Il ragazzo misterioso è un segno del destino?
(Hope pov)
“Perché sei qui?” chiesi alla fine, la voce così sottile che quasi non mi riconobbi.
Lui abbassò appena lo sguardo, come se stesse cercando di trovare le parole. “Ti ho sentita,” disse con un tono piatto, quasi monotono. “Sono nato per proteggerti.”
Le sue parole mi lasciarono senza fiato. Non capivo. Lui sembrava diverso. Freddo. Vuoto. Cosa intendeva con quelle parole? Stavo per chiedergli di spiegarsi, ma il silenzio fu spezzato dal suono di passi. Mi voltai di scatto e vidi Seyra, con il volto rigido e gli occhi che brillavano di sospetto, seguita da Alion, che invece sembrava più calmo.
“Hope, allontanati da lui,” disse Seyra, e con un gesto rapido evocò delle catene di luce che si avvolsero attorno a Kylar, bloccandolo sul posto.
“No! Aspettate!” gridai, mettendomi tra lui e Seyra. “Non è pericoloso! Lui mi ha già salvata una volta!”
“Non possiamo sapere chi o cosa sia davvero,” ribatté Seyra, senza abbassare la guardia. Le sue mani tremavano leggermente, ma il suo sguardo era deciso. “Da dove vieni? Perché sei qui?” chiese, con la voce più dura di quanto l’avessi mai sentita.
Kylar, però, non sembrava neanche accorgersi delle catene che lo bloccavano. Il suo sguardo rimase vuoto mentre rispondeva con il solito tono freddo. “Ho sentito la sua voce. Era buio... poi ho aperto gli occhi. Dormivo. O almeno, era questa la sensazione. Sono qui per proteggerla.”
Seyra lo fissò, confusa ma non meno sospettosa. “Dormivi? Per quanto tempo? Chi ti ha mandato?”
Lui non rispose. Rimase immobile, le catene di luce che brillavano debolmente attorno a lui. “Sono qui per proteggerla,” ripeté, come se non ci fosse altro da dire.
“Fermi!” intervenni, con le mani strette a pugno. “Non capite? È già successo! Quando ero nella Grotta sacra, l’ho trovato in un cristallo. Era intrappolato. Quando l’ho toccato, il cristallo si è rotto, e lui è apparso. Ci ha salvati da quei... quei mostri, i cervi volanti! Non è una minaccia!”
Seyra mi guardò, indecisa, mentre Alion si avvicinava e posava una mano sulla sua spalla. “Forse è qui per una ragione,” disse con calma. “Se Hope dice la verità, allora merita di essere ascoltato. Non possiamo giudicarlo senza capire chi sia.”
La sacerdotessa esitò, poi abbassò lentamente la mano, e le catene di luce si dissolsero. Ma il suo sguardo rimase severo. “Non mi fido di lui, non ancora. Ma non lo perderemo di vista.”
Guardai Kylar, che non aveva mosso un muscolo, ma quando incontrai il suo sguardo, per un istante, solo un istante, mi sembrò di vedere una scintilla. Un ricordo lontano, forse. O una promessa che non riuscivo a comprendere.
Poco dopo seduto accanto a me, Kylar sembrava ancora più perso di quanto lo ricordassi. Lo guardavo di tanto in tanto, cercando di capire cosa passasse nella sua testa, ma ogni suo movimento era lento, meccanico. Non parlava quasi mai, e quando lo faceva le parole sembravano svuotate di ogni emozione.
Decisi di offrirgli qualcosa da mangiare. Speravo che un po’ di cibo potesse aiutarlo. Gli porsi una mela e una pagnotta di pane, sorridendo. “Ecco, Kylar. Mangia, ti farà bene,” dissi, cercando di essere più gentile possibile.
Lui guardò il cibo, poi me, con quei suoi occhi viola che sembravano quasi distanti, persi in un mondo che non riuscivo a vedere. “A cosa serve?” chiese piano, la sua voce monotona e strana.
