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Autore: budi_pissio    05/06/2025    1 recensioni
Hai mai pensato: "Certo, è un'idea idiota... Ma potrebbe funzionare"?
Loro tre sì. Continuamente.
E ora sono in viaggio verso la Guerra dei Tordi contro i Tardi, con la speranza di uscirne con una medaglia. Una guerra che non interessa a nessuno, tra due popoli dalla dubbia intelligenza.
Malannus, Tontruìl e Domaloca non cercano fama e gloria. Vogliono solo sentirsi dire "bravo" almeno una volta.
La cosa sorprendente? Nonostante tutto... Potresti anche cominciare a fare il tifo per loro.
Mettiti comodo sul gabinetto e segui quest'odissea del disastro.
"L'opera più brillante del XXI secolo" - Un'importante testata giornalistica di cui non riveliamo il nome per salvaguardarne la privacy.
"Ci sono troppe scene sconce e di violenza" - Mia nonna.
"Ci sono troppe poche scene sconce e di violenza" - Mio cugino.
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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La guerra dei Tordi

7. … I duri iniziano a giocare. O quasi.
 
«Quattro… quattro… e… quattro». Il taverniere era chiuso nel retrobottega a completare con calma il suo terzo sudoku.
Da sotto la porta filtravano le urla di battaglia ubriache e lo sfasciarsi di tavolini e bottiglie di sua proprietà.
Aveva capito che non c’erano delle buone premesse già quando il cavaliere nanico e il suo staff avevano portato dentro il locale il loro cinghiale gigante e avevano iniziato a brindarci insieme, innaffiandolo di birra.
La cosa non l’aveva sorpreso più di tanto, nemmeno quando dei saltimbanchi goblin avevano provato a mordere l’animale brillo, per assaggiarlo. Aveva imparato da tempo, ormai, che le notti del torneo erano sempre folli.
La competizione era finita per il giorno, ma la festa per le strade era appena cominciata. Mentre il cielo si faceva più scuro, lì sotto, tra risate e brindisi, l’aria si scaldava alla luce delle fiaccole e dei festeggiamenti.
Il profumo di carne arrostita e spezie si mescolava ai canti e agli schiamazzi, mentre la gente che non aveva trovato posto nelle osterie si affollava attorno alle bancarelle di cibi e bevande.
Le ombre di artisti di strada riflettevano danze disordinate e spettacoli sugli highlights del torneo. Le luci tremolanti delle torce ai lati della strada si riflettevano sui volti divertiti degli spettatori.
Per alcuni era una festa senza fine, per altri solo una scusa per bere e scommettere in compagnia, approfittando della nuova vita che scuoteva la città.
 
Fortunatamente per lui[1], il moto parabolico di Domaloca, lo aveva fatto atterrare nel deposito di fieno riservato ai cavalli dei concorrenti, provocandogli solo qualche ematoma e danni psicologici non troppo gravi.
Dopo aver fatto un giro in infermeria in stato confusionale, venne riportato alla tenda dai suoi due collaboratori che se ne presero cura fino al suo ritorno alla lucidità verso sera.
«Non c’è motivo di disperarsi. Abbiamo guadagnato due punti e abbiamo davanti a noi ancora due giorni di gare per non essere eliminati» dichiarò fiducioso l’allenatore goblin mentre rimetteva via una fiala dall’odore acre che aveva usato per riportare il suo atleta alla capacità di intendere e di volere. Sempre se ne avesse mai posseduta una, aveva pensato in cuor suo lo studioso.
«Anche secondo me è stato un ottimo inizio. Non avevo mai visto due… Un cavaliere volare così. Vedrai che gli hai fatto passare la voglia di far tornei. Complimenti» aggiunse Tontruìl, con la consapevolezza che tanto, alla fine dei conti, non era affar suo. «Anzi, direi che si potrebbe andare a fare un brindisi in onore della prima vittoria…».
«Tu non esci da questa tenda senza di me e soprattutto non ti avvicini a nessuna forma di alcol senza il mio consenso» lo minacciò Malannus con il sottofondo della baraonda notturna che giungeva da fuori.
«Dai, avete ragione. In fondo è il mio primo torneo, va bene così. Anzi, fino a ieri per me era sempre stato un sogno solo parteciparvi. Intanto oggi ho iniziato a prenderci la mano» li interruppe lo pseudo-cavaliere, riposato, che si era messo a sedere sulla brandina. «Nei prossimi due giorni darò il meglio di me e porteremo a casa quel teschio. Ora però sono d’accordo con Tontruìl, andrei a bere qualcosa perché è stata una giornata piena di emozioni. Devo staccare un attimo».
Il goblin sospirò. «E va bene, ma mi raccomando: profilo basso. Ho già dei brutti presentimenti».
«Massì nonnetto, solo un goccetto per festeggiare».
 
