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Autore: Glenda    04/10/2009    0 recensioni
Finita! ^_^ Magari un giorno inventerò un'altra avventura per l'Unità Culti e Crimini rituali... ------------------------------ Premessa: Questa storia attinge all'ambientazione di un bellissimo gioco di ruolo, "Esoterroristi", pubblicato in Italia dalla Janus Design (http://janus-design.it/). Lo sfondo è quindi quello del gioco, ma il contenuto della storia è completamente originale, poiché nato dalle sessioni di gioco del mio gruppo. I protagonisti della vicenda sono agenti di una sorta di società segreta chiamata "Ordo Veritatis", il cui scopo è cercare di fermare una rete di terrorismo altrettanto segreta che utilizza conoscenze esoteriche e rituali (motivo per cui vengono denominati "esoterroristi") per destabilizzare la realtà. Loro scopo è infatti distruggere il tessuto "oggettivo" del mondo, facendo irrompere in esso elementi del soprannaturale appartenenti all'inconscio collettivo e agli incubi individuali. Attraverso complicati rituali, sono infatti capaci di evocare veri e propri mostri, spiriti, demoni, creature dell'incubo. Compito degli agenti dell'Ordo Veritatis è fermarli...ma, soprattutto, insabbiare le prove della loro esistenza: quanto più, infatti, la gente assisterà ad eventi soprannaturali e li vedrà entrare a far parte della realtà "oggettiva", tanto più gli esoterroristi diverranno potenti. Ma i protagonisti non hanno solo le proprie missioni a cui far fronte, bensì le proprie angosce, le ansie e i problemi nati dal loro continuo contatto con il soprannaturale e con la morte. E devono fare i conti con la propria solitudine, perché essere un agente dell'Ordo Veritatis significa spesso dover rinunciare ad avere dei legami...
Genere: Thriller, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7

 

Per un fatto di fiducia

 

Lo aveva già vissuto, tutto questo.

Lo aveva già vissuto, anche se il ricordo era lontano, sfocato, come se non appartenesse nemmeno veramente a lui.

Gridò forte, non solo per il dolore. Gridò perché Diane potesse sentire, perché capisse, perché si facesse prendere dal panico e abbandonasse la sua folle idea.

Non ne sarebbe uscita viva comunque, ma il rituale sarebbe fallito e loro avrebbero dovuto ricominciare da capo. I suoi compagni avrebbero avuto ancora tempo e alla fine li avrebbero fermati...

“Non ti ho sentito rispondere” sibilò Susy vicino al suo orecchio.

“Ho detto che NON LO SO! Siamo un’organizzazione a cellule, non conosciamo i nomi di chi ci dà gli ordini! E se anche lo conoscessi, non ve lo direi!!!”

Vero. Ma nel suo caso era una menzogna. Conosceva bene chi stava sopra di lui, conosceva nomi, vite private, tante, troppe cose che in una situazione come quella sarebbe stato molto meglio non sapere.

“Non me lo diresti...” fece eco Varga, atono “sono curioso di sapere cosa mi risponderai tra qualche ora...Siamo solo all’inizio. Non ti ho ancora fatto niente...”

Niente.

Ma il sangue continuava a cadere sul pavimento in piccole gocce con un ritmico e snervante rumore. Non si sentiva più tutto il braccio. Meglio. Così avrebbe sentito meno dolore.

Dove avrebbero conficcato il prossimo ago?

Quanti ce ne sarebbero voluti perché riuscisse almeno a perdere i sensi e spegnere la mente?

Non avrebbe mai parlato.

Mai, di questo era sicuro. Una sicurezza così forte che gli faceva paura, perché sentiva che per salvaguardarla si sarebbe lasciato uccidere.

Ma non voleva morire.

Non così.

Che avrebbe pensato Martin? Come si sarebbe sentito? E Lois...?

Aveva i brividi, stava tremando: avrebbe voluto evitarlo, ma non poteva impedire al suo corpo quella reazione completamente involontaria. Non aveva mai avuto tanta paura. Nemmeno nei suoi incubi. O forse solo in quel ricordo sfocato, quel ricordo che magari non era suo.

