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Autore: TheAngelica93    31/05/2025    0 recensioni
Una bocciatura sospetta. Quattro amici sono costretti a ripetere l'ultimo anno scolastico nell'inconsueto collegio che frequentano.
Siamo a Cruentapugna, città di alta montagna, dove vi sono: famiglie in guerra; ragazzi instabili al limite del ridicolo; segreti, di vario genere, che fanno fatica a restare tali; persone che hanno soldi, tempo e salute mentale da buttare; presidi e professori dalla scarsa intelligenza e che nessuno vorrebbe mai ritrovarsi in classe; alunni avvenenti e irriverenti; edifici pericolanti e strade dai nomi inquietanti. Situazioni inverosimili a profusione, amori discussi e abitanti grotteschi... sono la regola qui in zona!
Genere: Comico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Solo problemi

 

I primi segnali della catastrofe andavano colti già in quei primi anni scolastici al LPA, in cui io, Pamela Monaldeschi, avevo assistito a tre ritiri, nove esaurimenti nervosi, cinque casi di ulcera e a diversi attacchi di panico, accompagnati tutti da pietose crisi di pianto.

Ne avrei viste anche di più, in quell'opprimente collegio dall'atmosfera competitiva e allucinante e causa di stress perenne, se non fosse stato per un voglioso professore, che, l'anno precedente, mi aveva fatta espellere, ferito nell'ego, per non aver ricambiato il suo inopportuno interesse neanche quando si era fatto troppo insistente.

Avevo perso fin troppo tempo, ma, per mia fortuna, tutti hanno almeno un segreto che non si vuol far conoscere agli altri e, grazie a un valido ricatto, ero stata riammessa nel migliore collegio dello Stato. Il LPA, istituto prestigioso all'apparenza, creato appositamente per fare di intelligenti ricconi, snob e avvenenti, degli spietati carrieristi: situato nella capitale marittima di Biornia – ovvero un'antipatica isolona gettata nel mar Mediterraneo, giù, sotto lo stivale e la Grecia, e ignorata al punto da non apparire neanche sulle mappe, come una nazione di fantasia che nella realtà non esiste –, uno Stato i cui abitanti escono per interagire e fare affari col resto del mondo, ma la visita non viene mai ricambiata.

Era pieno pomeriggio e mi trovavo nella mia stanza, con le pareti dalle sfumature viola, nel sontuoso dormitorio femminile della scuola; accartocciai l'ennesimo bigliettino anonimo e lo lanciai dritto nel cestino, accanto alla scrivania, facendo centro al primo colpo.

Ma perché questo non mi insulta postando stories su Instagram come tutti i comuni mortali?

Negli ultimi mesi, constatai, me ne erano stati mandati diversi di quei biglietti, e tutti con frasette ridicole quali: “Mi vendicherò di te e ora lo sai”, “Quelle come te... verrete tutte rieducate”, “Ho problemi intestinali”.

Sull'ultimo c'era scritto: “Uno, due, tre. Indovina chi sarà con te? Ti detesto, come la pasta col pesto.”

Bah...

Riflettei su come poco mi preoccupasse tutto ciò, in quanto ritenevo normale l'essere odiata vista la popolarità che, in quella scuola, avevo raggiunto già dalle prime settimane in cui vi avevo messo piede.

Sto diventando davvero una brava attrice. Mi guardai allo specchio dell'armadio con fare pensieroso: l'immagine che vi veniva riflessa era quella di una ragazza ritenuta bella, seducente e sicura di sé; il visetto a cuore, da bambola di porcellana, ricambiò il mio sorriso arrogante che non aveva ragione di essere sfoggiato.

Mi sentivo così a disagio con la persona del riflesso, che dava agli altri l'immagine di me che volevano venisse mostrata loro: per la famiglia, lei era un'educata ragazza che obbediva sempre alle regole e che doveva eccellere in ogni campo; per gli studenti del collegio, era la regina stronza, colei che nessuno osava contraddire per timore di inimicarsela; per le donne dell'associazione di beneficenza – in cui aveva iniziato il tirocinio, perché in quel collegio pretendono che ci si atteggi già ad adulti –, Pamela Monaldeschi era una piccola donnina matura e perfetta, oltre che un'ottima organizzatrice di eventi.

Ero un'attrice, un personaggio fittizio, in una vita che non mi apparteneva più. Era come se fossi diventata la protagonista di una serie televisiva senza senso e senza trama, con episodi che tiravano avanti per inerzia, personaggi secondari inutili e situazioni tappabuchi.

Non sapevo darmi delle risposte su chi io fossi per davvero: mi ero persa dietro le mie innumerevoli maschere da non riuscire più a capire cosa fosse reale o non.