«Burp! Eppoi… Li ha ficato la lanscia sciù perill chiulo e il trago è eshploso! Bam!». Tontruìl, a petto nudo in piedi sopra un tavolo, stava sventolando la tunica in aria. Una piccola folla di curiosi pendeva dal suo sguardo moscio per sentire le avventure di Ser Mezzasega.
La taverna in questione, dall’aria pesante e puzzolente come le altre, era una di quelle più tranquille. Per il semplice fatto che non ci fosse ancora nessuna rissa in corso.
«Ha dell’incredibile. L’ho tenuto d’occhio tutto il tempo eppure è riuscito a ubriacarsi». Malannus e Domaloca lo guardavano da un tavolino in ombra, dopo aver abbandonato furtivamente l’elfo, prima di finire sotto i riflettori molesti della festa.
«Forse, se non ti fossi perso a provarci con quella cameriera bionda, te ne saresti accorto» lo rimbeccò il giovane e bevve un sorso di birra tiepida scadente.
«Provarci, che parolona. Le stavo solo rendendo meno pesante il lavoro». L’intellettuale schienò il calice di vino acido, puntando già una nuova preda.
«In realtà fate bene. Anche io mi divertirei se non avessi promesso il mio cuore a Bruthilde. Però il codice cavalleresco parla chiaro: niente donne, niente eccessi…». Il tono era partito convinto per poi diventare sempre più malinconico.
Il maestro si alzò e gli mise una mano sulla spalla. «Non abbatterti. So che è difficile ma stai facendo la cosa giusta. Ora scusami un attimo ma devo andare in bagno». Il goblin si allontanò sgusciando tra sgabelli e persone distese a terra, dopo aver visto una mezzorca un po’ brilla dirigersi al gabinetto. Prima le sue orecchie appuntite e attente l’avevano sentita accennare ai complessi che le aveva creato il padre assente.
«Dove sciono ffniti?». Dall’alto del tavolino traballante, Tontruìl si guardò intorno spaesato, notando solo in quel momento l’assenza dei compagni. «Hey, Scier Mesciascega? Vechìacio?». Proprio adesso che aveva promesso al suo nuovo pubblico, poco più sobrio di lui, di farglieli conoscere.
Sorvolando la sala con lo sguardo appannato localizzò un goblin familiare muoversi e dirigersi verso il bancone gremito di gente.
«Echiolo, è quelo golbin lì! Piliatelo!» urlò trionfante con l’indice puntato.
Quattro presunti fan di Ser Mezzasega, o più probabilmente degli esaltati con la voglia di fare un po’ di casino incitati dall’alcol, si lanciarono verso il poveretto.
Mettendolo a fuoco pian piano, l’elfo iniziò ad avere il dubbio che non fosse il goblin giusto.
«Hò u dubio…» sussurrò, fissando lo sfortunato goblin che stava cercando disperatamente di liberarsi dagli aggressori tra urla di protesta e di aiuto. Ora che lo vedeva meglio: gobbo, sguercio e dalle zanne lunghe che gli fuoriuscivano dalla bocca, non gli sembrava tanto Malannus. In più lo studioso non aveva mai avuto l’aria da squallido giullare inquietante.
«Iliah-Malal!» gridò la vittima a squarciagola mentre veniva trascinata a forza verso l’elfo.
La porta della locanda si spalancò di colpo e un’imponente figura oscura e silenziosa entrò. Nonostante l’aria nella sala fosse afosa e calda, i presenti, voltati verso l’ingresso e ammutoliti, vennero percorsi da un brivido freddo. Tontruìl, divenuto quasi lucido, scese dal tavolino con discrezione e si mischiò alla folla, lontano dagli assalitori inviati da lui.
Bisbigli intimoriti si levarono dai gruppi più distanti dalla soglia.
«È il misterioso cavaliere nero del torneo. Nessuno sa chi si nasconda dietro a quell’armatura».
«Non si toglie la corazza e l’elmo nemmeno la sera».
«Avete visto come ha giostrato oggi? È riuscito a disarcionare persino Ser Piggard. Assurdo».