Mi bloccai. La domanda mi aveva colta alla sprovvista. “Beh… serve a… saziarti, credo,” risposi, un po’ confusa. “E… anche a darti energia, sai? Ti fa stare meglio.”
Kylar annuì senza dire nulla e provò a mordere la mela. I suoi movimenti erano rigidi, meccanici, come se stesse imitando qualcuno piuttosto che agire naturalmente. La vista mi fece stringere il cuore. Non sembrava un ragazzo vero. Sembrava vuoto. E più lo osservavo, più mi sentivo triste per lui.
Alion si avvicinò e si sedette vicino a noi. Aveva quel suo modo calmo e gentile di parlare che mi faceva sempre sentire a mio agio. “Kylar,” iniziò, con il tono calmo di chi cerca di ottenere risposte senza mettere pressione, “puoi dirci di più? Da dove vieni? Perché sei qui?”
Kylar abbassò lo sguardo, lasciando la mela a metà. “Dormivo. Era buio. Ho sentito la sua voce. E poi… mi sono svegliato,” disse, sempre con quel tono freddo e monotono.
Alion lo osservò per qualche istante prima di continuare, “E cosa ricordi prima di dormire? Qualcuno ti ha mandato qui?”
Kylar scosse appena la testa, ma la sua risposta fu identica alle altre. “Sono nato per proteggerla.”
Seyra, che aveva ascoltato tutto da un angolo, intervenne con forza. “Non mi fido di lui. C’è troppo mistero intorno a questo ragazzo. Potrebbe essere una minaccia per tutti noi!”
Mi alzai di scatto, stringendo i pugni. “No! Non è una minaccia! Vi ho già detto che mi ha salvata una volta, alla Grotta sacra. Se non fosse per lui, io e Takeshi non saremmo nemmeno qui!”
Seyra si girò verso di me, lo sguardo severo. “Hope, non possiamo permetterci di correre rischi. Non sappiamo nulla di lui. Non possiamo semplicemente accoglierlo come se fosse un ragazzo qualunque.”
“Ma lui ha bisogno di noi!” ribattei, il cuore che batteva forte. “Non vedete com’è? È... vuoto! Freddo! Non so cosa gli sia successo, ma so che non può stare da solo. Deve avere qualcuno che gli stia vicino, che lo aiuti.”
La sacerdotessa sembrava irremovibile, ma prima che potesse rispondere, Alion mise una mano sul suo braccio. “Seyra,” disse con gentilezza, “il nostro compito è sempre stato aiutare chi ha bisogno. E, che ci piaccia o no, questo ragazzo ha bisogno di noi. Forse non possiamo capire chi o cosa sia, ma possiamo dargli un posto sicuro, almeno per ora.”
Seyra esitò, il suo sguardo passava da me a Kylar. Era evidente che non si fidava di lui, e probabilmente non si sarebbe mai fidata completamente. “Va bene,” disse infine, con un sospiro. “Può restare. Ma lo terrò d’occhio. Se solo sospetto che sia pericoloso, verrà allontanato.”
Le sue parole mi fecero tirare un sospiro di sollievo. “Grazie,” dissi piano, guardando Kylar. Lui alzò lo sguardo verso di me, ancora senza mostrare alcuna emozione, e mi chiesi cosa potessi fare per aiutarlo davvero.
“Ehm… forse… forse Kylar potrebbe avere bisogno di un bagno,” disse Alion, dopo un lungo momento di silenzio. Lo guardai sorpresa, poi mi girai verso Kylar. Era lì, seduto accanto a me, con quell’aria strana e assente. Non sembrava neanche capire cosa significasse la parola ‘bagno’.
Mi alzai, piena di energia. “Kylar, vieni con me! Ti faccio vedere dove si fa!” dissi, sorridendo. Lui mi fissò con quegli occhi di un intenso, profondo e misterioso viola che non sembravano mai del tutto presenti, ma si alzò lentamente, come se non avesse scelta. Gli presi la mano e lo trascinai via, ignorando del tutto Seyra.