«Sei davvero incantevole», si complimentò Serena Castellani; la biondina si alzò dal mio letto disfatto per aiutarmi a sistemare i capelli mossi e scuri che mi ricadevano soffici e delicati sulle spalle nude e chiare.

Pensavo spesso a come le fossi grata di essermi amica e a come non le avessi mai confessato di ritenerla molto più bella di me, e non solo a livello estetico: Serena era un'anima luminosa, una delle poche persone di cui sentivo di potermi fidare sul serio.

Gli insistenti occhietti azzurri di Serena, sul suo visetto innocente, mi continuavano a fissare, e in maniera diretta, attraverso il vetro dello specchio.

«Cosa c'è che non va?» le chiesi un po' troppo irritata.

Rimasi in sottoveste, nello sfilarmi il vestito rosso, per potermi provare quello blu; l'abito era scivolato veloce lungo le mie gambe tornite e si afflosciò sul pavimento.

Un'altra cosa che invidiavo a Serena – realizzai, osservandola di striscio – era la sua corporatura leggera come l'aerogel: la mia amica era minuta e priva di curve eccessive, mentre io, come alcuni professori di sesso maschile andavano affermando, avevo un corpo da Pin-up che li faceva deconcentrare; entrambe, però, vantavamo una carnagione bianca quasi come il latte.

Con fare nervoso, Serena iniziò ad arrotolarsi una ciocca biondo miele intorno al dito.

Brutto segno! Qualsiasi cosa debba riferirmi non sarà affatto gradita alle mie orecchie.

«Cos'era quel bigliettino che hai lanciato?» mi chiese, nel vano tentativo di girarci intorno più del dovuto.

«Mh...» borbottai. «Lascia perdere.» La incitai con lo sguardo ad aiutarmi a chiudere la cerniera. «Tu, piuttosto, parla! Sai quanto poco apprezzo i silenzi imbarazzanti e come sopporto anche meno le persone che non arrivano mai al dunque.»

Serena dovette mettersi in punta di piedi per chiudere la cerniera fino in cima: non solo indossavo i tacchi, ma ero una ventina di centimetri più alta di lei.

«Una persona mi ha chiesto di andare al ballo di domani sera con lui,» mi rispose lei, con fare insicuro, «da amici, ovvio, ma gli ho detto che prima lo avrei domandato a te... Non sono sicura che ti vada bene.»

«Dimmi chi è, svelta!» le diedi l'ordine come se fosse stata una delle mie tante sottoposte. «Ma sappi che, se temi così tanto la mia risposta, è evidente che sai già che lo disapproverò e che non va bene come accompagnatore!»

«È Gordon Gilberti!» Serena si nascose dietro le mie spalle, affinché non vedessi il suo viso nel riflesso dello specchio. La mia amica sfacciata finse di armeggiare ancora con il mio vestito.

Nell'udire quel nome ebbi un lieve sobbalzo, ma feci intendere che la cosa non mi avesse toccata affatto; assunsi una postura più retta e un'espressione di totale indifferenza. «E che vuoi che mi importi, eh? Fa' quello che ti pare.»

«Andiamo!» mi spronò lei, alzando le sopracciglia. «So che non lo ammetteresti mai, ma... Gordon Gilberti ti piace, e anche tanto...»

«Ho un ragazzo che adoro!» le rinfacciai, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Michele, te lo ricordi? Lo conosci: capelli castani, occhi verdi, bellissimo... Frequenta l'ultimo anno. Stiamo insieme da quasi due anni...»

«Per coprire il fatto che lui sia gay e perché a te piace dire di avere un ragazzo, senza, però, avere il peso di una relazione!» ribatté lei.

«Come siamo audaci!» affermai stizzita, nel tentativo di togliermi dalla mente l'immagine invadente di Gordon Gilberti, dei suoi occhi verdi, così chiari da sembrare azzurri, e dei suoi capelli castani e un po' mossi. «Perché vuoi farti accompagnare da quello? Non hai trovato di meglio? Il ragazzo a cui vai dietro si è rimesso per l'ennesima volta con la sua ex?»

«Pamela...» sbuffò Serena, «non mi è mai piaciuto Gualtiero Gregoriadis e lo sai. Sì, è ritenuto bellissimo da tutte, anche se ha il setto nasale deviato: la sua narice destra è strana, ma... È troppo alto per me!»

«Senza offesa...» alzai le sopracciglia, scuotendo la testa, «ma tutti sono più alti di te.»

