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Autore: Happy_Pumpkin    29/09/2009    2 recensioni
Cosa accadrebbe se Pain e Konan non venissero lasciati dal maestro che li ha aiutati?
L'arrivo a Konoha durante la guerra, le scelte dei personaggi coinvolti e le loro relazioni; l'evolversi di una vicenda diversa da quella che oggi conosciamo.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Konan, Orochimaru, Pain
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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VII
Sull'ingannare, sulla crescita, sullo sfiorare...



Orochimaru studiò la radura davanti a sé, in seguito fece un cenno con il capo e gli altri avanzarono altrettanto silenziosamente. Il ninja li scrutò un istante negli occhi, infine mormorò loro, accompagnato dal frusciare delle foglie:
“Ora ascoltatemi attentamente.”
Yahiko ormai aveva diciott'anni; dal canto suo, Orochimaru non li aveva mai trattati da ragazzini, anzi, al sensei l'età era davvero indifferente quando si trattava di farli massacrare con allenamenti estenuanti. Il ragazzo si limitò silenziosamente ad annuire, mentre Nagato e Konan non batterono ciglio, finendo per guardare seri il proprio maestro.
Tutti e tre avevano ricevuto l'avanzamento a jonin con grande facilità perché avevano mostrato di essere veramente capaci, oltre che dotati di una grande abilità nel combattimento; forse siccome, più di tanti altri, avevano vissuto sulla loro pelle sin da piccoli cosa volesse dire sopravvivere.
Orochimaru teneva le braccia incrociate e il volto leggermente inclinato di lato:
“Seguite le mie direttive e non avremo problemi. Io e Nagato avanzeremo fino all'appostamento, voi due limitatevi a rimanere di guardia qui; non voglio che ci siano eventuali superstiti.”
Yahiko istintivamente volse il capo verso Nagato, il quale gli riservò un'occhiata di sfuggita, infine accennò: “Però...”
Il ninja della foglia assottigliò un istante gli occhi, poi accennò ad un sorriso che gli fece quasi scomparire le labbra sottili: “Stavi dicendo qualcosa, Yahiko?”
Quest'ultimo fece per parlare ancora, ma Konan gli dette una leggera gomitata che fu sufficientemente complice da passare – almeno all'apparenza – inosservata. Il giovane abbassò un istante lo sguardo, colpito come sempre dalla freddezza di quello di Orochimaru, e rispose con tono neutro: “No, nulla, Orochimaru-sensei.”
Il loro maestro non era un ninja che si faceva cogliere tanto facilmente impreparato; non era semplice accettare di rimanere in disparte mentre lui svolgeva la missione assieme a Nagato, facendoli ad attendere come semplici fantocci.
“Perfetto – sibilò Orochimaru, lasciando che parte dell'occhio gli venisse coperta dai lisci capelli neri – non sono ammesse distrazioni. Questo sarà il punto di ritrovo per la nostra squadra, quella di Jiraiya e gli elementi di supporto: controllate l'area e fate che al mio ritorno non ci siano sorprese spiacevoli.”
Yahiko annuì severamente, stringendo con forza i pugni, mentre sentiva accanto a sé la presenza confortante di Konan. Nagato li fissò qualche istante; sembrava quasi voler assorbire i suoi amici in quella spirale concentrica che erano i suoi occhi, così ingannatori e allo stesso tempo incredibilmente tristi.
Si avvicinò un istante ai due e disse quasi in un bisbiglio:
“Ci vedremo una volta conclusa la missione.”
Yahiko accennò ad un sorriso tirato: “Sicuro – prima che il compagno si voltasse aggiunse – Ehi... guarda che puoi sempre rifiutare. Troveremo una soluzione.”
Il ragazzo scosse la testa: “No, è giusto così. Sono rivoltosi pericolosi per la pace del Paese del Fuoco: in quanto tali vanno eliminati. Il rinnegan è indispensabile.”
Per una volta poteva essere lui e lui soltanto d'aiuto. Inoltre, ma questo nessuno doveva saperlo, aveva i suoi buoni motivi per seguire da solo Orochimaru; motivi dei quali sia Yahiko che Konan dovevano rimanere assolutamente all'oscuro.
“Stai attento.” si raccomandò Konan, inspirando lentamente.
“Anche voi.” rispose l'altro serio.
Quando Orochimaru lo richiamò freddamente, non rimase altro che congedarsi: così, nel giro di un battito di ciglia, Nagato della Pioggia scomparve assieme al suo maestro in una nuvola di fumo, al pari di un fuoco estintosi troppo presto.
Ai due ninja rimanenti non restò altro che guardarsi negli occhi, rispecchiandosi vicendevolmente nella comune solitudine che sia era venuta a creare.