Il nuovo arrivato si mosse con calma verso il goblin assalito, senza scomporsi. L’unico rumore nella stanza affollata era il cigolìo della sua armatura tenebrosa e i suoi passi che rimbombavano nel pavimento di legno.
Raggiunta la sua meta, dove i quattro ubriachi avevano già liberato la vittima e desideravano non averla mai toccata, li prese per il collo a due a due e dopo averli sollevati da terra senza il minimo sforzo, li gettò contro le pareti come se fossero palline da tennis. Tutti i presenti assistevano in silenzio facendo finta di non sentire i tonfi, le bottiglie e i tavolini che si sfasciavano.
Il goblin gobbo si risistemò i vestiti e, dopo aver sputato a terra con disgusto, lanciando un’occhiata bieca con l’occhio buono ai presenti, uscì dalla taverna facendo segno al cavaliere nero, che lo seguì senza guardarsi indietro.
Ci volle qualche minuto, ma poi il locale ristabilì il suo clima di festa e schiamazzi. I quattro derelitti vennero trasportati via, come sacchi della spazzatura.
«Mi sono perso qualcosa? A un certo punto non si sentiva più nulla, era imbarazzante». Malannus era riapparso dopo un po’, i vestiti e l’aspetto scompigliati. Poteva aver avuto successo nella sua impresa come essere stato malmenato e basta. Domaloca capì che non voleva saperlo.
Gli raccontò cos’era successo.
«Capisco, l’avevo già notato durante le gare. I cavalieri neri senza nome son sempre una brutta rogna, speriamo di non avercelo contr…».
Un’altra parola magica nell’aria catturò la sua attenzione.
Un goblin impara fin da piccolo che è meglio tener sempre entrambe le orecchie aperte e in direzioni diverse.
Si voltò verso il tavolino vicino da cui provenivano risate sguaiate.
«Scusate signori, vi ho forse sentito pronunciare la Guerra dei Tordi?».
Tre uomini alticci si girarono verso quel goblin sospetto dal tono affabile.
«Sì, perché?» domandò uno, diffidente.
«Così per curiosità, ci diverte sempre sentirne parlare. Cameriere! Tre birre per i signori!» fece segno a un povero diavolo indaffarato.
Tornati alle buone maniere grazie ai boccali, i tre si confidarono, divertiti, con i due vicini.
«Non so se avete visto stamattina quel cavaliere impedito che è caduto da cavallo ancor prima di essere colpito dall’avversario». Annuirono.
«Dovete sapere che quello è il cugino di mio cugino, che è andato a combattere nella Guerra dei Tordi un anno fa». Quello che stava parlando, abbassò la voce. «È partito fornaio ed è tornato cavaliere, pieno d’oro, anche se non sa stare nemmeno in sella».
«Com’è possibile?» bisbigliò Domaloca, profondamente interessato.
«Ah beh, è bastato fare da consigliere di guerra sia ai Tordi che ai Tardi. Gli ha solo suggerito di fare un attacco silenzioso per sorprendere gli avversari e quelli han passato ore a cercarsi in assoluto silenzio. Poi, quando i due eserciti si son incontrati, non son riusciti nemmeno a combattere per paura di fare rumore! Hahaha!». Scoppiarono tutti e tre a ridere. Pure i due ascoltatori per dissimulare l’interesse.
Andati via, Malannus si alzò dallo sgabello.
«Visto? Anche oggi abbiamo scoperto qualcosa di interessante. Ora è meglio rincasare se vogliamo essere pronti per domani, sennò non avrò il tempo per pensare a qualcosa che ti dia una mano. Io pago, intanto tu prova a trovare quello stupido elfo».
Il goblin passò velocemente dal bancone, facendo tintinnare quattro monete di rame attraverso le spalle dei clienti. “Tieni il resto!” gracchiò prima di svanire tra la folla, nonostante gli dovesse il doppio.
 