“Hope!” esclamò la sacerdotessa, il tono severo. “Non sono questi i doveri di una principessa e sacerdotessa! Non devi… non puoi… un bagno? Aiutarlo? Assolutamente no!”
“Ma non sta bene! Ha bisogno di aiuto, e io voglio aiutarlo!” ribattei, senza fermarmi. Sentivo la mano fredda di Kylar tra le mie dita, e il pensiero che potesse essere triste e confuso mi stringeva il cuore. Lo trascinai attraverso i corridoi del santuario, ignorando completamente Seyra che continuava a protestare.
Arrivati alla stanza da bagno, mi fermai. “Ecco, Kylar. Qui puoi… puoi lavarti, sai?” dissi, indicando il bagno. Lui si girò verso di me, il viso immobile. “Lavarmi?” chiese, con un tono meccanico, come se fosse una parola che non aveva mai sentito prima.
“Eh… sì. Tipo, ti lavi… con l’acqua… per pulirti. Ecco… e…” cercai di spiegargli, ma la confusione cresceva a ogni parola. Kylar annuì lentamente, senza espressione, poi fece un movimento rigido verso la vasca. Lo guardai mentre cercava di capire come funzionasse tutto, il cuore pesante. Sembrava così… perso.
(Seyra pov)
“Lei lo sta trattando come… come uno di noi,” sbottai, incrociando le braccia. Alion era lì accanto a me, sempre così calmo, quasi irritante. “Non è uno di noi, Alion. È una minaccia. Non mi fido di lui. Guarda come si comporta. Freddo, vuoto, meccanico… è inquietante.”
Alion mi fissò per qualche secondo, poi sospirò. “Forse hai ragione, Seyra. Non è normale. Ma forse non deve esserlo. Kylar non è qui per caso. È un segno, un pezzo di qualcosa più grande di noi. Qualcuno che potrebbe—nel bene o nel male—cambiare il corso degli eventi.”
Mi voltai verso di lui, stringendo le mani. “E se fosse nel male? Se fosse qui per distruggere tutto ciò che abbiamo costruito? i suoi occhi...sono viola e tu sai meglio di me...cosa significa”
“Non possiamo sapere se quelle sciocche superstizioni, avessero o meno fondamento. stai tranquilla mia luce sono certo che si risolverà tutto e poi...,” rispose Alion, la sua voce serena. “una cosa è sicuramente certa. Lui e Hope sono legati. Dal destino, forse, o da qualcosa che va oltre ciò che possiamo comprendere.”
Guardai Alion, ancora piena di dubbi. “Io non mi fido di lui,” dissi piano.
“E non ti chiedo di farlo,” rispose. “Solo di lasciarci vedere cosa succede. È il nostro compito aiutare chi ha bisogno mia luce. E non puoi negare che Kylar abbia bisogno di aiuto, anche se non capiamo perché.”
Alion mi guardava con quel suo sguardo calmo e rassicurante, il tipo di sguardo che riusciva sempre a farmi sentire meno tesa, anche nei momenti più difficili. “Seyra,” disse dolcemente, avvicinandosi. “Hope è con Kylar nel bagno. Forse dovresti andare a controllare. Sai com’è, lei è così piena di energia e di buone intenzioni, ma potrebbe aver bisogno di una mano.”
Sospirai, incerta. “Non sono questi i doveri di una principessa e sacerdotessa,” risposi, incrociando le braccia. “Non dovrebbe occuparsi di queste cose.”
Alion si avvicinò ancora di più, posando una mano sulla mia spalla. Il suo tocco era leggero, quasi impercettibile, ma mi fece sentire un po’ più tranquilla. “mia luce,” disse, la sua voce calda e gentile, quando mi chiamava così, finivo sempre per sentirmi anche io più calma. “Ma non possiamo ignorarlo. E poi, tu sei sempre stata brava a gestire situazioni complicate. Vai, aiutala.”