*°*°*°*°*

I ribelli avevano stanziato diverse basi, divenute nel corso di pochi mesi il fulcro di ogni loro azione di sabotaggio. Attaccavano, rapidi e letali, i Villaggi più provinciali scatenando una serie di rivolte interne che, inevitabilmente, portavano al confronto con quelle cittadine più grandi e potenti economicamente, erroneamente ritenute responsabili.
Quei soldati ben addestrati disponevano di risorse finanziarie non indifferenti, in quanto durante la guerra avevano vissuto come mercenari: la pace portava loro via non solo il lavoro ma soprattutto gli introiti dati da vendite illegali di armi e tecniche, nonché dei sostanziosi bottini ricavati dalle spedizioni. La decisione di aggregarsi e provocare instabilità tra i Paesi era sorta quasi spontanea e li aveva visti formare un'organizzazione compatta, dotata oltre che di certezze economiche anche di obiettivi comuni.
Era indispensabile che diverse squadre di ninja venissero dislocate nei centri maggiori dove si nascondevano i ribelli, in modo da poter mozzare contemporaneamente le teste di quell'idra pericolosa che minava le basi di pace create tanto a fatica. Se si trattava di ucciderli era un prezzo più che accettabile per ritrovare l'equilibrio perduto.
Nagato e Orochimaru rimasero nell'ombra senza scambiarsi una parola: osservavano silenziosi l'accampamento apparentemente disorganizzato, quando in realtà dopo giorni di studi si era dimostrato una perfetta macchina efficiente. Il vero punto debole era la scarsa conoscenza delle tecniche illusorie, punto che inevitabilmente sarebbe stato sfruttato nella sua interezza da Orochimaru.
Quest'ultimo aveva calcolato sin nei più minimi dettagli ogni mossa da compiere, con la perfezione che gli era propria e quel morboso desiderio di portare a termine i desideri che lo ossessionavano. Accennò ad un sorriso compiaciuto, infine fece un cenno secco a Nagato che – comprendendo al volo – annuì e con un'abile uso delle conoscenze imparate in quegli anni si trasformò nella copia perfetta dei uno dei ribelli che, fortuna premettendo, soggiornavano nel campo; una faccia anonima e senza troppa importanza, di quelle che difficilmente rimanevano impresse nella mente. Ringraziò oltretutto di essere bravo a passare inosservato, visto che riusciva ad essere trasparente come aria se solo voleva.
A quel punto l'allievo si zittì un istante, umettandosi le labbra, infine fissò negli occhi il proprio maestro e con voce incolore iniziò:
“Mi concede il permesso di chiederle...”
Si zittì ma non distolse lo sguardo, limitandosi a trattenere il respiro: quanto voleva domandare gli avrebbe cambiato per sempre la vita. Orochimaru per un istante lo studiò, assottigliando gli occhi come un predatore intento a braccare la propria preda; una preda incomprensibile a tratti, dai movimenti sfuggenti quanto imprevedibili.
“Sto aspettando, Nagato.” disse improvvisamente in modo gelido.
Questi deglutì e infine trovò il coraggio di dire: “Ho bisogno del suo aiuto, Orochimaru-sensei.”
Egli ribatté in quel modo ipnotico e seducente, contornato da parole taglienti ma incredibilmente dotate di fascino attrattivo: “Lo sai che tutto ha un prezzo, vero?”
Nagato annuì, quella volta senza alcuna ombra di dubbio: “E io sarei disposto a pagarlo.”
Passarono diversi secondi prima che Orochimaru rispondesse, perché era intento a scrutare con occhi acuti quanto quelli di un felino i movimenti dell'accampamento, dimostrando quel lucido distacco indispensabile in ogni missione. Senza preavviso disse, evidentemente esaltato da quanto gli stava venendo offerto su un piatto d'argento:
“Che cosa vuoi ottenere, mio subdolo allievo?”
Nagato aveva l'oscura sensazione che il sannin, immerso nella sua ombra, in qualche modo ignoto in realtà lo stesse studiando – non solo, gli scavava fin dentro l'anima. Non sapeva come ma era certo che, qualunque cosa stesse per dire, Orochimaru già fosse a conoscenza delle sue intenzioni.
Così in un sussurro che soffocava rabbia repressa confessò: “Voglio avere il potere di uccidere Danzo.”
Il ninja contrasse le labbra sottili in un sorriso tagliente; il rinnegan e la morte di Danzo: due frutti deliziosi da cogliere dal suo albero, premurosamente innaffiato grazie all'inossidabile fedeltà che avrebbe trovato in Nagato.
Nagato; cupo e rancoroso nella sua fragilità: avrebbe dovuto assicurarsi di incatenarlo alle radici della pianta che stava crescendo, così che non potesse un giorno estirparla con le sue mani.