 

“Via libera!” risuonò forte la voce di Charles.

Ormai gli importava poco o niente di svegliare il palazzo.

Darren entrò portandosi John in spalla: il professore aveva tra le mani un pupazzo di stoffa grande poco più di un pugno, con la testa quasi staccata dal corpo e una polvere grigiastra che usciva dalla spaccatura.

“E’ stato quel cosino lì a far dare di matto a Doe?”

‘O Malley girò il feticcio a testa in giù: il contenuto si riversò per terra in un mucchietto grigio e in mano gli restò solo il floscio involucro di pezza.

“Non è la grandezza che conta, dovresti saperlo. L’efficacia di un feticcio dipende dal rito che ci hanno fatto sopra. Questo era così piccolo apposta perché non lo vedeste...probabilmente si attivava a contatto, infatti era appeso sopra l’interruttore della luce. Entrando al buio, sarebbe stato istintivo premerlo, e il malcapitato avrebbe sfiorato il feticcio...” osservò John, ancora svenuto sulle spalle dell’amico “...come infatti è avvenuto. Del resto, in questo corridoio non c’è una sola finestra: era un gesto quasi ovvio...”

“E questa robaccia...“ Darren pesticciò la polvere con la punta della scarpa “ha uno strano odore...”

“In verità credo si tratti di residui d‘incenso. Perché un feticcio funzioni deve avere un legame con chi ha effettuato il rito di costruzione. Guarda qua cosa c’è dentro...”

Frugò con le dita tra la stoffa ed estrasse un oggetto di rame chiaramente familiare.

“Almeno siamo certi di trovarci nel posto giusto!”

Darren avanzò nel corridoio, passò in salotto e depositò John sul divano.

“OH CRISTO!” gridò Charles all’improvviso.

Il professore corse verso la parete opposta, e sradicò letteralmente dal muro un portafoto, quasi portandosi via anche il chiodo.

“E’ LEI! E’ la matta!”

“Ehi? Che ti prende?”

‘O Malley imprecò a denti stretti, poi mostrò l’immagine al collega: ritraeva la vittima insieme a Susy Locarno e ad un altro uomo, ripresi sullo sfondo di un vasto selciato che spiccava per la fitta ghiaia bianca.

“CAZZO!” escalmò Darren, strappandogli l’oggetto di mano, colpito da bel altra cosa rispetto a quella che aveva attratto il professore “E‘ qui che li portano!...I residui sotto le scarpe delle vittime, Charles! Li hanno uccisi qui!”

Gettò il portafoto per terra, mandando il vetro in pezzi. Dietro la fotografia c’erano il nome di un luogo, tre firme ed una data.

 

Susy Locarno rideva. Nella sua risata c’era quella follia delirante che Spencer aveva già visto una volta, la sola in cui gli era capitato di assistere all’interrogatorio di un esoterrorista catturato dall’ordine. Non era mai riuscito a dimenticare quell’espressione, perché era diversa da quella della semplice pazzia: era come se nel suo sguardo ci fosse la certezza di vedere più lontano degli altri.

Quel giorno, ne era rimasto quasi affascinato, ma adesso era lui l’interrogato, era lui che doveva rendere conto di qualcosa a quegli occhi folli, e in quegli occhi vedeva benissimo fino a dove lei sarebbe stata capace di spingersi.

“Non farci perdere tutto questo tempo. Stai facendo aspettare una ragazza...”

Varga giocherellava con il secondo dei suoi lunghi aghi da tortura.

Poi ci fu un rumore come di vetri infranti proveniente dalla stanza vicina.

Spencer tirò su la testa e cercò di recuperare la propria lucidità.

“Vado a vedere” dichiarò la donna, stringendo la pistola “Non vorrei che alla signorina fossero venute strane idee...“.

Fu allora che la porta principale venne sfondata: Varga si voltò di scatto e estrasse un’arma, ma Darren fu più veloce. Il proiettile lo colpì al petto e l’agente gli saltò addosso atterrandolo.

“Capo!” esclamò Spencer “non sono mai stato tanto felice di vedere qualcuno!”