Mi girai verso di lui, e per un momento mi lasciai andare. Alion mi accarezzò dolcemente il viso, poi mi abbracciò. Era un gesto semplice, ma pieno di significato. “Andrà tutto bene,” mi disse piano.
Annuii, anche se dentro di me c’era ancora una tempesta di dubbi. Mi allontanai da lui e mi diressi verso il bagno. Quando aprii la porta, mi trovai davanti a uno spettacolo che mi fece quasi sorridere, nonostante tutto.
Hope stava cercando di togliere la maglietta a Kylar, ma lui barcollava, confuso e rigido come sempre. “devi stare fermo!” esclamava Hope, tirando la maglietta con tutta la sua forza. “Non è difficile, devi solo... ecco, così!”
Kylar sembrava non capire cosa stesse succedendo. I suoi movimenti erano goffi, e il suo sguardo vuoto non cambiava. Era come se fosse un automa, incapace di reagire in modo naturale.
“Hope!” dissi, cercando di mantenere un tono severo. “Cosa stai facendo?”
“Sto aiutando Kylar a fare il bagno!” rispose lei, girandosi verso di me con un sorriso innocente. “Non può farlo da solo, e io voglio aiutarlo!”
Nonostante il mio tono severo, non potei fare a meno di trovare la scena buffa. Hope era così piena di energia e di buone intenzioni. Mi avvicinai e iniziai ad aiutare Hope a sistemare il ragazzo.
Mentre lo lavavamo, però, notai qualcosa che mi fece fermare. Il suo corpo era pieno di cicatrici. Segni lunghi e profondi, alcuni vecchi, altri più recenti. Era come se ogni centimetro della sua pelle raccontasse una storia di battaglia.
“Non è possibile…” mormorai, il cuore che si stringeva. “Non dovrebbe avere un corpo così. È solo un bambino.”
Hope mi guardò, visibilmente dispiaciuta. “Kylar…” disse piano, ma lui non rispose. Rimase immobile, come sempre, il suo sguardo vuoto e distante.
Mi alzai, asciugandomi le mani. “Questo ragazzo… “
non è normale. È stato creato per combattere, per sopravvivere a qualcosa?
“ Hai vinto tu signorina, non possiamo certo lasciarlo così. Ha bisogno di aiuto”
“Quindi può restare?”chiese la ragazzina guardandomi con una certa speranza che le dicessi di si. Sospirai e annuendo mi rimboccai le maniche finendo di pulire il ragazzino.
“Ma se succederà qualcosa di spiacevole, lo riterrò il primo responsabile e se dovesse rivelarsi un nemico, verrà subito allontanato sono stata chiara?”
Hope annuì, guardando Kylar con un’espressione piena di tristezza. E io, nonostante i miei dubbi, sentii che Alion aveva ragione. Kylar era un segno. Hope e forse anche noi, eravamo destinati a essere parte di quel segno.
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(Takeshi pov)
Ero seduto fuori, le gambe penzoloni dal gradino della veranda, il mio arco appoggiato al fianco e la testa piena di pensieri. La comandante Ariel mi aveva invitato a entrare nell’Accademia Reale di Loyality, ma più ci pensavo, più mi sentivo inadatto. Mi sembrava di non essere all’altezza, come se il peso di quel titolo fosse troppo grande per me. E se fallissi? Se dimostrassi di essere solo un ragazzino incapace?
“Ci stai pensando ancora, vero?” la voce di papà arrivò calda e rassicurante, come sempre. Quando mi girai, lo vidi sedersi accanto a me, il sorriso gentile che conoscevo così bene.
“Non so, papà…” risposi, un po’ esitante. “Non credo di essere bravo abbastanza. Ariel mi ha detto che dovrei entrare nell’accademia, ma… ma io non sono speciale come gli altri. Non sono forte come Tristan, non sono… non so, non sono eccezionale.”
Papà mi ascoltava con attenzione, senza interrompermi. Aspettò che finissi, poi posò una mano sulla mia spalla, stringendola appena. “Sai, Takeshi, quando avevo la tua età, mi sentivo esattamente come te. Ed è proprio all’Accademia Reale che ho scoperto chi ero davvero.”