*°*°*°*

Konan si era seduta compostamente su di una roccia; di tanto in tanto socchiudeva gli occhi, alla ricerca di un controllo dei sensi che, sfruttando la semplice vista, sembrava aver perso. Ascoltava, captando i movimenti attorno a lei, mentre le labbra morbide rimanevano leggermente dischiuse, come il petalo di un fiore intento a sbocciare.
Yahiko per i primi tempi era rimasto irrequieto e un po' irritato in piedi, a tormentarsi nervosamente un braccio; in seguito, un po' per stanchezza, un po' per insoddisfazione, aveva abbandonato il rancore, soffocando la preoccupazione al solo scopo di cercare una via di fuga con lo sguardo.
Sguardo che andò inevitabilmente a spostarsi su Konan.
Era così bella, seduta con le gambe mollemente poggiate sull'erba ancora umida di pioggia, i capelli di quel colore ipnotico ordinatamente disposti e il volto... pallido ma allo stesso tempo dotato di una morbidezza nei lineamenti, abilmente mascherata dall'espressione austera, in grado di tratteggiarli più severi e spigolosi di quanto non fossero. Eppure, nonostante la conoscesse da anni, con il tempo quella ragazzina disponibile dell'infanzia si era trasformata senza che se ne accorgesse.
Solo in quel momento di solitudine aveva visto, baciata dai raggi del sole pomeridiano, non una bambina dalle acide forme della pubertà, ma una donna. Bella, sebbene incredibilmente distante; si chiese, istintivamente, dove fosse rimasto lui nel frattempo, che ancora si credeva un ragazzino, anche quando dopo gli allenamenti intensivi si tastava dolorante gli addominali che, ormai, di ragazzino non avevano più nulla.
Erano cresciuti.
Una semplice ma sconvolgente rivelazione che gli fece più male di un pugno nello stomaco.
Sospirò e lentamente si sedette accanto a Konan, perché in quel momento lei era l'unica – in quel momento... non solo, forse lo era sempre stata. Non disse niente e semplicemente si posizionò pacatamente al suo fianco, come un gatto che si sistemava abusivamente sul letto del padrone.
Lei socchiuse gli occhi, facendo finta di nulla, lasciando che la presenza di Yahiko ancora una volta  la rasserenasse, per quanto si sentisse costretta a soffocare quell'agitazione interiore che, con lui, non poteva permettersi di mostrare.
Quando, improvvisamente, la sua mano venne sfiorata da quella di Yahiko, sulle prime l'istinto fatale fu quello di cercarla a sua volta, per stringerla gelosamente a sé. Invece il suo lato più razionale preferì negare quel contatto.
Con uno scatto un po' troppo brusco Konan allontanò la mano, andandola ad appoggiare sulla propria gamba; contemporaneamente lanciò un'occhiata a Yahiko, mostrando un'espressione che poteva voler dire tutto e niente.
“Scusa, non volevo infastidirti.” si giustificò lui, aggiungendo un sorriso finale.
“Non mi infastidisci.” sussurrò, distogliendo gli occhi per fissare quel cielo luminoso che forse un giorno l'avrebbe resa cieca.
Sapeva che Yahiko era l'attrazione sbagliata, l'amico carismatico, il lato spensierato che non poteva sempre concedersi. Tutto si accumulava in un grande colossale errore: perché ancora non capiva come facesse a desiderarlo, volendo allo stesso tempo anche Nagato al suo fianco, la controparte perfetta.
Da quando loro tre erano diventati un'unità inscindibile? Forse da sempre, si rispondeva intimamente ogni sera, solo che non se ne erano mai accorti prima.
Così come lei non si era mai accorta di quanto Yahiko fosse bello, nel suo sorriso solare, nei capelli ramati resi lucidi e vivi da quel sole che sembrava non volerlo mai abbandonare.
Prima che avesse la possibilità di pensare, di frenare i propri pensieri che scorrevano troppo veloci, Konan tese il busto verso Yahiko. Lentamente ma in modo inesorabile, senza sapere cosa aspettarsi da quel movimento prevedibile eppure paradossalmente inaspettato.
Il suo compagno, il suo amico, il proprio peso in grado di bilanciarla, per qualche istante rimase interdetto, incapace di indietreggiare, così come di avanzare. Semplicemente attese, lui che in ogni cosa prendeva l'iniziativa.
Si guardarono per un eterno secondo negli occhi e vi lessero il libro di una vita, quella vita che, nelle tragedie e nelle piccole soddisfazioni, senza nemmeno capirlo avevano costruito insieme, sposati da quell'amicizia inossidabile che non li aveva mai divisi. Cosa attendevano le rispettive labbra? Un bacio, nella più dolce delle ipotesi, o forse una spalla su cui trovare appoggio.
Quel dubbio così seducente d'attesa aveva un accenno d'amore, pericoloso quanto morbosamente attraente. Bastava poco: un millimetro di abissale distanza e l'incertezza sarebbe divenuta bacio.
Finché non arrivò lei.
Fu Konan a sentirne la presenza, l'istante prima che comparisse in quel campo d'attesa. Allora senza scomporsi si allontanò, girandosi di spalle per incrociare sofferente gli occhi con quelli di Kushina;
una Kushina trafelata, con un taglio leggero lungo la spalla, un kunai in mano e il volto sconvolto. Yahiko... il preoccupato e ancora innamorato Yahiko scattò in piedi e, correndogli incontro, chiese:
“Che... che ti è successo?”
“Nulla di particolare – tagliò corto – qualche ribelle che tentava di fuggire. Fra poco ci raggiungeranno anche gli altri, la missione è andata nel migliore dei modi.”
Sorrise, soddisfatta. Ora non restava altro che attendere e sperare che tutto proseguisse per il verso giusto; in fondo le certezze non erano altro che dubbi effimeri, mascherati da senso di convinzione. Quel giorno, per la prima volta, Yahiko se ne rese lucidamente conto.

