare nell’arena?!».
 
Tontruìl contemplava le pagine del fumetto, incantato. Era sempre stato distante dai libri, ma con quello bastava guardare le immagini.
«Muoviti, stupido elfo, tra poco tocca a noi!». Malannus, carico d’ansia, stava cercando di sistemare l’armatura a Domaloca. Le urla provenienti dall’arena permeavano anche la loro tenda.
«È bello, vero?» ammiccò il quasi-cavaliere in piedi, immobile con le braccia aperte. «E diventerà la nostra storia: io Superpaladin e te Robin lo Scudiero» disse con disinvoltura, come se nel mezzo non ci fossero decine di cavalieri grossi ed esperti con spade e mazze.
«Passami la lancia Tontruìl… E smettila di rimanere là imbambolato!» saltò su lo studioso, in preda all’agitazione.
L’elfo sollevò l’asta truccata e la portò con due mani dal nuovo proprietario.
«Ne ho preparata un’altra a mie spese, così dovresti essere a posto per i primi due turni. Intanto questa te la leghiamo bella stretta al braccio, pesa troppo e non riusciresti a reggerla» continuò Malannus che pareva fosse lui a dover gareggiare.
«Non c’è bisogno. Ormai sono praticamente un cavaliere, posso tenerla benissimo da solo, guarda». Afferrò l’impugnatura con la mano guantata e l’alzò in piedi. Lo scudiero si allontanò con discrezione. La lancia resistette in aria per un brevissimo istante e poi… CRACK. Sfondò il tavolino di legno a terra, crollando miseramente.
 
«Mi raccomando, cerca di non farti disarcionare e mira al petto, dopo farà tutto l’impatto. Non devi nemmeno mirare, la lancia starà dritta da sola nella resta. Il tuo avversario è esperto ma non è fra i più forti. È trentacinquesimo nella classifica mondiale». Stavano avanzando nel corridoio coperto da dove facevano l’ingresso i concorrenti. In fondo al tunnel si scorgeva il campo di gioco da cui il frastuono della folla e gli altoparlanti dello speaker irrompevano come un vento impetuoso. Le pareti vibravano sotto la frenesia dello spirito sportivo.
Ora era il cuore di Domaloca a battere a mille. Vestito di tutto punto, sopra Attila, a cui avevano dovuto ridimensionare grossolanamente la corazza e accorciare le bardature troppo lunghe, continuava a tremare per l’emozione. Brividi freddi gli percorrevano tutto il corpo.
Gli veniva da vomitare.
«Ed eccoli partiti!». La voce del commentatore gli fece venire la pelle d’oca. «Peste e corna! Il misterioso cavaliere nero scaraventa Front-de-Boeuf dall’altra parte del campo! Che brutalità!». Un cavaliere volante, di notevoli dimensioni, atterrò violentemente all’ingresso del corridoio e venne portato via semicosciente dai suoi collaboratori, sotto gli occhi di un Domaloca impietrito.
Mentre il paggio-goblin andava ad accordarsi con gli addetti, il giovane concorrente si rivolse alla sua spalla:
«Ton… Tontruìl…» la voce era flebile e pronta allo svenimento. «Slacciami un po’ la lancia… Mi fa male il braccio».
L’altro eseguì, per obbedienza, da scudiero, e per compassione, da amico.
Io sono forte. Io sono forte. Io sono forte erano le parole che ripeteva il giovane nella sua testa come un mantra.
Sebbene meno, rispetto al loro campione, anche Malannus e Tontruìl erano percorsi da brividi di adrenalina, per niente preparati a quello a cui stavano andando incontro. L’unico che in quel momento era perfettamente padrone di sé e carico di determinazione era Attila.
Per una vita era stato trattato come un cavallo di serie B solo per i suoi antenati asini. Ma lui era nato per questo, era nato per essere un destriero rispettato da tutti, senza macchia e senza paura. Se l’era sempre sentito bollire nel sangue, fin dalla prima galoppata. E finalmente ora si sentiva nel posto giusto.
«Siete pronti per il prossimo incontro?!».
Domaloca venne scosso da un’altra esplosione di urla, tamburi e vuvuzele.
Il suo paggio gli fece segno di avanzare. Era giunto il momento.
Superpaladin non ha paura. Superpaladin non ha paura. Attila cominciò a muoversi lentamente, contro il volere recondito del suo fantino, seguendo Malannus che teneva alto lo stendardo. Il suo stendardo.
«Dall’angolo rosso: Ser Avereige Medyun dalla Contea di Regully. Un veterano delle giostre! E dall’angolo blu un volto nuovo che ha già fatto parlare di sé in questi giorni… Ser Domaloca da Culagna!».
Varcata la soglia, fu come entrare in un’altra dimensione. Venne travolto prepotentemente dalla luce abbagliante del sole battente e dal fragore assordante dell’arena. L’odore umido dei cavalli si mischiava alla polvere arida. Troppo frastornato per capire cosa stesse succedendo, non riuscì a distinguere le urla che lo accolsero dagli spalti osannandolo come un campione: “Mez-za-se-ga!! Mez-za-se-ga!!”.
Era il caos.
Dove sono? Cosa ci faccio qui?
Il peso della lancia divenne insopportabile.
«Domaloca… Domaloca! Concentrati sulla mia voce! Non farti sopraffare dall’arena!». Malannus, al suo fianco, urlava al cuore del suo combattente, consapevole di cosa stesse passando il ragazzo. «Tu sei qui per vincere! Tu sei qui perché oggi sei un cavaliere! Dimostra che sei pronto a diventarlo!».
Ha ragione. Una piccola parte di lui si accese. Sentì Tontruìl tirarlo per un braccio. Cosa voleva? Ahn giusto, l’elmo. Si piegò in modo che il fido scudiero gli infilasse il casco sfregiato.
«Vai Superpaladin, fagli il culo» lo incitò con una pacca sulla coscia e un sorriso nervoso ma ottimista, prima di allontanarsi dalla pista.
Fece un respiro profondo. Abbassò la visiera.
Il frastuono e la luce si appiattirono, costretti a entrare solo da una piccola fessura. L’oscurità che circondava il suo campo visivo lo tranquillizzò. Si sentì solo con sé stesso, libero di pensare.
È il mio momento. Sono a un torneo cavalleresco. È quello che ho sognato fin da bambino.
Tramite il contatto con il corpo caldo del destriero, gli parve di sentire la risolutezza di Attila, solido e fermo, e si convinse di esserne contagiato.
Ho promesso che non sarei scappato più di fronte a nulla. Che avrei reso i miei compagni fieri di me.
L’avversario, una figura sfocata, in lontananza, si mise in posizione al lato opposto della staccionata.
«I due sfidanti si posizionano, pronti allo scontro. Anche il giudice di gara si prepara. Contate con me! TRE…!». Il pubblico esaltato si unì al conto alla rovescia.
Io sono l’orfano scudiero di Thunder-tencock.
«DUE…!».
Io sono Domaloca da Culagna.
«UNO…!».
Io sono
«VIA!!».
…Superpaladin!
 