Lo guardai sorpreso. “Sul serio?”
“Sul serio,” rispose, il suo sorriso si fece nostalgico. “L’Accademia non è solo un posto dove impari a combattere. È un posto dove impari a conoscere te stesso. E sai, è lì che ho incontrato tua madre.”
“Mamma?” chiesi, incuriosito. Non sapevo molto di lei, a parte il fatto che era una donna speciale.
Papà annuì, e i suoi occhi brillavano mentre parlava di lei. “Sì, Julia. Era un’evocatrice, aveva un dono straordinario: parlava con gli animali. Era incredibile vederla interagire con loro, sembrava che le capissero davvero. Ma sai, anche tua madre era insicura. Si chiedeva sempre se fosse abbastanza forte, se fosse abbastanza brava. Anche lei aveva dei dubbi, proprio come te.”
“E come ha fatto?” chiesi, il cuore che batteva più forte.
“Julia amava ciò che faceva,” spiegò. “E sapeva che non doveva essere perfetta per riuscire. Doveva solo metterci tutta sé stessa. Quando la vidi per la prima volta, stava aiutando un piccolo rapace che si era ferito. Era lì, circondata da studenti che la ammiravano per il suo dono, ma lei sembrava non notare nessuno di loro. Era concentrata solo sull’uccello. E mi resi conto che non era il talento di Julia a renderla speciale. Era il suo cuore.”
Mi sentii piccolo, ma al tempo stesso ispirato. “Pensi davvero che potrei farcela, papà?”
“Lo so che puoi farcela,” rispose, dandomi una pacca sulla spalla. “Non devi essere il migliore, Takeshi. Devi solo essere te stesso e metterci il cuore. Se farai questo, vedrai che il resto verrà da sé.”
Chiusi gli occhi per un momento, cercando di immaginare come sarebbe stato l’Accademia Reale. Forse, proprio come papà, avrei trovato qualcosa di più grande di me. Qualcosa che mi avrebbe aiutato a crescere, a diventare davvero forte.
“Ci proverò,” dissi infine, con un sorriso.
Papà annuì, orgoglioso. “E io sarò qui, Takeshi. Sempre.”
Ero ancora seduto sul gradino della veranda, la mente completamente presa dalle parole della comandante Ariel. Entrare nell’Accademia Reale... Non riuscivo a smettere di pensarci. Mi sembrava un sogno troppo grande, qualcosa che non avrei mai potuto raggiungere. E se avessi fallito? Se mi fossi dimostrato solo un ragazzo qualunque?
“Papà!” mi alzai di scatto quando vidi Tristan correre verso di me, tutto agitato, il fiato corto. Sembrava che avesse corso per chilometri. “Posso andare? Posso andare con lui?” chiesi, prima ancora che Tristan potesse parlare.
Papà mi sorrise e annuì. “Certo, Takeshi. Vai. Sembra qualcosa di importante.”
Non me lo feci ripetere due volte e raggiunsi Tristan, che sembrava così eccitato da non riuscire a fermarsi. “Tristan! Cos’è successo?”
“Hope!” ansimò, cercando di riprendere fiato. “Devi... devi chiamare Hope... c’è una cosa... incredibile che vi devo mostrare! Al santuario! Andiamo subito!”
Non capivo bene, ma era difficile dire di no quando Tristan era così entusiasta. Lo seguii fino al santuario, dove trovammo Hope. Ma lei non era sola. Accanto a lei c’era un ragazzo che non avevo mai visto prima. I suoi capelli neri avevano riflessi viola ma ad essere così strani, erano i suoi occhi viola sembravano brillare come una galassia disciolta sotto la luce.
“Oh, ciao Takeshi! Ciao Tristan!” disse Hope, con quel suo tono sempre allegro. “Questo è Kylar. È mio amico. È un po’… silenzioso.”