Giorno 2 del torneo – La mischia
 
«Sai già come funziona una mischia?».
Tontruìl stava ronfando disteso a terra nella tenda, ostaggio dei postumi, dopo aver lucidato l’armatura e svolto i suoi compiti da scudiero.
«Sì, ci si batte con forza e coraggio contro tutti, senza paura, finché…». Domaloca, interrogato, si stava infilando le gambiere di ferro. Ancora mezzo corazzato e mezzo no.
«Col cazzo. Te vai là, ti nascondi in un angolino e aspetti che gli altri si menino fuori dalle maniere. Poi, quando ne son restati pochi, mezzi morti, entri e gli dai il colpo di grazia. Facile e pulito». Il piccoletto diede un calcio all’elfo che si svegliò malamente con un grugnito e si stropicciò gli occhi doloranti.
«Questa notte ti ho preparato questa. Non è molto ma spero ti sia d’aiuto». Malannus, rivolto al quasi-cavaliere, tirò fuori una specie di bardatura riflettente composta da cinghie di pelle, che sapevano tanto da sadomaso, con decine di piccoli specchietti attaccati sopra. La tenda era in ombra ma si capiva che sotto il sole quella veste improbabile avrebbe riflesso con intensità i raggi di luce.
«Ho posizionato gli specchietti nei punti dove hai le giunture, così a ogni tuo movimento i tuoi avversari rimarranno abbagliati».
Domaloca pareva restio a indossarla, ma cedette velocemente.
«Ottimo. Si parte».
 