John, nel frattempo, era corso verso la stanza in cui si era diretta la Locarno. La donna si trovò circondata: da un lato ‘O Malley e Jeanine, entrati dalla finestra, dall’altro Doe. Presa dal panico si mise a sparare all‘impazzata. Confinata in un angolo, sconvolta da tutto quel baccano, Diane gridava come una matta, e Charles dovette spingerla a terra con malagrazia per evitare che si beccasse un proiettile. Doe, invece, si riparò tra la porta e una cassapanca, e fu da lì che fece fuoco. Colpita alla testa, Susy Locarno si accasciò al suolo.

 

“Un morto, un prigioniero, una potenziale esoterrorista da sottoporre a valutazione. Siamo stati bravi, no?” John ridacchiava col suo solito fare da bontempone, ma aveva ancora l’aria un po’ sbattuta “Ehi, aspetto delle congratulazioni, capo! Un tiro perfetto nonostante tu mi avessi appena dato in pasto ad un feticcio!”

Darren non lo considerò: era impegnato ad ammanettare Varga, che continuava a imprecare e a maledirli.

‘O Malley, invece, stava liberando Spencer.

“...F-faccia piano, professore...Fa un male infernale!”

La mano del ragazzo era letteralmente inchiodata al bracciolo della sedia.

“Ci penso io” intervenne provvidenzialmente Jeanine, con una cassetta del pronto soccorso a portata di mano. Charles abbozzò un sorriso, ed estrasse dal taschino della giacca una bottiglietta di Wiskey in miniatura.

“To’, butta giù” disse, stappandola “E’ meglio di un antidolorifico”

Pochi minuti dopo, una squadra dell’Ordo Veritatis li raggiunse sul posto: fecero salire in macchina separate Jaspar Varga e Diane, e ripulirono la zona da ogni indizio.

“Qual è la copertura?” chiese Darren

“La donna era un medico ciarlatano. Praticava la professione abusivamente proponendo ai suoi pazienti terapie alternative pericolose. Osvald Samerson voleva denunciarla e lei l’ha ucciso. Fate sparire l’amuleto dalle prove repertate. Quanto alla clinica di Varga, si trattava del suo complice ed amante, che gli procurava pazienti con la scusa del gruppo di aiuto. Lui è ancora latitante. Per la ragazza, ci penseremo noi, se qualcuno dovesse cercarla. Auguriamoci che non abbia capito abbastanza, e dopo qualche condizionamento psicologico potremo rimetterla in libertà”

“Ricevuto. Il rapporto arriverà in giornata”

Era quasi l’alba, e la ghiaia bianca luccicava in modo innaturale al primo chiarore.

‘O Malley prese Spencer sottobraccio e lo aiutò a raggiungere la macchina.

“Questo posto...è oggettivamente bello” disse lui “e soggettivamente sarà un altro dei miei incubi”

“Già. Ma è soggettivamente che puoi combattere gli incubi. C’è del bene e del male nella realtà da qualsiasi lato tu la guardi. Bisogna solo imparare a spostarci, e guardare il lato giusto nel momento giusto. In questo momento della storia, io credo che sia il nostro, il lato giusto”

 

Era mattino inoltrato quando i membri dell’Unità Culti e Crimini rituali ebbero finalmente il permesso di tornarsene a casa. La prima ad andarsene fu Jeanine, reduce ormai da due notti quasi in bianco. ‘O Malley, che non riusciva a rinunciare all’occasione della compagnia femminile nemmeno in un frangente come quello, la seguì a ruota pur di accompagnarla fino alla macchina.

Seduto su una sedia, Spencer si guardava la mano bendata con aria incredula, quasi sorpreso di essere vivo, e di essersela cavata solo con quella ferita da poco. L’effetto del liquore gli dava un po’ alla testa, ma andava bene così: troppa consapevolezza in quel momento gli avrebbe fatto male. Per una volta, desiderava stendersi e chiudere gli occhi.