«Sì, lo so, ma lui supera il metro e novantacinque!» ribadì Serena, con tenacia. «Qua si parla di una cinquantina di centimetri di differenza, senza tacchi ai miei piedi... Non lo guarderei a prescindere!» La vidi rabbrividire; la mia amica si strinse nelle braccia sottili, storcendo la bocca per il disgusto. «Pam... Sincera! Tutti, in collegio, dicono che voi due dovreste stare insieme, quindi, perché insistere? Comunque, è tornato di nuovo con Monica. Dico io... o vi lasciate definitivamente o state insieme per sempre. A che servono questi tira e molla continui?»

«Io e Gualtiero... insieme?» risi di gusto. Mi provai un vestito fucsia che mi stringeva troppo sul petto prosperoso. «Si vede che non ci conoscono: il fatto che Gualtiero e io ci rispettiamo, nonostante l'odio reciproco, non significa che di colpo inizieremo a piacerci come due che si innamoreranno e vivranno per sempre felici e contenti... E perché, poi, tutti si mettono a parlare di queste cretinate? Non hanno di meglio a cui pensare?»

«Qui dentro? Evidentemente no.» Titubante Serena, sfoggiò un sorriso angelico volto a farmi sciogliere. «Allora? Posso andare con Gordon? Non è che, poi, gli farai uno dei tuoi sadici scherzetti, vero?» Il suo sguardo si fece un po' accusatore, oltre che supplichevole. «Pamela, ti prego. Almeno domani sera, non torturarlo... Gordon è così dolce e paziente con te. Non merita proprio di essere trattato come...»

Alzai un sopracciglio e la intimidii con lo sguardo. «Come cosa?» Poggiai le mani sui fianchi. «Io tratto chi mi pare nel modo che preferisco, chiaro?» Tornai ad ammirare infastidita il mio riflesso. «Vorrei restare sola, adesso. Grazie! Questo argomento mi ha stufata.»

Con tutti i ragazzi che ci sono, perché proprio lui si va a scegliere? Sentii la porta chiudersi alle mie spalle.

Un paio di cinguettii mi informarono dell'arrivo di alcuni messaggi sul mio cellulare di contrabbando: mi fiondai verso il letto e lo estrassi dal suo nascondiglio tra le doghe e il materasso.

Incrociai le dita nella speranza che il signor Gregoriadis avesse preso in considerazione la domanda di tirocinio che gli avevo inviato, ignorando sia il mio cognome e il fatto che le nostre famiglie non si potessero soffrire.

Non lo avevo mai visto di persona e a essere onesti mi importava ben poco del suo aspetto: di lui ero a conoscenza che fosse un uomo molto eminente nella regione da cui provenivo e, ogni volta che il cellulare si faceva sentire, confidavo sempre in una email da parte sua: davo quasi per scontato che Edoardo Gregoriadis non potesse non prendermi in considerazione visto che egli stesso avvantaggiava, attraverso un programma, uno studente prescelto ogni cinque anni e, dato che il figlio non era interessato, quel posto doveva spettare a me.

Puntai i miei occhi sullo schermo: sbuffai nel riscontrare che non si trattasse di lui, ma non per questo non mi spuntò un sorrisetto soddisfatto sul volto.

 

Solito posto? Questo pomeriggio? Muoio dalla voglia di vederti. JG

 

JG. Feci dei cenni soddisfatti col capo; Johnny Gregoriadis, il fratello minore di Gualtiero che avevo conosciuto durante le competizioni scolastiche e che mi era subito entrato in simpatia.

L'altro messaggio, invece, era di un numero che non conoscevo.

 

Forse non oggi... forse non domani... ma, Pamela, str*nza dagli occhi d'ambra e dal viso a cuore... Pamela dalla pelle chiara... Prendi mai il sole? La vendetta giunge vicina... nel modo che tanto ami, io ti farò mia... delle serie di cui tanto decanti, ti farò partecipe... dei reality che tanto disprezzi, io ti renderò protagonista... Sei come il giglio di fuoco: un fiore raro, ma tossico; un fiore che, però, voglio collezionare, e a tutti i costi, nel mio giardino privato... L'ora ancora non è giunta, ma presto, secondi o anni... TU LA PAGHERAI!

P.S. Non sono chi pensi tu... Non mi conosci... Gualtiero Gregoriadis non è l'unico a cui stai sulle pigne... Sei una s***a odiatissima, qui al LPA, ma lo sei anche nella tua città... Visto che mi censuro da solo? A presto! Ci risentiremo sicuro.