*°*°*°*

L'accampamento era piccolo ma sufficientemente ben sorvegliato. Dal momento in cui Nagato si era infiltrato con una certa facilità tra i ribelli, aveva avuto la possibilità – senza dare troppo nell'occhio – di controllarne con rapidità i punti deboli e quelli meglio controllati, in modo da avere un'idea più chiara della situazione.
Il suo compito era creare un diversivo che permettesse a lui e a Orochimaru di poter attaccare i mercenari presenti, senza dover correre il rischio di intraprendere un'azione diretta nonché suicida – indipendentemente dal fatto che quel distaccamento fosse poco numeroso e quindi una preda facile.  Il clima di rilassamento generale, dovuto anche ai recenti successi sul fronte est,  aveva comportato un dispiegamento di uomini e un allentamento della vigilanza in quella zona; Nagato dunque ne approfittò per piazzare diverse bombe carta.
Un suo esplicito comando e l' esplosione si sarebbe attivata, divenendo un brillante diversivo per permettere a Orochimaru di infiltrarsi e portare a termine con facilità la missione. Di fronte all'importanza del suo compito il ragazzo, pur dando prova di estrema freddezza nell'eseguire gli ordini, avvertiva una certa tensione addosso; si asciugò la fronte con il dorso dell'avambraccio, assicurandosi che nessuno lo stesse osservando.
Scrutò verso l'orizzonte, nel punto dove sapeva che Orochimaru restava appostato; lì il suo maestro doveva star eseguendo un justsu illusorio, per garantire quel minimo di confusione che avrebbe permesso a Nagato di agire indisturbato.
Terminato il posizionamento delle bombe, l'infiltrato avvertì con un messaggio in codice il proprio sensei; dovevano solo più agire. Il giovane ninja della Pioggia si acquattò dietro una tenda e posizionò le mani, in modo da far azionare le bombe cara disposte: nel giro di qualche secondo gli ordigni esplosero e altrettanto velocemente nel campo si creò un certo scompiglio scompiglio.
Secondi di confusione inevitabili, in quanto l'attacco a sorpresa non era stato minimamente contemplato dai ribelli, ma che ben presto si sarebbero trasformati in minuti di controffensiva.
In quegli istanti d'attesa Nagato segretamente sperò; pregò che Orochimaru non lo abbandonasse in mano al nemico: aveva accettato una missione rischiosa perché era suo compito di ninja farlo, ma non rientrava nelle sue volontà morire accerchiato da una ventina di nemici.
I suoi obiettivi erano ben altri.
Quando, improvvisamente, vide un mercenario corrergli incontro per un lasso interminabile di tempo Nagato credette con assoluta certezza che ben presto sarebbe stato circondato. Si alzò lentamente in piedi, pronto a smascherarsi e a combattere, sebbene da solo, ma sussultò nel momento in cui l'aggressore cadde senza preavviso a terra.
Era morto.
Il ragazzo sollevò gli occhi dal cadavere e vide Orochimaru dietro di lui, con gli occhi resi folli dall'ebbrezza della battaglia. Eppure, dietro quel velo di brama di conquista, vi era la solita spietata e fredda razionalità che non lo abbandonava mai: era una presenza inquietante eppure travolgente, mentre il chakra scorreva nel suo corpo, mostrando al mondo quanto il suo potere fosse invincibile.