Kylar annuì appena, e notai quanto fosse rigido nei movimenti. Mi mise un po’ a disagio, ma non dissi nulla.
“Va bene,” disse Tristan, senza neanche soffermarsi. “Hope, Kylar, venite! C’è una cosa che voglio mostrarvi. Fidatevi, sarà fantastico!”
Hope si illuminò e annuì subito, e Kylar la seguì, senza fare domande. Tristan ci guidò per una stradina stretta, in salita, fino a una collina che dominava tutto il villaggio. Non avevo mai visto quel posto, ma era bellissimo. Il vento soffiava piano, e davanti a noi c’era una grande statua di un drago ancestrale. Aveva il corpo serpentiforme, che sembrava muoversi sotto la luce dell’astro prismatico.
Tristan si fermò davanti alla statua e si girò verso di noi. “Questa è la collina della Promessa!,” disse con entusiasmo. “Ho deciso che qui faremo una promessa. Una promessa di realizzare i nostri sogni. Il mio è diventare un cavaliere. Voglio proteggere le persone e vivere avventure incredibili.”
Hope sorrise, e dopo qualche istante parlò con lo stesso entusiasmo. “Io voglio creare una gilda, esplorare il mondo e vivere avventure! Voglio costruire qualcosa di unico, insieme a persone che contano per me.”
Mi sentii un po’ insicuro, ma sotto il sorriso di Hope e lo sguardo incoraggiante di Tristan, confessai. “Anche io... anche io voglio diventare cavaliere. Forse non sono bravo come Tristan, ma voglio provarci. Voglio diventare qualcuno di cui essere orgoglioso.”
Kylar guardò la statua senza dire nulla per un po’. Poi, quando ci girammo verso di lui, parlò piano, con la sua voce che sembrava quasi monotona. “Non so cosa sia un sogno. Non ne ho uno. Ma voglio sapere chi sono. Non ho ricordi di prima di incontrare Hope. Voglio capire… tutto.”
Ci fu un momento di silenzio. Le sue parole erano diverse, tristi in un certo senso, ma sentii che aveva trovato qualcosa di importante in quel momento, proprio come noi.
“Va bene!” disse Tristan, rompendo la quiete. “Allora faremo questa promessa tutti insieme. E un giorno, realizzati tutti i nostri sogni ci rivedremo quì!”
Guardammo il drago poggiando le nostre mani l'una su l'altra, e in quel preciso momento e luogo, mi sentii più determinato che mai. Forse non sapevo come avrei fatto, ma, sapevo che non ero solo. E questo era già un buon inizio.
L'Angolo della Stella di Polvere
Ciao a tutti voi che state leggendo! in questo capitolo è tornato uno dei personaggi a me più cari. Parlo ovviamente del misterioso Kylar. ora vi lascio a qualche curiosità extra sulla prima dei pg la nostra (futura) sacerdotessa del Infinito preferita. largo alla principessa di Albion Hope Yaegashi!
Hope Hikari Yaegashi Hearts
una vispa e allegra ragazzina attualmente ha quasi sedici anni circa. Hope è la prima ad apparire nella storia, vive nel villaggio di Albabianca presso il Santuario della Luce. è stata cresciuta dalla custode sacra del santuario Seyra Shoudokira (vi ricorda qualcosa questo cognome? XD) che si prende cura di lei e la istrusce insieme ad Alion il Drago Ancestrale divino della luce. Hope non ha mai conosciuto i suoi genitori è cresciuta nel santuario e nonostante sporadiche fughe al villaggio non è mai uscita da esso. il suo destino è quello di diventare la principessa del intero continente di Albion detto il continente dove la vita risplede e di assumere il titolo di sacerdotessa del Infinity. dotata di uno spiccato senso dell'avventura Hope è pronta a partire per il Pellegrinaggio rituale insieme ai suoi amici. anche se è ancora insicura e preoccupata per l'esito di questo viaggio, la ragazza ce la metterù tutta.
frase ricorrente: ciò che desidero? proteggere questo mondo e le persone che ci vivono.