*

Anche nel piccolo parco giochi, a qualche chilometro dal LPA, si riusciva a sentire nell'aria l'odore salmastro di quel mare che, all'orizzonte, appariva come un'ondulata striscia di un azzurro limpido. Quel pomeriggio, c'erano pochi bambini in giro, accompagnati dai loro genitori: due bimbi si alternavano allo scivolo, un altro si dondolava piano con l'altalena. Il cielo era velato da nuvole fugaci e una leggera brezza faceva rabbrividire la pelle con la sua freschezza.

«Metterei sotto un'altra decina di persone, se questo significasse passare anche solo pochi minuti con te, mia adorata!» Johnny era sempre un gran corteggiatore quando voleva – ogni volta, mi sentivo lusingata dalle sue attenzioni –, ma dovevo restare lucida: non erano mai incontri di piacere i nostri.

Johnny Gregoriadis era davvero un ragazzo bellissimo, ma anche il fratello veniva considerato tale, solo che Johnny aveva i capelli biondo scuro e gli occhi di un azzurro tendente al grigio, e una carnagione piuttosto chiara; Gualtiero, invece, aveva una carnagione olivastra, i capelli neri (rasati sotto e con un ciuffo finto spettinato sopra), e due occhi di una tonalità di un azzurro più scuro rispetto all'altro. Il primo aveva un fascino a dir poco angelico, l'altro un'avvenenza che trasudava malvagità assoluta. Il biondo vestiva con colori chiari, l'altro protendeva per quelli scuri.

Accomodandoci su di una scomoda panchina, guardai Johnny, scuotendo la testa in negazione. «Non hai l'età per guidare. Dovresti aspettare di avere una patente, prima di metterti al volante. E smettila di prendere in prestito le auto dei tuoi professori: ti metterai nei guai. So che al collegio Terzo Quarto siete tutti matti, ma così...» gli dissi, piuttosto seria nel modo di pormi.

Johnny ridacchiò come se la cosa lo divertisse. «Guido da quando avevo dodici anni, tesoro!» mi informò lui, con un sorrisetto altezzoso che lo abbelliva ancora di più. Mi prese le mani tra le sue. «Oh, cara, è dolce, davvero, che ti preoccupi tanto, ma non è il caso: ho mandato alcuni dei miei confratelli a distrarre il professore; non si accorgerà mai del prestito! E hai ragione riguardo il Terzo Quarto, sai? Là, se non sei già matto quando arrivi, lo diventi dopo; sarà perché quella parodia di scuola è diretta da un malato di mente e ci sono sempre fughe di gas. A proposito...» Estrasse una scatolina dalla tasca dei jeans chiari. «Una persona mi ha detto che, tra qualche giorno, è il tuo compleanno! Il quattordici di novembre non so se posso venire da te, per questo...»

La confezione bianca era semplice, ma carina. La aprii subito, non appena me la mise in mano, preda com'ero della curiosità.

«Ma non dovevi...» Un paio di orecchini mi fissarono soddisfatti dal basso; erano certamente costosi ed erano stati fatti personalizzare per me. «Sono bellissimi, grazie.»

«Tutto per te.»

«Come sai che il quattordici è il mio compleanno?» gli domandai, certa di non averglielo mai confidato, come non lo aveva fatto Gualtiero.

Non sono su Facebook, dove avrebbe potuto vedere la mia data di nascita.

«Il mio amico Mario Masini, che poi è anche mio cugino...» mi spiegò lui, per nulla turbato.

«Non lo conosco», lo zittii subito. «Non frequenta il LPA, sicuro, e se vive nella nostra città, lassù in montagna, dall'altra parte dello Stato, non ho mai avuto a che fare con lui.»

«Sì!» Johnny alzò le spalle. «Mario è di Cruentapugna, come noi. Mio cugino è un fenomeno: sa sempre tutto di tutti, non c'è cosa che non viene a sapere.»

Controllai l'ora dallo schermo del cellulare. «Accidenti!» esclamai, alzandomi di scatto. «Devo sbrigarmi a tornare in collegio, prima che qualcuno noti la mia assenza... Non ci è permesso uscire dal LPA; è una specie di prigione, anche se di lusso... E Moccia cerca solo una scusa per cacciarmi da lì. Rischio l'espulsione!»

Johnny mi lanciò una strana occhiata, prima di chiedermi: «Quando l'ultimo fine settimana sei tornata dai tuoi...» Lo fulminai per non fargli dire la parola "genitori". «Quando eri dai Monaldeschi... hai scoperto la combinazione della loro cassaforte?»

«So che lì dentro c'è qualcosa di importante per la tua famiglia, ma...»

«Devo dedurre che la tua risposta sia no.» Johnny arricciò le labbra, aggrottando le sopracciglia; mi poggiò una mano sulla spalla con fare consolatorio.