“Pensi di iniziare a combattere, Nagato?” chiese freddamente Orochimaru.
L'allievo annuì, risvegliandosi dalla momentanea esitazione, e si mosse in avanti, svelando la sua vera identità in modo da poter azionare il rinnegan; la sua arma, la sua dannazione e allo stesso tempo ragione di vita. Perché senza di esso, si rese conto, non sarebbe andato da nessuna parte.
Era con quegli occhi che poteva uccidere e allo stesso tempo proteggere il suo piccolo ma prezioso mondo: il prezzo del suo uso, le brame che scatenava negli altri, il timore che provocava, erano tanti piccoli prezzi che lui avrebbe volentieri pagato.
Non gli era più difficile controllarne l'uso ormai: aveva imparato a razionalizzare le energie e lo spreco del chakra, anche se dopo ripetuti attacchi le pupille sanguinavano ugualmente. Ma lui, insensibile, si asciugava quelle lacrime rosse e andava avanti, persino quando la vista gli si offuscava e vedeva solo il nero attorno a sé.
Dopo aver ucciso i suoi principali nemici, si arrestò a prendere fiato; però senza che riuscisse a prevederlo, un uomo dal passo zoppicante gli venne incontro con le braccia tese in avanti, come se volesse ingannevolmente abbracciarlo piuttosto che colpirlo. Prudente, Nagato indietreggiò di un passo e fece per attaccarlo, quando improvvisamente il suo presunto nemico non esclamò:
“Ti prego, risparmiami! Sono un vostro alleato!”
Nagato rimase spiazzato da quelle parole. Lo osservò un istante e si accorse che quell'uomo era cieco: non aveva più occhi con cui guardare e le mani erano coperte di graffi, malamente mascherati dalle maniche lunghe del vestito sbrindellato.
“Chi sei? Parla.” disse Nagato sulla difensiva, con i sensi in allerta qualora si trattasse di una trappola ben orchestrata.
“Sono l'informatore di Orochimaru!Sono al suo servizio... io, io gli ho passato le direttive su dove e quando attaccare... non mi uccidere, bravo ragazzo, non lo fare.”
Biascicò avanzando a tentoni, indovinando la direzione in cui rivolgersi solo grazie al chakra emanato dal possessore del rinnegan, il quale impassibile indagò:
“Perché sei cieco?”
Quelle parole sembrarono colpire in pieno petto l'uomo che barcollò un istante, gemendo con le mani tra i capelli sporchi: “Lui! E' stato lui a chiedere la mia abilità in cambio della mia promessa di fedeltà... non avevo altra scelta... non potevo o sarei morto!”
Nagato sgranò gli occhi. Non poteva essere vero.
Sorrise; era stato un illuso a credere che le cose potessero essere diverse.
“Con lui intendi...” non parlò e attese, lasciando che le braccia cascassero mollemente sui fianchi.
L'uomo tese una mano ancora più avanti e accennò: “O...”
Non finì la frase.
Cadde a terra con ancora il braccio portato davanti a sé; non appena il suo corpo cadde sul terreno scuro e polveroso, si sollevò una nuvola di terra. L'informatore aveva una spada piantata nella schiena, la spada che Orochimaru era in grado di materializzare dal proprio corpo.