Ser Avereige non aveva avuto una delle carriere cavalleresche più brillanti, ma non aveva nemmeno mai fatto schifo. Aveva sempre svolto il giusto sindacabile chiesto dagli sponsor, senza smettere.
Sebbene non fosse tra i campioni più forti, col tempo aveva accumulato parecchia esperienza e questa era diventata il suo punto di forza che gli permetteva di trionfare. Dopo decine di giostre aveva calcolato perfettamente la lunghezza ottimale della lancia per colpire per primo e la stoccata perfetta per disarcionare i concorrenti più inesperti.
Così aveva cominciato a risalire pian piano la classifica mondiale, vincendo sempre con lo stesso identico colpo, a occhi chiusi.
Quando aveva scoperto contro chi avrebbe dovuto scontrarsi, dopo aver fatto alcune ricerche, aveva sorriso. Il passaggio al secondo turno era assicurato. Quel giovane cavaliere disagiato e impreparato non avrebbe mai potuto essere un problema per lui.
 
I cavalieri si scontrarono. La punta della lancia infallibile di Ser Avereige mancò di dieci centimetri l’elmo di Domaloca, sfiorandone la cima, ingannato dall’altezza di Attila, convinto rientrasse nell’altezza media di tutti i cavalli da giostra.
Dopo pochi istanti giunse anche la lancia del giovane. La copertura della punta si infranse nel petto dell’avversario, facendo scattare la solida molla d’acciaio. Quello che successe poi, zittì bruscamente il pubblico e nutrì le leggende su Ser Mezzasega.
Ser Avereige decollò come un missile terra-aria, prendendo quota dal campo di gioco e atterrando dritto per dritto sugli spalti. Gli spettatori fecero appena in tempo a scansarsi prima che il proiettile umano sfondasse brutalmente i sedili. Con la potenza del rinculo, la lancia si liberò dal braccio del giovane e venne sparata dalla parte opposta con talmente tanta forza che il manico di legno si conficcò nella parete del campo lasciando il proprietario con le mani in mano.
Se Tontruìl non l’avesse allentata un po’ dal braccio di Domaloca, ora non ci sarebbe più stato un braccio a cui legare una lancia.
Nell’arena calò il silenzio. Tamburi e altoparlanti ammutoliti.
L’unica persona che non doveva essere sorpresa, cioè il piccolo ideatore dell’arma letale, restava invece a bocca aperta come tutti i presenti. Forse aveva esagerato.
«». Qualcuno diede una gomitata allo speaker. «Eh?... Sì, sì… Che dire, signore e signori? Le sorprese non finiscono mai! Ser Domaloca si aggiudica il turno!!».
 