«Mamma che botta!». I cinquanta cavalieri avevano appena iniziato a malmenarsi e già non si capiva più nulla. Pure il pubblico scalmanato non sapeva più quando esultare e quando no.
Il campo di gioco era divenuto un’unica nuvola di polvere da cui volavano via pezzi di armatura e spuntavano qua e là guerrieri frastornati.
Sudore, sangue e saliva si erano mischiati con la terra polverosa producendo un sottile strato di fanghiglia sporca da cui si levava un tanfo pungente fino agli spalti.
Un mago-arbitro si avvicinò troppo alla nube imbizzarrita e venne risucchiato da mani guantate cieche per poi essere risputato fuori semicosciente e mezzo nudo.
«Ser Shandlar… No, Ser Gweddry assesta un magnifico fendente su… un altro partecipante disarmandolo! Ed è forse Lady Jahera che si libera dalla presa di Cohen il Barbaro e lo mette in ginocchio con un calcio sui… avete capito. Signore e signori non ce n’è per nessuno!».
Domaloca e un paio di altri timidi guerrieri, parzialmente nascosti dalla nebbiolina animata, attendevano sui quattro angoli come felini pronti a balzare.
A pochi passi da lui, un altro combattente roteava disperatamente la mazza nel tentativo di colpire un nemico imprecisato.
Perché devo aspettare? Io so che posso combattere. Mentre attorno a lui si scatenava una battaglia senza esclusione di colpi, il ragazzo, immobile, stava combattendo una battaglia interiore, stufo di quella strategia da codardi.
Malannus mi sottovaluta sempre. Tutti mi sottovalutano sempre. Ma io so che, se ci credo, posso farcela.
Il clangore delle armi si mescolava a imprecazioni e urla di dolore, mentre qualcuno lanciava un elmo a tradimento contro un avversario.
Un guerriero rotolò a terra con un grugnito sordo, la tunica macchiata di fango, mentre un’alabarda comparsa dal nulla scendeva su di lui con la grazia di una ghigliottina, mancandolo di un soffio.
Il tonfo nel terreno percosse con un brivido Domaloca. Le gambe gli si fecero più pesanti.
E se poi fallissi? Almeno se resto qui non posso sbagliare davanti a tutti.
Un vu cumprà goblin, sotto gli spalti, corse via schivando per un pelo un cavaliere rotolante.
All’improvviso un combattente con mezza armatura a ciondoloni comparve dalla nebbia polverosa e si gettò con un grido animalesco sull’ex scudiero, mulinando una palla chiodata.
Preso alla sprovvista, Domaloca si rannicchiò e alzò lo scudo. Il suo movimento, grazie agli specchietti dello studioso, abbagliò l’assalitore che lo mancò clamorosamente e finì per far ruotare la palla chiodata a vuoto fino ad auto-colpirsi in testa, mettendosi al tappeto da solo.
La piccola vittoria, seppur fortuita, incoraggiò Domaloca.
Non lo scoprirò mai se non ci proverò. I cavalieri non si nascondono. I cavalieri… Combattono!
E si gettò nella mischia.
 
«Ma che diavolo fa?! No! Non così!».
Malannus e Tontruìl assistevano dal bordo delle gradinate, in mezzo alla folla eccitata.
Avevano tenuto d’occhio il loro campione per tutto il tempo, godendo nel vedere gli altri concorrenti crollare a poco a poco. E ora il goblin non aveva per niente approvato l’iniziativa di Domaloca. Stavano perlustrando il caos della nuvola di polvere e ferro, alla ricerca del ragazzo.
«Senza pietà il cavaliere nero abbatte due avversari con un sol colpo! È inarrestabile!».
A un certo punto…
«Eccolo, ora lo vedo! È lì, vicino a quello con la tunica verde!». Tontruìl spintonò lo studioso. Dopo varie indicazioni anche l’altro riuscì a individuare Domaloca.
«Tunica a scacchi arancioni e marron diar... È proprio lui. E guarda come sta menando…».
«Attenzione! Un audace cavaliere emerge dalla ressa! Non si capisce chi sia, si riconoscono a malapena i colori della tunica: arancione e marrone sporco. Abbatte un altro rivale! Ma ora viene assalito da due!».
Tontruìl salì coi piedi sul parapetto degli spalti, in preda all’euforia.
«Ser Teofilatto, credo, pianta con violenza la mazza sullo scudo del nuovo arrivato che è costretto ad abbandonarlo!».
L’attenzione dell’intera arena stava iniziando a concentrarsi sul misterioso guerriero che stava spiccando tra gli altri.
«Non demorde e inizia a roteare la spada con entrambe le mani! Non riescono a fermarlo! Occhio! Un colpo da dietro lo mette in ginocchio!».
Pure Malannus, elettrizzato, si issò sul bordo di legno delle tribune facendo leva sulle spalle della gente agitata.
«Si rialza a fatica e ricomincia a lottare! Si batte come un leone! Riuscirà a rimanere tra i cinque cavalieri vincitori?».
“FIIIII!”.
«Il giudice di gara fischia la fine della mischia! Vuol dire che sono rimasti solo cinque partecipanti ancora in piedi. Chi ha vinto?! Si riconoscono subito Ser Piggard, Ser Roland e l’anonimo cavaliere nero».
Pian piano, i sopravvissuti si stavano posizionando in riga di fronte alle tribune dei nobili, chi più devastato e chi meno.
«Ecco anche il misterioso cavaliere che ci ha entusiasmato negli ultimi minuti!». Il concorrente a scacchi arancioni e marroni, visibilmente in difficoltà, fece un passo avanti, si tolse l’elmo e iniziò a sbattere via la polvere dalla tunica, rivelando dei colori più chiari.
Dal pubblico si levò un ululato di sorpresa.
«Facciamo i complimenti a Ser Gerhardt Sock per questa incredibile performance!».
 