E lui, il proprio spietato e calcolatore maestro, era ai piedi del cadavere, con la divisa da ninja imbrattata di sangue e i capelli che avevano preso l'odore della morte; la sua figura, stagliata oltre cadaveri e i fuochi della battaglia, sembrava un fantasma sfolgorante di luce o un dio caduto, privo di un cielo da governare. L'allievo sulle prime non disse niente; sentiva soltanto di essere stato impulsivamente stupido: per quanto razionale, si era lasciato trasportare dalla spirale di odio vendicativo che lo tormentava.
Orochimaru estrasse con studiata lentezza la spada dal corpo dell'uomo il quale, agonizzante, sussultò senza più forze per urlare. Con l'arma in pugno, il sennin freddamente scandì il seguente ordine:
“Uccidilo, Nagato.”
Quest'ultimo istintivamente scosse la testa, sbarrando gli occhi. Perché? Perché uccidere un uomo indifeso che poteva essere curato da un ninja medico? Strinse con forza i pugni, sentendo le unghie piantarsi nella carne.
“Non posso.”
Orochimaru accennò ad un sorriso sardonico. Lasciò strusciare la punta della lama sulla terra quando, a passo scandito, si avvicinò inesorabilmente a Nagato che non arretrò di un passo.
I due si trovarono faccia a faccia, con i corpi a pochi centimetri l'uno dall'altro; Orochimaru reclinò appena la testa, lasciando che parte del ciuffo nero nascondesse un occhio reso lucido dalla follia:
“Non puoi? Tu, mio prezioso Nagato, non sei nella posizione di decidere. Hai perso questa prerogativa.”
Il giovane ninja trasse un profondo respiro e fissò l'uomo che, alle spalle del sennin oscuro, supplicava disperato di risparmiargli la vita. Esitò.
Allora il maestro con un movimento leggero si portò accanto al ragazzo, sussurrandogli seducente all'orecchio:
“Uccidilo e sarai ad un passo dal far morire anche Danzo.”
Danzo. Quel nome risuonò ipnotico nella testa di Nagato che socchiuse un solo istante gli occhi; il luogo in cui si trovava anziché odorare di sangue sapeva di vendetta, quella vendetta che ben presto non sarebbe più stata irrealizzabile.
Aveva già ucciso in passato, l'aveva fatto anche pochi minuti fa. Era il proprio pegno da pagare se voleva portare l'ordine nel suo mondo e proteggerlo: solo così avrebbe finalmente conosciuto la pace. Chiunque la minacciasse doveva morire; il veleno che faceva perire il proprio albero doveva essere estirpato definitivamente.
A quel punto, il possessore del rinnegan lasciò da parte le emozioni; si allontanò da Orochimaru il quale, soddisfatto e assetato dal dominio che poteva imporre sul proprio allievo, lo fissò compiaciuto portarsi di fronte alla potenziale minaccia che non meritava la vita.
Nagato della Pioggia uccise, divenendo quella perfetta macchina da guerra che il ninja dei serpenti stava iniziando a plasmare da quando era divenuto suo allievo. Morto quell'informatore inopportuno, al quale aveva strappato un'abilità che ben presto avrebbe acquisito, Orochimaru sapeva di avere un ostacolo in meno a sbarrargli il proprio cammino verso l'immortalità e la conoscenza assoluta.
Il possessore del rinnegan a sua volta sapeva che quello era l'unico cammino che poteva intraprendere: Danzo e i suoi sostenitori erano intoccabili, protetti dall'ombra del Consiglio. Ma lui, a costo di versare sangue su chiunque lo ostacolasse, avrebbe fatto in modo di portarlo alla luce una volta per tutte, consapevole che si sarebbe sciolto come una candela divorata dal fuoco.