Nel tendone delle iscrizioni, deserto, giungeva la baraonda dell’arena, ovattata dalla cupa energia burocratica del luogo. La desolazione era interrotta solo da quattro figure, immerse nell’ombra impolverata, che stavano discutendo in segreto attorno a uno dei tavolini vuoti. Per quanto fossero le uniche cose vive in quel cimitero amministrativo, erano quasi indistinguibili nell’oscurità, se non fosse per una dall’armatura dorata.
«Era già mia intenzione dar via a un’indagine. È per questo che ho convocato qui il commissario del torneo». La voce era quella del vecchio scrivano addetto alle iscrizioni.
«Vi ripeto. Ho fatto più tornei di quanti possiate immaginare e ne ho trovati tanti di truffatori. Avete visto lo scontro?! Come potrebbe mai essere possibile che un giovane idiota con attrezzatura scadente riesca a fare quello che ha fatto?». Il cavaliere dorato, circondato da un’aura di pulviscolo luccicante, aveva un tono incollerito.
«Non si preoccupi. Lo terremo d’occhio» lo rassicurò quello che doveva essere il commissario, giunto lì con un collaboratore.
«E assegnerò a due uomini il compito di indagare sulle origini di quello che si fa chiamare: Ser Domaloca».
 
«Siamo pronti per la terza manche del secondo turno! Dall’angolo rosso: il nuovo signore della guerra Sidar Kondo dalle Terre del Sud!». Un combattente dal fascino esotico fece il suo ingresso nell’arena.
Sopra i vestiti caratteristici non portava l’armatura, aveva solo una cotta di cuoio bollito che lasciava scoperte le braccia nere e muscolose. Pure la testa era coperta solo da un turbante che finiva con un elmo a cupola con paranaso.
L’espressione risoluta non mostrava segni di inquietudine, lo stesso valeva per la postura del destriero, un magnifico cavallo arabo privo di corazza.
«Dall’angolo blu, un cavaliere su cui si discute molto. I più maliziosi dicono che al suo incontro di stamattina ci sia stato qualche imbroglio, ma i maghi-arbitri hanno confermato che la strana costituzione della lancia fosse dovuta a una deformazione eccezionale dovuta all’impatto. Ma ora non perdiamoci in chiacchere, ecco a voi: Ser Domaloca da Culagna!».
Un boato di benvenuto accolse il trio a cui era bastata una vittoria, discutibile, per mettersi a proprio agio. Entrarono salutando con spavalderia i fan senza sentirne i cori. “Mez-za-se-ga! Mez-za-se-ga!”.
«Bene. Ti rimane solo questa lancia speciale, poi il prossimo turno dovrai giocartela con una normale, ma quello è un altro problema. Ora mi raccomando, testa sull’obbiettivo. Non preoccuparti per la sua velocità, la sua lancia è più corta della tua, arriverai per primo. Ti basta colpirlo in un qualsiasi punto» lo incitò il coach-goblin, deciso, ricevendo come risposta un “Sì” forte e chiaro.
«Eccoli prendere posizione…».
Si abbassò la visiera. Ora c’erano solo lui e i suoi sogni di grandezza. Bastava allungare la mano e afferrarli.
«Tre…! Due…!».
Aveva stravinto il primo scontro della sua vita.
Lo sapeva, era nato per essere cavaliere.
«Uno…! Via!!».
I due animali partirono come caccia con le lance spianate. Il purosangue arabo iniziò subito a guadagnare terreno.
Fatti avanti. Io sono pronto lo sfidò Domaloca nella sua testa vedendolo sempre più grande attraverso la fessura negli occhi.
Ancora pochi metri… La determinazione di fantini e destrieri era palpabile. Spettatori eccitati iniziarono ad alzarsi dai sedili.
Sei mio! Domaloca, trionfante, spinse in avanti la lancia pesante[2]. Fu in quel momento che il cavallo avversario scartò di lato e ritornò subito in posizione con uno sforzo muscolare incredibile e un movimento magnifico. L’asta letale del ragazzo non sfiorò nemmeno la cotta di cuoio, in compenso la lancia corta e leggera entrò come uno stiletto nella sua guardia corazzata, infrangendosi nell’armatura con un’esplosione di schegge di legno.
Se fosse stato un pugno l’avrebbe sentito solo allo stomaco, qui invece l’impatto venne assorbito da tutta la corazza facendogli vibrare anche il cervello.
Domaloca crollò all’indietro, lancia ancora legata al braccio, abbandonando Attila e finendo rumorosamente con la schiena sulla staccionata divisoria e venendovi trascinato sopra per metà pista, come una tavola da skate in orizzontale su un corrimano di una scala pubblica.
Quando terminò la sciata, scivolò lentamente giù di lato. Malauguratamente, la prima cosa che toccò il suolo fu la punta dell’arma che fece leva in terra e issò il suo proprietario come una bandiera di latta deforme.
Tutto il suo peso in aggiunta incrinò la copertura nella punta, facendo detonare la molla.
Sotto, anzi, sopra lo sguardo di contemplazione dei presenti rivolto al cielo, il cavaliere volante sorvolò le tribune in un tornado di polvere e venne catapultato fuori dall’arena.
 

[1] che in realtà è suo zio travestito (male).
[2] O meglio, è quello che credette di fare, perché non la spostò di un millimetro.
   
 
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