“Dwight” lo richiamò la voce di Darren, brusca “Vieni qui”

Spencer si alzò stancamente e si avvicinò al capo; ma prima che potesse rendersi conto di ciò che stava accadendo, il destro del collega lo colpì in pieno viso e gli fece perdere l’equilibrio, mandandolo lungo disteso per terra.

“E-ehi!” esclamò, incredulo, con gli occhi spalancati “Sei impazzito?!”

Darren non rispose. Lo afferrò per il bavero della camicia, lo tirò su e lo appese al muro.

“La prossima volta che ti azzardi a agire di testa tua, disobbedendo ad un mio ordine preciso, ti mando all’ospedale” disse, fissandolo negli occhi con un’espressione che non ammetteva repliche “Hai capito, idiota?”

Spencer cercò lo sguardo di John, in cerca di supporto, e lo vide beatamente svaccato alla sua scrivania, che ridacchiava divertito, come se in quella situazione assurda non ci fosse nulla di cui discutere. Erano matti entrambi?

“Ehi!” azzardò il ragazzo, afferrando con entrambe le mani il polso di Darren che stringeva la sua camicia “non è legale che tu mi prenda a pugni per...”

Non lo fece finire di parlare: prima che potesse concludere la frase, si era beccato un cazzotto sull’altra guancia.

“DARREN...TU...TU SEI UN GRANDISSIMO BASTAR...”

Stavolta il pugno gli arrivò nello stomaco.

John Doe scoppiò a ridere.

“Non si disobbedisce ai miei ordini” scandì di nuovo il capo, impassibile “Hai capito?”

Spencer deglutì. Ne aveva prese abbastanza, e la mano gli faceva ancora molto male.

“S-si signore” mormorò, rassegnato.

Darren parve soddisfatto. Raccolse le sue cose e lasciò l’ufficio senza aggiungere altro.

Appena la porta si fu chiusa, Spencer si voltò a fissare John, con uno sguardo letteralmente atterrito.

“Mi ha preso a pugni!” esclamò, spalancando le braccia in un gesto teatrale “e tu non hai fatto che ridere! Qui dentro siete tutti matti!! Mi hanno quasi ucciso, e lui non trova niente di meglio da fare che picchiarmi?”

John si alzò in piedi, svagato, e prese a rassettare la sua scrivania.

“E tu perché non ti sei difeso?”

“D-difeso...?”

“Difeso. Darren era arrabbiato con te e ti ha tirato un pugno: perché non glielo hai reso? Non ti ha mica ordinato di lasciarti picchiare...Io e lui abbiamo fatto a botte per ragioni simili tante di quelle volte che ho smesso di contarle!”

Spencer era esterrefatto.

“Cioè...voi risolvete i problemi prendendovi a cazzotti?”

John si strinse nelle spalle.

“Non sempre. Diciamo che a Darren non piacciono le chiacchiere. Come lo chiamate voi psicologi? Linguaggio corporeo: è chiaro ed universale! Ma stai tranquillo, se avesse avuto seriamente qualcosa da ridire su di te, non ti avrebbe picchiato: ti avrebbe rispedito da dove sei venuto e festa finita”

Spencer era senza parole.

“Ti va un hamburgher? Di solito dopo un caso vado a festeggiare con Darren, ma come vedi, oggi ci ha piantati...”

Un hamburgher a quell’ora del mattino non era una buona idea. Ma tutto sommato non gli dispiaceva l’idea che uno dei suoi nuovi colleghi lo stesse invitando.

“Preferirei qualcosa di dolce!” sorrise “di molto dolce!”

 

Tra un bicchiere di Wiskey e l’altro, ‘O Malley lesse il rapporto che Darren aveva inviato all’Ordo Veritatis. L’amico stava seduto su uno sgabello con aria svagata, fumando una sigaretta.

“Non hai nemmeno accennato al fatto che Dwigth abbia violato una delle principali regole dell’ordine...” commentò Charles, inespressivo, restituendogli il foglio.

“Non ne vedo il motivo. Tra tutte le cazzate che ha fatto, questa è stata forse la mossa più intelligente che gli sia venuta in mente”

Il professore scosse la testa: c’erano alcune posizioni di Darren che proprio non riusciva a capire.