*°*°*°*

Aveva impiegato tempo per trovarlo; si era eclissato per giorni dal Villaggio solo per seguire le sue labili tracce. Non aveva fallito: il ninja a lungo cercato era stato per pochi attimi a portata di mano e lui non si era fatto sfuggire l'occasione.
Forse si era esposto troppo, senza pensare alle conseguenze di quello che stava facendo; era entrato in contatto con lui, spiegandogli brevemente l'intera situazione. Quello che successe dopo, ancora faticava a ricordarselo; ciò che contava quella notte di luna piena era solo fuggire, il più lontano possibile da lì.
Si tenne il braccio sanguinante con la mano sinistra, ignorando le fitte che gli smorzavano il respiro affannato; dannazione, come avrebbe fatto ad impugnare nuovamente la spada così conciato?
Era un uomo a metà: incompleto, incapace di attaccare e difendersi al pieno delle sue possibilità. Però, da qualche parte, c'era la sua famiglia, la sua gente e solo per loro sarebbe tornato; non soltanto a causa dell'amore che nutriva nei confronti delle persone più care, ma anche perché sapeva che lo avrebbero vendicato.
Improvvisamente, un fruscio tra le foglie. Arrestò un istante la sua corsa, rimanendo acquattato sul ramo di un albero: non sentì la presenza di nessun ninja, in particolar modo niente che ricordasse il suo chakra. Dentro di sé, sentiva che quel folle lo avrebbe seguito sino in capo al mondo per puro il piacere di ucciderlo.
Socchiuse gli occhi, prima di ripartire.
Riemersero gli incubi che lo sharingan di quel mostro gli aveva fatto subire; ancora, ancora e ancora. Avrebbe voluto vomitare il dolore, l'angoscia che provava, eppure non ci riusciva: rimanevano lì, alla bocca dello stomaco, e per quanto tentasse di inghiottirli tornavano sempre a tormentarlo.

“Il Villaggio della Nebbia avrà vita breve.”

La sua minaccia, sussurrata nel cuore della notte. Un brivido, di rabbia e di intima paura.
“No, questo non accadrà. Tu e gli Uchiha sarete destinati a sparire.”
Mormorò con voce roca. Le parole si persero nel vento e lui proseguì la sua fuga, umiliato per la sconfitta e scosso per la consapevolezza di essere stato ad un passo dalla morte.

