Mamoru era seduto sul proprio letto, e intanto osservava Leira che si lasciava incantare dalle sue tele, da quei paesaggi dominati dalle torri bianche, Leira che continuava a pronunciare quelle strane parole.
Mamoru era più confuso che mai. Quella ragazza che si chiamava Leira sembrava riconoscere qualcosa in quei quadri, ma intanto temeva la luce delle candele, e questo per Mamoru era un chiaro indizio che aveva qualcosa a che fare con Minako, la sua sorella adottiva. Mamoru ricordava bene come aveva scoperto il disagio profondo che il fuoco le causava.
Minako era giunta in casa di Mamoru da appena un mese, si era ormai prossimi a capodanno, dei giorni in cui per la famiglia del ragazzo era la norma caricare sci e racchette nell'automobile per recarsi nella loro piccola casa di montagna, a quel punto circondata da una spessa coltre nevosa.
"Sai sciare, Minako?", aveva chiesto il padre di Mamoru alla ragazza.
E lei aveva risposto scuotendo la testa, senza pronunciare una sola parola. Erano ancora rari i casi in cui faceva sentire la sua voce. A Mamoru ricordava un gatto randagio che una volta era stato adottato dalla sua classe delle elementari, più per impulso dell'insegnante che di loro bambini: era un gattino tutto intimorito, amava rifugiarsi negli angoli e da lì osservare coi suoi grandi occhi gli esseri umani, quasi sperando che non lo avvicinassero. Chissà cos'aveva subito per diventare così. Mamoru vedeva tracce degli stessi atteggiamenti anche in Minako: la testa bassa, gli occhi rivolti verso l'alto, le braccia che cingevano il corpo per proteggersi d'istinto da una qualche minaccia.
"Se non sai sciare, allora ti insegnerà Mamoru", disse la madre.
"Ma io non sono granché bravo a sciare", si era schermito Mamoru. Più che lo sci lo impensieriva dover interagire con quella ragazza, che sembrava così chiusa, così distante.
"Non fare il modesto. E poi così magari vi conoscerete un po' meglio", insisteva la madre, lanciando in aggiunta un occhiolino a suo figlio.
Mamoru allora intuì che quella dello sci era una scusa per spingerlo a interagire. Minako doveva essere tirata fuori dal suo guscio, e i genitori avevano assegnato a Mamoru quel compito. Del resto avevano la stessa età, quindi chi meglio di lui?
Ma la prima lezione di sci era durata davvero poco, si era interrotta dopo una ventina di minuti, con una brutta caduta di Minako, che a quel punto faticava persino a rialzarsi. Accucciata sulla neve, dopo essersi tolta gli sci, cercava di massaggiarsi una caviglia.
"Ti sei presa una storta?", gli aveva chiesto Mamoru.
Minako al solito non aveva risposto, continuando però a palparsi la caviglia con espressione dolorante.
A quel punto Mamoru, con una certa pazienza, le aveva offerto la mano, per aiutarla ad alzarsi, cosa che lei aveva accettato con non poca riluttanza. Infine era riuscita a convincerla ad appoggiarsi a lui e, un lento passo alla volta, spalla a spalla, erano riusciti a rientrare alla baita.
I genitori di Mamoru ancora non c'erano, visto che lui doveva dare lezioni di sci a Minako si era accordati di rientrare tutti più tardi per pranzare. La baita, pur ben isolata, era molto fredda e allora Mamoru, dopo aver aiutato Minako a sedersi, si affrettò verso il caminetto. Ma quando, dopo due o tre tentativi, la prima fiamma avvolse i ciocchi di legno, alle sue spalle si levo un urlo intenso e acuto. Mamoru si voltò per vedere Minako con gli occhi sgranati inchiodati alle fiamme e il volto pallido come la neve di quelle montagne. Tremava tutta e continuò a farlo finché Mamoru non si decise a spegnere il fuoco. Solo allora Minako, molto lentamente, riacquisì a calma.