“Ha rivelato a due esoterroristi la sua identità” disse, parlando a mezza voce, benché il locale fosse completamente vuoto “lo stavano torturando, e avrebbero continuato a farlo. Chi ci dice che non avrebbe parlato? Che non avrebbe fatto i nostri nomi, o peggio...? Nessun essere umano può essere veramente consapevole di quale livello di sofferenza la sua mente può essere in grado di tollerare, prima di cedere. E‘ stato stupido...”

“Al contrario. E’ stato furbo. Se in quel momento non avesse attratto l’attenzione di quei pazzi, loro non si sarebbero presi la briga di perdere tempo dietro ad un inutile agente di polizia. Avrebbero pensato al loro rituale, prima. E noi non avremmo affrontato un uomo e una donna in delirio, ma un... - come hai detto che lo chiamavano? - ...beh, una creatura dell’occulto che non sarebbe stato altrettanto facile nascondere agli occhi del mondo, ammesso e non concesso che fossimo riusciti a distruggerla. Dwight ha preso tempo. Ha investito sul fatto che lo avremmo trovato prima che fosse troppo tardi...”

“In sostanza, stai chiudendo un occhio perché ha contato su di te: per un semplice fatto di fiducia?”

Darren fece un mezzo sorriso

“Non solo per fiducia: apprezzo chi sa trasgredire nel momento giusto...”

‘O Malley bevve un sorso e rimase in silenzio qualche attimo.

“Dovrei denunciarvi...” disse poi, serio “...e se a sbagliare fossi stato solo tu, lo farei”

Altro breve silenzio.

Sai che lo farei, Darren. Ti prendi troppe libertà, e troppo spesso. Ma Spencer si è trovato sul campo per la prima volta, e mi auguro che non commetterà errori la seconda...”

L’amico spense la sigaretta, di versò un bicchiere e lo bevve d’un fiato.

“Se lo farà, vorrà dire che non te lo dirò” una pausa, un altro sorriso “Dwight non è male”

‘O Malley scrollò il capo, rassegnato.

“Già. Non è male.”

 

<

mi piacerebbe poterti raccontare come sono andate le cose da quando sono partito, ma sai bene che non lo posso fare. Tra noi, non sarà mai concesso scriverci delle normali lettere, come se fossimo due persone qualunque, che per una qualsiasi ragione la vita ha allontanato. Sai, ho conosciuto una persona con cui mi sono trovato a parlare di oggettivo e di soggettivo, e mi sono trovato a difendere ragioni che non desidero difendere, perché credo di essere vivo per combatterle. Tuttavia, a volte temo che il nostro ruolo, le cose che sappiamo, ci portino a guardare con diffidenza tutto ciò che è inconscio, che è irrazionale, che sfugge al nostro controllo. Sebbene sappiamo che anche i sentimenti fanno in fondo parte di quella sfera che compete alla ‘realtà soggettiva’. A volte...vorrei credere che nel subconscio umano non ci sono solo mostri...che si può addormentarci senza avere paura...che la prossima volta che dormirò, potrei semplicemente sognare te. Tu sostieni che io non ti ami. Può darsi che sia vero, la psicologa, dopotutto, sei tu. Eppure, quello che io oggettivamente vedo, è che in questo momento mi sto rivolgendo a te, è che è te che ho pensato nel momento in cui ho avuto paura di morire.

Sai, penso che rimarrò qui a lungo. Penso che mi troverò una casa, che imparerò a conoscere questa città, che imparerò a fare bene questo lavoro.

E ogni tanto ti scriverò lettere che non ti potrò mai spedire, perché noi apparteniamo ad un sistema di cose dove anche solo il tenerci in contatto significa mettere in pericolo le persone a cui si vuole bene>>

...

Spencer piegò in quattro il foglio, lo chiuse in una busta, poi gli diede fuoco sotto la fiamma dell’accendino. La carta si attorcigliò sfrigolando e sul pavimento rimasero solo piccoli frammenti inceneriti.

Ci soffiò sopra e li guardò spargersi per la stanza, come se fossero un mucchietto di coriandoli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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