Domaloca venne ritrovato per ultimo nel bel mezzo del campo di gioco. Era perfettamente mimetizzato col terreno umidiccio costellato da scudi, armi e pezzi di armatura. Sembrava che gli fosse passata sopra una mandria di clienti senza scrupoli il giorno del Black Friday.
Per quanto sembrasse malridotto e aderente al suolo, non riportò troppi danni, forse grazie al fatto che non si fosse fiondato nella mischia fin da subito. Levargli l’armatura parve più difficile del previsto, ma con un po’ di sforzo gli infermieri riuscirono a liberarlo. Qualche colpo di martello qua e là di Tontruìl, cresciuto nella scuola dei nani, rese di nuovo la corazza indossabile.
Malannus gli sfilò via anche le cinghie abbaglianti, realizzando che erano servite a ben poco, così coperte polvere e fanghiglia.
I due misero nuovamente il loro campione a riposo nella tenda, in attesa di un altro recupero, dispiaciuti per lui e per la sua incapacità nell’essere cavaliere.
Nessuno aveva visto la sua prestazione dentro la mischia e tutti erano convinti che Domaloca si fosse comportato come un perfetto imbranato, capace di essersi messo k.o. da solo. In realtà, appena entrato, era riuscito a mettere fuori combattimento due cavalieri, seppur malconci, ma pur sempre due cavalieri. Il suo assalto indomito era stato fermato sfortunatamente da un’ascia da guerra vagante che l’aveva colpito a sorpresa sulla nuca, facendogli perdere momentaneamente i sensi.
Ovviamente né i suoi compagni, né altri, avrebbero mai creduto a questa storia.
 
Lo scudiero improvvisato stava “leggendo” il fumetto “Superpaladin e la Spada di Ghiaccio”, seduto al capezzale del suo cavaliere, quando questi ruppe il silenzio.
«Io sapevo che potevo farcela, Tontruìl». Fissava la cupola della tenda, combattuto da mille pensieri.
L’altro alzò lo sguardo su di lui, poi, capendo che stava parlando più che altro con sé stesso, ritornò senza remore alle pagine colorate.
«Signori, ho una notizia bella e una brutta». Malannus irruppe di colpo, monopolizzando subito l’attenzione dei compagni.
«Prima la brutta» optò Domaloca, depresso.
«La brutta è che son stati sorteggiati i nomi per i duelli di domani e… Noi inizieremo contro Ser Piggard». La disperazione che aleggiava nella tenda si fece ancora più pesante.
«Quella bella?» domandarono, aspettandosi una notizia miracolosa che riequilibrasse questa.
«Stasera siamo invitati al banchetto per i cavalieri, quindi mangeremo e berremo gratis». Il sorriso del goblin, che sperava di risollevare un po’ il morale della squadra, ebbe effetto solo sull’elfo.
 