«Credimi...» Gli carezzai la mano con la punta delle dita. «Non siete solo voi Gregoriadis ad avercela con i Monaldeschi: anch'io voglio vederli cadere in rovina!»

*

Con tutte le lezioni, gli impegni pomeridiani, il giorno seguente, per il ballo del LPA, feci appena in tempo a indossare un lungo abito nero, con spacco sulla gamba sinistra e lacci sulla schiena scoperta (nascosta comunque dai miei capelli sciolti).

Ero ben conscia di essere stata io la responsabile di aver introdotto, in collegio, quelle che tutti appellavano ormai come "trovate americane".

Il preside e i professori avevano approvato tutte le mie ispirazioni tratte da serie televisive e film, mi avevano persino incaricata di organizzare più eventi di quel genere.

Se ci guadagnano, figurati se non se ne approfittano.

Entrando nell'immacolato e imponente istituto, però, mi venne il dubbio che io non fossi un bel vedere: mi guardai intorno per cercare un vetro qualsiasi in cui mi potessi riflettere, ma non lo trovai.

Ammirai la magnificenza di Serena Castellani – col suo sobrio abito azzurro, così dolce e perfetta da far innamorare qualsiasi ragazzo di lei –, ma Veronica, avvicinandosi a me, fu l'ennesima persona a domandarmi: «Pamela, come è possibile che, stasera, tu sia ancora più bella?»

Quelle adulazioni, e i vari complimenti, mi fecero riacquistare un po' di autostima.

Non eravamo ancora entrati nell'ampia palestra, dalle alte pareti beige e dal pavimento grigio perla, adibita a salone per quella particolare serata, che Michele mi raggiunse e mi mollò sulla fronte un bacio affettuoso.

«Sei meravigliosa», mi lodò lui, mentre attorno a noi, nel largo corridoio affollato, si riuniva la mia comitiva.

«Ehi, Monaldeschi!» Mi sentii chiamare, con tono disgustato, da dietro alle spalle. «Ricordati di non fare casini, stasera...»

Neanche mi voltai per rispondere a Gualtiero. «Fottiti, Gregoriadis!» Alzai il braccio sinistro, mostrandogli il dito medio.

Gilberti arrivò poco dopo e potei notare, dalle espressioni solari altrui, quanto quel ragazzo fosse ben voluto da tutti: si avvicinò subito a Serena e le sussurrò qualcosa all'orecchio che la fece arrossire e chinare il capo sorridente.

Serrai la mascella d'istinto, puntando i miei occhi verso l'alto soffitto.

Gilberti mi raggiunse, e con fare esitante, mi domandò sottovoce: «Pamela, possiamo parlare un attimo in privato?»

«Oh, ma che vuoi? Lasciami stare», lo rimproverai, alzando un po' troppo la voce.

Mi furono presto rivolti sguardi indignati dai ragazzi della comitiva, ma al tempo stesso li vidi spaventati all'idea di contraddirmi.

Una volta separati dal gruppo, alla debita distanza, nascosti dietro la parete dell'ampia scalinata, Gilberti iniziò a conversare con fare preoccupato: «Devi smetterla di uscire di nascosto. Rischi grosso!» Risi di gusto per l'apprensione che nutriva per me e salii un altro paio di scalini. «Non mi riferisco solo all'essere espulsi, Pamela: io so con chi ti vedi in gran segreto...»

«Questo non è proprio affare che ti riguarda, giusto?» lo sgridai; lo guardai dall'alto per poco, perché mi raggiunse sullo stesso scalino.

«Johnny Gregoriadis è pericoloso, non è un bravo ragazzo. Lui...» Gilberti insistette; era nervoso al punto che lo immaginai già annegato in una pozza di sudore.

«Smettila di interpretare il ruolo di guardia del corpo», lo interruppi; gli detti le spalle, continuando a salire. «Inizi a essere patetico!»

«Sono un tuo amico!» mi rimbeccò lui, con decisione. Mi seguì fino al piano superiore, imitando la mia andatura veloce; il corridoio era piuttosto buio e deserto, un brivido mi fece tremare tutta. «Non posso non... Io ci tengo a te... Non voglio che ti succeda niente.»

«Oh, ma come sei... carino», sbuffai scocciata.

Non contento dal mio ignorarlo nuovamente, Gilberti mi prese per il braccio affinché mi voltassi verso di lui. In quella semioscurità, gli rivolsi uno sguardo infastidito, ma non tanto quanto lui mostrava di esserlo nei miei riguardi. «Andrà a finire male!» mi riferì lui a denti stretti.

Forse hai ragione! Rammentai i piani che avevo in mente per quella particolare serata.

   
 
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