Il cielo di Elmoria era una tela sporca di grigio, appena schiarita da un debole sole mattutino che faticava a farsi strada tra i tetti a punta e i comignoli fumanti. Nonostante la foschia, il mercato era già un brulicare di voci, profumi di pane fresco e spezie esotiche, e il via vai di carretti cigolanti. Per Lyra, vent'anni e un'anima antica cucita addosso, quel caos era casa.
Seduta a terra, con le gambe incrociate sotto un logoro mantello di lana, Lyra tamburellava distrattamente con un dito sul bordo della sua tavolozza di legno. I suoi occhi, dello stesso colore intenso del muschio bagnato dopo la pioggia, non si soffermavano sui passanti, ma fissavano un punto invisibile, come se cercassero qualcosa al di là del visibile. Il pennello le attendeva in mano, leggero e familiare, un'estensione della sua stessa anima. Da quando aveva memoria, le visioni le visitavano la mente come lampi improvvisi, lasciando immagini fugaci che solo le sue mani sapevano catturare su tela. Erano frammenti di futuro, di passato, a volte persino di luoghi che non sapeva esistessero. Era la sua unica eredità, il suo fardello e la sua salvezza.
Un brusio più insistente del solito la riscosse. Un gruppo di guardie della Gilda dei Custodi stava forzando un passaggio tra la folla, i loro mantelli azzurri e gli stemmi luccicanti che riflettevano la poca luce disponibile. Non era raro vederli, ma la loro urgenza suggeriva qualcosa di anomalo. Lyra li osservò con un mezzo sorriso sardonico: i Custodi, con le loro torri imponenti e i tomi polverosi, credevano di sapere tutto sul mondo, ma non avevano idea di cosa si agitasse sotto la superficie, o, nel suo caso, tra le pieghe del tempo.
Mentre le guardie si allontanavano, la mente di Lyra fu colpita da un'immagine vivida e improvvisa: un nero squarcio nell'aria , da cui fuoriusciva una mano artigliata. Non un artiglio di animale, ma qualcosa di più sinistro, quasi metallico, che si protendeva verso un albero, uno degli Antichi Alberi che proteggevano Elmoria, prosciugandone la linfa vitale. Lyra sentì un brivido freddo risalire la schiena. Non era una visione delle sue solite premonizioni quotidiane. Questa era diversa, più scura, più urgente.
Istintivamente, afferrò il pennello. Le sue dita si mossero da sole, intingendolo nei colori più cupi: un nero inchiostro, un viola profondo come una ferita, un grigio pallido come la morte. I passanti incuriositi si fermarono, attratti dalla sua intensità. Lyra dipingeva con una furia silenziosa, il suo respiro affannoso, il suo sguardo perso nella visione. Sulla tela, il nero si allargava, inghiottendo il paesaggio familiare di Elmoria. L'albero, maestoso e vibrante di luce nella realtà, si trasformava in un'ombra scheletrica, agonizzante. E da quello squarcio, il nero sembrava volersi riversare, quasi una piaga che si preparava a consumare tutto.
Quando l'ultima pennellata fu data, Lyra crollò sulla tela, il pennello che le scivolava dalle dita intorpidite. Il quadro era inquietante, disturbante. I mercanti si allontanarono con un misto di curiosità e paura, bisbigliando tra loro. Lyra chiuse gli occhi, cercando di scacciare l'orrore di ciò che aveva visto. Quella non era una semplice predizione; era un avvertimento. Un avvertimento che la sua semplice vita stava per essere sconvolta per sempre.
Un'ombra scura si stagliò sulla sua tela. Lyra alzò lo sguardo, pronta a scacciare l'ennesimo curiosone. Ma la figura che aveva davanti era diversa. Era un uomo alto, avvolto in un lungo cappotto scuro, con un cappuccio che gli nascondeva quasi completamente il viso, lasciando intravedere solo una mascella squadrata e la cicatrice che gli attraversava il sopracciglio. Ma erano i suoi occhi a colpire Lyra: un azzurro così intenso da sembrare elettrico, e uno sguardo che sembrava aver visto mille battaglie e ancora di più.
L'uomo non disse nulla, ma si inginocchiò lentamente, i suoi occhi fissi sul dipinto, sul nero squarcio, sulla mano artigliata. Lyra si sentì stranamente vulnerabile sotto il suo sguardo penetrante. Era un'attrazione istintiva, quasi elettrica, mista a una sana dose di cautela. Non era uno del posto, non era un mercante, non era una guardia. Chi era? E perché quello sguardo così intenso sul suo dipinto?
L'uomo allungò una mano verso la tela, quasi a voler toccare lo squarcio, ma si fermò a un soffio dalla superficie. "Una visione potente," la sua voce era roca, profonda, come il rumore di pietre che rotolano. "Da dove l'hai presa?"
Lyra aggrottò la fronte. "Non si 'prende' una visione. Ti arriva. È un dono. O una maledizione, a seconda dei giorni." Il suo tono era il solito, intriso di un sarcasmo difensivo. "E tu chi saresti per fare domande?"
L'uomo sollevò lentamente lo sguardo, e Lyra sentì una scossa percorrere il suo corpo. Quegli occhi. Erano pieni di una saggezza antica, ma anche di una profonda tristezza, e una determinazione ferrea.
"Kael," disse semplicemente, senza aggiungere altro. Il suo sguardo tornò al dipinto. "Questo... questo è più di una premonizione, ragazza. È un avvertimento. E temo che tu abbia dipinto qualcosa che sta per cambiare il mondo."