La luce delle candele riempiva il grande padiglione, dove gli invitati banchettavano con arrosti succosi e coppe traboccanti. Il brusio della sala si mescolava al crepitio dei bracieri esterni che diffondevano un appetitoso profumo di grigliata.
Tra i presenti vi erano i cavalieri più aristocratici, stanchi degli inviti nelle ville dei nobili, e quelli più modesti, con i loro aiutanti, che volevano approfittare del cibo e dell’alcol gratuito.
«Dimmi, Ser Mez… Domaloca da Culagna». Ser Roland, con l’impeccabile tunica dorata, interruppe a sorpresa la cena dei tre miseri eroi.
Annoiato come sempre, si era acceso nel vedere il giovane cavaliere. Era uno dei motivi per cui si era presentato a quella squallida cena, ancora incollerito per essere stato trattato da pari a pari da quel pezzente, nel tendone delle iscrizioni.
«Un elfo sdentato, un goblin decrepito e un ragazzino sovrappeso. Da quale angolo sperduto arrivate? Non ho mai sentito il tuo nome né visto il tuo stemma prima d’ora, Ser» esordì, caricando le parole di disprezzo, facendo oscillare il calice colmo di vino speziato.
Cavaliere e scudiero fissarono i piatti stracolmi in silenzio, coi bocconi che rischiavano di andargli di traverso.
«O forse vi siete improvvisati, pensando di essere più furbi degli altri?» gli sussurrò alle spalle, con la voce di chi si compiace della propria crudeltà.
«I cavalieri più ricordati da menestrelli e cantastorie son quelli erranti. Non servono titoli e terreni per essere eroi». L’animo goblin di Malannus si stava attivando, impedendogli di stare zitto davanti a quello spocchioso. «Arriviamo da molto lontano. Abbiamo deciso che avventure e virtù son la nostra casa. Nessun’altra».
«Davvero ammirevole». Ser Roland, seccato, si scostò dalle prede, scottato dalla reazione dello studioso, non abituato a trovare resistenza negli interlocutori. Stava per controbattere quando un servo con indumenti più eleganti dei tre seduti, lo interruppe con un inchino.
«Chiedo venia, Ser Roland, volevamo avvisarla che abbiamo portato al suo posto il piatto con coscia di agnello e salsa di melagrana, direttamente dallo chef, signore».
Il cavaliere incendiò il poveretto con lo sguardo.
«Ho già lasciato al maître le indicazioni su ciò che desideravo mangiare» sibilò, velenoso.
«Ma Signore, ha voluto solo un po’ di frutta… Lo chef voleva dimostrargli il suo talento… Permetta almeno di farle assaggiare solo un po’ di cuore di vitello in salsa di more…». Tutta roba che Domaloca e Tontruìl non avevano trovato sulla tavolata.
«Ho detto che sono a posto!» sottolineò a denti stretti, il nobile, spazientito.
«Nemmeno un assaggio di filetto di cerva al tartufo?» ci provò un’ultima volta il cameriere, probabilmente sotto minaccia della cucina.
La reazione della star fu inaspettata, ma non troppo. Il servitore si defilò, camminando all’indietro, con mille scuse e inchini, la guancia in fiamme.
Il cavaliere d’oro tornò a parlare ai suoi rivali, inviperito.
«Mi dispiace solo che domani affronterete Ser Piggard e non me. Qualora doveste batterlo ci incontreremo nel campo di gioco, ma non sperateci. Domani sera non avrete più denti per mangiare a scrocco. Bevete e gustatevi la cena, finché siete in grado di farlo». Versò il suo vino nel piatto colmo di Domaloca in un ultimo gesto sprezzante. «Dicono che gli dei proteggano gli stolti e gli sprovveduti. Vedremo se si degneranno di farlo anche domani» detto questo, si allontanò a grandi passi dalla tavolata e uscì dal tendone.
«Una volta ero pure un suo fan» mormorò il ragazzo a denti stretti mentre lo fissavano andar via.
«Che figlio di puttana» aggiunse Tontruìl, gelido, senza mezzi termini.
«Quanto li odio quelli così. Pensa di averci impaurito, ma non finisce qui. Gliela faremo pagare» mormorò Malannus con il sangue che gli bolliva in testa. Gli altri due annuirono.
Mai maltrattare un servitore e disprezzare il cibo davanti a tre ex-servitori morti di fame.
 
[1] e per la coscienza di Malannus.
   
 
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