*°*°*°*

Quando tornarono a casa dalla missione, Nagato, Konan e Yahiko assaggiarono il primo gelato dell'estate. La stagione più calda dell'anno era ormai alle porte, anche se a Konoha fortunatamente c'era un bel clima tutti i mesi.
Yahiko aveva comprato al chiosco dell'angolo tre ghiaccioli alla menta e li aveva distribuiti ai suoi amici, accompagnando il gesto con uno dei suoi soliti sorrisi radiosi; si sedettero presso un grande albero dal tronco sporgente, dove spesso amava sedersi Jiraiya per contemplare le fanciulle che passavano per la via.
Con le gambe ciondolanti, gustarono il ghiacciolo senza parlare, mentre il sole iniziava a scomparire oltre la collina e l'odore della cena sul fuoco danzava nell'aria. Un brivido di freddo percorse il corpo di Yahiko e questi ridacchiò compiaciuto; quando si voltò verso gli altri, si sgocciolò sui pantaloni.
Konan, notando le macchie verde prato sui pantaloni bianchi dell'amico, non si trattenne e scoppiò a ridere, imitata da Nagato che scrollò le spalle. Viste le reazioni degli amici, sulle prime il malcapitato oggetto di risate si offese e mise il broncio, staccando a morsi il ghiacciolo; dopo qualche istante però mostrò la lingua verde e rise a sua volta, passando le mani impiastricciate sulla maglia di Nagato, le cui proteste non valsero a nulla.
Non parlarono delle missioni, degli innamoramenti o dei timori per il futuro; dimenticarono anzi di avere diciott'anni, solo per potersi rivedere ancora bambini. Senza guerre né problemi, semplicemente con i vestiti sporchi di gelato, la lingua colorata e le persone amate al fianco.
In fondo, era anche quella la felicità.






Sproloqui di una zucca


Incredibile ma vero, questa storia è stata inserita tra le scelte di EFP. Devo ringraziare sentitamente Hiko_Chan per averla proposta, perché l'ha fatto con il cuore e soprattutto perché questo vuol dire che in qualche modo le è piaciuta.

Spero di meritare questo onore che è stato dato a Pioggia, visto che la fiction fa un pochino da portavoce a quei tre patati dimenticati che rispondono al nome di Yahiko, Nagato e Konan *_____*
Gli aggiornamenti saranno un po' lenti, molto meno di quest'estate è ovvio, ma saranno comunque abbastanza cadenzati; non vogliatemente e continuate a seguire questa vicenda, visto che ci sono tanti personaggi da ritrovare.

Stuck93: Ieee, in questo capitolo Konan inizia a darsi una svegliata e anche Yahiko-tonto pare subire un notevole risveglio dei sensi. Certo, l'indecisione fa da padrona, ma lasciamo che passo-passo le cose migliorino, anche se a discapito di chi a nessuno è dato saperlo XD
Non parliamo di Danzo; ho anticipato senza volerlo le sue intenzioni non proprio benefiche nei confronti di Konoha e dei suoi ideali di pace, per questo continuerò a far sì che tutti lo riempiano d'odio anche nella fiction. Al prossimo capitolo *°*

Iperione: Grazie davvero, spero che i capitoli continuino a risultare piacevoli e non subiscano un calo, né stilistico né tantomeno a livello di contenuti. Certo, non mi fido molto del mio neurone solitario, ma passato il caldo estivo non dovrebbe tradirmi ed evaporare dalla scatola cranica XD Alla prossima ^O^

Hiko_Chan: Il nostro Nagato... credo anch'io di rispecchiarmi in alcuni aspetti del suo carattere e, credimi, vedere che possa essere talmente vicino a quello che provi in determinate situazioni mi emoziona ma soprattutto mi rende consapevole di star creando un personaggio umano, eppure vicino al manga.
Sono stra-felice che ti sia piaciuta la scena tra Nagato e Yahiko: insieme li trovo davvero stupendi, penso che abbiano un legame davvero forte a tenerli uniti. E Konan... è Konan: nemmeno io sento di capirla tanto bene, in fin dei conti, perché la ritengo un personaggio un po' chiuso, con tanto bisogno di dare e ricevere affetto ma comunque orsetta e forse amante del suo piccolo mondo.
Orochimaru come al solito è di una dolcezza infinita, peggio di un involtino di fiele andato a male!
Vero? XD E' un pasticcino ripieno d'amore, il caro Orociccio! Ma se così non fosse, d'altronde, dove sarebbe il suo fascino? *O* Felice che ti piacciano gli accenni con Jiraiya, lui è l'unico d'altronde a tormentarlo con un certo esito!
Quanto al resto... si scoprirà la natura di quest'essere ignoto e le conseguenze che si verranno a creare, sperando di non ricevere maledizioni random XD
Un bacione, carissima Ile, grazie come sempre di tutto *____*

Un grazie anche ai preferiti/seguiti e a voi, lettori *O*
   
 
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